tratto da : http://www.griseldaonline.it
“Le teatrali e struggenti “Estasi di Santa Teresa d’Avila” (1647-1652) in Santa Maria della Vittoria e “Monumento alla Beata Ludovica Albertoni” (1671-1674) nella Chiesa di San Francesco a Ripa mostrano in maniera inequivocabile la grande matrice barocca dell’arte del Bernini:i volti della santa e della beata sono colti in un’espressione di estasi così pronunciata da far pensare più che a personaggi presi da esaltazione mistica a donne travolte dall’ebbrezza del sesso, i panneggi delle vesti sono dinamicamente mossi mentre la forte teatralità dei due lavori è confermata dai componenti della famiglia Cornaro affacciati ad un balconcino che assistono all’estasi di Santa Teresa e dai volti di angioletti che osservano l’ebbrezza della beata Albertoni(…) “
La sensualità barocca
Tutta la cultura del Barocco è caratterizzata dall’emergere decisivo della sfera dell’esperienza. Questo si spiega in parte come contraccolpo del particolare tipo di rapporto con il mondo che l'indagine scientifica va affermando - nel suo frugare dentro la realtà e ritagliare le cose nella loro estensione sensibile, inscritta nello spazio e nel tempo. D’altra parte, la messa in discussione dei modelli precedenti di spiegazione dei fenomeni naturali – ma anche di quelli sociali, economici e più in generale antropologici – che la cultura Barocca va operando, conferisce un’importanza nuova e diversa all’esperienza diretta, non mediata da schemi ideologici o religiosi o estetici preordinati, ma anzi esposta e aperta curiosamente al mondo. Tale rinnovato significato dell’esperienza si rivolge per un verso all’esterno del soggetto – in una realtà che si spalanca misteriosa e ingannevole, ma straordinariamente ricca di stupefacenti novità. Per altro verso invece – anche per l’azione profonda che la Controriforma opera all’interno del soggetto, scuotendone la coscienza e acuendone il senso di responsabilità per il peccato – una nuova importanza viene ad assumere l’interiorità del soggetto: nel “profondo del cuore”, nei suoi spazi sempre più bui e sconosciuti mano a mano che l’uomo del Seicento vi spinge lo sguardo, si vanno ricercando le tracce di una divinità che pare avere abbandonato il Cielo e il Libro, per ritrarsi nelle pieghe più intime e umbratili della coscienza.
Centro, limite e discrimine di questo duplice versante dell’esperienza – quello diretto verso l’ambiente esterno e quello rivolto al mondo interiore - è il corpo con i suoi sensi. Di tale rapporto tra esteriorità e interiorità la pelle e i sensi – quasi porte e soglie tra le due sfere dell’esperienza - sono allo stesso tempo il punto di incontro, lo strumento e il criterio di indagine. Con i sensi il corpo barocco sprofonda nella realtà, percependola nella sua densità carnosa e interrogandone il senso sfuggevole e apparente. Con i sensi la cultura barocca s’immerge nell’interiorità dell’immaginario e della coscienza a percepire l’emozione e la passione in tutte le loro sfumature ed ambiguità, ma anche a sperimentare i segni del divino e i modi della sua presenza.
Tale sensualità, infatti, si spinge a descrivere, rappresentare ed esprimere anche l’esperienza del sacro. I corpi dei religiosi sono percorsi dall’emozione dell’estasi; i corpi dei martiri sono esibiti nella loro nudità sofferente, mentre vengono feriti, lacerati e sottoposti ai più feroci supplizi; i corpi dei santi, tra schiere di angeli semivestiti, vanno ad affollare soffitti, pareti ed absidi di chiese e cappelle. Il linguaggio figurativo e letterario del classicismo si piega a rappresentare questa nuova sensibilità. In tale trasfigurazione del classicismo - di cui il Marino è forse il più consapevole esponente, ma che investe tutta la cultura Barocca, almeno fino agli anni trenta del Seicento - tutta la vicenda evangelica della Passione di Cristo, ad esempio, viene messa in contatto con il mito classico e la sua grande potenza immaginaria. Ne vengono accentuati gli aspetti patetici, ma ne sono anche declinate tutte le risonanze sensuali. Così, mentre la pittura “realistica” di Caravaggio cerca il divino nei corpi – il gesto delle mani, le pieghe della pelle, gli sguardi - la pittura “classicista” di Guido Reni reinterpreta la classicità con una nuova sensibilità per la luminosità della pelle e per il patetismo silenzioso dei gesti, coniugando iconologia classica e contenuto religioso.
