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La mente può trovarsi in stati diversi , il sonno ,il sogno, la trance,l'ipnosi,l'attenzione fluttuante,
l'estasi,la preghiera,la meditazione,la creatività artistica e scientifica,
l'esplorazione dello spazio e degli abissi marini,l'agonismo sportivo.

Stati della mente pubblica lavori originali o già pubblicati con il consenso degli autori, interviste e recensioni di libri e promuove eventi culturali e scientifici.

LA DIPENDENZA DA INTERNET E LE DIPENDENZE SESSUALI di Guglielmo Campione


I termini dipendenza, abuso o addiction sono stati finora utilizzati con riferimento a sostanze chimiche, ma ormai sempre più spesso si ritrovano nella letteratura scientifica riferimenti alle cosiddette "nuove dipendenze".

Le nuove tecnologie hanno rivoluzionato l'economia, il nostro modo di lavorare, di studiare, di pensare ma si sono sviluppate anche delle vere e proprie patologie legate ad un uso problematico di Internet e dei suoi servizi: lo shopping compulsivo in Rete, il gioco d'azzardo, il trading on-line (giocare in Borsa attraverso Internet), la chat dipendenza e le relazioni nate in Rete, i Cybersesso dipendenti e l"information overloading addiction", la dipendenza da informazioni.

In alcuni casi il web può, non diversamente da quel che accade nelle altre condotte patologiche da dipendenza, giungere a diventare il fulcro della vita di una persona tanto da oscurare completamente la sua vita privata e relazionale e influenzare negativamente il suo rendimento lavorativo.

Come in tutte le dipendenze patologiche è, dunque, sempre importante, per un clinico, valutare le difficoltà di relazione, le convinzioni patogene e disadattive, le situazioni sociali carenti e le concomitanti psicopatologie più frequenti come il disturbo ossessivo e i disturbi dell’umore.

Secondo Maslow alcuni servizi come le chat, le mailing list, e i newsgroup facilitano il contatto interpersonale, il riconoscimento sociale, il senso d'appartenenza e l'autorealizzazione.

Il web è diventato con il passare del tempo sia un contenitore d’informazioni e materiale, nel quale ricercare, in un ambiente protetto da anonimato, stimoli ed emozioni sia un luogo d’accesso a relazioni amichevoli, sentimentali o sessuali per la ricerca di materiale sessuale e di contatti personali a scopo sessuale e per praticare il cybersex o per organizzare incontri.

Da questo punto di vista il web si presenta come un contenitore emotivo, come luogo neutro ideale per la proiezione di pulsioni e la produzione di fantasie e come occasione per sperimentare nuovi comportamenti.

In realtà spesso non vi è ricerca di relazioni oggettuali vere e proprie ma di relazioni opportunistiche con soggetti che, per le proprie caratteristiche di personalità, calamitano e favoriscono la scarica di bisogni pulsionali poco elaborati.

Secondo la Young chi soffre di Internet addiction disorder(IAD) non frequenta la rete per necessità o per svago, ma risponde ad un impulso incontenibile di usare Internet per il maggior tempo possibile, con l'inevitabile compromissione della propria sfera socio-affettivo-lavorativa.

La durata interminabile dei collegamenti è, infatti, una caratteristica immancabile di questa dipendenza, mentre le altre attività e gli altri rapporti passano gradualmente in secondo piano, fin quasi a scomparire dal panorama quotidiano ed affettivo dell'Internet-dipendente.

L'impossibilità a collegarsi, evento comune a chi naviga (rete intasata, virus, server temporaneamente sospeso, ecc.), è vissuto con un disagio profondo, un senso di privazione e di angoscia che può culminare in vere e proprie crisi d'astinenza

I fattori di rischio per lo sviluppo della IAD sono:


soggetti compresi fra i 15 e i 40 anni,


difficoltà comunicative legate a problemi psicologici, psichiatrici, emarginazione, problemi familiari e relazionali;

'elevato grado di informatizzazione negli ambienti lavorativi.


lavori notturni e isolati


l'isolamento geografico


Le fasi cliniche del disturbo consistono in:

a) una fase iniziale, caratterizzata da attenzione ossessiva per la posta elettronica, focalizzazione ideo-affettiva sui temi inerenti il web;

b) una fase tossicofila, con progressivo incremento del tempo di permanenza in Rete e sensazione di malessere quando non si è collegati, collegamenti in ore notturne con perdita di sonno;

c) una fase finale tossicomanica caratterizzata da collegamenti così prolungati da compromettere la vita personale, sociale e professionale.


RICERCHE ITALIANE

Cantelmi precisa di aver avuto l’opportunità di esaminare, dal 1996 al 2000, solo sei pazienti rete-dipendenti (4 maschi e 2 femmine), giovani adulti di livello culturale medio-alto.

I soggetti rientrano nella fascia d’età considerata a rischio per l’insorgenza della dipendenza da Internet (tra i 30 e i 35 anni).

Tutti i pazienti, che utilizzano Internet da più di sei mesi, riferiscono di passare molte ore settimanali in rete (fino a 50), lamentando apatia, ansia, irrequietezza e anedonia off-line, nonché una marcata compromissione della vita relazionale, scarso interesse per le relazioni interpersonali e diminuito rendimento professionale. Cantelmi (2000) ha proposto la classificazione di due tipi di “retomani”: gli IA (internet addiction) con pregressa patologia, rappresentati da pazienti con disturbi nell’area affettiva o con tratti ossessivo compulsivi e gli IA senza pregressa psicopatologia nei quali lo sviluppo della sindrome da internet dipendenza dà valore all’ipotesi secondo la quale il rischio psicopatologico dell’uso della rete deriva dalle stesse caratteristiche tecniche della comunicazione telematica, che consentirebbero al soggetto di vivere una condizione di onnipotenza .(Varaschini A.2002).

In Italia V.Caretti ha introdotto il termine di trance dissociativa da videoterminale: e’ un importante fenomeno dissociativo che si manifesta con depersonalizzazione, diffusione dell'identità, esperienze sensoriali bizzarre, che accosta le condotte on-line alle psicosi.

Esso si verifica durante o dopo un lungo collegamento in rete e consiste in un’alterazione temporanea dello stato di coscienza, e/o in una sostituzione del senso abituale dell'identità personale con un'identità alternativa.

Si ritiene che essa possa essere il risultato di una condizione difensiva che nasce da una pregressa psicopatologia, per esempio una fobia sociale; l'esposizione protratta agli stimoli innumerevoli della rete può, in alcuni casi, fungere da stressor aggiuntivo in soggetti predisposti.

La psicanalisi e le relazioni virtuali.

Devo in parte questo excursus alla consultazione dell’interessante tesi di laurea in psicologia di Alessandra Maraschini “La dipendenza da Internet: un approccio psicodinamico”.(15)

Molti autori hanno sottolineato la somiglianza del web al mondo onirico: molte persone, infatti, sono attratte dagli ambienti virtuali che, come i sogni, soddisfano il bisogno di evasione, incoraggiando modalità di pensiero inconsce, tipiche del processo primario.

Questi utenti possono inoltre utilizzare il cyberspazio per sperimentare identità diverse attraverso la messa in scena della propria maschera (ad esempio nelle chat, traendo vantaggio da un contesto facilitante e deresponsabilizzante e da una modalità di accesso on-off al luogo esperienziale della rete.

“In termini psicanalitici, il computer e il cyber spazio ( introdotto da W.Gibson in “Neuromancer”), secondo Suler (1996) possono diventare una sorta di spazio transizionale che si configura come un’estensione del mondo intrapsichico della persona e può essere sperimentato come un’area intermedia tra il sè e l’altro. Leggendo sul loro schermo il testo di un e-mail si può avere la sensazione che la nostra mente si fonda o confonda con quella dell’autore, in uno spazio psicologico che diventa un’estensione della nostra mente conscia e inconscia. Winnicott (1951) coniò il termine di spazio transizionale e oggetto transizionale per descrivere l’area intermedia di esperienza fra il sé e l’altro, fra il dito da succhiare dei primissimi mesi e l’orsacchiotto del periodo successivo, fra l’erotismo orale e il vero e proprio rapporto oggettuale.Un oggetto transizionale è contemporaneamente concreto e fantasmatico, creando un’esperienza intermedia tra esterno e interno. Il bisogno dell’oggetto transizionale si manifesta in momenti di frustrazione, quando l’impatto con la realtà è troppo forte. Esso ri-presentifica, nei momenti di assenza, la presenza della madre, in una dimensione di controllo e dominio dell’oggetto che il simbolo rende possibile. E’ un sostituto materno che consola e protegge nell’assenza.(15).

Il cyberspazio transizionale è accessibile ad ogni ora, controllabile in ogni momento.

Il desiderio di controllo dell’interiore attraverso il controllo sull’esteriore è molto facilitato in internet (Turkle 1984). La relazione virtuale così super-controllabile può fornire l’illusione di specchiarsi vedendo il proprio io ideale nell’altro. La relazione viene usata come mezzo di conferma narcisistica. Come per il Freud di ”Introduzione al narcisismo” è possibile amare l’altro in quanto egli rappresenta ciò che siamo stati, ciò che non siamo mai stati ma avremmo voluto essere, ciò che potremmo essere in futuro. Secondo Balint (1968) il bisogno compulsivo di un rapporto armonioso con l’ambiente è da ritenersi primario e fondamentale. Se questo bisogno non viene soddisfatto si produce una mancanza di cui il narcisismo, come sforzo per rendersi indipendente dal mondo frustrante, è una delle espressioni difensive.

Il web rappresenta un occasione o una serie di occasioni narcisistiche: ci si può presentare come si vorrebbe essere o si vorrebbe essere visti dagli altri, permettendo di fuggire dal contatto reale e dalla valutazione reale tanto temuta perché frustrante e non controllabile.

Si capisce perché allora il tema dell’identità è così importante in questo discorso. La sperimentazione di diverse identità (identità multiple) anche sessuali (gender swapping, in prevalenza uomini ) è una delle potenzialità della rete che può generare addiction. La Young riporta a questo proposito alcune testimonianze paradigmatiche: ”Il web è l’unico posto in cui la mia opinione valga qualcosa e mi sento importante. Di giorno sono un marito affettuoso ed un lavoratore coscienzioso ma di notte premendo un tasto, mi trasformo nel bastardo più aggressivo che lei possa immaginare. E nessuno sa che sono io a fare questo. Penso che questo mi impedisca di andare realmente a fare male agli altri, ad esempio, picchiare mia moglie. Sono spaventato per questo ed ho bisogno di aiuto”.(15).

