"Guarire vuol dire azzardare un passo oltre il recinto di casa"
[H.Kalweit]
Bisogna domandarsi se è legittimo e lecito tentare di gettare un ponte tra la cultura occidentale e la cultura dell’India e soprattutto se sia utilizzabile a tale scopo investigare questa cultura con gli strumenti che la psicoanalisi ci offre.
L’intento di questo lavoro è quello di fornire alla semantica antropologica piani di lettura multipli, non modelli che si autoescludano, quanto piuttosto aspetti interdisciplinari del conoscere, mettere in guardia nei confronti della seduzione di un “sapere certo” e favorirne la possibile metanoia.
Il tentativo di integrare nasce sempre da sforzi personali, soprattutto quando riguarda aspetti “interni” del sapere e questo caratterizza anche la mia esperienza:formazione medico-psichiatrica e passione per la cultura indologica.
Profili di paesaggi apparentemente tanto lontani tra loro, dis-orientamenti che mi aiutano nel procedere in una osservazione “da più vertici”, nel tentare quella che Bion definiva una visione “binoculare”.
In particolare utilizzerò come controparte dialettica la cultura indiana, non tanto per trovare soluzioni, per così dire, prese a prestito, quanto piuttosto per favorire sospensioni interlocutorie utili a dilatare il nostro “apparato per pensare i pensieri”.
Non solo un tentativo di sincretismo tra orizzonti ermeneutici, quanto piuttosto un collocarsi sul piano della problematizzazione dell’ambivalenza dell’istanza dell’“Altro”.
Come ricorda Kakar nella cultura indiana, più che una tendenza alla “soluzione”, è presente la possibilità di una “sospensione” dei diversi punti di vista.
Le sei scuole sacerdotali indiane che rappresentano, ciascuna a proprio modo una disamina della conoscenza e delle sue origini si chiamano “darshana” [darshana (“punti di vista”), dalla radice sscr. drsh- vedere].
Credo che proprio la psicoanalisi possa aiutarci a mantenere lo sguardo più in profondità, a limitare il rischio di un occidental-centrismo, dando rilievo a determinismi più profondi e più vicini alle emozioni tanto complesse che riguardano l’essere umano.
Le componenti che stanno alla base di quello che Freud chiamava <
La cultura dell’India si presta molto bene ad un’indagine psicoanalitica.
Questa richiede un’attenta osservazione sia delle “motivazioni profonde” di ciascuno, che del contesto culturale di appartenenza, di come si esprime il disagio e di come questo viene vissuto e accolto senza il rischio di applicare modelli psicopatologici rigidi o preconcetti. D’altra parte già Freud stesso ci ha spianato la strada colmando lo iato tra normalità e anormalità introducendo l’aspetto “quantitativo” nel funzionamento dell’”apparato psichico”.
Oltre al fatto che la cultura indiana e quella occidentale offrono modelli di risposta radicalmente diversi ai bisogni fisiologici fondamentali dell’uomo è esperienza comune che nella “psiche indiana” si conservino tracce viventi dei valori tradizionali più antichi come i miti e i riti e che tutto il contenuto latente tenda a manifestarsi nel vissuto quotidiano visto il prevalere del pensiero del “processo primario” (pensieri onirici, miti e sogni).
In Occidente attraverso una progressiva “demistificazione del mondo” si è creata una frattura radicale tra “pubblico e privato”, producendo le condizioni dove il <
Occorre fare molta attenzione a non usare l’interpretazione psicologica in modo riduttivo ed immaginare che oltre ad una realtà psichica individuale, pulsionale, esiste anche una logica inconscia di vita sociale, per cui la psiche individuale e le istituzioni culturali creano un continuum di fenomeni osmotici profondi.
Parlando dell’India bisogna innanzitutto differenziare l’immagine del guru così come ci è offerta dalla fantasia delle suggestioni di oggi, da quella più antica di guru come iniziatore di “conoscenza”.
Partendo dallo studio della parola,dall’etimologia di <
Abbiamo inoltre un’altra interessante etimologia offertaci da Daniélou a partire dalla Advaya Taraka Up.:
Gu (oscurità); Ru (dispersore); <
Queste non sono le uniche definizioni che caratterizzano il guru.
Inizialmente questa figura sembra avere più una funzione di “istruttore” riguardo la corretta esecuzione dei riti.
Successivamente il suo potere s’incrementa e da indicatore della via da percorrere diviene lui stesso modello per il discepolo. Questo avviene senza una “divinizzazione”, ma facendo proprie quelle caratteristiche che ancora oggi definiscono gli attributi dell’uomo di “conoscenza” che sono:
Silenzio che consente l’Unione Suprema (essere all’Unisono—at-one-ment ‡“O”)
E’ a questo livello che la relazione maestro-discepolo, pur non divenendo simbiotica, è molto intima ed empatica. Il maestro non si basa più solo sulla autorevolezza dottrinale, ma mette in gioco e si mette in gioco nell’esperienza.
Esorta il suo discepolo a sperimentare attraverso di lui una conoscenza personale ed a mettersi alla prova.
Interessante osservare con Kakar che insieme al passaggio del guru da essere umano a dio, vi sia anche uno scivolamento regressivo della figura del discepolo che progressivamente passa dall’essere adulto ad essere “bambino”.
