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La mente può trovarsi in stati diversi , il sonno ,il sogno, la trance,l'ipnosi,l'attenzione fluttuante,
l'estasi,la preghiera,la meditazione,la creatività artistica e scientifica,
l'esplorazione dello spazio e degli abissi marini,l'agonismo sportivo.

Stati della mente pubblica lavori originali o già pubblicati con il consenso degli autori, interviste e recensioni di libri e promuove eventi culturali e scientifici.

iPhoneography epiphany: L'AMERICA , NEW YORK E LA CONDIZIONE UMANA CONTEMPORANEA VISTA ATTRAVERSO L'IPHONE DI GIOVANNI SAVINO di Guglielmo Campione ____ iPhoneography epiphany: AMERICA, NEW YORK AND THE HUMAN CONTEMPORARY CONDITION VIEWED THROUGH GIOVANNI SAVINO'S IPHONE by Guglielmo Campione

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"iPhoneography epiphany" di Giovanni Savino,2010.


ll fotografo muove dal desiderio di colmare una distanza dall'oggetto ma questa distanza si ripropone nell'oggetto fotografia : 
ciò che è surreale nella realtà esterna non lo è necessariamente in quella interna in cui l'ambivalenza è la regola e la parte vale per il tutto.

(G.Campione , Didascalia a "Escape", iPhoneography epiphany di Giovanni Savino) :



"Camminare consente di percepire la realtà con tutti i sensi, di farne pienamente esperienza lasciando all’uomo l’iniziativa. Non privilegia unicamente lo sguardo, a differenza del treno o dell’auto, che istituiscono la distanza dal mondo e la passività del corpo. Si cammina per nessun motivo, per il piacere di gustare il tempo che passa, di concedersi una deviazione per meglio ritrovarsi alla fine del cammino, per scoprire luoghi e volti sconosciuti, per aumentare la conoscenza corporea di un mondo inesauribile di sensi e sensorialità; o anche, semplicemente, per rispondere all’invito della strada. Camminare è un modo tranquillo per reinventare il tempo e lo spazio. Prevede uno stato d’animo, una lieta umiltà davanti al mondo, un’indifferenza ai moderni mezzi di trasporto o, quantomeno, un senso della relatività delle cose. Fa nascere l’amore per la semplicità, per la lenta fruizione del tempo. Secondo Stevenson: " non si viaggia in cerca del pittoresco, ma in cerca di certi umori gioiosi: della speranza e del coraggio che accompagnano i primi passi al mattino, della pace e della pienezza spirituale al momento del riposo serale" (Stevenson, 1978).
Per Rousseau, camminare è un fatto solitario, un’esperienza di libertà, una fonte inesauribile di osservazioni e di fantasticherie, un lieto godimento delle strade propizie agli incontri inattesi, alle sorprese."Mai ho pensato, ho vissuto, sono stato vivo e me stesso, se così posso dire, come in quei viaggi che ho fatto a piedi e da solo" (Rousseau, 1972). È la stessa professione di fede che anima il giovane Kazantzakis: "Essere giovani, robusti, non amare nessuno in particolare – un uomo o una donna che possano immiserire il vostro cuore e impedirvi di amare ogni cosa con imparziale impeto e interesse – viaggiare a piedi, da soli, un sacco sulle spalle, da un capo all’altro dell’Italia, godendosi la primavera e l’estate, e che poi venga l’autunno, carico di frutti e di pioggia, e l’inverno: ritengo si debba essere imprudenti per invocare una felicità più perfetta" (Kazantzakis, 1961).
Camminare, anche per una modesta passeggiata, concede una licenza momentanea dalle cure che ingombrano l’esistenza inquieta e frettolosa delle società contemporanee. Riporta alla percezione di sé, al fremito delle cose, ristabilisce una scala di valori che le abitudini collettive tendono a sfrondare. Nudo di fronte al mondo, contrariamente all’automobilista o all’utente dei mezzi di trasporto, chi va a piedi si sente responsabile dei propri atti, è ad altezza d’uomo e difficilmente può dimenticare la propria umanità più elementare".