Pravettoni (2002) ha cercato di distinguere tre tipologie di persone che si rivolgono al web:

chi usa la rete come mezzo per incontrare un altro che, in un interazione dialettica gli permetta di superare un momento di disagio. Gli altri utenti cioè fanno da “ terapeuti”mentre lo spazio della rete diventa una specie di spazio sicuro in cui parlare o piangere ed elaborare.
chi usa la rete per inscenare continuamente e compulsivamente i propri problemi senza alcuna elaborazione avendo trovato un posto sicuro e degli interlocutori disponibiliad ascoltarlo. Questo trend è da ritenersi precursore di dipendenza.
Chi usa la rete come specchio per vedere la propria immagine più chiaramente. Questo ricorda il metodo autobiografico e la funzione terapeutica della scrittura ed il web assomiglia alla carta: l’individuo cerca di rimettere in ordine le proprie idee e riorganizzare il proprio sé.(15).

Ancora una volta viene sottolineata dai clinici la valenza narcisistica di queste relazioni, il loro uso strumentale e seduttivo dell’altro. Il desiderio di sedurre o manipolare può essere considerato come il modo per attenuare la propria disistima profonda. Se si riesce a convincere l’altro, anche se con l‘artificio della maschera e dell’identità fittizia, vorrà dire che si può dominarlo, controllarlo, producendo un valore che diventa per l’altro desiderabile e incrementando in tal modo la propria percezione di competenza nel soddisfare i propri bisogni.

Se- durre, dal latino condurre a sé, significa legare l’altro a sé e soddisfare i propri bisogni sociali e sessuali. In genere si tratta di persone che faticano nell’interazione vis a vis, nell’intimità, per eccessivi timori sulla propria immagine corporea e sessuale. L’intimità, infatti, si raggiunge quando si supera il confine della parte più segreta di noi, quando si permette all’altro di violare questo confine. Per far questo è necessario che l’altro non intimorisca, non appaia minaccioso in qualche modo. In rete si può appare invece meno minacciosi soprattutto perché si ha a disposizione un linguaggio tutto verbale, interpretabile, meno denso, che lascia più spazio ai movimenti difensivi, alla polisemia, all’ambivalenza.

“Il web può diventare quindi un rifugio. A tal proposito ricordiamo che già Fonagy e Target (2001 avevano parlato di mentalizzazione di luoghi mentali. Steiner (1993) li ha definiti rifugi della mente (“…il rifugio funziona come una zona della mente in cui non si deve affrontare la realtà, in cui le fantasie e l’onnipotenza possono esistere senza controllo e qualunque cosa è permessa. E’ spesso questa caratteristica che costituisce l’attrattiva del rifugio per il paziente, o di solito comporta l’utilizzazione di meccanismi perversi e psicotici…”).(15).

I rifugi della mente si possono intendere come luoghi mentali ossessivo compulsivi o riti magici in cui ci si ritira quando la realtà è insopportabile, in cui si automedica l’io danneggiato per un lutto o per una perdita dolorosa. La perdita non elaborata comporta angoscia, dolore e quella costante sensazione di pericolo che Bion definì terrore senza nome”.(15).

Il concetto di luogo mentale fa appunto pensare a Bion quando parla della madre come oggetto contenitore esterno in grado di accogliere e rendere pensabili gli stati mentali primitivi, i dati grezzi dell’esperienza, sperimentati come angosciosi e dolorosi in quanto privi di significato e proiettati all’esterno tramite l’identificazione proiettiva: i cosiddetti elementi beta.

…Tale funzione materna viene definita da Bion “Reverie” o funzione alfa e corrisponde a quello stato di calma ricettività che accoglie i sentimenti caotici del bambino e gli da significato, calmando quindi dolore e angoscia. Come dice Fonagy, cioè, ”… il cogito ergo sum cartesiano non può più funzionare come modello psicodinamico della nascita del sé. Il costrutto dovrebbe essere invece: la mamma pensa a me come a qualcuno che pensa e dunque io esisto come essere pensante”.Citando Hegel della “Fenomenologia dello spirito” Fonagy fa notare che è solo attraverso la conoscenza della mente dell’altro che il bambino sviluppa il pieno possesso della natura degli stati mentali. Ed è quindi anche vero che, come dice la Main, l’incapacità a comprendere la natura meramente rappresentazionale del pensiero proprio e di quello degli altri rende il bambino ( le persone) vulnerabili dinanzi a comportamenti poco coerenti. Non sono cioè in grado di trascendere l’immediata esperienza e di arrivare a comprende la differenza tra esperienza immediata e lo stato mentale sottostante. E’ come se costoro prendessero tutto alla lettera e non fossero in grado di andare oltre (metacognizione).Questo li espone a ritenere gli stati rabbiosi del genitore come dovuti alla propria cattiveria e non allo stato mentale della madre. I bambini borderline possono cioè essere figli di genitori borderline.

“Secondo V.Caretti i rifugi della mente servono a neutralizzare e controllare l’angoscia di morte e l’aggressività di tipo primitivo, ma in quei soggetti in cui le problematiche collegate alla distruttività sono particolarmente disturbanti, il rifugio mentale può giungere a dominare la psiche dando luogo ad una patologia che va dal ritiro dal mondo oggettuale, alle attività autoerotiche, all’aggressività contro sé stessi (anoressia e tossicomania) fino ai disturbi dissociativi (trance dissociativa da videoterminale)”.(15).
Comunicando su internet gli utenti regrediscono.
I segni fondamentali di questa regressione, secondo Holland (1995) sono il flamming (comportamento maleducato e compulsivo, con espressioni crude e insulti, il sexual harassment, la straordinaria generosità, tutti fenomeni disinibitori e regressivi.(15).
Holland sottolinea anche come le caratteristiche del setting psicanalitico assomigliano per certi versi alla comunicazione on line: si parla ad una persona che non vediamo ma che pure è presente dal quale si riceve brevi risposte”.(15)
Questo tipo di pazienti che altrimenti difficilmente ricorrerebbero all’aiuto di uno specialista possono essere forse quanto meno agganciati più facilmente attraverso il contatto on-line, utilizzando Internet come un’occasione propedeutica ad una dimensione di vero incontro e dunque, proprio per questo, veramente terapeutica.


LE DIPENDENZE SESSUALI

Il concetto di sex addiction, in quanto tale, è stato coniato nel 1983 da Patrick Carnes.

E’ lecito chiedersi se quest’ennesima etichetta diagnostica corrisponde ad un esclusivo bisogno nosografico di medicalizzare il comportamento sessuale o se davvero rappresenta un progresso nella comprensione del fenomeno.

Il disturbo compare per la prima volta nel 1991 nel DSM III r, tra i disturbi non altrimenti specificati come“ disagio collegato a modalita di conquiste sessuali ripetute o ad altre forme di dipendenza sessuale non parafilica che comportano una successione di persone che esistono solo per essere usate come oggetti”.

Nel 1996 –DAM IV- viene eliminata la dizione dipendenza sessuale e si trova un riferimento nei disturbi sessuali n.a.s ad un “disagio connesso a quadro di ripetute relazioni sessuali con una successione di partner vissuti dal soggetto come cose da usare”.

Attualmente il dibattito scientifico verte su 2 possibili ambiti: dipendenze patologiche (A.Goodman), disturbi impulsivi /disturbi ossessivo compulsivi(Hollander, Cloninger), teoria psicanalitica della compulsione (secondo cui ogni comportamento usato per produrre gratificazione e fuggire da stati interni di angoscia può diventare compulsivo e diventare un disturbo da dipendenza ) e della perversione. In “ Onanismo come possibile forma di dipendenza “( “Trattamento psichico” 1889-1892) Freud fa riferimento alla terapia ipnotica che "...non è utilizzabile soltanto in tutti gli stati nervosi e nei disturbi insorti per’immaginazione', nonché nel divezzamento da abitudini morbose (alcolismo, morfinomania, aberrazione sessuale).

Otto Fenichel (The psychoanalitic Theory of Neurosis -1945) le cataloga come secondo tipo di "nevrosi impulsiva" quello delle "tossicomanie senza droghe".

In un saggio postumo, Ferenczi, afferma che "non si può considerare guarito un alcolista che si è potuto allontanare temporaneamente dalla sua dipendenza nefasta con la disintossicazione e con la suggestione. La disintossicazione deve essere completata con un lavoro psicoanalitico che svela e neutralizza i veri momenti psichici del bisogno compulsivo delle droghe. Capita spesso nel corso di un'analisi di osservare che queste abitudini servivano a mascherare una vita sessuale amorosa disturbata" (Ferenczi, 1927-1933).

Secondo Goodman ci sono sensibili differenze tra dipendenze e fenomeni compulsivi.

Le dipendenze patologiche sono caratterizzate da: attività sessuale come attività di ricerca del piacere e riduzione del disagio, attività sessuale egosintonica (impulsiva ?) e risposta ai farmaci antidepressivi simile a quella nella depressione.

Le compulsioni sono caratterizzati da attività sessuale come attività di difesa (non finalizzata al piacere ma alla riduzione di ansia e depressione), attività sessuale egodistonica, risposta agli antidepressivi diversa a quella nella depressione, e sono legati a fenomeni di eccessività.

Secondo questo autore i criteri per disturbi da dipendenza sono:

1. Frequente espressione del comportamento per un lungo periodo di tempo, maggiore di quanto comunemente inteso.

2. Persistente desiderio di esprimere il comportamento con uno o piu sforzi inefficaci di controllarlo o ridurlo

3. Molto tempo speso in attività necessarie al comportamento o per riprendersi dai suoi effetti

4. Frequenti preoccupazioni per il comportamento e le attività preparatorie

5. Frequente ingaggio nel comportamento nonostante le scadenze lavorative, accademiche, domestiche o sociali

6. Abbandono dei doveri sociali, lavorativi, ricreazionali a causa del comportamento

7. Continuazione del comportamento a dispetto del sapere di avere persistenti e ricorrenti problemi sociali, finanziari, psicologici o fisici causati o esacerbati dal comportamento

8. Bisogno di aumentare l’intensità del comportamento per ottenere l’effetto desiderato o diminuiti effetti con comportamenti della stessa o maggiore intensità

9. Incapacità di rilassarsi e irritabilità se non è possibile agire il comportamento

10. Almeno 3 criteri per fare diagnosi e alcuni sintomi del disturbo devono durare da almeno 1 mese o verificati ripetutamente per un piu lungo periodo

Secondo Carnes il dipendente da sesso instaura una relazione distorta in grado di modificargli l’umore con le cose o le persone. Egli progressivamente passa attraverso fasi nelle quali si ritira dagli amici, la famiglia, il lavoro, la vita segreta diventa piu reale di quella pubblica, sebbene per questa doppia identità sperimenti potenti sentimenti di vergogna. I d.s hanno perso il controllo sulla loro capacita di dire no, sulla loro abilita di scegliere. Il comportamento sex e’ parte di un ciclo di pensieri, sentimenti ed azioni che non possono piu controllare. Invece di gustare il sesso come fonte di piacere il d.s. ha imparato a relazionarsi al sesso per confortarsi dal dolore, prendersi cura di se’, rilassarsi dallo stress.

Contrariamente all’amore, l’ossessionante malattia trasforma il sesso nella relazione primaria o nei propri bisogni per i quali tutto il resto viene sacrificato.

