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Blog fondato da Guglielmo Campione www.guglielmocampione.it

La mente può trovarsi in stati diversi , il sonno ,il sogno, la trance,l'ipnosi,l'attenzione fluttuante,
l'estasi,la preghiera,la meditazione,la creatività artistica e scientifica,
l'esplorazione dello spazio e degli abissi marini,l'agonismo sportivo.

Stati della mente pubblica lavori originali o già pubblicati con il consenso degli autori, interviste e recensioni di libri e promuove eventi culturali e scientifici.

L'INTERVENTO CLINICO MULTIDISCIPLINARE PER LA PERSONA CON DISABILITA


Istituto Italiano di Psicoanalisi di gruppo di Milano 
in collaborazione 

con la Cattedra di Pedagogia Speciale dell’Università di Bologna 

presenta

Corso di Alta Formazione 

L’INTERVENTO CLINICO MULTIDISCIPLINARE PER LA PERSONA 
CON DISABILITA’

Programma

30 marzo 2013

9.00 - 10.00 Apertura del corso    
10.00 - 11.00 La Classificazione ICF Ajovalasit   
11.00-11.15 pausa   
11.15 - 12.15 La Classificazione ICF Ajovalasit   
12.15 - 13.15 Le disabilità intellettive: alcuni cenni nosografici (RM, autismo, ecc.)   
13.15 - 14.00 pausa   
14.00-15.00 Il contributo delle neuroscienze alla diagnosi neuropsicologica Riva   
15.00 - 16.00 Il contributo delle neuroscienze alla diagnosi neuropsicologica Riva   
16.00 - 16.10 pausa   
16.10 - 17.00 Gruppo esperienziale sul corpo Persico   
17.00 - 18.00 Gruppo esperienziale sul corpo Persico  

20 aprile 2013

9.00 - 10.00 La legislazione nazionale ed internazionale in materia di disabilità Fazzi   
10.00 - 11.00 convenzione onu Fazzi   
11.00-11.15 pausa   
11.15 - 12.15 Mappatura dei servizi Ajovalasit   
12.15 - 13.15 Case management Ajovalasit   
13.15 - 14.00 pausa   
14.00-15.00 La comunicazione della disabilità Selicorni   
15.00 - 16.00 La comunicazione della disabilità Selicorni   
16.00 - 16.10 pausa   
16.10 - 17.00 Gruppo esperienziale su musicoterapia Toshimoro   
17.00 - 18.00 Gruppo esperienziale su musicoterapia Toshimoro  

18 maggio 

9.00 - 10.00 l'emozione di conoscere e il desiderio di esistere Cuomo   
10.00 - 11.00 l'emozione di conoscere e il desiderio di esistere Cuomo   
11.00-11.15 pausa   
11.15 - 12.15 l'emozione di conoscere e il desiderio di esistere Cuomo   
12.15 - 13.15 l'emozione di conoscere e il desiderio di esistere Cuomo   
13.15 - 14.00 pausa   
14.00-15.00 l'emozione di conoscere e il desiderio di esistere Cuomo   
15.00 - 16.00 l'emozione di conoscere e il desiderio di esistere Cuomo   
16.00 - 16.10 pausa   
16.10 - 17.10 l'emozione di conoscere e il desiderio di esistere Cuomo   
17.00 - 18.00 l'emozione di conoscere e il desiderio di esistere Cuomo  

22 giugno

9.00 - 10.00 le pragmatiche della comunicazione e i modi delle relazioni Elisabetta Bacciaglia   
10.00 - 11.00 le pragmatiche della comunicazione e i modi delle relazioni Elisabetta Bacciaglia   
11.00-11.15 pausa   
11.15 - 12.15 le pragmatiche della comunicazione e i modi delle relazioni Elisabetta Bacciaglia   
12.15 - 13.15 le pragmatiche della comunicazione e i modi delle relazioni Elisabetta Bacciaglia   
13.15 - 14.00 pausa   
14.00-15.00 le pragmatiche della comunicazione e i modi delle relazioni Elisabetta Bacciaglia   
15.00 - 16.00 le pragmatiche della comunicazione e i modi delle relazioni Elisabetta Bacciaglia   
16.00 - 16.10 pausa   
16.10 - 17.10 le pragmatiche della comunicazione e i modi delle relazioni Elisabetta Bacciaglia   
17.00 - 18.00 le pragmatiche della comunicazione e i modi delle relazioni Elisabetta Bacciaglia  

22 giugno


9.00 - 10.00 il modello empatico relazionale e il progetto amico Alice Imola   
10.00 - 11.00 il modello empatico relazionale e il progetto amico Alice Imola   
11.00-11.15 pausa   
11.15 - 12.15 il modello empatico relazionale e il progetto amico Alice Imola   
12.15 - 13.15 il modello empatico relazionale e il progetto amico Alice Imola   
13.15 - 14.00 pausa   
14.00-15.00 il modello empatico relazionale e il progetto amico Alice Imola   
15.00 - 16.00 il modello empatico relazionale e il progetto amico Alice Imola   
16.00 - 16.10 pausa   
16.10 - 17.10 il modello empatico relazionale e il progetto amico Alice Imola   
17.00 - 18.00 il modello empatico relazionale e il progetto amico Alice Imola  

21 settembre

9.00 - 10.00 La famiglia con disabilità gruppo incontro  con genitori cerabolini   
10.00 - 11.00 La famiglia con disabilità gruppo incontro  con genitori cerabolini   
11.00-11.15 pausa   
11.15 - 12.15 siblings.  gruppo incontro con fratelli cerabolini   
12.15 - 13.15 siblings.  gruppo incontro con fratelli cerabolini   
13.15 - 14.00 pausa   
14.00-15.00 Elaborazione lutto e separazione Campione/Rossi   
15.00 - 16.00 Elaborazione lutto e separazione Campione/Rossi   
16.00 - 16.10 pausa   
16.10 - 17.00 Gruppo esperienziale sull'elaborazione lutto Campione/Rossi   
17.00 - 18 Gruppo esperienziale sull'elaborazione lutto Campione/Rossi  

12 ottobre

9.00 - 10.00 Disabilità e psicopatologia campione   
10.00 - 11.00 Disabilità e psicopatologia campione   
11.00-11.15 pausa   
11.15 - 12.15 resilienza, capacita riflessiva,                                             campione   
12.15 - 13.15 resilienza, capacita riflessiva,                                             campione   
13.15 - 14.00 pausa   
14.00-15.00 DISABILITA E DIST BORDERLINE IN ADOLESCENZA Ganzetti   
15.00 - 16.00 DISABILITA E DIST BORDERLINE IN ADOLESCENZA Ganzetti   
16.00 - 16.10 pausa   
16.10 - 17.00 Musicoterapia con bambini autistici Ragone   
17.00 - 18.00 Musicoterapia con bambini autistici Ragone  

16 novembre

9.00 - 10.00 Formare gli insegnanti/esperienze di lavoro Albanese   
10.00 - 11.00 Formare gli insegnanti/esperienze di lavoro Albanese   
11.00-11.15 pausa   
11.15 - 12.15 Scuole speciali - bisogni speciali Moretti   
12.15 - 13.15 Scuole speciali - bisogni speciali Moretti   
13.15 - 14.00 pausa   
14.00-15.00 metodo fuestein   
15.00 - 16.00 metodo fuestein   
16.00 - 16.10 pausa   
16.10 - 17.10 gruppo classe ajovalasit ++   
17.00 - 18.00 gruppo classe ajovalasit ++  

30 novembre

9.00 - 10.00 la psicoanalisi a confronto con l disabilita campione   
10.00 - 11.00 la psicoanalisi a confronto con l disabilita campione   
11.00-11.15 pausa   
11.15 - 12.15 gruppi multifamiliari comelli   
12.15 - 13.15 gruppi multifamiliari comelli   
13.15 - 14.00 pausa   
14.00-15.00 teoria e tecnica dei gruppi di Lello   
15.00 - 16.00 teoria e tecnica dei gruppi di Lello   
16.00 - 16.10 pausa   
16.10 - 17.10 il gruppo specializzato con SM citterio   
17.00 - 18.00 il gruppo specializzato con SM citterio  

14 dicembre

9.00 - 10.00 La disabilità nell'infanzia cerabolini   
10.00 - 11.00 La disabilità nell'infanzia cerabolini   
11.00-11.15 pausa   
11.15 - 12.15 l'adolescente disabile ganzetti   
12.15 - 13.15 l'adolescente disabile ganzetti   
13.15 - 14.00 pausa   
14.00-15.00 l'anziano disabilie rossi   
15.00 - 16.00 l'anziano disabilie rossi   
16.00 - 16.10 pausa   
16.10 - 17.10 l'adulto disabile e la sessualità campione   
17.00 - 18.00 chiusura corso campione  












UMBERTO BOCCIONI - STATI D'ANIMO 1911


















Nel corso del 1911 Umberto Boccioni elabora il ciclo dedicato agli Stati d'animo.