Queste considerazioni di David Le Breton de "Il mondo a piedi:elogio della marcia"  mi son venute in mente sfogliando le pagine di " IPhoneography epiphany, New York city,the iphone diaries " , il nuovo libro fotografico di Giovani Savino.
Savino cammina per New York in quel modo, con quella presenza a sè e alle cose del mondo ed in tal modo ci riporta con sè a zonzo,in "otium" psicologico e creativo in cui i confini tra lavoro, studio e gioco si confondono. Di questo genere di Ozio intellettuale scrissero Seneca (De otio), Epitteto ( Manuale), Bertrand Russell (Elogio dell'ozio).
 Ci muoviamo per la Grande Mela  in una specie di Peripatetica"Aristotelica ( insegnare muovendosi intorno (peri) al giardino del Ginnasio - pateto) in cui Savino ci introduce ad una galleria antropologica contemporanea della complessità  indicando, mostrando, alludendo,allucinando, sognando,interpretando ,metaforizzando . 
Questa complessità crescente del reale spaventa i più e induce un sempre più diffuso timore di annichilimento dell'identità che esita  in un ingenuo e pericoloso, per quanto comprensibile,tentativo di riduzionismo, di difesa , di paranoia ,base psicologica del razzismo d'ogni epoca.
Una nuova specie di agnosìa  in cui non vedere è, dunque, ignorare.
Vedere è allora sapere (in greco il verbo oido= vedo ha la stessa radice di "idea,pensiero"). 
Savino attraverso il suo " iphone-taccuino visivo" ci apre gli occhi,ci induce a vedere e sapere, ci costringe a non ignorare, osa vedere .Come fa Orazio (Epistole 1, 2),nella lettera all'amico Massimo Lollio, Savino ci invita a "sapere aude", osare sapere, farsi carico, assumere la responsabilità del rischio di sapere.
Se è vero che la salute mentale possa consistere nella conquista della libertà di  fluttuare dalla considerazione dei propri desideri e bisogni individuali alla necessaria condivisione della realtà con gli altri , nella nostra epoca ci si trova sempre più, invece "costretti" ,"obbligati" (nel senso del latino compulso) all' "aut aut", a stare da una parte o dall’altra . O attestati‐cioè‐ su posizioni ultraindividualistiche o identificati con la massa nel conformismo gregario dell’"Ululare con i lupi" che impedisce la solitudine dell’essere individuo differenziato : non si pensa, si fa come fanno tutti.
Ci si nasconde nell’anonimato e nell’illusione dell’essere potente quanto la massa ,così come ci ha insegnato Freud nei suoi scritti sociali "Psicologia delle masse e analisi dell'io".
Kant riprende il "sapere aude" di Orazio e ne dà una celeberrima interpretazione illuministica nel suo scritto del 1784 «Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo?», : "L'Illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessa è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!"
Dialogando idealmente con Kant noi pensiamo però che l'autonomia di giudizio e di ricerca , pur permanendo un valore essenziale , può essere raggiunta anche grazie al confronto e all'aiuto dell'altro. In questo senso le fotografie di Savino rappresentano una " palestra della Polis" in cui è possibile formare ,allenare e rendere saldo uno sguardo che possa permettersi il rischio e il il lusso di un "Et et "  al posto dell' "aut aut ":  interfacciare le diverse sfaccettature del mondo esterno e  riconoscere il " diritto di cittadinanza" ai diversi aspetti del proprio mondo interno  e quindi dell’altro da sé.

“QUANDO DIVENTERO GRANDE“: ALLA RICERCA DELLE ORIGINI DEL DOLORE UMANO NELLE FOTOGRAFIE DEI BAMBINI DI AZUA DE COMPOSTELA DI GIOVANNI SAVINO di Guglielmo Campione / WHEN I GROW UP:IN SEARCH OF HUMAN PAIN ORIGINS IN THE PICTURES OF THE AZUA DE COMPOSTELA CHILDREN BY GIOVANNI SAVINO

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 IL LIBRO FOTOGRAFICO  "WHEN I GROW UP" DIGIOVANNI SAVINO

                                                                                          


" La verità è il tono di un incontro”.
       Hugo Von Hofmannsthal


"The hearts of little children are pure, and therefore, the Great Spirit may show to them many things which older people miss " 


 Black Elk (Hehaka Sapa)
 OGLALA LAKOTA "


Giovanni Savino racconta, nell’introduzione al suo Libro Fotografico “When i grow up”, dell’incontro e del colloquio con bambini Dominicani cui ha chiesto di raccontare che cosa avrebbero desiderato fare da grandi.