L’euforia dura tanto quanto il rituale sessuale. Mentre per i tossicodipendenti, infatti, l’euforia svanisce lentamente il d.s. si sente inebetito, triste, in colpa, subito dopo l’atto.

Si sentono impostori, truffatori, impostori e codardi ma non abbastanza per smettere anzi questa situazione depressiva riaccende il bisogno dell’euforia e del sollievo.

Il sesso quindi non e’ al centro della dipendenza. L’uso del sesso è funzionale alla fuga dalla solitudine, dal senso di colpa, dalla paura, dalla vera intimità, dall’insicurezza riguardo la propria identità.

Spesso i partners dei pazienti presentano sintomi fisici (sintomi da stress come cefalea, mal di schiena, insonnia, perdita d’energia, disturbi gastrointestinali multipli, depressione, dipendenza da tranquillanti, spese compulsive). Per mascherare sensazioni dolorose, molte/i codipendenti passano a comportamenti bulimici, dipendenza da tranquillanti, superlavoro, superpulizie in casa.

Secondo Carnes le caratteristiche principali delle d.s sono:

• pattern di comportamenti fuori controllo

• gravi conseguenze dovute ai comportamenti

• incapacità di smettere nonostante le gravi conseguenze

• persistente perseguimento di comportamenti autodistruttivi

• crescente desiderio e sforzo di controllare i comportamenti

• ossessione sex. e fantasie come prime strategie di adattamento.

• incremento dell’attività

• gravi cambiamenti dell’umore dovuti ad attività sex.

• smodato aumento di tempo speso nella ricerca di sex. o per riprendersi da esse

• trascuratezza nei confronti di attività sociali, lavorative ecc.

• piacere

• dipendenza fisica

• craving

• astinenza

• compulsione

• segretezza

• cambiamento di personalità

• contraddizione delle proprie convinzioni etiche

ESEMPI DI SEXUAL ADDICTION

1. Fantasie sessuali: dimenticare impegni per fantasie sessuali e o masturbazione compulsiva

2. Attivita di seduzione: adulteri eterosessuali o omosessuali), flirt e comportamenti seduttivi

3. Sesso Anonimo: per una sola notte

4. Pagare per il sesso prostitute, chiamate telefoniche a pagamento.

5. Commerciare in sesso: droghe o soldi per sesso.

6. Sesso Voyeuristico: essere clienti abituali di librerie per adulti o spettacoli di

   spogliarello, guardare dalle finestre delle case.

 Avere collezioni di foto porno a casa o al lavoro.

  Sesso esibizionistico esporsi in luoghi pubblici o in casa o in macchina, spogliarsi, vestire abiti   succinti

8. Sesso Intrusivo: toccare altri senza permesso, usando posizioni di potere lavrativo e religioso

per sfruttare sessualmente altre persone, stupro

9. Scambi dolorosi: causare o ricevere dolore per aumentare il piacere sessuale

10. Sesso con oggetti: masturbarsi con oggetti, scambiarsi indumenti, usare feticci per rituali

sessuali, fare sesso con animali

11. Sesso pedofilo: forzare bimbi ad attività sessuali, guardare foto porno di bimbi


LE COMORBIDITÀ.

La dipendenza sessuale è spesso accompagnata da altre dipendenze.

La comprensione di ciò è importante perché la dipendenza sessuale contribuisce in modo significativo all’epidemia aids e perché gli sforzi per controllare questa dipendenza sono spesso problematici per situazioni coesistenti.

Un recente studio su 823 omosessuali o bisessuali che cercavano una cura di primo livello mostra come il 64 % era coinvolto in storie di comportamenti sessuali rischiosi nonostante questi soggetti sapessero dei rischi e del modo di prevenirli.

Paragonati con il gruppo dei pazienti dediti a sesso sicuro, gli uomini che erano coinvolti con attivita sessuali rischiose avevano più partners, usavano più droghe e sentivano di avere meno controllo sulle attività sessuali.

È difficile comunque che vi siano grandi cambiamenti a livello comportamentale a meno che viene affrontata la questione della natura compulsiva del comportamento sessuale e del poliabuso di droghe in modo più diretto.

La dipendenza sessuale spesso coesiste con quella da sostanze ed è frequentemente una causa negletta di ricaduta.

Questo è particolarmente vero per la cocaina.

In uno studio circa il 70 % dei cocainomani in trattamento ambulatoriale era stato diagnosticato come sex addict.

Molti pazienti erano intrappolati in un meccanismo di reciproca ricaduta in cui il comportamento sessuale compulsivo precipitava la ricaduta nell’uso di cocaina e viceversa. In uno studio anonimo su 75 sex addict ricoverati 29 (39%) erano anche affetti da dipendenza da sostanze,
28 (38%) erano alcolisti, 24 (32%) avevano disturbi alimentari, 10 (13%) erano affetti da uso compulsivo dello spendere denaro, 4 (5%) erano giocatori compulsivi.

Solo il 13 (17%) credeva di non avere altre dipendenze.


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Varaschini A. La Dipendenza da Internet : un approccio psicodinamico, Tesi di Laurea in psicologia, Università di Torino 2002.



















Piu pillole e meno pensieri di Niels Peter Nielsen

STATI DELLA MENTE vuole ricordare con questo suo celebre saggio, la figura di Niels Peter Nielsen, medico psichiatra e psicoanalista S.P.I e docente IIPG a Milano , che abbiamo avuto la fortuna di conoscere come Maestro e collega, autore dei celebri Libri L'UNIVERSO MENTALE NAZISTA ,  I COLORI DELL'ODIO , RORSCHACH A NORIMBERGA.








La ricerca di un medicamento, che tolga al paziente l’onere di affrontare le proprie difficoltà affidandosi ad agenti chimici ritenuti onnipotenti, è una prassi che accomuna coloro che aspirano a superare un disagio esistenziale.

Stress è una parola invisa agli psicoanalisti, una parola fuorviante e onnicomprensiva che nel tempo ha assunto il carattere di uno stereotipo comprendente un coacervo di concetti non sempre univoci. Il termine viene ad esempio impiegato sia in riferimento allo stimolo (stressor) sia alla risposta dell’organismo che cerca di adattarsi allo stimolo.

Il termine stress, dall’inglese pressione, sollecitazione – mutuato dal gergo delle fabbriche negli anni della rivoluzione industriale inglese dove faceva riferimento alla resistenza delle strutture metalliche all’applicazione di forze esterne (Costa, 2003) – rimanda alla facoltà di migliorare le capacità prestazionali del soggetto. La parola, entrata nel linguaggio comune, è usualmente associata a vissuti d’ansia e di tensione muscolare per sovraccarico di stimoli oltre che a sensazioni di affaticamento generale e di sfinimento ammantandosi in genere di connotati negativi, che rinviano a una situazione di pericolo per la salute psicofisica o per la stessa vita.

Secondo la dizione originale di Hans Selye (1936) lo stress rappresenta una reazione aspecifica dell’organismo a qualsiasi stimolo interno o esterno di tale intensità e durata da innescare meccanismi di adattamento o riadattamento capaci di stabilire l’omeostasi. La rivisitazione del concetto ha portato a una sua ridefinizione. Lo stress, considerato una risposta integrata dell’organismo a modificazioni operate su di esso, risulta funzionale alla sopravvivenza; uno stato di tensione psicofisica dell’organismo nello sforzo di adattamento a una nuova situazione (Farné, 1999). Esso non è quindi di per sé una reazione negativa in quanto può fornire le energie necessarie ad affrontare in modo adeguato le richieste di sollecitazione psicofisica grazie all’attivazione di una risposta multimediale nei vari assi neuroendocrini che consente di migliorare la prestazione dell’individuo.

L’assenza dei meccanismi di stress è di fatto incompatibile con la vita. Selye ha più volte ribadito che «l’assenza di stress equivale alla morte». Anche se da tempo si cerca di accreditarlo come malattia sociale, lo stress (eustress) non è correlabile a una patologia. Solo quando le richieste ambientali superano le reali capacità di coping dell’individuo, la discrepanza tra lo stimolo e la risposta (distress), può causare nel soggetto una sensazione di stanchezza e una maggiore vulnerabilità allo sviluppo delle malattie. Elemento fondamentale della nostra esistenza, sovente lo stress viene erroneamente confuso con gli stati ansiosi nosograficamente riferibili invece all’attacco di panico, all’ansia generalizzata o a un disturbo da stress post traumatico. Manifestazioni patologiche note la cui descrizione è ben circoscritta dal DSM IV (ndr, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali IV) e il cui trattamento si avvale di elettive tecniche psicologiche e di farmaci specifici.

Nella comune accezione non specialistica lo stress è andato via via assumendo anche il senso di un diffuso malessere, di una sensazione di crollo imminente, di un profondo disagio più che di una specifica malattia.

Maria, una giovane studentessa di architettura, aveva richiesto un’analisi per affrontare una sensazione di incapacità, attribuita a uno "stress generalizzato" che in realtà mascherava una vera e propria crisi di identità. All’inizio dell’analisi, prendendo a prestito il termine dall’esame di Scienze delle costruzioni, aveva paragonato lo stress, che le procurava la sensazione di un imminente schiacciamento e stritolamento della mente, al "punto critico di esercizio" oltre il quale esiste un ragionevole pericolo di crollo dell’intera struttura veicolando a livello clinico l’importanza di intenderlo come un segnale utile e significativo.

La nozione di segnale rinvia a quella adottata da Freud nel 1925 quando abbandonò gran parte delle ipotesi precedenti sull’ansia. Segnale, azionato esclusivamente dall’Io, che presupponeva la mobilitazione di una certa quantità di energia a difesa della persona e che anticipava in un certo senso il concetto di stress. Quest’ultimo può essere infatti considerato anche una forma di segnale, che se perdura nel tempo e se rimane inascoltato si può trasformare in un serio problema di salute.

Matteo, manager molto impegnato, mi fece telefonare dalla sua segretaria perché non trovava il tempo necessario per farlo di persona. Presentatosi all’appuntamento con 15 minuti di ritardo manifestò immediatamente il fastidio di dover «perdere del tempo prezioso» per doversi sottoporre a un’"intervista" magari anche inutile. Nel breve tragitto che aveva fatto per recarsi nel mio studio aveva fantasticato che avrei potuto limitarmi a consigliare alla sua segretaria un farmaco altamente efficace. Avevo di fronte un uomo distinto, energico, pragmatico, apparentemente molto sicuro di sé, altero, che lasciava però trasparire una difficile quanto occultata richiesta di aiuto.