Il ciclo è costituito da 3 tele distinte, che rappresentano rispettivamente 3 diversi stati d'animo della gente, colti nel momento della partenza del treno dalla stazione ferroviaria. Ma, stando al risultato, l'artista non sembrerebbe essersi minimamente interessato a svolgere il tema in chiave descrittiva. Siamo, in effetti, alle fasi cruciali della nascita del Futurismo italiano, di cui Boccioni è uno dei più convinti assertori.
L'opera offre a Boccioni lo spunto per tradurre in forme, colori e immagini, il senso del movimento, che è uno dei problemi centrali della pittura futurista. I 3 stati d'animo che danno il titolo alle tele vengono proposti dall'artista sotto forma di 3 diverse condizioni di "dinamica motoria".
- In Gli addii predominano le linee oblique e ondulate, che richiamano i saluti, lo sventolio dei fazzoletti.
- In Quelli che vanno, una folata di linee orizzontali dalle tinte accese travolge le persone e le cose, trascinandole in un dirompente movimento in avanti.
- Altra cosa in Quelli che restano, dove l'impianto, costituito di linee verticali, masse inerti e colori smorti, ricrea la sensazione di stasi e pesantezza che si associa al non partire, al rimanere.

Nello stesso anno, Boccioni realizza 2 versioni diverse del ciclo:

- La prima versione appare ancora legata allo stile del periodo che precede l'adesione al Futurismo (Pre-futurismo), proprio di capolavori come La città che sale. La tecnica pittorica si basa su una trama di linee, trattini e macchioline di colori contrastanti, che richiamano il Divisionismo. Del tutto nuovo è invece l'interesse dell'artista per le masse in movimento.

- La seconda versione, delle stesse dimensioni della prima, si presenta molto diversa. Le forme appaiono solide e scomposte in frammenti. La tecnica tradisce l'influenza del Cubismo di Picasso e Braque, che Boccioni ha modo di conoscere a Parigi. Le pennellate libere e sciolte della prima versione sono rimpiazzate da pennellate a tratti più piccoli e controllati. La loro funzione è quella di creare effetti di chiaro-scuro e rotondità, in modo da evocare il senso del volume. Sarà questo lo stile caratteristico dei grandi capolavori futuristi di Boccioni, che vedranno la luce nei 4 anni successivi.

I due cicli oggi fanno parte rispettivamente:
- del Civico Museo d'Arte Contemporanea di Milano
- del Museum of Modern Art di New York


Eutanasia, suicidio e testamento biologico di Guglielmo Campione




 Due designati sono: l'uno è il responsabile della Vita e l'altro della morte ed essi sono preposti all'uomo. Quando l'uomo riscatta suo Ben (figlio), lo riscatta dalla mano di quel responsabile della morte ed egli non può dominarlo. “E Dio vide tutto quello che aveva fatto. Ed ecco, era molto buono .Originalmente "Tov meod" in ebraico. "Tov" (buono) è l'angelo della Vita, "Meod" (molto) è l'angelo della morte. E perciò in quel riscatto permane l'angelo della Vita e s'indebolisce l'angelo della morte. Con questo riscatto egli acquisisce la Vita, com'è stato detto, e quello stesso lato maligno lo lascia, e non lo  afferra".

(Il Libro dello Zohar, Prefazione, brano 246).



"L'angelo della Vita e l'angelo della morte", simboleggiano due forze spirituali che operano in ognuno di noi. L'angelo della Vita è la forza che innalza l'uomo verso la sensazione della spiritualità. Questa sensazione sublime è chiamata nella Saggezza della Kabbalah "Vita".In confronto all'angelo della Vita, l'angelo della morte è la forza che attira l'uomo verso direzioni che lo allontanano dalla Vita Spirituale e di conseguenza è chiamato "Il responsabile della morte".

Parlare di morte è un paradosso .


L’espressione verbale d’una pseudo conoscenza, d’una conoscenza non basata sull’esperienza.


Una conoscenza intellettuale.


In “ Cecità” di Saramago o nella meravigliosa scena del Tango del protagonista cieco impersonificato da Al Pacino del film “Profumo di Donna” l'essere ciechi paradossalmente permette di vedere, sentire e capire meglio l’Altro potenziando le capacità empatiche.


Come nel Corano, infatti, la conoscenza del fuoco si distingue fra il “vedere” il fuoco,lo “scaldarsi” al fuoco e il “bruciare” nel fuoco.


Come umani possiamo conoscere per approssimazione, nel “come se “, nella metafora, per “Analogon”. Questa è la conoscenza che ci è data di sperimentare da vivi sulla morte.


Il diffondersi di possibilità sempre piu avanzate dal punto di vista della tecnica medico scientifica rianimatoria ci permette oggi di leggere o ascoltare racconti dell’esperienze di near death experience o esperienze di premorte nelle persone risuscitate .


La mente guarda ma può non vedere . Questo dipende dallo stato della coscienza in cui siamo in quel certo frangente .


La conoscenza non è solo attività di rappresentazione : essa può essere analitica in uno stato mentale e sintetica –olistica in un altro.


Il dispositivo rituale ha la funzione di viatico verso diversi stati della mente in cui è possibile una certa conoscenza catartica di tipo psico drammatico che lavora con la potenza dell’immagine, del suono e di tutti gli altri sensi per evocare, presentificare e pertanto trasformare.


L’esperienza psicoanalitica analogamente è un’altra esperienza psico drammatica in grado non solo di ram-mentare (mente) ma di ri-cordare (cuore), di far rivivere la dimensione dell’hic et nunc, la dimensione emotiva, affettiva e dunque complessiva dell’adesso e non solo la dimensione quotidiana dello stato di coscienza ordinario analitico- razionale In tale esperienza Freud, previde un accecamento funzionale del terapeuta rispetto al paziente ..E’ proprio per questo motivo che egli siede dietro il lettino del paziente e non accanto come si vede nella maggior parte delle vulgate televisive o cinematografiche. W.R Bion ,parlerà molti anni dopo, di “opacity” rispetto alla propria memoria e al proprio desiderio, come conditio sine qua non della conoscenza (K come Knowledge) vera che permette di essere all’unisono con “O” , l’oggetto della conoscenza, la cosa in sé , il noumeno Kantiano. Bion parla di capacità negativa riprendendo la famosa metafora di Keats, quello stato di tolleranza dell’incertezza , noi diremmo del Dubbio,che solo può tenere aperta la domanda e la ricerca .


Qui non si tratta più di guardare infatti, ma di vedere con altri occhi.


D’altronde il viaggio nella Psiche richiede dispositivi per essere affrontata, come ci ricorda il mito di Orfeo, il mito della Medusa, Dante nella Divina Commedia, Omero nell’Odissea e Virgilio nell’Eneide,


Nella ricerca verso la conoscenza come sostiene Grotstein, “occorre un raggio di intensa oscurità” per fare luce nelle catastrofi interiori.