Senza dilungarci ulteriormente notiamo una progressiva divinizzazione del guru che procede attraverso movimenti devozionali come la Bhakti, che tantrici diventando una vera e propria “divinità”.
Difficile una vera e propria storicizzazione di questa figura, cosa che per altro ci porterebbe ad affrontare le diverse concezioni del “tempo” che caratterizzano l’Oriente e l’Occidente (l’Occidente è la terra dove il sole muore…il tempo è più definito!, nella hindi attuale per dire “ieri” o per dire “domani” si usa la stessa parola: “kal”, il significato è rimandato al contesto ed al verbo).
Non è l’excursus storico di maestro e conoscitore delle dottrine filosofiche e spirituali della tradizione che vogliamo approfondire, ma desideriamo focalizzare in questa sede il passaggio del guru a “mediatore di guarigione”, come colui che favorisce trasformazioni in senso evolutivo e conoscitivo.
Questo ruolo diviene sempre più prevalente e il guru, e a questo punto i suoi diversi sinonimi a seconda delle culture, è sempre più chiamato ad intervenire sulle sofferenze psichiche o somatiche di coloro che lo consultano.
Riguardo la relazione maestro-discepolo in Occidente si è ingiustamente evidenziata la componente regressiva come aspetto “patologico”, l’eccesso di sottomissione, come “diniego” dell’ostilità, la dipendenza, come irrisolti legami con la figura materna.
Ben consapevoli di questi rischi noi crediamo che questo rapporto possa offrire al discepolo la possibilità di sperimentare una relazione “sufficientemente buona” e lo aiuti ad introiettare esperienze costitutive.
Il guru viene ad essere inserito in un nodo che lega salute e salvezza, sanus e salvus, la ricerca di salute si esprime in un senso globale.
La “globalità” del significato riguarda la totalità della persona umana, alla presa con una <
E’ necessario che usi un
Di proposito quindi userò scambievolmente i termini di guru, maestro e psicoanalista (terapeuta), sottointendendo quindi con questi la funzione di “mediatore di guarigione” e tentando di rintracciarne alcune caratteristiche.
Il guru funge dapprima da guida in un processo iniziatico, successivamente in un processo di autocoscienza ed introspezione.
Questa diviene una figura sulla quale il discepolo, il paziente, può “proiettare”, trasferire esigenze emotive e stati d’animo che hanno segnato la propria vita.
Con la sua sola presenza può rivalutare stati psichici che favoriscono meccanismi endogeni di autoguarigione e che comportano una potenziale carica di efficacia terapeutica.
La sua benevola e silenziosa presenza, a volte vissuta come fosse uno specchio in cui ri-flettersi, o come una calda e confortevole vicinanza, può raggiungere livelli comunicativi che coinvolgono stati profondi della psiche, linguaggi emotivi preesistenti l’uso della parola.
L’interazione guru-discepolo va più in profondità, tocca livelli della mente che sono generalmente raggiunti in rari e preziosi momenti nel percorso psicoanalitico.
Il devoto è messo più a contatto con il nucleo depressivo profondo che sta alla base del senso di sé e della vita e che è al di là di ogni parola ed interpretazione. (S.Kakar)
Ogni essere umano avverte l’esigenza di conoscenza, di attenzione, di riconoscimento, il non averle vissute determina quel senso di vuoto, di profondo disagio psichico che spesso aliena le nostre esistenze.
Questi residui psichici di una attenzione inadeguata ricevuta durante l’infanzia vengono a creare, soprattutto nella società occidentale, una paradossale condizione in cui forme estreme di autosufficienza convivono con paurose sensazioni di vuoto interiore, panico e fame spirituale cronica.
Da una parte quindi non possiamo non essere d’accordo con Freud nel ritenere che la “guarigione” avviene attraverso la “conoscenza”, <
Winnicott sottolinea questo dando molta importanza al rapporto terapeutico che si instaura tra analista e paziente piuttosto che alle interpretazioni fornite.
Anche W.Bion del resto evidenzia la profonda differenza che esiste tra una una forma di conoscenza razionale in “K” e uno vero e proprio sviluppo esistenziale di crescita evolutiva che si ha attraverso il mettere da parte la “memoria, il desiderio, persino quello di comprendere e di guarire”, per vivere ciò che ci propone l’incontro e andare a cercare la parte più "profonda" nostra e dell’altro (at-one-ment) ‡ essere in “O” (la Realtà Ultima, la Cosa in Sé).
Queste esperienze affettive riconducono ad un clima emotivo, un “proto-mentale che precedente l’uso della parola. Un mondo intimo e pre-verbale favorito dal tipo di relazione, da aspetti culturali, da aspettative, dall’attitudine e dalle esperienze del guru stesso.
Molto importanti in questa relazione sono anche le aspettative del discepolo, potremmo dire che ciascuno sceglie il proprio guru e questo in base ad esigenze profonde ed inconsce.
Anche nelle terapie occidentali succede qualcosa di simile nella scelta del tipo di approccio terapeutico.
Mettendoci dalla parte del paziente possiamo dire che gioca un ruolo anche il “transfert” all’interno di quel quadro teorico del terapeuta con il quale egli ha deciso di fare un’analisi. Nelle grandi città occidentali, in cui si ritrova ogni tipo di terapia, questo <
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