Aveva iniziato il colloquio senza "perdere tempo" affermando che si era deciso a contattarmi solo perché uno dei suoi clienti più importanti gli aveva suggerito il mio nominativo. L’amico navigando in Internet, aveva letto un’intervista che avevo rilasciato pochi mesi prima e che era stata pubblicata sul web nella rubrica "I grandi specialisti" e solo questo lo aveva convinto, ma lo ero veramente? A prima vista non gli sembravo all’altezza della situazione, non indossavo neanche la giacca e la cravatta! Ma se era vero potevo prescrivere subito, senza indugi, il miglior farmaco presente sulla piazza che lo potesse ricaricare perché con frequenza sempre maggiore si sentiva superstressato e nel contempo esausto e non riusciva più a seguire i mille impegni che si era creato.

Matteo esigeva qualcosa di rapido ed efficace per non avvertire un profondo senso di vuoto che provava appena rallentava il ritmo delle sue febbrili attività. Lo stress da una parte lo sosteneva nello sforzo ma temeva di doversi fermare, forse paventava un infarto. «Chi si ferma è perduto» aveva quasi sibilato fra i denti. Il mio tentativo di fermarlo un momento invitandolo a riflettere sulle cause del suo disagio lo aveva irritato: non voleva "pillole di saggezza" quelle le lasciava volentieri ai filosofi, lui pretendeva una soluzione concreta. Il tempo scandiva la vita di Matteo che ne appariva schiavo, ma il tempo risultava forse l’unico scopo-emozione che gli era concesso di vivere.

Inevitabilmente parlare di stress vuol dire parlare di tempo. L’individuo si sente costretto dall’attuale tipo di società a essere sempre più veloce per non perdere il passo. La capacità riflessiva viene posizionata nel tempo passato quasi come una modalità obsoleta che non può soddisfare le richieste e le necessità del presente. "Veloce, sempre più veloce" è il motto di una certa vita moderna che tende a divaricare sempre di più i tempi interni rispetto a quelli reali.

Benché sia un fatto innegabile che questa frenesia di arrivare presto e ovunque si sia fatta pressante non possiamo trascurare il fatto che esistono anche i tempi interni, che per loro essenza sono invece dilatati e rallentati. Il tempo della maturazione e della crescita necessita ad esempio di un lungo periodo fisiologico adeguato al raggiungimento dell’obiettivo di ogni singolo soggetto. I tempi mentali possiedono una loro peculiarità e non sono uguali per tutti.



Esiste una sostanziale discronia fra il dentro e il fuori. La celerità e la lentezza scandiscono i tempi dell’interiorità umana. La rapidità del pensiero sostiene un suo peculiare piacere, una sua ebbrezza, che richiama l’eccitazione della velocità fisica, la ponderatezza soddisfa invece la profondità e la riflessione. L’esistenza insegna con tempi propri, lunghi e inattesi, mentre gli aspetti creativi sembrano sprigionarsi da forze proprie, indipendenti da prolungati e faticosi apprendistati. La capacità di fare scelte meditate e riflessive, la saggezza e la virtù sono qualità che arrivano al termine di un lungo processo maturativo. Faticoso percorso durante il quale la vita ha sempre qualcosa da insegnare. La velocità del pensiero e delle emozioni, la freschezza e l’immediatezza con cui vediamo le cose sotto una nuova luce, con cui ci si aprono nuovi orizzonti, indicano invece aspetti dell’interiorità, in cui predomina la capacità di librarsi nella novità.

Su questa antinomia temporale si iscrivono le differenti culture che sostengono le diverse scelte terapeutiche. Bion (1992) ad esempio era solito sostenere che i farmaci sono i sostituti impiegati da coloro che non possono aspettare. Il farmaco è infatti sempre più impiegato come surrogato di interventi più approfonditi e strutturali se è vero che nel 1998, secondo il riscontro di Farmaindustria, sono state consumate 136 milioni di confezioni di psicofarmaci, di cui 99 milioni di ipnotici e benzodiazepine e 26 milioni di antidepressivi con un aumento annuo di oltre 1,5%.

Ancorati al farmaco

L’inadeguato impiego della nozione di stress così come viene usualmente esperita dai pazienti che il più delle volte lo considerano solo l’espressione sintomatologica di una malattia, tende ad allearsi con quelle resistenze che cercano di impedire la comprensione profonda del disagio psichico che sovente avviano una forma collusiva e patogena del rapporto medico-paziente. Se quest’ultimo rimane ancorato al farmaco in modo meccanico, senza divenire mediatore simbolico ed emotivo né oggetto concreto di relazione, può esercitare una forma di resistenza verso l’approccio psicologico aumentando difese e distanze che danno l’idea di "proteggere" la coppia medico paziente dall’analisi della sofferenza. E così vengono somministrate sempre più pillole.

«Assumere un medicamento è un modo apparentemente molto più rapido di curarsi del chiedersi perché si stia male. Però è altrettanto vero che con una pillola non si arriva a sciogliere il nodo che c’è dietro un problema. Paradossalmente un intervento di tipo psicologico, con dei colloqui che possono durare mesi e anni, possono raggiungere un risultato prima di quanto possano fare interi bidoni di pillole» (Argentieri, 1998).

La resistenza e il rifiuto a concedersi del tempo per analizzare le cause del disagio vengono razionalizzate. Matteo, nel lasciare ai filosofi l’analisi delle motivazioni e dei perché, aveva ad esempio cercato di teorizzare la scissione fra l’agire e il pensare, considerando la prima come un atto terapeutico, la seconda come sterile materiale di speculazione accademica.

La terapia farmacologica può tuttavia risultare preziosa nella cura dell’individuo stressato purché il medicamento non venga vissuto esclusivamente come farmaco-sostanza chimica operante asetticamente ma come un utile strumento inserito nel contesto della relazione terapeutica. In certe situazioni in cui il soggetto è troppo pressato dagli eventi esterni il farmaco può infatti diventare un vero e proprio mediatore relazionale, unico presidio in grado di agevolare l’accettazione di una figura terapeutica. Proponendo il farmaco come mezzo ausiliario viene offerta al paziente una medicina come pegno di un patto di collaborazione avviando le premesse per un’alleanza terapeutica. Ad esempio accettando di prescrivere un farmaco a Matteo mi ero collocato in un punto mobile d’intersezione tra il fare e l’accogliere in una relazione di complementarietà che teneva conto delle sue aspettative; il risultato fu che alcune settimane dopo Matteo mi ricontattò e questa volta personalmente.

La fretta, la verbalizzazione del rifiuto a programmare una terapia psicologica perché non si ha il tempo necessario, perché è troppo lunga, e non si può attendere sollecitano peraltro l’ascolto analitico. Come afferma Simona Argentieri (1998): «coloro che dichiarano di non avere tempo sono invece gli individui che necessiterebbero tempi di intervento dilatati, proprio perché, in questo rincorrere continuamente i loro problemi, in questo tentativo di fare dei cortocircuiti, più che delle operazioni autenticamente brevi, finiscono per passare tutta la loro vita soltanto a rincorrere i loro problemi, a curarsi, senza mai andare al dunque. Bisogna diffidare di coloro che hanno fretta, perché spesso sono le persone che in questo modo il tempo lo perdono davvero».

Un’originale scatoletta

Carlo un giovane di successo, stimato nel suo ambiente professionale inerente l’area dell’elettronica mi aveva contattato per una "verifica" del suo funzionamento mentale. Si sentiva talmente stressato che non era più in grado di proseguire le sue attività senza un aiuto "sia pure circoscritto". Aveva subito estratto con malcelata soddisfazione un portapillole alquanto originale da lui stesso ideato che aveva riciclato e scorporato da un avveniristico congegno elettronico. Era un contenitore di forma rotonda con uno spazio sferico centrale e una serie di comparti esagonali dentro i quali in bella mostra erano perfettamente ordinate una serie di pillole estraibili premendo delle micro levette. Mentre fantasticavo l’oggetto come una specie di tamburo di rivoltella fui sorpreso nel sentire la voce di Carlo che, quasi gridando, mi si rivolgeva con un «vede quante pillole mi sparo giù in un giorno» mettendomi sull’avviso, sia pure inconsapevolmente, della presenza di un sottostante nucleo autolesivo.

In effetti Carlo assumeva ben sette tipi di farmaci nell’arco della giornata: due tipi di vitamine, un integratore, un antidepressivo, un ansiolitico, un ipnoinduttore, un farmaco per abbassare il tasso del colesterolo e un donatore di metili, alcuni dei quali anche più volte al giorno. Potevo aiutarlo trovando un superfarmaco. Era oberato dal lavoro, dai pensieri e dalle preoccupazioni.

Desiderava avere meno pensieri o meglio togliersi il pensiero che lo affliggeva una volta per tutte. Sua madre aveva sentito al telegiornale che negli Stati Uniti stava per essere impiegato un farmaco specifico contro lo stress. Lo conoscevo? Era importabile? Gli sembrava una richiesta chiara e semplice. Carlo semplificava la sua richiesta ai minimi termini senza volersi soffermare sulle motivazioni del suo disagio, sul significato del suo stile di vita che per sua stessa ammissione gli toglieva la possibilità di poter vivere un’esistenza "minimamente normale".

Non avendo notizia di un farmaco mirabolante e specifico per l’individuo stressato cercai ugualmente di accogliere la domanda di Carlo suggerendo un modulatore dell’umore che, attraverso una prescrizione condivisa, potesse alimentare le aspettative del paziente riducendo lo stato di malessere. Poiché un farmaco non è assunto solo per via corporea ma lo è anche nella fantasia è importante trovare la molecola che sia in grado di permettere una trasformazione dell’attesa terapeutica, un medicamento che possa diventare un veicolo comunicativo, una sorta di farmaco-ponte in grado di attivare un’alleanza terapeutica (Nielsen, 1998).

La prescrizione non è mai neutra. Prescrivere un farmaco è, secondo il noto aforisma, prescrivere sé stesso. Suggerire la pillola "giusta" al momento giusto può rappresentare l’avvio di una relazione terapeutica invece che scandirne la fine.

Se invece l’unica entità presa in considerazione è il sintomo, nel caso dello stress, vago e con un alone semantico assai ampio, trascurando i conflitti latenti e la loro possibile decodificazione, l’impiego del farmaco è riduttivo e facilita la non elaborazione e, di conseguenza, la non risoluzione delle problematiche sottese allo stesso sintomo. Il rischio che ne segue è che l’uso del farmaco si trasformi in abuso, non più simbolo di un’alleanza terapeutica ma veicolo sostitutivo che tende a impedire la relazione con sé stesso e con l’altro.

La prescrizione affrettata e non adeguatamente ponderata, agita unicamente sul versante dell’anestesia momentanea della sofferenza, impedisce al farmaco di essere quel trait d’union che collega l’entità malattia con l’entità salute. Se l’unico scopo è quello di allontanare il sintomo senza nemmeno interrogarlo, il medicamento tende a offuscare le dinamiche interne e collude con la speranza di poterle affrontare attraverso una futura "pillola universale", esito finale di una onnipotente tecnica farmaceutica, specifica proiezione della propria onnipotenza mancata.