Il suicidio


Come sottolinea l’archeologo ed egittologo Cristian Jacq nel suo “ il viaggio iniziatico o i 33 gradi della saggezza”,il suicidio è espressione di una volontà negativa, la volontà di distruggere la particella divina che si trova in ogni essere,l’uomo che si uccide è colui che ha trascurato troppo a lungo la sua luce interiore. E’davvero responsabile se si è accontentato di subire la vita, in balia di passioni e reazioni, perchè viene un giorno in cui i fantasmi sono troppo opprimenti e lui non è capace di trasformazione , non sente la comunione con l’universo e gli altri. Ed allora per evitare l’insopportabile tensione elimina la sua coscienza, rompe il suo arnese di lavoro e ne fa strumento di morte per far tacere la particella divina che gli poneva troppe domande insolubili .


Prudenzio, parla a tale riguardo, della lotta tra pazienza e rabbia : per quanto la rabbia colpisca la pazienza ,non ne ha ragione ed allora la rabbia furiosa finisce per colpirsi da sola e la pazienza a quel punto dice : la furia cieca è nemica di se stessa , si uccide con la sua frenesia e muore con le sue stesse armi.


Il narcisismo è un'altra forma di suicidio , vedersi ed accettarsi non come si è ma come si dovrebbe essere .


La fine dell’esistenza profana rappresenta anche la morte dell’uomo vecchio Saturnino, il passaggio dall’uomo statico all’uomo in divenire.


Dice Maestro Eckart : la luce brilla nelle tenebre ed è allora che la vediamo.


E’ quando sono nelle sofferenze che deve apparire loro la luce.


Ramon Panikkar diceva : "L'ossessione psicologica per la certezza, affermata da un grande filosofo quale fu Cartesio, ha portato all'ossessione patologica per la sicurezza" che caratterizza in mille modi il nostro vivere quotidiano.
Grazie a Dio niente è sicuro e l'aggrapparsi a presunte certezze ci pone sulla difensiva e finisce per renderci intolleranti, chiusi, incapaci di dialogo.
"Chi ha desiderio di sicurezza non può avere pace".
Tra gli ostacoli che impediscono un vero dialogo, non a caso, c'è la paura.
Ma a partire dal riconoscimento di tale paura si può lavorare al suo superamento ("il cuore puro").
Ed è la consapevolezza della propria vulnerabilità, la principale componente del dialogo: "Se sono convinto di avere ragione, di essere il più forte e penso di avere tutte le risposte, che dialogo è? Mi chiuderò al dialogo, pensando che l'altro non sia in grado di capirmi, e poi mi lamenterò della sua chiusura".
"La vulnerabilità, d'altra parte, non è una debolezza, ma una richiesta di dialogo discreta e senza parole. È quello che mi consente di aprirmi, senza essere una minaccia per l'altro".
Il dialogo è essenziale alla vita umana - noi non siamo monadi chiuse in un narcisismo individualista - ma anche alla cultura e alla religione .


Togliersi volontariamente la vita è la conseguenza di una patologia biologica depressiva che spegne l’istinto vitale di conservazione o è anche il risultato di una letteralizzazione dell’esperienza umana del dolore, d’una disconnessione dall’universale che in una serie infinita di rimandi simbolici ed analogici ci tiene collegati al mondo ? Dell’incapacità di un meta pensiero, di una meta cognizione ,di un pensiero in grado di cogliere ciò che c’è al di là della realtà fattuale?


Hilmann sostiene che la depressione però , non è solo un evenienza funesta ma piuttosto una risposta al diffuso contemporaneo iper attivismo maniacale che piattamente aderisce alla lettera ai falsi miti che eternamente costruisce e consuma. Questo spostamento verso l’interno dell’anima è necessario allora , perché crea uno spazio psichico per una riflessione piu profonda dove l’anima cresce e la superficie degli eventi diventa meno importante. La depressione, allora, come ci ricorda Marsilio Ficino nella Firenze medicea del rinascimento, è sotto l’influenza del Pianeta interiore di Saturno -che non è solo un pianeta tetro e molesto da evitare- ma un modo per attraversare la scarsa profondità del presente.


Pensiamo alla pena di Morte : un classico esempio di fanatismo psichico , la legge del taglione, in cui nulla, neanche la pena, è metaforizzato ma tutto è preso alla lettera nella sua esclusiva rilevanza materiale.


Il ritualismo ,in fin dei conti, invece non è che un modo per permettere di apprendere la possibilità di una lettura metaforica della morte reale.


Dobbiamo, infatti, credere a tutto ciò che la mente ci dice ? La mente …mente ?


Se penso metaforicamente non agirò letteralmente nel concreto .


Il caso del suicidio o della morte rituale è un esempio di metaforizzazione antiletterale .






L’eutanasia


L'eutanasia - letteralmente buona morte (dal greco ευθανασία, composta da ευ-, bene e θανατος, morte) - è la pratica che consiste nel procurare la morte nel modo più indolore, rapido e incruento possibile a un essere umano (o ad un animale) affetto da una malattia inguaribile ed allo scopo di porre fine alla sua sofferenza.


Nel pensiero filosofico antico, invece, essa indicava - in genere - una morte serena e consapevolmente accettata come naturale chiusura della vita (eventualmente auto inflitta).La"buona morte"era la morte che compete all’uomo che ha condotto la sua vita senza prevaricazioni e senza eccessi, attenendosi alla giusta misura (kata metron).


Il testamento biologico






Una dichiarazione anticipata di trattamento (detta anche testamento biologico, o più variamente testamento di vita, direttive anticipate, volontà previe di trattamento) è l'espressione della volontà da parte di una persona (testatore), fornita in condizioni di lucidità mentale, in merito alle terapie che intende o non intende accettare nell'eventualità in cui dovesse trovarsi nella condizione di incapacità di esprimere il proprio diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure proposte (consenso informato) per malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversibili o invalidanti, malattie che costringano a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione.


L'articolo 32 della Costituzione della Repubblica Italiana stabilisce che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» e l'Italia ha ratificato nel 2001 la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina (L. 28 marzo 2001, n.145) di Oviedo del 1997 che stabilisce che «i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell'intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione» . Il Codice di Deontologia Medica, in aderenza alla Convenzione di Oviedo, afferma che il medico dovrà tenere conto delle precedenti manifestazioni di volontà dallo stesso .


È importante sottolineare che nonostante la legge n. 145 del 2001 abbia autorizzato il Presidente della Repubblica a ratificare la Convenzione, tuttavia lo strumento di ratifica non è ancora depositato presso il Segretariato Generale del Consiglio d'Europa, non essendo stati emanati i decreti legislativi previsti dalla legge per l'adattamento dell'ordinamento italiano ai principi e alle norme della Costituzione. Per questo motivo l'Italia non fa ancora parte della Convenzione di Oviedo .


Il disegno di legge attuale invece prevede che le volontà del paziente in merito ai trattamenti da ricevere o non ricevere, non siano in ogni caso vincolanti per il medico. Il medico non può prendere in considerazione indicazioni orientate a cagionare la morte del paziente o comunque in contrasto con le norme giuridiche o la deontologia medica. Questa come si vede è una palese contraddizione del testo con il succitato parere del codice di deontologia medica secondo Oviedo .Le indicazioni sono valutate dal medico, sentito il fiduciario, in scienza e coscienza, in applicazione del principio dell’inviolabilità della vita umana e della tutela della salute, secondo i princìpi di precauzione, proporzionalità e prudenza.


In ogni caso nella dichiarazione può essere esplicitata la rinuncia ad ogni o ad alcune forme di trattamenti sanitari in quanto di carattere sproporzionato, sperimentali, altamente invasive o altamente invalidanti. Non possono invece essere inserite indicazioni relative alla possibilità di sospendere alimentazione e idratazione forzata .