Non ci troviamo di fronte , a scatti rubati, ad un oggettivazione fotografica esteticamente fredda per quanto tecnicamente perfetta, ma al risultato di molti incontri e di molti colloqui con i bambini ma anche con il mondo dell’infanzia che abita l’autore.

“Molto ha esperito l’uomo. / Molti celesti ha nominato / da quando siamo un colloquio / e possiamo ascoltarci l’un l’altro “cantava Friedrich Hölderlin. E il filosofo Heidegger, commentava “ L’essere dell’uomo si fonda nel linguaggio ; ma questo accade autenticamente solo nel colloquio …Ma che cosa significa allora un ‘colloquio’? Evidentemente il parlare insieme di qualcosa. E’ in tal modo che il parlare rende possibile l’incontro. Il poter ascoltare non è una conseguenza che derivi dal parlare insieme, ma ne è, piuttosto, al contrario, il presupposto» .

Così,analogamente,Savino si mette in ascolto di sé e dei bambini e la fotografia è solo l’epilogo rappresentativo di esso. Ma quante emozioni l’hanno preceduto !

La coscienza malinconica , come ci insegna Freud nelle sue riflessioni (”Caducità”) dopo la famosa passeggiata con il poeta R.M.Rilke a San Martino di Castrozza nell’agosto del 1913, è l’esito della subìta precarietà, unita alla potente sensazione che qualcosa sia andato perso. Qualcosa senza cui la nostra vita viene a trovarsi piu vuota. La melanconia puo essere una reazione alla perdita di un oggetto amato,che non è effettivamente morto ma è stato solo perduto come oggetto d’amore. Possiamo credere che ci sia stata una perdita ma non possiamo vedere chiaramente che cosa si sia perso. Così l’essere umano può cercare di attenuare nell’indifferenza il godimento della bellezza per evitare il dolore che gli darà la sua perdita. Così facendo passa nella vita senza accorgersene.

Verrebbe da dire “Si vis vitam, para mortem” se vuoi vivere davvero devi accettare questa morte contenuta nella vita,questa caducità !

Savino , che pur malinconicamente ricorda e rivede rivivere nei bimbi che fotografa l’antica sensazione di aver perso una capacità di stare in contatto con i sogni e con la creatività, non crede nell’indifferenza come difesa nei confronti del dolore insito nella vita. Piuttosto lo testimonia in modo critico, appassionato, compassionevole, intenerito,talvolta arrabbiato, scandalizzato, ma mai cinico e distaccato .

Savino è cultore, modernissimo ed al contempo antichissimo, della " Pìetas " e lucido testimone compassionevole dello Zeitgeist della contemporaneità e della caducità.

Sfogliando i ritratti di questo libro ,vediamo sfilare caratteri umani “in fìeri”.Savino li coglie nel momento in cui si stanno formando, un momento delicato e cruciale. L’amore per la psicologìa e l’antropologìa ,traspare con forza. Negli occhi di questi bimbi vediamo dubbi, tristezze, perplessità, ,dolore,disillusione,disincanti, disamore,e tuttavia talvolta ancora gioia , innocenza e stupore.

Le fotografie di Savino sono il veicolo tecnologico ma efficiente e immediato d’una cosmologia del dolore: in un momento in cui non siamo più capaci di concepire il dolore per il valore universale che ha ,quello di un ponte fra la condizione della solitudine individuale ,atomizzata dell’uomo e la condizione universale e collettiva, queste fotografie acquisiscono un valore “protesico” , permettendoci di funzionare percettivamente , grazie all’ausilio della tecnica ,in un modo che abbiamo perso.

In queste fotografie ripercorriamo la cronologia del Dolore nella vita dell’uomo : dal dolore della confusione infantile con la madre prenatale e post natale, al dolore persecutorio dell’aggressività che ritorna a boomerang con il senso di colpa e la necessità di espiazione, dal dolore della caducità, della separazione dall’oggetto d’amore, del lutto, della perdita, al dolore della necessaria individuazione, dell’autonomia, e della solitudine conseguente.

