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LE ANIME DELLA CURA NEL TERZO MILLENNIO





MU "il pieno e il vuoto nelle sculture di KENGIRO AZUMA di Camilla Latronico

                          



"L'idea è quella di rappresentare la parte invisibile dell’uomo,

che però non ha una forma ben definita.

I sentimenti non hanno una forma precisa, sono cose astratte.

Ho abbandonato la rappresentazione dell’uomo,

dedicandomi a quella dell’anima”

K. Azuma



Qui è rappresentato il pieno e il vuoto: non c’è l’uno senza l’altro, indivisibili,


necessari, inevitabili eppur così profondamente diversi, opposti, l’uno è l’estremo dell’altro.


Il contrapporsi tra pieno e vuoto rende unico l’incontro tra i due, incontro apparentemente


impossibile eppure così armonico e assolutamente reale. L’opera di Azuma è tutta basata su questo mistero.


L’idea innovativa dello scultore è quella di dare importanza alla parte “invisibile” dell’uomo…


anima? Psiche? Inconscio? Lui non ne definisce la struttura,


non ne descrive forma e caratteristiche, neppure gli regala un nome ma ne rappresenta l’essenza.


Nei cuori degli occidentali del nostro tempo, immediatamente emergerebbe la contrapposizione


tra tali elementi ma l’autore sostiene: “ la fisicità non è il contrario dello spirito, è una stagione


nel grande ciclo dell'essere”.


Corpo e spirito non si contrappongono ma coesistono, non lottano ma convivono,


si affiancano, completando l’esperienza dell’essere vivi. Certo questo corpo ci


appartiene per un tempo limitato ma lo spirito? Sarà a lui attribuito il titolo di “vuoto”,


quasi a definirne la natura inconoscibile ed intangibile che da sempre gli appartiene?


O quel vuoto è il corpo, destinato a spegnersi e ad abbandonarci nel giro


di una manciata di sospiri e qualche sprazzo di vitalità nella confusione degli anni che corrono via?


E se invece il pieno fosse solo la via che apre al vuoto?


O il vuoto è solo lo spazio che chiede di essere riempito?


Bion accetterebbe di buon grado l’idea che il vuoto resti lì ad esprimere la sua natura inevitabile.


Egli probabilmente ne farebbe accenno con il concetto di“capacità negativa”


ossia la “capacità che un uomo possiede se sa perseverare nelle incertezze,


attraverso i misteri e i dubbi, senza lasciarsi andare ad una agitata ricerca


di fatti e ragioni”.


La capacità di non offrire immediatamente spiegazioni o interpretazioni


ma avere quella qualità di non intrusione e non decodificazione (A. Ferro).


                          

L’intenzione dello scultore è quella di dedicarsi all’anima dell’uomo, per lui intangibile


e non realizzabile attraverso l’uso dei materiali di cui si serve, eppure il vuoto sembra


essere l’elemento privilegiato da utilizzare per tale rappresentazione.

Inevitabilmente il vuoto è legato al pieno. Convenzionalmente il vuoto va riempito


ma chi vieta che resti tale? Chi vieta dirispettare la dignità di tale vuoto?

In Giappone il concetto di vuoto è espresso con tre diversi ideogrammi: Kyo, Ku e Mu.



                   


Qui mi concentrerei sul significato del termine Ku che originariamente significava “grotta” cioè “luogo

nel quale si abitava”, lo “spazio vuoto”, “limitato”, “racchiuso”. Lo stesso carattere nel corso


del tempo è stato utilizzato per indicare il “cielo” inteso come “universo” ed “infinito”.


Un vuoto, dunque, che racchiude il tutto, che trattiene in sé il possibile, il potenziale


realizzabile. Il nulla è coincidente con il tutto, è la libertà del tutto, è lo spazio della possibilità.