Io penso che il dibattito sul testamento biologico deve guardare alla centralità della persona e al suo unico sacrario: la coscienza.
Non si tratta solo di rifiuto delle cure da parte del paziente, ma di preservare l’integrità psicofisica della persona, la sua emotività e dignità. In gioco non c’e’ soltanto un corpo da tenere in vita con ogni mezzo : tenere in vita letteralmente ,cioè trattenere la vita staticamente , bloccando il tempo contro lo scorrere ineluttabile del Panta Rei.
La legge sul testamento biologico deve prendersi cura della persona umana e della qualità della sua vita. Penso che- dopo una vita professionale dedicata e consacrata all’uomo , alla sua salute, alla qualità della sua vita , delle sue emozioni, dei suoi affetti, dei suoi principi come modo per onorare in lui la grande Opera – sarebbe davvero irrispettoso per me medico non tenere conto della sua volontà di refluire come un ruscello nel grande fiume dell’Oriente Eterno .
Per Eugen Minkowsky la morte fa nascere la nozione non della vita ma di una vita , quella vita: “Sulla grande arena della vita vediamo attorno a noi avvenimenti, azioni, scontri,conflitti, sofferenze,episodi,gente che amiamo, invidiamo,ammiriamo ma tutte queste cose sono come gli atti di uno spettacolo teatrale che si susseguono e concatenano senza inizio e fine , come qualcosa di amorfo e impreciso.


Per quanto noi riusciamo a intravedere la trama di una vita è solo la morte che come un sipario obbliga alla visione sintetica della vita di quell’uomo. Di fronte alla morte vedo sempre tutta una vita ergersi di fronte a me , che sia cencioso o sontuosamente vestito come nella livella di Totò o nelle Catacombe dei cappuccini di Palermo essa mi rivela sempre la stessa cosa: una vita ora si è compiuta. Sentirò il bisogno di ricapitolare una vita come mai mi era successo. E’ la morte che inquadra il succedersi o la trama degli avvenimenti in una Vita. Non è nel nascere che è solo un fatto biologico ma nella morte che si diventà un unità, un uomo. Qui è solo l’ultimo paletto che conta , quando questo è piantato tutti gli altri spuntano dal suolo come per incanto a segnare tutta la vita trascorsa. La morte lascia dietro di sé una scia luminosa: riunisce in un sol fascio in una vita , tutto ciò che ha interrotto. L’identità tra gli uomini si stabilisce con la sim-patia e con la morte. La vita va in me verso l’avvenire ed io invece vado verso la morte.


Forse c’è un aspetto ” pro-spettivo” e un aspetto “retro-spettivo” nella personalità e il carattere degli umani oltre che l’introversione l’estroversione”.






Gli uomini di scienza non possono che essere favorevoli alla libertà della ricerca scientifica contro ogni intolleranza e oscurantismo, il punto di partenza e il punto di arrivo dovrebbe essere solo l’uomo e il suo bene .

Nel ricordare con Kant che è la morale per l’uomo non l’uomo per la morale, o la citazione del Talmud: "Non é l'Uomo per il Libro, ma il Libro per l'Uomo" ritengo che non esistono concetti umani, come la Morale - per quanto alta sia, che non vadano misurati sull'Uomo.


Penso sia giusto ed etico rivendicare la “libertà di indicare, in caso di malattia, come morire, interrompendo le cure senza subire la violenza della nutrizione forzata”. Il pensiero che un trattamento sanitario possa essere imposto ad una persona anche in presenza d’una esplicita volontà contraria mi spaventa molto e mi pare inutile e crudele.


Questo pensiero che accompagna la vita di noi tutti è una faccenda da affidare solo alle sorti della materia di cui siamo fatti ?


Il letteralismo a cui mi sono riferito , ancora una volta invece, confina la vita solo sulle sorti della materia e ci impedisce di vedere il significato spirituale della vita consegnandoci irrimediabilmente solo a quell’evento non nostro che è la morte organica. Mi chiedo dove sia la Pìetas in tutto questo ? Il preteso atteggiamento teologico che attribuisce a Dio la volontà di dare e togliere la vita pare qui ispirarsi ad un crudele atteggiamento letteralista e materialista nei confronti della morte e che teme la morte.

ANALISI DI GRUPPO di Claudio Crialesi


Una versione modificata col titolo “Terapia di gruppo” priva di riferimenti bibliografici e seguita da una breve intervista all’autore è stata pubblicata sul n. 120/2012 della rivista edita da F. Angeli Il Ruolo Terapeutico.


 
                                     
                                        Jackson Pollock (1912-1956)
Questo lavoro sintetico vuole presentare un metodo di analisi di gruppo; una visione generale. Ampio spazio viene lasciato al dato empirico di sedute trascritte. Una realtà sovente trascurata nelle trattazioni più estese o ardite.

Siamo seduti in un cerchio approssimativo, c’è un momento vago in cui si delinea un prima ed un dopo. Prima si era in attesa poi inizia “il gruppo”. C’è un’atmosfera satura di sensazioni nette o impalpabili. Gli sguardi si incontrano, si cercano o si evitano. Anche nel setting duale si attivano momenti di silenzio e ritiro, di percezione acuta della problematicità dell’incontro, ma nulla di paragonabile all’esperienza dell’esposizione nel gruppo. Probabile uno stato di vigilanza perottenere informazioni sul carattere benevolo o malevolo di un incontro (mi riferisco alle emozioniprimarie” secondo D. Siegel o ai “sentimenti di fondo” descritti da A. Damasio). Un’ impellenza personale; uno scambio di sguardi; le posture, possono generare il pretesto per sentirsi desiderosi di parlare o chiedere.

Presento la seduta di un gruppo nato da pochi mesi (all’inizio sono presenti solo tre persone). Con T si intende terapeuta.

Tina – dopo un silenzio teso: oggi non parlo lui non mi fa parlare (e indica me) – ancora silenzio -adesso chi verrà ancora?...chi parla? (sento crescere dentro di me la tensione) ci vorrebbero i lettoni qui e fare la cura del sonno – alcuni sorridono poi silenzio –
T: e come sarebbe la cura del sonno?
Tina: eh non lo so
T: non pensavo al come si fa concreto, come vi immaginate una cura del sonno ?
Gina: riposarsi – arriva Paolo che si scusa per il ritardo –
Tina: chi inizia a parlare? prima stavamo dicendo questo – breve silenzio –
Paolo: eh di cosa parlare, dovremmo uscire dalla nostra mente che si dà tante risposte
Carlo: sì uno si dà tante risposte, ma certe volte è utile sentire un altro parere
Tina (rivolgendosi al conduttore): lei dovrebbe farci dei tests, con le crocette, e poi dirci… -sorride- a volte mi viene da chiamarla preside
T: e cosa fa un preside?
Carlo: è un’autorità
Tina: dovremmo decidere l’argomento
T: sembra proprio questo il problema, cosa ne pensano gli altri?
Tina: mancano delle persone oggi…
T: non so se quello risolverebbe la difficoltà di comunicare o toglierci dall’imbarazzo – breve pausa– penso che immaginare di fare un ordine del giorno come in certe riunioni sia un modo per evitare le emozioni che possiamo vivere in questo momento e le scelte che possiamo fare solo noi – breve silenzio –
Tina: io mi metterei in un loculo con uno sportello per far passare il mangiare… ma d’estate staremo qui dentro o andremo fuori a parlare?
Paolo: oggi sono tutto rotto, ho male alle ossa ho faticato a venire – silenzio –
T: chi vorrebbe stare in un loculo al chiuso, chi ha faticato ad esser presente, però siamo qui e si cerca di comunicare.
Gina: io ieri ho passato una brutta giornata…non so ero triste, mia figlia mi chiedeva cosa c’è, cosa c’è…penso che sia il vuoto
Tina: anch’io sono triste
(silenzio, atmosfera spessa e pesante; facce assorte; qualcuno china il capo; sento l’impulso di rompere il silenzio, ma non saprei cosa dire di utile, resisto alla tentazione di parlare per parlare ed accetto il rischio di sbagliare; noto uno scambio di sguardi a cui partecipo anche io, penso a quanto abbia contribuito all’atmosfera di attesa di questa seduta, penso al vuoto di cui ha parlato Gina catturato dalla sua forza espressiva, ma inerme, incapace di trovare un pensiero che mi paia utile).
Paolo: eh siamo un universo, ognuno di noi è un universo, come si fa ad intrecciarli? l’altra voltasi era detto che dei problemi sono legati al nostro passato…lei aveva raccontato (indica Tina)
Tina lo interrompe: e non ho finito!
Paolo: a me ieri è successa una cosa…ho detto che mi sentivo tutto rotto…siamo in tre fratelli nostra madre è anziana ha subito diverse fratture per l’osteoporosi, a settimane alterne ci diamo il cambio perché la domenica la persona che la segue non c’è…va beh la vado a prendere e mi accorgo che ha una caviglia gonfia, le ho chiesto cosa fosse successo, le ho dato dei rimedi omeopatici…poi quando l’ho riportata a casa ho chiamato mio fratello che abita nello stesso palazzo di mia madre, gli ho detto guarda che ha una caviglia gonfia e lui risponde con voce secca eh prima non c’era sarà successo quando stava con te…e io gli ho dato uno schiaffo, poi mi sono trovato giù per le scale, calci e pugni (sorride) eh ma io sono riuscito a tornare su e ho mandato lui per le scale…calci e pugni mi si sono rotti gli occhiali (mi accorgo che circolano sorrisi) - breve silenzio 
T: un racconto drammatico però alcuni sorridono
Gina: mi è venuto in mente che mi sono picchiata con mia sorella una volta, ma eravamo grandi…eravamo in vacanza
Paolo riprende: poi devo fare la figura di quello che esagera…mia madre era fuori di testa per un ictus, me ne sono accorto solo io
Tina: ma dopo questo scontro c’è stata la possibilità di un chiarimento?
Paolo (con voce sempre più alterata e rabbiosa): ecco io sono così, reagisco aggressivamente, la mia capacità di ragionamento si azzera poi quando dovrei difendermi non ci riesco – piange 
-silenzio
T: siamo partiti da come sia difficile interagire ora è comparso lo scontro e la rabbia
Paolo: un boomerang che ho rivoltato contro mio fratello…la cattiveria
T: ma è cattiveria il dolore? Una madre malata tocca corde delicate
Tina: quante volte avrei voluto fare come ha fatto lui…secondo me hai fatto bene…io vorrei fare così invece mi viene paura di parlare
– breve silenzio 
T: il vuoto di Gina dolore di una sola parola, la paura di Tina, la rabbia di Paolo sembrano modi diversi per affrontare il problema di come incontrarsi, far valere le proprie idee o doversi adeguare -Carlo: poi in famiglia tra fratelli ci sono le gelosie.