Un dolore tutt’altro che inutile ma che è fonte di conoscenza di sé come la filosofia e la psicoanalisi hanno insegnato . Il dolore è parte della vita e attraverso di esso l’umanità può prendere consapevolezza di sé e acquisire sapienza e conoscenza. Certo il dolore può generare conoscenza ma questa,a sua volta, può generare dolore.

Il dolore , il pathos,nel vedere queste foto e nel sentire questi racconti ci fa “sapere” nel senso del greco “Pathein mathos”- imparo soffrendo- .Certamente questo “sapere”, che tutto è fuorchè indifferenza alla condizione dell’uomo,tema assai caro a Savino fotografo/antropologo, ci fa soffrire ancora una volta.

Anche se il dolore è solo di chi soffre, attraverso l’identificazione che queste fotografie ci permettono, molto più intensamente che tante analisi puramente intellettuali e verbali, esso si diffonde a noi ci coinvolge.

Savino è maestro fotografico dell’interplay identificatorio e ci fa ricordare con Marina Cvetaeva che “ L'anima, che per l'uomo comune è il vertice della spiritualità, per l'uomo spirituale è quasi carne”.

WHEN I GROW UP:IN SEARCH OF  HUMAN PAIN ORIGINS IN THE PICTURES OF THE AZUA DE COMPOSTELA CHILDREN
BY GIOVANNI SAVINO

by Guglielmo Campione

Giovanni Savino tells us, in the introduction of his photographic book “When I grow up” about meeting and establishing a dialogue with the Dominican children he portrayed. These photos were born from a meeting and a dialogue, where Savino asked the children, if they felt like it, to tell him what they would like to do when they grow up.

Therefore we are not in front of stolen frames, of a cold, albeit technically perfect photographic objectivity, but rather the result of several meetings and many conversations with these children as well as with the inner childhood world inhabited by the author.
Heidegger, the philosopher, "commented” -the human being is based on language: but this is true only in a dialogue….. What does a dialogue mean, then? Evidently, it is the act of talking together about something. It is a way to establish a meeting point though a discussion. Being able to listen is not the result of talking together, it is, on the contrary, its enabler.
So, analogically, Savino is listening to himself and to the children. Photography is just the representative epilogue of it all. But how many feelings behind this!!
Melancholic consciousness, as Freud teaches us in his reflections (“Caducity”) after his well-known stroll with poet R.M.Rilke, in San Martino di Castrozza in the August of 1913, is the result of an imposed precarity, linked to a powerful feeling that something has been lost. A loss that makes us perceive our life as emptier.
Melancholy can be a reaction to the loss of a loved object, which not necessarily has been literally lost, but rather has been lost as a loved possession. We can perceive there has been a loss even if we can’t clearly see what has been lost. So, a human being can try to minimize, though indifference, the pleasure of beauty in order to avoid the pain of its loss. In doing so we go though life without even realizing it.
We could say “ Si vis vitam, para mortem” if you want to live to the full you must accept this death contained within life, this caducity of life!
Savino, although melancholically reminiscing about an ancient feeling to have lost touch with creativity and the dream world that he can observe in the young subjects of his photos, does not believe in indifference as a defense mechanism against the pain of living. On the contrary he witnesses it passionately and compassionately, sometimes emotionally moved, sometimes even angry and shocked, but never in a cynical or detached way.
Savino is a modern and at the same time an ancient worshipper of “Pietas”, a sharp and compassionate witness of the Zeitgeist of the contemporary and of impermanence.
Browsing through the portraits in this book we see a display of human characters “in fieri”. Savino captures them at the very moment of their formation, a delicate and crucial instant. His love for psychology and anthropology is blatantly transparent.
In these children eyes we see doubts, sadness, uncertainty, pain, disillusion, lack of love and yet again happiness, innocence and amazement.
Savino’s photographs are the technological, very efficient, fast vehicles to a cosmology of pain. At a time when we are unable to conceive pain with its intrinsic universal value, as a bridge between the individualistic condition of loneliness and the collective one, these photos acquire a “prosthetic” value, allowing us to function perceptively in a manner we have long forgotten.
In these images we are able to re-explore the chronology of pain in human life: from the pain and confusion in our infancy with our pre-natal and post-natal mother, to the persecution complex of our aggressiveness that brings back, as a boomerang, a sense of guilt and the need of expiation, from the pain of caducity, of our separation from the object of love, the loss of a dear one, to the pain of a necessary self-revision and the following feeling of being alone.
And this is not a useless suffering; on the contrary, it is a source of knowledge of ourselves, as philosophy and psychoanalysis taught us. Pain is a part of our lives and through pain humanity can acquire wisdom and understanding.
Surely pain can generate knowledge but it is also true that knowledge can induce pain.
The pain, the “pathos” of viewing these images, of hearing these stories, makes us “aware” in the sense of “Pathein mathos”- from ancient Greek- I learn though suffering. Surely this kind of knowledge, which represent many things but indifference to the condition of man, a theme very central in Savino’s work, makes us suffer once more.
Even if pain is a very personal feeling, by indentifying with these photographs, much more intensely than through many intellectual and verbal analysis, pain reaches and envelop us at a personal level.
Savino is a photographic master of identification interplay and reminds us, along with Marina Cvetacva that “ The soul, vertex of spirituality for the common man, for the spiritual man is almost flesh”.