Questo spazio vuoto è alla base della poetica giapponese e Azuma trasporta


nell’architettura l’idea che il vuoto sia da “esperire”, quindi che si pratichi e si viva,che


trovi forma in manifestazioni che, come l’architettura, siano definite dal vuoto stesso.


La cultura occidentale porta nella parola “vuoto” il concetto di “assenza” e di “mancanza”


ma qui il vuoto ha una sua realtà, una sua efficacia, in quanto è un secondo elemento


senza il quale il pieno non troverebbe modo di essere.


L’autore fa notare come l’utilizzo


del vuoto nella sua “poetica” è al fine di rappresentare la parte invisibile dell’uomo, ciò


che è intangibile ma perdura per sempre, è eterna

È chiaro come l’esperienza di vuoto si esprime come assenza della possibilità


di esistenza separata, in questo caso dal pieno.


A questo punto, dunque, è quasi un obbligo fermarsi a riflettere su come i due


elementi si esprimano in virtù della relazione che li lega e dalla coesistenza degli stessi, non


dalla loro separatezza.


Lo stesso Bion, con la sua carica innovativa, ha portato


nella psicoanalisi l’idea che PS e D fossero coesistenti, costantemente in


oscillazione, in continua relazione ed esistenti proprio in virtù dell’altro.



                         


La stessa dinamica contenitore-contenuto esprime l’impalcatura
di tale relazione. L’uno vive per l’altro e con l’altro.
Il contenuto esiste perché ci sia un contenitore, il contenitore esiste per accogliere un contenuto.

Azuma afferma: “Zen vuol dire essere vuoto. È come tenere un bicchiere vuoto.


Se il bicchiere è vuoto è sempre pronto a ricevere”



                   


K. Azuma è oltretutto conosciuto per la realizzazione di giganti gocce d’acqua “crepate”

nella superficie che lasciano intravedere l’interno, ciò che in esso è contenuto, nascosto o

semplicemente custodito. L’intenzione è quella di rappresentare ciò che nell’uomo è essenziale.

Renderlo visibile agli occhi di tutti con forme estremamente voluminose, in contrasto con la

realtà dell’oggetto in questione (l’invisibile goccia).

A tal proposito afferma: “Ho realizzato molte gocce d’acqua di bronzo perché

la goccia d’acqua non si può mai vedere perfettamente. Appena la goccia si stacca

dalla grondaia, assume una forma perfetta che però non riusciamo a cogliere

con i nostri occhi. Io credo che la nostra vita sia un po’così. Non saremo

mai uomini perfetti come le gocce d’acqua, neanche studiando profondamente.

Nella goccia di bronzo faccio poi dei buchi.

Quello che rende un bicchiere tale non è il materiale con cui è costruito,

ma il vuoto che viene riempito dalla bevanda che vi versiamo.

Cerco quindi di esprimere utilizzando lo spazio vuoto ciò che è veramente importante,

cioè l’anima, l’amicizia, la vera solidarietà, il modo di convivere.

Con la mia sensibilità devo poi capire dove mettere i vuoti per comunicare ciò che intendo comunicare.”

L’umanità e la profondità delle ferite di un artista che ha

sulla pelle ancora l’odore della guerra, si esprime al meglio nell’idea

che l’anima sia intangibile, quasi irraggiungibile ma assolutamente

essenziale ed in continua relazione con ciò che ne permette la massima

espressione, il corpo, quello che in architettura sarebbe il materiale di cui la scultura è costruita.

La ricerca dello scultore è rivolta inoltre alla fede, parte intangibile dell’uomo di cui egli prende consapevolezza nel momento in cui un dolore così forte, come la delusione,
entra a far parte della sua vita.

La delusione che svuota mente e corpo, riporta in superficie la necessità

di ritornare all’origine di ogni cosa. La sua è una scultura fatta di materiali

semplici come legno o bronzo, le forme estremamente lineari si accordano

con il bisogno di ricercare l’essenziale che si manifesta in opere di naturale e umana bellezza.