Il piccolo gruppo analitico è un sentiero conosciuto mentre viene costruito. Le persone riunite non si sono scelte (la condizione artificiale del setting ed il ruolo d’autorità ricoperto dall’analista) però hanno deciso di prendere parte all’esperienza sia come motivazione generale sia quando confermano la presenza in ogni seduta. Le persone si confrontano, con se stesse e gli altri, con una domandacome procedere? Cosa fare di questa possibile esperienza?
Lo stare insieme diviene un laboratorio che riproduce dei processi vitalivivere l’inter-dipendenza; riconoscere la propria unicità ed i propri limiti; cooperare e competere; amare, conoscere, odiare(parafrasando Bion); confrontarsi con l’imprevedibile. Questo lavoro mentale implica la fiducia nella possibilità di imparare, ma si associa sempre ad un pensiero che respinge l’impegno e la fatica e l’incertezza.

Un episodio è rimasto scolpito nella mia memoria. In una seduta di questo stesso gruppo la signora Gina aveva esternato dubbi sulla voglia di continuare a frequentare le sedute, non riusciva a sentire cosa ne potesse ricevere. Dopo queste parole ci fu il silenzio; qualcuno timidamente accennò delle semplici domande (è successo qualcosa in questi giorni?”), altri la invitarono a chiarire le sue idee; altri la esortarono a darsi tempo. La signora Gina iniziò poi a raccontare della sua tristezza per la vita coniugale sino ad un pianto dimesso. Tutti colpiti e silenziosi (ricordo personalmente di aver intuito la pregnanza dell’evento, ma di esser rimasto incapace di intervenire) solo due persone esternarono affetto.
Nella seduta successiva la signora Gina parlò dell’esperienza gratificante vissuta nel precedente incontro, non le era mai capitato di sentirsi ascoltata in quel modo.
Possiamo pensare che Gina abbia sperimentato un “ricevere” a partire dalla sua capacità di “darsi”; verbalizzare la sfiducia nel gruppo, parlare del suo dolore, ha permesso una circolazione emotiva che sembrava preclusa dalle sue frasi iniziali. Entrare in contatto con altri e attraverso gli altri,entrati in contatto con lei, poter entrare in contatto con se stessa in modo diverso. Un gioco di specchi che il gruppo alimenta nel sincronico e diacronico.
Le difficoltà soggettive non possono essere avvicinate in un fantasticato “al di qua” della relazione, in un fantasticato luogo in grado di fornire strumenti e consigli da esportare nella vita “esterna” al gruppo per poi accedere alla felicità. Le persone vivono l’impossibilità di evitare la vita: ciò che fluisce e va sperimentato per poter pensare ed agire.

Voler praticare e proporre incontri di gruppo con finalità analitica implica una scelta di metodo. Ogni evento (sia il silenzio, il rumore o il dialogo) sarà considerato testimone di altri scenari:configurazioni di zone inconsce rese mute, imprigionate, scisse, negate. L’analisi della relazione e del transfert caratterizzano un lavoro duale; nel gruppo, per analogia, non possiamo scotomizzare lo sconosciuto che vive nelle pieghe dei suoi legami multipli. Questi nascono dalla presenza di più persone nello stesso spazio e tempo (il setting); dall’essere ognuno osservatore ed osservato (F. Corrao 1981, 1982), immerso in un’esperienza sensoriale totalizzante. In tale condizione il dialogo sarà necessariamente polifonico. Si presume che le parole di un partecipante siano fecondate dal discorso precedente, palese ed inconscio, e a loro volta le parole scelte ed usate dal soggetto faranno circolare nuovi contenuti capaci di accendere altre risonanze(R. Kaes, 1999, parla di “interdiscorsività”).
Si mobiliteranno desideri, angosce e difese (R. Kaes 1999) in un’atmosfera globale e di questo insieme sarà necessario occuparsi. In ogni seduta chi vuole inizierà a parlare e dovrà scegliere cosa dire, non sa in anticipo come lo dirà, né conosce come gli altri risponderanno. L’incessante tessitura e decostruzione di idee, affetti e circuiti relazionali rende plausibile parlare di un metodo analiticodi gruppo.
L’analista non giudica, non stigmatizza sano o malato, non porge indicazioni (astinenza e neutralità); si rende testimone e garante della circolazione di affetti e idee da nuovi punti di vista(C. Neri 2004, VII ediz). Nella tradizione detta “di gruppo” le sue comunicazioni erano rivolte solo all’insieme per catturare e far emergere la costruzione inconscia del collettivo. Doveva poi essere responsabilità e compito di ogni partecipante utilizzare, e far sviluppare, quanto emerso nelle sedute.
In base alla mia esperienza considerare le parole di un partecipante, sempre e comunque, una comunicazione del gruppo corre il rischio di mutare un’intuizione feconda in una certezza cherassicura. Ogni messaggio, in quanto condiviso, diviene un problema per quel gruppo in quel momento: come trattarlo? E torniamo al dato sostanziale che l’essere in un grupposentirsene parte,pone questioni inevitabili: idee ed emozioni diventano pensabili quando presenti nel vivo di ogni seduta, non sono affrontate come un discorso didattico (C. Neri 2004, VII ediz). La sintonizzazione dell’analista sulla dimensione globale resta un riferimento concettuale, ma la sua funzione èsoprattutto quella di sostenere la circolazione di idee e sentimenti con interventi non solo laconici e rarefatti.
Il setting di gruppo realizza un contesto nel quale si realizzano apprendimenti e identificazioni tra pari (i vari membri). Il dialogo sovente può contenere consigli, esortazioni, critiche, ecc. L’analista suggerisce una comprensione delle interazione prevalenti in un dato istante, ma non le giudica. In prospettiva un buon lavoro di gruppo dovrebbe condurre i suoi partecipanti a non lasciarsi irretire da risposte frettolose ai temi emersi ed ampliare la capacità riflessiva, eppure non mancheranno maialtre forme del dialogo e non sapremo con certezza quali eventi cruciali abbiano favorito delle evoluzioni.