                                                                                   http://www.magneticpic.com/data/web/CHILDREN/index.html

“When i grow up ,Cherished childhood memories " di Giovanni Savino

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"WHEN I GROW UP " BY GIOVANNI SAVINO (copyright MagneticArt, New york)





New York, Manhattan May 15, 2010 .


Cherished childhood memories .I don’t have many.

I had a very unhappy childhood.

The relationship with my parents (who are still alive) has not found a much needed healing in nearly fifty years.

I guess, as a psychological self-defense mechanism, I erased most of my memories from my childhood, aside from a few happy ones from when I lived with my maternal grandparents.

My childhood dreams haven’t come true and although I have somehow managed to attain a fairly successful life and career, I was never able to completely shed the psychological pain and pessimistic outlook on life I absorbed from my parents in my early years.

Of course this pessimistic perspective, assimilated both genetically and socially from my parents, has affected negatively my entire life experience, from schooling to relationships to networking to my private self. They officially diagnosed me with anxiety and depression (just like my father) when I was five years old.

While I have no more ill feelings towards my parents (I did have them, often, when I was younger) over the years, through my observation of different family lives, I became very concerned about the extreme and sometimes negative influence parents can have over their children.

As I was growing up I had the distinct yet inexplicable feeling I was losing touch with the greater, intense potential to express myself through the creative abilities I was born with.

I suppose this is a process which affect most of us, whether we are aware of it or not, as the creative mind we all possess in our early years gives up space to the rational mind, a necessary switch, in order to survive more or less efficiently in a society rewarding financial success as the most desirable goal to attain.

The “original dreams” about our potentiality (e.g. when I grow up I want to be…) get revised, corrected and frustrated along the way by our inner inability to make them become reality, by social, cultural, environmental, financial obstacles and by a dysfunctional relationship with your parents.

Indeed there are many different social, financial and cultural factors contributing towards a child becoming a “winner” or a “loser” in life.

But parents (or a single parent) certainly are either the very first obstacles, or the first support mechanism, we encounter in the linear learning trajectory since our birth.

My work in progress “ When I grow up”, started seven years ago when I was living in the poorest barrio of Azua de Compostela, in the south of the Dominican Republic.

While I was roaming around Azua dusty and dirty streets with my camera, under a scorching sun, a lot of children would just come along asking me about what I was doing and why.

Over time, following me, “El Fotografo”, became their favorite pastime and I got to listen to their stories and sometimes met their desperate parents and saw their below-poverty living quarters.

Most of these kids had just one parent (their mother) or were loosely “looked after” by some other family member. Some of them would occasionally go to a shabby, ineffectual school, some others wouldn’t even bother; all of them spent 99% of their day (and often nights) in the streets, interacting with different levels of barrio sub-culture, including prostitutes, pimps and drug addicts, always trying to find new ways to earn, beg, steal a few coins in order to eat something.

While many of their stories ranged from sad to horrible, their living conditions were appalling, their nourishment inadequate, all of them were able to come up with a snappy answer when asked:” what do you want to do when you grow up?”