Il farmaco si sostituisce al pensiero e l’azione farmacoterapica diviene una sindrome che coopera a modificare la struttura mentale: la farmacoterapia invece che curare diviene essa stessa una nuova patologia mentale.

Uno dei rischi più elevati nell’impiego automatico e stereotipo dei farmaci è la paralisi del pensiero. Sappiamo che la terapia farmacologica tende infatti a guarire attraverso una negativizzazione dei conflitti che porta all’eliminazione del livello d’angoscia. Angoscia-segnale che se rimane nel seno della tollerabilità diviene uno dei più potenti motori verso la ricerca delle motivazioni profonde del disagio vissuto. Se invece prevale l’uso del farmaco solo come "silenziatore" delle turbolenze interne si rischia di avviarsi, come si evince dalle esemplificazioni cliniche, verso una sorta di paralisi della vita psichica che trasforma pian piano l’individuo in un automa "senza pensieri".



Una  dizione popolare

Se la richiesta di aiuto, sia pure indirizzata semplicemente verso uno psicofarmaco, può essere interpretata come una ricerca di maggior benessere vitale, come un movimento verso un progetto trasformativo della qualità di vita, essa si colloca a una più attenta disamina proprio sul versante opposto, quello conservativo.

Una delle espressioni che più frequentemente vengono poste dal paziente "stressato" è la richiesta di un rimedio atto a riportarlo allo stato precedente. Domanda che sollecita l’idea del ricostituire un passato benessere e a volte induce il medico alla prescrizione di quei farmaci "ricostituenti", che sono stati l’asse portante della terapia del cosiddetto "esaurimento nervoso". Aderire letteralmente a questo tipo di richiesta significa aderire a un progetto conservativo confermando o veicolando l’idea di uno stato di mancanza da ricostituire.

L’inadeguato impiego del termine stress, trasformato nella "metafora dello stress" ha in un certo senso sostituito la popolare dizione di "esaurimento nervoso" con il vantaggio di avergli assegnato una veste linguistica internazionale che per di più la esenta da un diretto riferimento al sistema nervoso.

Nella loro oppositività "esaurimento nervoso" e "stress" sembrano convergere verso alcuni punti comuni. L’ultima delle tre fasi di risposta allo stress (dopo la reazione di allarme in cui l’organismo si attiva per affrontare nelle migliori condizioni possibili lo stimolo, e la fase di resistenza atta a contrastare la situazione stressante) si esaurisce proprio nella cosiddetta fase di esaurimento caratterizzata da un abbassamento delle difese immunitarie generali che rende l’individuo più vulnerabile alle malattie.

Lo sforzo prolungato e intenso dell’adattamento allo stress porta anche a un progressivo indebolimento e all’esaurimento delle facoltà psicofisiche. Oltre a manifestazioni quali ansia, stanchezza, irritabilità, aggressività e ripercussioni a livello somatico, le cause di stress che si accumulano quotidianamente, si manifestano pure nella tendenza a chiudersi in sé stessi come se l’energia vitale fosse esaurita.

La dicotomia "esaurimento nervoso-stress" si organizza su di una traiettoria che dal troppo pieno porta al troppo vuoto congiungendosi nella sensazione dell’impossibilità, dell’incapacità e dell’impotenza. Troppi stimoli o troppo pochi stimoli rimandano a un tentativo di difesa dai contenuti inquietanti della psiche che devono rimanere occultati sia a livello sociale sia a quello individuale.

Negare l’umano limite

A lungo andare la "metafora dello stress" tende a trasformarsi in una vera e propria modalità esistenziale che si allea con quella parte di sé che cerca di evitare la comprensione profonda del proprio malessere. Sotto il grande ombrello del termine stress è possibile reperire un’incapacità a esperire la vita, la tentazione di un vivere senza aver mai vissuto, o forse una difesa contro l’inquietante dell’inconscio che bussa prepotentemente. Ma la "metafora dello stress" è ben accettata sia dalla gente comune sia da molti specialisti perché lima l’angoscia di morte che viene negata o banalizzata secondo lo stile della ben nota pubblicità che invitava a «bere una pillola-Cynar contro il logorio-stress della vita moderna».

Non fermandosi mai, "correndo dietro al tempo" si cerca attraverso il costo di una vita sempre più stressata di negare l’umana finitezza. È uno stile di vita spesso sostenuto e alimentato dall’assunzione di una quantità sempre maggiore di pillole, fomentato da una sottostante fantasia di immortalità, che sostiene l’illusione di poter fermare almeno temporaneamente il tempo che passa.

Viene da chiedersi se l’uomo stressato, pur lamentandosene, non impieghi la "metafora dello stress" anche per alimentare il sogno che la sua iperattività frenetica possa fare da scudo al sottostante terrore della quiete confusa con la stasi e la morte.

La modalità delle richieste come quelle espresse da Matteo e da Carlo che enfatizzano l’impellente necessità che vengano eliminati stress e pensieri allertano invece l’ascolto dello psicoanalista, alimentano la sua riflessione e avviano le sue capacità di pensiero contro l’attacco al pensiero offrendo al paziente una collaborazione che sia pure attraverso un mediatore farmacologico aiuti il paziente a riacquisire la sua capacità di "pensare i suoi pensieri".

Stress, più pillole meno pensieri è un’equazione che annulla la persona ed esautora la mente. Nulla di meglio delle parole espresse da André Green possono riassumere il pericolo della eccessiva semplificazione: «Quando vedete passare un’idea semplice, tirate fuori la pistola e uccidetela, altrimenti se procedete con le idee semplici, saranno loro a uccidervi. Mai semplificazioni. Sempre complessità, sempre questioni».




BIBLIOGRAFIA

· Argentieri S., Anime sotto stress, in "Il Grillo", Roma 1998.

· Bion W.R., 1992, Pensieri, Armando, Roma 1996.

· Costa A., Stress? Sì, grazie!, in "Neurologia.net." 2003.

· Farné M., Lo stress, Il Mulino, Bologna 1999.

· Freud S., 1925, Inibizione, sintomo ed angoscia, in "Opere" vol. 10, Boringhieri, Torino 1976.

· Green A., Seminari romani, Borla, Roma 1995.

· Nielsen N.P., Pillole o parole? Relazione verbale e rapporto psicofarmacologico, Raffaello Cortina, Milano 1998.

· Selye H., A Syndrome Produced by Diverse Nocuous Agents, in "Nature", n. 138, pp. 32-33, 1936.




Niels Peter Nielsen 

Medico, specialista in psichiatra e in psicologia clinica, psicoanalista dell'IPA e della Società Psicoanalitica Italiana. Ha operato nelle istituzioni come responsabile di strutture consultoriali e primario psichiatra. 
Docente della Scuola Italiana di Psicoanalisi di Gruppo (IIPG), è stato anche autore di numerosi saggi e di alcuni volumi tra cui ricordiamo I colori dell'odioL'universo mentale nazista , L'atto di passaggio (1992), A favore di una certa anormalità (1993), Pillole o parole. Relazione verbale e rapporto psicofarmacologico (1998).
E'scomparso nel 2010.

1° DICEMBRE : giornata mondiale contro l'AIDS 2015 : il virus dell’HIV e i comportamenti sessuali rischiosi oggi. di Maria Rita Milesi



Parlare di HIV e di AIDS non è sempre facile.

Gli ostacoli alla comunicazione su questo argomento derivano dal fatto che parlare di AIDS significa affrontare tematiche relative alla sessualità, ai rapporti sessuali (omo ed eterosessuali), all’uso corretto del preservativo, all’uso di sostanze stupefacenti e quindi tematiche che coinvolgono aspetti molto delicati e fortemente legati al clima educativo e religioso in cui tutti noi siamo immersi.

La prevenzione: difficoltà e ostacoli

I comportamenti per prevenire l’infezione da HIV si basano sulla conoscenza del virus e delle sue modalità di trasmissione. Sappiamo che tra i liquidi biologici in grado di veicolare l’infezione da HIV, oltre al sangue e al latte materno, vi sono lo sperma, il liquido precoitale e i secreti vaginali. Questo dovrebbe portare ciascuno ad attuare comportamenti responsabili nei confronti di sé e degli altri.

Eppure, la prevenzione rispetto al virus dell’HIV incontra numerosi ostacoli.

Per esempio, perché alcune persone rischiano se pur adeguatamente informate?

Un altro problema riguarda le particolari caratteristiche di questa patologia e il modo in cui è avvenuto il processo di divulgazione delle notizie dal momento della sua scoperta.

L’Aids è una malattia a decorso piuttosto lento e coinvolge un numero relativamente limitato di persone. Queste caratteristiche potrebbero aver causato una particolare condizione di “invisibilità” sociale degli ammalati di Aids agli occhi della maggioranza delle persone. Tale condizione di “invisibilità”, a sua volta, potrebbe favorire la sottostima del pericolo, ma anche l’incapacità di collegare le conoscenze possedute con i comportamenti adeguati a prevenire l’infezione.

Il ruolo dei mass-media


Nel corso di questi anni alcuni aspetti hanno contribuito a creare un clima di confusione e disorientamento, quali il tono allarmistico con cui sono stati presentati gli effetti della patologia, l’enfasi drammatica con cui è stata resa nota al grande pubblico la difficoltà a trovare farmaci adeguati a fronteggiarla.

Facendo un passo indietro, agli anni ottanta, si può ricordare come l’argomento Aids sia stato considerato e trattato dai mass media in modo tendenzialmente scandalistico, e questo non ha certamente contribuito a portare chiarezza.

Così, all’inizio, il messaggio trasmesso e divulgato dai media è stato preoccupante e liberatorio allo stesso tempo: esso comunicava al mondo che era comparsa una nuova malattia, che essa era incurabile, ma che colpiva solo alcuni individui, in particolare omosessuali e tossicodipendenti.

In una seconda fase il messaggio è stato parzialmente modificato: ora l’Aids poteva colpire tutti, anche chi non apparteneva ai gruppi a rischio, ma era sufficiente adottare alcune precauzioni basilari per prevenirlo.

Oggi, la maggior parte del mondo scientifico ha cominciato a rivalutare proprio l’influenza di alcuni stili di vita e di alcuni comportamenti a rischio sulla possibilità di contagio del virus HIV.

Perché alcune persone rischiano pur se adeguatamente informate?

Si è osservato che la conoscenza degli effetti negativi di un certo comportamento - riguardo alla salute in generale - e delle modalità per prevenire tali effetti non è di per sé sufficiente a indurre le persone ad adottare misure adeguate alla prevenzione. Ciò accade perché i processi psichici che mediano la relazione tra conoscenze e comportamenti sono assai numerosi e complessi.

Inoltre, per ciò che concerne l’HIV, significa affrontare un tema che coinvolge numerose dimensioni psicologiche, quali quelle dell’affettività, della relazione con gli altri, della sessualità e anche della morte.