Il gruppo vivrebbe il conflitto e l’oscillazione tra due condizioni. Da un lato la possibilità di apprendere da ogni evento, dall’altro lato l’affidarsi a convinzioni magiche, onnipotenti (Bion 1961). Apprendere implica accettare le condizioni di partenza (ad esempio: sono triste, mi hanno lasciato, sono arrabbiato, ecc.). Nel conoscere si incontra la fatica e l’errore, sino a poter cogliere che non si potranno possedere procedure per risolvere i problemi sorgenti da desideri, emozioni e legami; preservando la fiducia di tollerare il dolore e saperlo gestire. Apprendere implica trasformare le abitudini, luoghi interiori che rassicurano e proteggono. Il cambiamento può essere difficile e doloroso in quanto associato ad una perdita luttuosa del modo consueto di rappresentarsi l’esistenza. Apprendere implica accettare di non sapere, di essere mancante, e la fiducia che da altri potrò ricevere un aiuto. Imparare permette di sperimentare la propria competenza e di incontrare l’affermazione di se stessi.
I principali ostacoli in un percorso di trasformazione sono, a mio avviso, un difetto nella capacità di maneggiare le frustrazioni con le reazioni di collera verso gli eventi che hanno generato dolore. La collera (o rabbia) mira ad eliminare non ad affrontare e risolvere, per quanto possibile, un problema; uno stato mentale diverso dalla difesa degli interessi personali. Se ne possono incontrare varie gradazioni: dalla reazione umanissima, ma circoscritta al pervasivo odio per la realtà.
Ben diversa, apparentemente promettente, la speranza messianica, la convinzione che esistano persone potenti, perfette, invincibili ed altri poveri, sfortunati e incapaci in attesa di ricevere un miracolo (l’azione degli assunti di base).
In una seduta la signora A. di colpo afferma: “eh prima ero in sala d’attesa mi veniva da piangere, ho visto il dottore, adesso neanche una parola di consolazione”. La signora L.: “io forse  dovrei lavorare per uno o due mesi lontano da qui… sto aspettando che il dottore mi dica se posso andare e ritrovare il mio posto nel gruppo”.
Esempi vivi di una modalità di investire il solo terapeuta scotomizzando i compagni di viaggio e presupponendo di non poter partire da se stesi, e dagli altri, per indagare il proprio dolore. L’analista non racconta della sua vita e sovente viene considerato esente da problemi, allora solo da una persona in apparenza sovra-umana si potranno ricevere doni preziosi, soluzioni, amore incondizionato. Siamo in contatto con desideri ed emozioni così potenti da far tremare i polsi! Ho risposto a quelle sollecitazioni rilanciando domande e coinvolgendo gli altri membri (“cosa ne pensano gli altri di queste domande?”; “ signora A come mai pensa che la consolazione possa venire solo da me, eppure ci sono altre persone”; “signora L prima di chiudere il discorso con una regola, un no o un si, vediamo cosa le sta accadendo”). Devo aggiungere che le mie domande non hanno acceso nessuna curiosità né fatto decollare una riflessione sono state una testimonianza, un seme che potrà germogliare. Seguire un gruppo implica la capacità di sostare nel tempo necessarioal sorgere di intuizioni e pensieri personali; diverso voler condurre (annesso che sia possibile).

Partecipare ad un gruppo analitico non apre le porte al benessere per il solo fatto di esserci, questa sovente può essere una fantasia di totale regressione, un desiderio di abbandonarsi ad occhi socchiusi per ricevere un nutrimento atteso e preteso. La responsabilità soggettiva non è oscurata anche nei momenti di immersione nei fenomeni collettivi (propagazione di sentimenti o sensazioni),ognuno deve sentire il desiderio di impegnarsi attivamente nel lavoro collettivo.
Tale impegno non si esaurisce nella motivazione consapevole eppure la presuppone. Non vuol essere un generico appello alla “volontà” della tradizione filosofica, ma la stoica accettazione di un intreccio tra soggetto e gruppo, a volte suscitatore di evoluzioni, altre volte fonte di angoscia, ripetizione noiosa, sfiducia, paura della dipendenza. Ogni gruppo ha una storia e un’atmosfera equeste sono generate dalle traiettorie di ogni partecipante, compresa l’abilità dell’analista. Sarà inevitabile il succedersi di buone esperienze, fughe, interruzioni.
Sperimentare di non essere equipaggiati in modo automatico per affrontare le sollecitazioni vissute in ogni seduta, e riconoscere lo scacco subito da ogni attesa magica, sono potenti fattori che spingono verso un lavoro psicologico di contatto con quanto è reale: il gruppo di lavoro (Bion1961).
Un paziente durante una seduta interruppe lo scambio in atto chiedendo aiuto: “mi sento male, lo sapete io ho gli attacchi di panico, mi sento male, ecco vorrei scappare via di qui però se uscissi fuori mi ritroverei sempre con me stesso!”.
Non è certo comodo vivere un’esperienza e nello stesso tempo conoscerla e utilizzarla, ma è questa la sfida che ogni giorno affrontiamo dentro e fuori le sedute. Seguendo l’eredità bioniana l’evoluzione di un gruppo, quindi dei suoi partecipanti, riposerebbe nell’inesauribile tensione tra aspetti automatici (le emozioni e le idee degli assunti di base) e la conoscenza razionale.L’incapacità di muoversi da una condizione all’altra, di attingere alle qualità di quelle esperienze,impedirebbe il cambiamento.
Qualcuno potrebbe dubitare dell’utilità di una concezione generale sui fenomeni di gruppo, eppurecredo non ci sia niente di più pratico di una buona teoria. La consapevolezza intorno agli strumenti con i quali leggiamo i fenomeni permette di sorvegliare concezioni implicite e pregiudizi.
Nel mio percorso formativo e personale (dalla prima partecipazionecome giovane studente, ad un’esperienza di gruppo nella mia città natale all’addestramento come analista di gruppo) ho cercato di investire l’eredità ricevuta e di integrare lo studio con l’esperienza. In sintesi posso indicare alcuni paesaggi ricorrenti nella vita di un gruppo.

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Emozioni o idee che uniscono i soggetti in modo irriflessivo (propagazione rapida e persistente di atmosfere: gli assunti di base descritti da Bion; la socialità sincretica di Blejer, 1971).
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Momenti in cui prevale l’immedesimazione col racconto di uno dei partecipanti. Il tema trasforma il clima generale, ma prevale la risonanza tra alcuni membri. Ad esempio se una persona descrive un’insoddisfazione sentimentale ottiene facile solidarietà; può trascorrere molto tempo prima che si sviluppi una curiosità intorno alla vicenda o una messa in dubbio del punto di vista del narratore.
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Legami che rendono visibile sia l’empatia che un decentramento dei punti di vista. Il gruppo accetta l’espressione “democratica” delle idee in un clima di condivisione (sentimento e pensiero si fecondano vicendevolmente).
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Un dialogo e pensiero analogico (sogni, fantasie, associazioni, intuizioni, ecc.). La capacità di lasciarsi guidare dal lavoro mentale pre-conscio permette di prendere le distanze dalla concretezza, dall’impellenza di trovare risposte e soluzioni; permette di rigenerare uno spazio interiore disadorno e sovente precede o rinforza trasformazioni personali. Talefunzionamento è sempre segnato dall’ambiguità: attrae e spaventa. L’andamento discontinuo e imprevedibile sollecita l’idea di un procedere inconcludente (F. Corrao 1995).
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Un pensare razionale orientato alla verifica, alla scelta, alla responsabilità. E’ all’opera un esame spassionato, realistico, degli eventi di vita (propri e altrui); si può tollerare la separazione luttuosa da opzioni possibili e riesaminare propositi. Sancisce il diventare unapersona: fonte dei desideri, proprietario di quanto si sperimenta, autore delle scelte, capace di accettare le conseguenze delle proprie azioni. In questi momenti si può realizzare l’individuazione massima dal contesto di gruppo; i partecipanti sentono di poter accettare e sostenere la differenza; la difesa dei propri interessi; il conflitto (il gruppo di lavoro secondo Bion (1961); la socialità per interazione” di Blejer (1971); la logica lineare descritta da F.Corrao, 1995).
La possibilità di attraversare e vivere, per un tempo necessario, gli stati emotivi e cognitivi prima sintetizzati è un potente strumento evolutivo e un segnale della “salute del collettivo.L’oscillazione dall’una all’altra di queste posizioni è la migliore sintesi dei fattori terapeutici di un gruppo analitico. Si potrebbero elencare ipotesi intorno alle funzioni mentali coinvolte in questi processi eppure sono rimasto sempre stupito dal dato originario, fenomenico, da cui discende la potenzialità trasformativa di un’esperienza di gruppo (e ringrazio ancora R. Kaes e F. Corrao per averla sottolineata).
Ognuno dei partecipanti per il solo fatto di essere “un altro” può cogliere aspetti inconsapevoli nei suoi interlocutori e svolgere una funzione introspettiva. L’altro in quanto “alterità” incarna il distanziamento svolto dalla consapevolezza, l’altro in quanto “presenza” alimenta l’esperienza emotiva. Questo dato originario rende comprensibile la funzione di comprensione di ogni esperienza analiticadonazione di senso e connessione di stati motivazionali.