Their life plans (just like mine when I was their age) where candidly optimistic.

Nurse, doctor, policeman, politician, computer expert, airplane pilot, getting married to a foreigner and go live in New York or in Europe, journalist, shop owner, lawyer etc etc.

Sadly, I documented with a series of close-up portraits the imprint of hardship I could see reflected in their eyes along with hope, happiness, sadness, pain and anger but above all I think what transpires from these children headshots is how difficult it will be for them making their dreams (whatever they are) become a reality.

The world is very focused on appearances. Who your parents are, the school you got your degrees from, the size of your house, the quality of your clothes, the car you drive, who you know, are without doubt stronger social validation factors than your natural abilities or creativity per se.

These children’s facial expressions, sad, pensive, happy, desperate, hopeful, were visually pinpointing onto a personal awareness about the pitiless compartmentalization of a society where if you are born poor, you’ll most likely remain poor, if you are not given the instruments to

compete with the rest of the world in your early years, most likely (thanks God there are always exceptions to this cruel rule) you are not even getting a chance to compete.

We often delegate our kids’ education (albeit later complaining for the poor results), to an underpaid schoolteacher, to a relative, to the street, to fate, to life itself.

We could blame the school system or simplifying, we could blame society for our children failure in later life.

Instead, I tend to point my finger to the very first social institution we encounter in our existence: our parents.

It is all too well to procreate, but when it comes to teaching values, social strategies and life philosophies to our sons and daughters: how many of us have clear ideas? How many of us know exactly what to do and how to do it? How many of us have the time or the will to do it well? Not many parents are able to smartly and compassionately help build the necessary emotional and rational mind in their children, especially in the flourishing relativism of the last few decades. Some parents can’t even clothe or feed their kids. Some others just don’t give a damn. Abuse, of all kinds, is a sad, horrible and quite common denominator in many children’s lives.

A newborn child is like a white page but nobody seems to know exactly what, how or when to write on it, so, different hands, different users with different purposes write things on it. The child is to receive a fairly random (and partisan) shower of data, of opinions, of prohibitions, of traumas, of neurosis etc that will eventually determine and regulate his adult life.

As for me, a confessed dysfunctional son and self-blamed dysfunctional father, I keep photographing street children and recording their sincere utopias, hoping that observing their candid, intense expressions, permeated with drama and joy and trauma no words could express better, will teach us adults more respect and induce a clearer recollection of a similar drama, joy and trauma we also possibly once experienced as children, until we allowed ourselves to forget and inexorably “grow up”.

Il Sacrificio animale : recensione del libro Fotografico “Matadero” di Giovanni Savino,New York - a cura di Guglielmo Campione

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With “Matadero” by Giovanni Savino, walks on stage an ancient drama where life and death tightly and compassionately hold each other and the “Vucciria” by Guttuso is by now a faraway stylistic exercise. 

Life being given and received, executioner and victim, confused screams from the man and the animal, bodies painted in blood, homogenizing the killer and the slaughtered as much as to appear an hyper- realistic illusion, just as if this excess of reality -putting you through an emotional overload- could open the door of ordinary consciousness, leading us beyond, in a state of de-realization, de-personification, of trance, where space and time hang universally: it is today in the Dominican Republic but could well be one thousand years ago in the European middle ages "(...)


                                                                                            


“Jahvè trova “soave” l’odore del sangue”

(Genesi 8.2)



Con “Matadero” di Giovanni Savino va in scena un antichissimo Dramma in cui vita e morte si tengono strettamente e pietosamente intrecciati e la “Vuccirìa” di Guttuso pare ormai un lontano esercizio di stile.

Vita data e ricevuta, carnefice e vittima, grida dell’animale e dell’uomo confuse,corpi ugualmente verniciati del sangue che omogeneizza pittoricamente la vittima e il carnefice tanto e troppo da sembrare esiti di trucchi iperrealistici ,come se questo eccesso di realtà ,attraverso un overload emozionale ,sfondasse la soglia della coscienza ordinaria e conducesse al di là ,in uno stato di derealizzazione, depersonalizzazione, di trance in cui il tempo e lo spazio sono sospesi e universali : è oggi a santo domingo ma potrebbe essere 1000 anni fa nel medioevo europeo.