La problematica relazionale

Introdurre un argomento razionale in un momento dominato dall’emotività può essere fonte di imbarazzo e di difficoltà di natura relazionale, di conseguenza può risultare molto difficile:

- la comunicazione riguardante l’HIV all’interno della coppia

- a negoziazione dell’utilizzo del preservativo

- l’autotutela, tra cui la capacità di dire di no

I rapporti sessuali si configurano come una situazione emotivamente e fisicamente coinvolgente in cui può essere estremamente difficile negoziare con il partner l’utilizzo di pratiche contraccettive efficaci; inoltre, per alcune persone può essere difficile superare la propria insicurezza nella gestione delle relazioni interpersonali con l’altro sesso.

Per molte persone (e soprattutto per i più giovani) può risultare particolarmente difficile programmare l’uso di metodi contraccettivi: predisporre in anticipo un’adeguata protezione contraccettiva implica accettare e segnalare al partner la propria disponibilità ad avere rapporti sessuali.

La segnalazione di disponibilità al rapporto può contribuire a favorire un’immagine di sé connotata negativamente: il soggetto preparato sul piano contraccettivo può essere percepito e giudicato come “sessualmente esperto”, e se si tratta di una ragazza, le connotazioni negative sono ancora più accentuate.

Esistono delle barriere psicologiche che ostacolano questo tipo di conversazione con il/la partner, inclusa la mancanza di modelli di ruolo appropriati per poter esprimere all’altro/a la richiesta e connotarla come segno di rispetto e di cura reciproca.

Le capacità di non subire passivamente le situazioni a rischio ma di agire attivamente in modo da sviluppare contromisure adeguate, sembrano più difficilmente gestibili da parte delle femmine, soprattutto le adolescenti: il principale fattore inibitorio è rappresentato dalla volontà di non rompere l’aura romantica che circonda il rapporto sessuale.

Perché non si utilizza il preservativo?

In molte persone è diffusa la convinzione che usare il preservativo renda meno piacevole il rapporto: tale opinione si riscontra in percentuale più elevata nei maschi che nelle femmine.

Un secondo elemento (relativo soprattutto ai più giovani, ma non solo) concerne l’imbarazzo nel comprare i preservativi: la maggioranza degli adolescenti, sia maschi che femmine, dichiara di essere a disagio nell’entrare in farmacia o al supermercato e di provare vergogna al momento dell’acquisto.

Un terzo aspetto si riferisce, invece, ad una percezione (anche questa riguardante soprattutto gli adolescenti): una percentuale piuttosto elevata di ragazzi ritiene che è molto o abbastanza diffusa tra essi l’abitudine di non usare il profilattico la prima volta che si fa l’amore con un/una partner nuovo/a.

Vi è poi la convinzione che il rapporto sessuale debba essere naturale, spontaneo, cosicché il contraccettivo viene percepito come un’interferenza al piacere personale e alla spontaneità. Soprattutto tra gli adolescenti sembra prevalere l’ideale dell’amore romantico, intenso, anche se di breve durata, che mal si armonizza con la preoccupazione di correre dei rischi.

In generale, possiamo dire che i nostri comportamenti contraccettivi sono guidati dalle seguenti concezioni:

- presentismo (agisco oggi e non penso troppo al domani)

- pragmatismo (non so cosa farò, deciderò sul momento)

- concezione fatalista della salute (se mi deve capitare, mi capiterà)

- reversibilità delle scelte (non è detto che debba sempre rischiare, quando deciderò di smettere, smetterò).

Le concezioni soggettive della salute

La salute è indubbiamente un valore per ognuno di noi. Se ne trovano molteplici testimonianze, sia nel senso comune, sia a livello scientifico. Basti pensare agli sforzi della medicina per debellare le malattie, gli investimenti economici nella ricerca, gli investimenti personali (diete, ginnastica, ecc.), il bombardamento dei mass-media sul tenerci sani ed in forma. Tuttavia, vi sono concezioni soggettive della salute e della malattia: per alcune persone altri valori sono considerati più importanti della salute, come ad esempio vivere una vita emozionante, che può portare anche all’adozione di comportamenti “a rischio”, senza preoccupazione per gli eventuali effetti nocivi, oppure la convinzione spesso irrealistica di poter controllare comunque gli eventi.

Molte malattie, infatti, sono dovute a comportamenti “non sani”, quali assunzione di droga, abuso di alcool, fumo, alimentazione sbagliata, mancanza di esercizio fisico, stile di vita stressante, non uso delle cinture di sicurezza.

Secondo il Modello delle credenze sulla salute (Health Belief Model, Becker 1974), le decisioni di un soggetto di compiere azioni che influenzano la propria condizione di salute in termini sia positivi (prevenzione) che negativi (comportamenti a rischio), sono governate da specifiche credenze sulla salute.
Esse riguardano:

1.Le credenze circa la suscettibilità o vulnerabilità che l’individuo sostiene di avere per una certa malattia. Molte persone considerano se stesse come invulnerabili a quasi tutte le malattie, una situazione nota comeottimismo irrealistico. La percezione del rischio personale è di gran lunga inferiore alla percezione del rischio altrui; in altre parole, gli eventi negativi sono visti molto più probabili accadere a qualcun altro piuttosto che a se stessi. Nel caso dell’AIDS, inoltre, il rischio è percepito più verso gruppi specifici (es. omosessuali) piuttosto che comportamenti specifici. Si instaurano reazioni di allontanamento e di negazione del problema. Ciò avviene perché il soggetto non tollera una continua percezione del rischio; inoltre, la vulnerabilità è un ammissione di fragilità.

2.La percezione di gravità di una certa malattia, che riguarda la considerazione di quanto seri potrebbero essere gli effetti di una malattia nella propria vita sul piano clinico e sociale.Di solito le persone si sentono relativamente poco minacciate dagli esiti negativi a lungo termine, che possono anche non verificarsi e sono difficili da immaginare. Questo è proprio il caso dell’HIV, dove le eventuali conseguenze negative dei comportamenti sessuali, poiché sono lontane nel tempo rispetto alla scelta comportamentale rischiosa, hanno scarse capacità inibitorie: non c’è una immediatezza tra cause ed effetti. Inoltre, tanto più un evento è percepito come grave (e l’AIDS è una sindrome che porta alla morte), meno è percepito come rischioso: ci si sente ancor più invulnerabili gravità e invulnerabilità sono due variabili che interagiscono tra di loro.

3.La percezione di efficacia, cioè dei costi e dei benefici che avrebbe una data azione volta a preservare la propria salute. Si è osservato che le persone che adottano comportamenti di prevenzione sono quelle per cui i costi sono minimi Per quanto riguarda l’HIV, l’azione di chiedere al partner di usare il preservativo potrebbe risultare costosa, ad esempio per la vergogna, oppure per il timore di allontanare o perdere l’altro.

La percezione di controllo sulla propria salute

Un altro fattore importante riguarda la percezione che la propria salute sia, almeno parzialmente, sotto il proprio controllo e la propria responsabilità (controllo interno) o dipenda, invece, totalmente da eventi esterni su cui è impossibile esercitare un controllo (controllo esterno).

Chi ritiene di poter incidere con il proprio comportamento sulla propria salute evita maggiormente i rapporti sessuali a rischio; al contrario, coloro che sono convinti che il destino della loro salute non sia nelle loro mani e non si percepiscono come responsabili di comportamenti sessuali che possono causare un danno alla salute conducono una vita sessuale promiscua. Inoltre, chi pensa che la propria salute sia sotto il proprio controllo fa un uso sistematico di metodi contraccettivi.

La percezione di efficacia

Una componente essenziale delle capacità/abilità necessarie per ridurre i comportamenti a rischio sembra essere rappresentata dalla Self-efficacy degli individui (Bandura, 1977), cioè dalle credenze/convinzioni delle persone relativamente alle proprie capacità di adottare con successo determinati comportamenti.

Il successo nell’adottare un comportamento non dipende solo dalla reale presenza delle capacità necessarie, ma anche dalla convinzione di essere capaci di utilizzare queste abilità nelle situazioni che lo richiedono. Infatti, quando una persona non è convinta delle sue capacità personali non riesce a gestire realmente la situazione, pur sapendo cosa fare e avendo la capacità per farlo. Un sentimento di inadeguatezza personale può produrre una discrepanza fra conoscenze sull’AIDS e adozione effettiva di comportamenti preventivi.

Gli interventi basati su questa metodologia hanno cercato di sviluppare, attraverso il training, soprattutto alcune capacità nei rapporti sessuali, quali l’assertività e la capacità di comunicare/negoziare con il partner.

Autotutela e assertività

La comunicazione assertiva è uno stile di comunicazione in cui chi comunica tende a porre sullo stesso piano se stesso e l’interlocutore. Questo significa che i bisogni propri e dell’altro, le idee proprie e dell’altro, gli obiettivi propri e dell’altro sono posti sullo stesso piano.

Nell’ambito di un’attività sessuale non a rischio, assertività significa saper difendere con convinzione il proprio desiderio di voler praticare un sesso sicuro, senza temere di essere rifiutati o di ferire i sentimenti del partner. Per poter fare questo, però, è necessario che i due membri della coppia siano capaci di comunicare fra di loro, in modo da poter negoziare con successo le intenzioni di adottare misure preventive nel rapporto sessuale.


Bibliografia


Becker MH (1974). The health belief model and personal health behaviour. Health Education Monographs; 2 (4): 324-473.

Bandura A. (1977). Self-efficacy: Toward a unifying theory of behavioral change, Psychological Review; 84: 191-215.





Dott.ssa Maria Rita Milesi

www.mariaritamilesi.it



'Ordine degli Psicologi della Regione Lombardia n. 03/8117 dal 24/03/2004


Laurea in Psicologia Clinica e di Comunità, e successivamente la specializzazione in Psicologia Clinica, presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.


Formazione in Psicoterapia Psicoanalitica.

Master di II Livello in Sessuologia Clinica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Pisa.

Psico-oncologo di II livello della Società Italiana di Psico-Oncologia (SIPO)


Dal 2007 al 2013 ha insegnato presso l'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, in qualità di Professore a contratto. Ha tenuto per diversi anni i corsi di "Psiconcologia" e "Applicazioni di Tecniche del counselling" e ha seguito come relatore o correlatore numerose tesi di laurea degli studenti dell’Ateneo e svolto il ruolo di tutor per i tirocini post-laurea .

PSICOLOGIA DEL TERRORISMO : Gli attentati di Parigi e Beirut e lo stato mentale dei terroristi . di Guglielmo Campione







Assistendo inerme all'ignobili recentissimi attentati di Parigi , Beirut ho pensato che si può giustificare a sè stessi un gesto sanguinario così odioso solo permanendo a lungo in uno stato mentale caratterizzato da megalomania e tratti schizo paranoidei tipico degli psicotici e delle ideologie totalitarie senza mai poter accedere all'altra polarità del funzionamento mentale definito simbolicamente "depressivo" secondo l'accezione del termine che ne diedero Melania Klein e Wilfred Bion - e cioè senza mai riuscire ad accedere alla consapevolezza della propria vulnerabilità personale per cogliere l’altrui vulnerabilità .