Ora torno alla trascrizione di due sedute per illustrare cosa può accadere nel vivo di un’esperienza gruppale.
Giusy: prima in sala d’attesa parlavamo di come siamo presi dalla frenesia del quotidiano
Bianca: si, sempre tante cose da fare
Giusy: ecco ma voi come vivete il tempo…il passato…è vero o no?
– breve silenzio –
Laura: ah io vivo nel futuro…e sempre negativo, non ho bei ricordi dell’infanzia, adesso sto proprio male tra vertigini, a volte appena muovo la testa ho dei capogiri, poi il fischio all’orecchio è terribile…mia madre sta bene nell’istituto…se penso a tutti gli anni che gli sono stata dietro con la sua malattia…però lì sta bene sembra anche migliorata, la vado a trovare tutti i giorni ha ripreso anche a parlare…mamma mia se penso anche ai problemi con la badante mi spendeva un sacco di telefono, poi parlava forte in arabo forse anche per questo mia madre si spaventava e parlava delle streghe…oh ho preso tutto il tempo
T: abbiamo appena iniziato, come mai questo scrupolo?
Fabio: secondo me bisogna vivere nel presente se no con tutti i problemi che ho…se mi metto a pensare… come l’altro giorno ero in autobus e ho visto una persona che andava in bici e…succede si vedevano le mutande che uscivano dai calzoni mi sono sentito male…è stata una frazione di secondo però…ho avuto paura di pensare ad un rapporto…mi rendo conto, ragiono, sarebbe male però se nessuno mi vedesse lo farei, però non lo faccio, quando mi capita mi fa male il fegato, mi sento spaccare lo stomaco, per questo è meglio non pensare, vivere giorno per giorno.
Giusy: certo è un problema pesante il tuo però te ne accorgi sarebbe molto più grave se non te ne accorgessi, riesci ad immaginare quella persona? Faresti quello che hanno fatto a te!
Fabio: si probabilmente è quello…forse ve l’avevo detto ho raccontato alla mia amica venezuelanache a me piacciono gli uomini, non l’ho più sentita…si poteva restare amici, non l’ho più sentita sarà rimasta male, non l’ho più sentita
Giusy: quello è un suo problema però il tuo
Bianca: e sì  
- breve silenzio –
T: siamo sollecitati dalle fantasie e dalle paure di Fabio, dal dubbio se e come il gruppo possa accogliere ogni cosa allora può venire il timore di essere respinti, non capiti
-
silenzio –
Giusy: io dovrei riuscire a superare la storia di mio marito, ma quando ti conosci da quando sei ragazzino…anche a casa ti prepari per il pranzo e ripensi a…
-
silenzio –
T: sembra difficile riuscire a pensare quando ci si sente abitati da corpi estranei che sia il passato, i ricordi, o un desiderio forte come la fame…all’inizio Giusy ci diceva è vero o no? Una domanda sulla nostra storia, su quanto ci è accaduto…e quello che pensiamo di noi è vero o no!? Ed il tempo veloce ci dice che non c’è l’infinito    
- silenzio –
Giusy: e si…
Bianca sembra annuire
Fabio: nel condominio mi stanno creando problemi con il cane dicono che quando scende per le scale sbava o sporca, ma io pulisco sempre, se pulisco qual è il problema; poi quando non ci sono dicono che abbaia…mica gli posso chiudere la bocca…sentirà la mancanza, si sentirà solo, poi lì nel condominio sono tutti parenti hanno gli stessi cognomi tranne due o tre, mi vedono come uno straniero…se mi vengono a trovare i parenti dicono che consumo più acqua e luce
Bianca: veramente ti dicono queste cose?
Fabio: si
Laura: era diverso prima è bello quando si vive in una cascina, ognuno nella sua casa però c’era il cortile, tutti i bambini che giocano…ho bei ricordi… io vivevo in una frazione e c’era il cascinale dove stava mio zio, magari si mangiava e si usciva fuori con il piatto all’aperto
Giusy: io ho vissuto in montagna fino ad otto anni che bello c’era la neve, la strada non asfaltata…i boschi volevo camminare a piedi nudi mi facevo male, poi giocare…
Laura: eri una capobanda?
Giusy (sorride maliziosa): si, infatti le mie figlie quando gli racconto dicono tu facevi queste cose! A noi ci hai vietato tutto…si adesso è diverso
Fabio: io vedo a Milano ci sono certe strade dove abitano gli stranieri tutte sporche con i rifiuti, le lavatrici
Laura: si l’hanno fatto vedere in tv poi arrivano gli zingari e le prendono (ride)
Fabio: preferisco fare tanti chilometri e tornare in provincia   - breve silenzio –
T: sono molto colpito dallo svolgersi dei discorsi…all’inizio sembrava esserci solo un passato triste ed un futuro negativo, invece sono comparsi ricordi spensierati, di condivisione, c’è spazio dentro di noi per l’entusiasmo e non solamente per la fatica di vivere
Fabio: io ho sempre bisogno che mi aiuti qualcuno…ho fatto a casa mia l’impianto per la musica ho messo i fili nel muro, fatto la traccia, stuccato, dipinto non mi sembra vero come ho fatto?
T: però l’ha fatto chissà perché tante volte si dice non lo so fare, non ci riesco
Laura: l’altro giorno si è fermata la macchina da cucire ho chiesto a mio marito e lui eh non ho tempo! Io ho visto che un filo si era staccato dal pulsante  e l’ho sistemato, adesso va…certo non sono un elettricista però
Tsi spera che un elettricista ne sappia più di noi  -  risata generale  -
T: scoprire di poter imparare sembra stupisca molto
Bianca: e si è probabile non si abbia fiducia in se stessi…in questi giorni è stato pesante dovevo fare a lavoro una certificazione di qualità, dovevano venire degli ispettori fare delle domande io mi sentivo…invece poi è andata bene
Tl’idea di non essere all’altezza viene scambiata per un dato di fatto e non considerata un’opinione, solo dopo potremo scoprire come è andata, ma è sconosciuto prima di agire
Giusy: io vorrei arrivare a fare un viaggio da sola per prendere l’aereo fare il check-in prima c’era sempre chi provvedeva (la voce diviene lenta e si affievolisce) adesso che sto facendo il corso di informatica (sorride) mi sento una ragazzina
Fabio: io potrei andare in California mi ha invitato un mio amico…
Giusy: e vai!
Fabio: eh non ho i soldi con il mutuo a tasso variabile…però ho preferito così che stare in affitto, poi mio padre mi ha detto che mi aiuta per l’acquisto dei mobili, ci sono perone che pagano 500/600 euro di affitto ma non è meglio che fanno il mutuo? Io l’ho fatto da un anno…ancora 29 anni – risata generale –
Bianca: si anche noi abbiamo il mutuo, va beh io sono sposata
Laura: pagare l’affitto è uno spreco