L'ambiguità è sempre più reale e interessante dell'univocità ,perchè permette i movimenti immaginifici , proiettivi e attributivi di significato dei singoli. Questo contatto così carnale con la morte può ritenersi così drammaticamente e inconsciamente seducente al di là della necessità di guadagnare ?

E’questa un'esperienza del “perturbante”, per dirla con Freud?

L'effetto perturbante, sollecita ora percezioni, ora riflessioni, ora piacere, ora disagio, per qualcosa che in qualche modo mentre risulta familiare, continua ad essere sfuggente, o per meglio dire difficilmente classificabile secondo i canoni della ragione.

Freud era giustamente insoddisfatto dall'identificazione tout court del termine con insolito, orrido, angoscioso o inconsueto.

"Non c'è dubbio- si chiede Freud- che esso appartiene alla sfera dello spaventoso, di ciò che ingenera angoscia e orrore, tanto che quasi sempre coincide con ciò che è genericamente angoscioso. E' lecito tuttavia aspettarsi che esista un nucleo particolare che giustifichi l'impiego di una particolare terminologia concettuale. Ciò che vorremmo sapere è: che cos'è questo nucleo comune che consente appunto di distinguere, nell'ambito dell'angoscioso, un che di perturbante"?Che cosa sia questo nucleo particolare egli lo anticipa subito, per passare poi ad illustrare il percorso di ricerca fatto per giungervi: "il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto c'è noto da lungo tempo, a ciò che c'è familiare".

C’è infatti questo familiare andare/ entrare a mani nude, a naso nudo, a occhi nudi, a bocca nuda e a orecchie nude dentro il corpo , abitare la morte, abitare il corpo morto mentre si distacca dallo spirito vitale nello squartamento violento cogliendone tutte le sue sinestesie, i suoi spasmi tattili,i suoi miasmi dolciastri,i suoi gorgoglii sinistri e malinconici.
Mi fa pensare alla necessità umana di affrontare la paura della paura . “E’ questa la cosa di cui ho più paura che della paura. Essa è ancora più insopportabile e fastidiosa della morte. Non mi sento abbastanza forte per sopportare gli impeti di questa passione”.(Montaigne, Saggi, I, XIX )

Il Dramma che va in scena in questo nuovo film fotografico di Giovanni Savino ci spinge a interrogarci :
 Il bene è una speranza e forse un’illusione, mentre il male lo osserviamo, lo pratichiamo, ci accompagna in ogni nostra azione?
Siamo tutti uguali, perché siamo tutti capaci di dare la morte ?
Hobbes ammonisce continuamente sul fatto che "quanto alla forza corporea, il più debole ne ha sufficienza per uccidere il più forte..."
La vera lotta è quella che si combatte per l’affermazione di sé: il “padrone” è dunque colui che ha il coraggio di guardare in faccia la morte a differenza del “servo” che non vuole perdere la vita e preferisce l’umiliazione e la resa ?
La terra appare un immenso altare in cui il sangue deve scorrere per pagare il prezzo del peccato ?

Nella spaventosa fantasticheria in cui getta l'anima con la sua presenza, il macello appare terribile e partecipe di quello che fa, è complice del carnefice: divora, mangia della carne, beve del sangue,è una specie di mostro,uno spettro che sembra vivere d'una vita spaventosa, fatta di tutta la morte che ha procurato. (V. Hugo. I miserabili 1862) .

In una drammatica rappresentazione di sapore arcaico e mitologico/tragico le fotografie di Savino ci riportano all’ambivalenza, alla confusione e alla reversibilità dei ruoli del carnefice e della vittima,e del servo padrone : il padrone,il sadico , il carnefice è solo apparentemente in una situazione di potere assoluto perché, come ricordava Hegel ,ha bisogno del servo per essere padrone e per questo motivo il servo diventa padrone del padrone,il carnefice vittima della vittima e il sadico servo del dolore.