L'etica non è che la conseguenza morale della possibilita di sapere che esiste un altro , di sapere che non esisto solo io.


L'empatia è la possibilita di immedesimarmi e di sentire le emozioni che prova l'altro e si basa sulla capacita che ho io di essere consapevole delle mie emozioni. Non posso provare le emozioni dell'altro se non sento le mie.


Classicamente in criminologia l'alessitimia e l'assenza di empatia sono alla base delle psicopatie antisociali: gli assassini non sentono il dolore della vittima nè il proprio dolore per il dolore della vittima e quindi non possono accedere al senso di colpa e alla possibilità riparativa.


Ora mi chiedo quanto sono consapevoli della propria vulnerabilità i terroristi dell'ISIS ?


Quale timore paranoico impedisce loro di vedere nella morte dell'altro la propria morte ?


Franco Fornari, nella sua sempre insuperata opera del 1966 "Psicoanalisi della guerra" parlò di elaborazione paranoica del lutto: il lutto non è più sofferenza per la morte della persona ma uccisione di un fantomatico nemico pensato come uccisore anche se non direttamente come nel caso delle povere vittime di Beirut e Parigi ma simbolicamente.



Pare essersi ulteriormente allentato il legame significante : ieri se eri un bianco occidentale cristinao o ebreo rappresentavi l'occidente e il male . In questo caso potresti essere un musulmano , e pure un integralista che sta passeggiando nello stesso luogo dove un altro si fa esplodere o esplode raffiche a casaccio .


L'originario sentimento interno depressivo normalmente emergente sotto forma di senso di colpa per la morte di una persona viene eluso .infatti, pensando che la responsabilità non sia propria ma di un nemico esterno rappresentato in qualche modo dalle vittime che devono, come questo caso dimostra, essere solo accomunate dal fatto di vivere in una città assurta a simbolo del male. Tra le vittime ci sono infatti marocchini , tunisini oltre che italiani, francesi ecc.



Julia Kristeva dice che possono essere musulmani ma anche giovani laici, ebrei, cattolici che a un certo punto prendono la strada della radicalizzazione islamica, una malattia di ideali nel senso che i giovani hanno un fortissimo bisogno di ideali e la loro radicalizzazione rappresenta un fallimento dell'umanesimo la cui vocazione un tempo era rappresentata dall'analisi e dalla rivalutazione delle religioni , che ora non si fa piu, sia nei loro aspetti umanizzanti che in quelli minacciosi e integralisti.


Vogliono vendicarsi delle banche, degli ebrei e tutto quello che percepiscono come autorità".


La differenziazione non è una funzione presente in questi stati mentali, tutto è uguale : identificazioni a massa come diceva Eugenio Gaburri .



"Si tratta di stati preindividuali della mente caratterizzati dal predominio degli stati emotivi (protoemozioni) sulle relazioni affettive e quindi sulla capacità di pensiero.


Dolorosamente, nella cultura attuale, osserviamo fenomeni di aggregazioni ideologiche “a massa” intorno a emozioni grezze, non pensate e non specifi-che. Questo richiamo all’aggregazione emotiva riattiva atteggiamenti supina-mente conformistici" ( Gaburri, Ambrosiano )


Gli Autori degli attentati memori di bombardamenti e uccisioni subite paradossalmente condividono un comune destino di morte con le vittime dei loro gesti sanguinari ,non riuscendo neanche lontanamente a pensare insieme a Noi occidentali ( oggi vittime ma ieri invasori e autori di omicidi di guerra ) una possibile elaborazione comune del lutto che è l'unica base per costruire una pacifica convivenza.


L'unica loro possibile via per l'elaborazione del lutto, dell'emarginazione , dell'esclusione , della disoccupazione, è quella della vendetta.


Solo una così asfittica ottica egoica può giustificare l'omicidio .


Su un altro versante , mi chiedo quanto questo delirante modo di vivere il Monoteismo e interpretarlo ,possa essere considerato una proiezione dell'ottica monolitica e mono oculare del'ego-centrismo etno-centrico , qualsiasi provenienza culturale abbia.


Si tratta di uno stato mentale di coscienza modificato ? Di Ipnosi collettiva ?



Leonardo Montecchi è intervenuto su questo tema recentemente con un breve saggio dal titolo


"Stato di coscienza delle bombe umane".


Dice Montecchi : " Qual'e' lo stato di coscienza di una persona che attacca a mano armata un concerto uccide più persone possibile e poi si fa esplodere per aumentare le morti?


Nel libro di Bifo Heroes troviamo una interessante analisi di queste situazioni:


Il 20 luglio 2012 al Cinema Aurora nel Colorado mentre proiettavano il cavaliere oscuro-il ritorno James Holmes travestito come tanti altri spettatori, come un personaggio del film, come Joker il cattivo, apre il fuoco ed uccide 12 persone e ne ferisce 58. Gli spettatori all'inizio non capiscono di cosa si tratta, pensano sia una trovata pubblicitaria.


Anche al Bataclan a Parigi, all'inizio i partecipanti al concerto pensavano si trattasse di una azione scenica e non di un attacco.


Anders Behring Breivik ha programmato il suo attacco il 23 luglio 2011 uccidendo 77 persone perché si ritiene "salvatore del cristianesimo".


Il 24 marzo 2015 Andreas Lubitz trascina nella sua morte 150 persone che si trovano sull'airbus A-320 di cui è secondo pilota perché è depresso.


Secondo me, queste tre persone al momento in cui hanno realizzato il loro piano si trovavano certamente in uno stato di coscienza modificato che possiamo definire come uno stato di transe.


La transe di Holmes sembra essere molto simile ad una transe di possessione. Il personaggio Joker si è totalmente impadronito dell'ideale dell'io di Holmes. Breivik sembra avere avuto più una sorta ti transe sciamanica, una modificazione della coscienza che gli ha permesso di " vedere" che cosa stava succedendo e come si poteva fermare "l'infezione spirituale".


Lubitz si è caricato il peso dell'angelo sterminatore, identificandosi con lui in una transe apocalittica.


Tuttavia, questi stati modificati di coscienza, sono avvenuti in soggetti senza un apparente contatto con un gruppo e meno che mai con "maestri" di cui sarebbero stati adepti.Si tratta di transe individuali.


Il gruppo di Parigi, come gli altri gruppi che agiscono in medio oriente quotidianamente, sembrano invece essere legati ad un " maestro" o ad un insieme di maestri, da un vincolo molto forte simile a quello descritto nel passato per Ḥasan-i Ṣabbāḥ conosciuto anche come il " Veglio della Montagna" che dalla fortezza di Alamut inviava gli adepti della setta al-Hašīšiyyūn ad assassinare nelle moschee o in luoghi simbolici i suoi nemici ed i nemici degli ismaeliti nizariti.Si dice che gli "assassini" ubbidissero agli ordini fino a suicidarsi solo per un cenno del maestro. Questo tipo di legame a a che vedere con la forma di transe che Georges Lapassade chiama dispotica.


Per passare da una transe individuale ad una collettiva e' necessario il potere dispotico.


Dice Lapassade nel saggio sulla Transe:


"Perché la transe si collettivizzasse, è stato necessario l’intervento attivo di un potere organizzatore. Questo potere si è dovuto impadronire della transe, farsene carico, organizzarla al fine di servirsene e farla servire al potere costituito"


Quindi gli eventi di Parigi ci mostrano l'emersione di un " esercito di sonnambuli" come ci hanno descritto i Wu Ming nel loro romanzo.


Si tratta di persone condizionate ad agire secondo un vincolo ipnotico potentissimo da un potere costituito che se ne serve per i suoi fini.


Non sarà facile sciogliere quel vincolo, certamente,se c'è un senso in questa analisi, e' necessario partire dal potere del despota e renderlo inoffensivo. Bisogna decostituire quel potere e non e' solo un problema militare.


Non so se i " sonnambuli" si possono liberare dalla loro possessione a partire da nuovi vincoli orizzontali.Temo che l'induzione dello stato modificato dovuto ad un ordine sia quasi impossibile da contrastare. Ma, credo qui si giochi l'importanza ed il senso di appartenenza alla cultura della libertà.


Penso non sia sufficiente l'idea, e' necessaria una pratica di cambiamento nelle periferie europee, un forte contrasto non solo alle prediche ma anche alle pratiche del fondamentalismo che investono in programmi sociali e non solo nelle parole.La nascita e lo sviluppo di vincoli sociali liberi che favoriscano la circolazione degli affetti e dei sentimenti. La costruzione progressiva di una comunità che viene".


Altri due articoli sulla Stampa recente intervengono sull'argomento : Repubblica ,Liberation e l' Internazionale, dando un contributo informativo sulla possibile implicazione neurochimica di questi stati mentali omicidi e suicidi :


Nell'articolo intitolato "Una pasticca per togliere la paura: cos'è il Captagon, la "droga dei jihadisti" Anna Zippel su Repubblica.it scrive " :


Si chiama Captagon, costa dai 5 ai 20 dollari a dose ed è considerata "la droga della Jihad": si tratta di un mix di anfetamina (cloridrato di fenetillina) e caffeina che - miscelato anche ad altre sostanze - inibisce totalmente la paura e il dolore, provocando forte euforia. Nata inizialmente per essere utilizzata nei droga-party "borghesi" nei Paesi del Golfo (in primis in Arabia Saudita) e prodotta da decenni soprattutto in Medio Oriente, ha trovato da tempo la sua nuova patria in Siria, che ne è diventata il primo paese produttore, e dove si è diffusa capillarmente tra i militanti della 'Guerra santa".


Ad aiutare i jihadisti a compiere le loro carneficine, c'è dunque anche questa molecola, che viene assunta più che altro oralmente ma anche per iniezione: per fare due esempi, i medici che hanno eseguito l'autopsia ne hanno trovato tracce nel corpo di Seifeddine Rezgui, il 24enne terrorista tunisino che nel giugno scorso ha ucciso 38 persone sulla spiaggia di Sousse, e grandi quantità erano contenute nelle tasche dei combattenti dell'Isis uccisi dai curdi a Kobane durante gli scontri per liberare la città.


Sintetizzato negli anni '60 come psicofarmaco, il Captagon è stato proibito negli anni '80 dall'OMS perché crea dipendenza ma, come riporta un articolo di Libération, stando all'Organizzazione mondiale della dogane (Omd) i sequestri in Medio Oriente tra 2012 e 2013 sono passati da quattro a undici tonnellate. Secondo un report dell'Onu pubblicato nel 2013, è in Medio Oriente che avviene il 63% dei sequestri di anfetamine a livello mondiale. E giusto un mese fa, la polizia aeroportuale di Beirut ha sequestrato due tonnellate di pasticche di Captagon nascoste nell'aereo privato di un principe saudita.Adesso, dopo gli attentati di Parigi, si indaga per capire se le siringhe trovate nella stanza occupata da Salah Abdeslam (ritenuto la "mente" degli attacchi) nell'Appart'City Hotel di Alfortville, nell'Ile de France, siano servite per fabbricare le cinture esplosive dei kamilaze o per iniettarsi, appunto, la droga".