Dopo la seduta avevo stilato questi appunti; sovente è fuori dalla stanza che si coglie la complessità degli avvenimenti di cui si è stati co-autori. Ci può essere un tempo reso statico. Il passato è perdita irreparabile lo si vorrebbe solo dimenticare, ma torna a mordere la mente. Il futuro sconosciuto crea
terrore, a volte appare solo come dilatazione di un presente che non è l’accettazione del divenire, ma il tempo della depressione: è troppo tardi! Il tempo può essere turbinoso, frenetico, il succedersi di momenti discreti che costringono all’incessante perdita (Bianca).
Il tempo può esser percepito in modo lineare e finalistico: freccia scagliata nell’illusione di doverraggiungere il bersaglio di una maturità intesa come esonero da ogni tribolazione.
Di colpo la seduta conduce a rivedere il passato che allora assume i colori di una diversa nostalgia, movimento verso zone di se stessi prima soggette al diniego (bambini che giocano nei cortili; voler camminare a piedi nudi). Il passato non è solo dolore (si ricompongono scissioni) vi può esserecoscienza del distacco definitivo dagli eventi reali, ma nuova scoperta nel tornare a visitare stanzedella memoria episodica, con la consapevolezza della continuità e discontinuità della propria storia.Il tempo interiore può essere quello del progetto o della ciclicità emotiva.
Nella seduta è avvenuta una trasformazione del tempo vissuto. Attraverso la circolarità del dialogo si può ritornare in luoghi interiori, ma da prospettive diverse e poter rappresentare se stessi in modi non solo stereotipati.

Presento una seduta di un gruppo che ora vive da quattro anni e mezzo; siamo vicini alla pausa estiva.
(All’ora convenuta sono presenti Carlo, Tina, Federica pochi attimi ed arriva anche Alba.
Silenzio prolungato, decido di trattenere un “che c’è?” che sento prorompere dentro di me; mi sembra di cogliere una certa inquietudine. Arriva Aldo, si siede , si guarda intorno, anche io incrocio il suo sguardo).
Aldo: ma…stavate…
Alba e Carlo scuotono la testa
Aldo: dieci minuti di silenzio…
T: sembravamo tutti assorti, poi chissà il resto è mistero  
- silenzio –
Alba: sono agitata…penso a mio figlio…deve fare l’esame…il terzo anno di meccanica
Tina: in quale scuola?
Alba: è andato questa mattina non è ancora tornato sono agitata…(la voce appena udibile) lui ha preferito fare una scuola per andare a lavorare
Aldo: (sorridendo) ha fatto bene
Gina: per cosa? (si rivolge ad Alba)
Alba: meccanica…per fare il meccanico…lui ha avuto questa passione fin da bambino, gli piacevano le macchine…beh speriamo bene…lui…ha avuto il sostegno sin dalla II elementare
- silenzio -
Aldo: beh io volevo fare una domanda ci penso da tempo è una domanda per il gruppo, ma non per il dottore (sorride e mi guarda) tanto non risponde…ma quand’è che uno capisce che non deve più venire qui? Lo decide da solo o…perché io sono quattro anni che vengo qui…si era maggio quando ho cominciato…mi sento molto meglio rispetto all’inizio però non so…mi sembra di averne fatta di strada.
Arriva Roberto –
Aldo prosegue: perché io penso che poi non venendo più come andrà? ci sono qui altre persone che sono da parecchio tempo Carlo, Tina, altri da poco, altri sono andati via dall’oggi al domani…penso a Graziano ha detto io dalla prossima volta non vengo più
Carlo: però è andato a fare un’altra cosa…(a bassa voce)
T: non mi sottraggo all’invito di esprimere il mio parere è sempre raccomandabile quando si pensa alla fine della partecipazione non farlo di colpo, ma lasciare del tempo per pensarci, per valutare bene il proprio desiderio, però è vero che solo il diretto interessato può sentire a che punto si trova è un momento in cui ognuno di noi emerge dal gruppo, inevitabile che insieme alla soddisfazione per il cammino compiuto ci sia il timore del distacco, la preoccupazione di sentire la mancanza del gruppo
Tina: io per certe cose mi sento meglio per altre no…non so cosa rispondere
Roberto: però Aldo io penso…anche io mi sento meglio e vengo qui da un anno e mezzo… però va bene quando a lavoro faccio contratti di migliaia di euro, lavoro ma non mi sembra di lavorare poibasta che una cosa non va…io vado dall’onnipotenza a sentirmi giù, o bianco o nero…mi è capitato di dire che tante volte vengo qui e mi sembra che si arrivi al nocciolo dei problemi l’ultima mezz’ora
Aldo: (sorridendo) ma no adesso sei al nocciolo dei problemi
Breve silenzio
Roberto: io penso che qui si può venire per tanti motivi, ma troverai sempre qualcosa di utile…è la differenza tra andare a zoccole o innamorarsi  - sorrisi generali –
T: eh può sembrare scandalosa, ma l’immagine dice molto c’è differenza tra andare con una donna a pagamento o coinvolgersi con sentimento
Roberto: perché quando ti innamori poi scopri tante cose trovi una donna hai risolto certi problemi…poi vai avanti fai dei figli…3,4 (sorride) fin o a che dura l’amore
T: credo che questo scambio intorno a cessare di partecipare al gruppo si possa mettere in rapporto con l’avvicinarsi delle nostre vacanze (mi sembra di cogliere espressioni del viso sorprese o preoccupate) ed allora emergono posizioni diverse chi si può sentire stimolato a riflettere su un vero progetto di distacco chi indica il desiderio di non lasciarsi mai
Roberto: ah… ma quand’ è che ci salutiamo?
T:  sembra che non ci si ricordi, come le altre volte a fine giugno
Alba: oh mamma
Roberto: non ti preoccupare Alba ci vediamo noi (sorride) ci mettiamo seduti qui fuori sui gradini
Aldo: non sarebbe lo stesso
Segue un breve silenzio e poi si sviluppa un serrato dialogo tra Roberto ed Aldo (sovente Roberto si ingaggia in questi accoppiamenti in cui c’è sempre una venatura competitiva) intorno ad iniziare un lavoro psicoterapeutico a partire da un bisogno, iniziare per uno stato di necessità; Aldo precisa che poi questo stato si risolve o modifica, Roberto ribadisce che si può andare avanti in quanto si sviluppano altri temi ed obiettivi.
Federica (rimasta sempre in silenzio): io…non mi sento coinvolta fuori di qui…nel senso di pensare al gruppo quando non sono qui, però il lunedì ci penso e mi sento a disagio, non so come esprimermi…per me un problema come gli attacchi di panico è anche una sensibilità non è solo un problema…invece i miei genitori sono così tutti di un pezzo.

Insieme al supervisore si poteva sviluppare un dialogo sul senso generale della seduta; questa la sintesi dai miei appunti. L’interruzione delle sedute, per le vacanze, induce diversi pensieri. Aldo ne trae spunto per vedersi in una prospettiva di emancipazione, di revisione dell’idea che un lavoro psicoterapeutico conduca alla risoluzione di tutti i problemi o renda immuni da future difficoltà. Roberto incarna con veemenza il rifiuto della separazione, indica con argomentazioni razionali che si “deve” restare insieme per sempre altrimenti non ci sarebbe vero amoreViene messa in dubbio la convinzione tacita che il gruppo coincida col desiderio di legami immortali e presenza infinita.
Il conduttore esce dall’astinenza per segnalare i fenomeni emotivi e diviene in parte “legislatore”; ricorda le regole del setting, ma indica la possibilità di individuarsi. Diviene testimone della speranza di poter vivere anche senza il gruppo e diverrà senz’altro inviso a chi teme la perdita e ilconflitto di opinioni.
Bibliografia

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Dr  Claudio Crialesi
Psicologo-Psicoterapeuta
Socio IIPG – Istituto Italiano Psicoanalisi di Gruppo
333.5706599
claudio.crialesi@virgilio.it