Scrisse , come ben sappiamo profeticamente, G.Orwell :”Winston, come fa un uomo a esercitare il potere su un altro uomo?” Winston riflettè. “Facendolo soffrire” rispose. “Bravo, facendolo soffrire. Non è sufficiente che ci obbedisca. Se non soffre, come facciamo a essere certi che non obbedisca alla nostra volontà ma alla sua? Potere vuol dire infliggere dolore umiliazione. Un mondo fatto di paura e tradimento, un mondo nel quale si calpesta e si viene calpestati, un mondo che nel perfezionarsi diventerà sempre più spietato...”

Le immagini di Savino sono metafore d’una condizione antropologica in cui s’incrociano temi mitici come la Violenza , il sacro, il potere,il dolore ,l’espiazione , il sacrificio,la colpa.

Il pathos che tiene il mio sguardo inchiodato su “Matadero” mi richiama la Tragedia Greca ,il dolore e il fiume di sangue della ridda di vendette incrociate o il sonnambulismo di Lady Macbeth che compulsivamente come una fobico-ossessiva continua a lavarsi le mani lorde del sangue del recente assassinio.

In questo teatro del sangue e del dolore che è il Macello si respira un aria di arcaica“sacra violenza”.

La violenza, diceva Renè Girard, si accende per "desiderio mimetico",per il quale tutti desiderano ciò che hanno o che desiderano gli altri. All'origine della società umana v’è infatti un assassinio sacrificale e alla vittima sacrificale vengono riconosciuti attributi divini e sacrali, proprio perchè la sua uccisione funge da mezzo per sopire la violenza. Scaricando su un capro espiatorio la violenza che oppone ciascuno a tutti gli altri, placa i conflitti interpersonali e fonda il vincolo sociale. Il sacro assume quindi grande valore di coesione e la religione è quindi "il sentimento che la collettività ispira ai suoi membri, ma proiettato fuori dalle coscienze che lo provano, e oggettivato".

Il sacrificio, assume, "una vera e propria operazione di transfert collettivo che si effettua a spese della vittima e che investe le tensioni inconsce degli uomini. Il sacrificio rituale pare fondato su una sostituzione" per allontanare la violenza "da certi esseri che si cerca di proteggere''. Alcuni sistemi rituali sostituiscono gli esseri umani minacciati dalla violenza con animali, altri sistemi li sostituiscono invece con altri esseri umani giacché "in fondo non c'è nessuna differenza essenziale tra sacrificio umano e sacrificio animale''diceva Girard. Tutte le vittime "devono somigliare a coloro che esse sostituiscono'' .
Il sacrificio è dunque "una violenza senza rischio di vendetta'', in quanto si usano sempre persone o animali 'non vendicabili'.
Il sacrificio esige perciò che vi sia un'apparenza di continuità tra la vittima realmente immolata e gli altri esseri umani a cui tale vittima viene sostituita.Così quando la violenza non può scaricarsi sul nemico che l'ha eccitata, si sfoga, come ognuno di noi ben sa, su un bersaglio sostitutivo. L'eliminazione della vittima fa sfogare la frenesia violenta da cui ciascuno era posseduto fino a poco prima e ciò ha sul gruppo un impatto emotivo incalcolabile. Essa diviene sacra ai loro occhi, proprio ha cioè potere di vita e di morte sul gruppo: è il dio. Questa è la genesi del religioso e in particolare del sacrificio rituale come ripetizione dell'evento vittimario originario, intesa a riprodurne meccanicamente e inspiegabilmente i miracolosi effetti e del mito come racconto di quell'evento dal punto di vista della folla.

Come non pensare all’assenza di differenze fra macellaio e maiale , fra macellaio e bue, ma anche fra abusatore e abusato che paiono alludersi reciprocamente in queste fotografie , come Savino stesso ci dice nel suo commento introduttivo ?

Nelle fotografie di Savino vanno in scena “Natura e Cultura”,avrebbe detto Levi Strauss, mito e rito da una parte ,sfida progettuale dall’altro, progresso ideale e tempo fermo reale della storia : Savino è lì in mezzo che coglie contraddizioni vere o solo presunte, ambiguità e ambivalenze dietro apparenti differenze come un testimone critico, appassionato, compassionevole, intenerito,talvolta arrabbiato, scandalizzato, ma mai cinico e distaccato .

Savino è cultore, modernissimo ed al contempo antichissimo, della " Pìetas " e lucido testimone compassionevole dello Zeitgeist  contemporano e della caducità.