Sulle colonne della Rivista Liberation tradotto in italia dall'Internazionale si legge che lo psichiatra Ramzi Haddad ha detto alla Reuters che questa droga “crea una specie di euforia: non dormi, non mangi, ma le energie non ti mancano”,fa scomparire la paura e la fatica.

Il Captagon viene prodotto a partire dalla fenitillina, una molecola anfetaminica che viene mischiata con la caffeina.

Questa combinazione stimola la dopamina e migliora la concentrazione dell’individuo, secondo lo psichiatra libanese Elie Chédid, intervistato dall’Orient-Le Jour.

Per queste ragioni in passato il Captagon era usato come farmaco, in particolare per il trattamento della narcolessia e dell’iperattività, prima di essere considerato una sostanza che crea dipendenza, ed essere vietata in molti paesi dal 1980. Dopo il 2011, la fabbricazione di Captagon in Libano, che fino a quel momento era stato il primo paese produttore, si è spostata in Siria.La maggior parte delle pillole è ora prodotta in Siria, ha dichiarato un funzionario antidroga libanese alla Reuters. La droga viene poi trasportata in barca o in auto dalla Siria, in Libano e Giordania. Secondo le cifre dell’Organizzazione mondiale delle dogane (Omd), la quantità di pillole sequestrate nel paese della penisola arabica è aumentata: nel 2013 sono state sequestrate undici tonnellate di Captagon contro le quattro tonnellate dell’anno precedente. Venduto a un prezzo che va dai 5 ai venti dollari a pasticca, il Captagon ha un potenziale economico enorme".


Quale siano i suoi molteplici detonatori , appare chiaro che il comportamento violento, confinato nel cervello Rettile-Amigdalico, periodicamente riemerge sovvertendo drammaticamente il primato della nostra più grande conquista evolutiva : la neo corteccia e la funzione della coscienza etica empatica affettiva sociale e razionale.

L'Evento "EMOZIONI NEL PROFONDO " di Guglielmo Campione all'Acquario di Milano : reportage di Gabriella Campione








La meravigliosa Palazzina Liberty dell'Acquario di Milano in Parco Sempione, uno dei pochi esempi dell'Expo del 1906 , ha ospitato l'evento "Emozioni nel profondo " di Guglielmo Campione,
grazie alla gentile ospitalità del Comune di Milano ,della Biologa Direttrice del'Acquario dr.ssa Ancona , di Giovanni Cannova Trainer SNSI e Presidente di Med Blu ,Scuola subacquea Milano,ed Eugenio Mongelli Ingegnere e istruttore subacqueo , amministratore delegato di TEMC DE OX .




Un viaggio visivo e uditivo nel mondo del “profondo che passa in rassegna le molteplici valenze  dell’esperienza umana antica e contemporanea dell’immersione.

L’asse portante della conferenza-spettacolo  di Guglielmo Campione è l’immagine e la visione cinematografica  in cui l’Acqua ,nelle sue accezioni simboliche, costituisce il denominatore comune.

Guglielmo Campione tesse la visione di film e la visione di immagini e fotografie in  una trama narrativa fra  scienza , psicoanalisi e  mitologia : dalle tradizioni orali delle civiltà “Semplici”(indimenticabile quella dei Dogon raccolta e trascritta dall’antropologo francese M.Griaule in ”Dio d’acqua”) alle cosmogonie , i miti sull’Origine del mondo,  accomunate  tutte dallo stesso incipit: L’Acqua  fonte primigenia di Vita.  


E’ un lungo e ricco  itinerario che, prendendo le mosse dall’esperienza originaria primigenia di galleggiamento nell’Amnios Materno ,ci  conduce al Mare, all’abbraccio  acquatico della Grande Madre.
 Strettamente intrecciate  tra di loro queste due dimensioni, ri-suonano nella nostra psiche con Echi che si rincorrono.
Filogenesi , evoluzione della specie ed ontogenesi, evoluzione dell’essere umano, ricapitolano la nostra storia personale e umana.
 Noi siamo Acqua,dall’Acqua abbiamo avuto origine.

Le immagini e i filmati delle leggende sulle Selkie o Donne Foca delle isole Orkland , quelli dell’Uomo Pesce (o Colapesce o Niccolò Pesce) dell’area del mediterraneo, accompagnano il “racconto”di questo viaggio,ricomponendo   le numerose tessere dell’infinito mondo delle Acque.

I filmati sulla vita intrauterina,raccolti dal National Geografic e dalla rivista Ultrasound,ci conducono in punta di piedi nel mistero acquatico della vita fetale.
L’Amnios nel quale galleggiamo per nove mesi ,costituisce la nostra prima immersione.
Numerosi studi scientifici hanno ormai appurato che nelle acque materne noi impariamo ad ascoltare la voce della madre che ci porta in grembo,a reagire alla musica che lei ascolta,a riconoscere il suo battito cardiaco,a sognare, ad emozionarci.
Le traccce di quel primo approccio con il”profondo”rimarrano indelebilmente scritte nella nostra sfera psichica.
Nasciamo”palombari”.
L’acqua genera , lava, Ri -Genera,purifica.
Così la sua  valenza simbolica ,richiama le nostre Profondità psichiche,suscita Emozioni nel Profondo.,come un “filo rosso” che attraversa  varie esperienze poetiche.

Come scrive l’autore (nel suo libro IMMERGERSI NELLA MENTE , Immergersi nel mare : l’immersione come metafora psichica , mediAterraneum editore 2015) in molti poeti italiani del primi decenni del novecento è possibile rinvenire  il riferimento all’ immersione-riemersione come metafora dell’operare poetico .



Govoni,  scrive la poesia visiva  Palombaro  immergendosi   letterariamente nel mondo sottomarino; un mondo di anfratti che svela i suoi tesori di bellezza e di poesia, la peculiarità genuina delle sue affascinanti creature che comunicano tra loro in un’inesauribile, fantasiosa esplosione analogica, dall’oloturia sacco verminoso di cenciaiuolo, alla medusa ombrello di mendicante, all’attinia ceppo insanguinato dove lasciarono i capelli serpini le sirene decapitate.

In Porto sepolto di Ungaretti, l’immersione assume invece il significato di regressione nel grembo materno.

Nei Frammenti lirici di Clemente Rebora ,in Mar che ti volgi ovunque è riva,troviamo ancora una volta la rielaborazione dello stesso tema.

Se la poesia dunque, ha teso orecchio ai richiami della profondità dell’anima/acqua,il cinema ci ha tuffato nelle emozioni dell’esperienza dell’immersione
 È proprio l’acqua ,in molti film a garantire i percorsi di ricerca di sé dei protagonisti, il loro perdersi o riconciliarsi con la natura e con il mondo.

Il cinema , dicevamo, è l’asse portante di EMOZIONI NEL PROFONDO " :

 “Stati di allucinazione” di Ken Russel,”Minority Report “ di Spielberg “Lezioni di piano”di Jane Campion, “ Le grande blue”di Luc Besson,”L’uomo delfino”, di Jacques Mayol,”Free fall e Ocean gravity”di Julies Gautier e Guillaume Nery, ci accompagnano,nel mondo sottomarino,costituendo uno straordinario supporto visivo della narrazione.

 D’altronde il cinema si è sempre confrontato con il tema dell’immersione nel profondo : Steven Spielberg con il film “Lo  squalo(1975) diede corpo ai fantasmi dell’inconscio, ai mostri – più o meno verosimili – di un abisso mentale prima ancora che fisico.
La fantascienza – si pensi solo ai labirinti d’acqua della “Zona” in Stalker (1979) o all’Oceano Pensante di Solaris (1972), entrambi di Andrej Tarkovskij, ma anche al più recente "L’infinito spazio profondo " (2005)di Werner  Herzog – ha eletto l’acqua a spazio dell’”altro”, incarnazione cangiante di qualcosa di inafferrabile, per la mente più ancora che per i sensi.

I filmati relativi ai concerti subacquei degli Aquasonic e degli Underwater concert di Michel Redolfi  dimostrano inoltre, quanto la Profondità dell’acqua possa costituire un luogo dove fare musica,  potentemente ispiratore ed evocativo. I componenti del gruppo danese Aquasonic ,suonano e cantano all’interno di teche di vetro, stando immersi nell’acqua.
 Michel Redolfi, inventore dei concerti subacquei ,Underwater concert, trasforma  i suoni prodotti sottacqua dal polistrumentista francese Thomas Bloch .
Il pubblico ascolta la musica, dentro e fuori dell’acqua galleggiando in  una piscina .



L’indagine scientifica sugli aspetti  psicofisiologici legati all’immersione ci rende consapevoli di quanto importante sia il controllo del nostro stato emotivo nell'immersione come nella vita d'ogni giorno .
Nel corso della conferenza potremo imparare a capire come muti  il nostro stato mentale durante l’immersione e su come questa fluttuazione si rifletta sul funzionamento del nostro organismo.
La consapevolezza del funzionamento del nostro corpo non può non andare di pari passo all’indagine del profondo,della nostra sfera psichica .
I continui rimandi all’una e l’altra dimensione del nostro essere corpo e psiche,rendono  affascinante ed attivo l’ascolto dello spettatore.
I fili che sapientemente vengono intrecciati tessono un magnifico Kilim di colore blu…il mare.
La sua voce si può ascoltare a Zara, in Dalmazia dove recentemente  è stato creato un organo marino,grazie all’opera dell’architetto Nikola Baši con il quale hanno collaborato scultori, tecnici del suono e … sommozzatori. Ebbene la fonte generatrice di questo strumento lungo 75 metri si trova nel mare . Lo strumento composto da 35 enormi canne,poste sopra la banchina, può generare contemporaneamente 35 suoni. La musica che viene così creata varia sempre a seconda della forza, della direzione e dell'intensità dell'onda stessa. Sostanzialmente l'onda del mare genera un'onda sonora! Quale migliore connubio!

 Dalla Genesi,ai racconti mitologici,ai filmati sulle esperienze più incredibili connesse con l’esperienza dell’immersione subacquea: un caleidoscopio  in un approccio olistico ricchissimo di input ,generoso di domande e risposte .

Un invito ad andare oltre,a immergersi nel mare dell’affascinante rapporto tra l’uomo e la materia da cui ha avuto origine.









Gabriella Campione : 

Pedagogista , insegnante, cultrice di Antropologia , Editor del volume "Il lungo cammino del Fulmine "Edizioni Il miolibro 2015, coautrice del volume "Immergersi nella mente, Immergersi nel mare : l'immersione come metafora psichica ", Editore MediAterraneum ,2015, consulente Staff conferenza spettacolo "Emozioni nel profondo ".