La stessa sensualità investe gli oggetti della realtà di tutti i giorni: bicchieri, orologi, strumenti musicali, candele, libri, frutta, cacciagione – tutte le rappresentazioni della vanità del tempo che passa - trascorrono dalle nature morte e dalle vanitates(rappresentazioni allegoriche della vanità della vita) dentro alle pitture dei grandi maestri fiamminghi, come anche nei testi dei grandi mistici secenteschi. Costoro interrogano gli oggetti nella semioscurità degli interni in cui quotidianamente e ordinariamente si trovano, cogliendoli nei silenzi profondissimi da cui paiono sorgere e cui ancora sembrano alludere, mentre si offrono allo sguardo pensoso che li percorre. La dimensione nascosta della realtà, la sua evidente eppure sfuggevole ragione d’essere - quel resto lontano dell’origine delle cose, che si rivela quasi dileguando proprio al mostrarsi degli oggetti nella loro nudità - scopre in tal modo la dimensione mistica del mondo, in bilico tra presenza e assenza, tra attimo ed eternità, tra nulla e qualcosa. Il Barocco coglie anche questa dimensione della realtà: gli oggetti, percepiti attraverso i sensi e realisticamente rappresentati, diventano silenziosi depositari di un’enigmatica verità, prossima al divino.
Il corpo barocco e i sensi
Il Barocco fatica a vedere e definire oggetti fermi entro un realtà compatta. Tende invece a vedere e rappresentare oggetti in movimento continuo nello spazio e in metamorfosi costante nel tempo. Allo stesso modo, l’idea di corpo che emerge dalla letteratura barocca pare essere quello di un corpo in movimento o colto nel momento di una metamorfosi. E’ il caso di un gruppo marmoreo quale Apollo e Dafne di Gian Lorenzo Bernini, oggi alla Galleria Borghese di Roma, in cui movimento e metamorfosi sono moltiplicati nella percezione stessa dello spettatore, coinvolto e “incorporato” nell’opera: egli viene indotto a seguire il gruppo con gli occhi, ma anche con il suo corpo stesso, muovendosi intorno alla scultura, in modo tale da venirne lentamente scoprendo un lato “frontale” - da cui Dafne appare ancora una fanciulla dalla pelle liscia e giovane - e un lato “posteriore” – evidentemente successivo anche in ordine di tempo – in cui la fanciulla, che nella sua fuga pare ora andare allontanandosi dallo spettatore, è ormai ricoperta di placche legnose, mentre le sue dita vanno oramai germogliando in irsuti ramoscelli di alloro. Si tratta di una visione già cinetica: una sorta di cinematografia ante litteram, esaltata dal virtuosismo (e dalla sottesa antitesi) che deriva dal fatto di trovarsi di fronte ad una materia per definizione immobile e dura come il marmo – ma che pure viene piegata e quasi impastata con la luce in evidenti effetti di grande sensualità, cogliendo d’altra parte l’attimo (concepito solo come figura-culmine del passaggio e della tensione tra opposti) che immobilizza la fanciulla nelle forme dell’albero e ne rapprende la pelle d’alabastro in opache scaglie legnose.
Ma il corpo barocco appare metamorfosato e messo in movimento anche ad un livello ulteriore. Proprio il tipo di percezione sensoriale che il Barocco evidenzia è del tutto particolare. Gilles Deleuze ha perfettamente descritto questo tipo di percezione nell’opera di un grande pittore del Novecento come Francis Bacon, nel saggio Logica della sensazione, sottolineandone peraltro il valore per così dire teoretico, fondato sulla geometria degli spazi e dei piani sensoriali. Prorpio nel Barocco si trova l’archeologia di questa percezione, anche in questo caso, come vedremo, legata alla dimensione della geometria e del calcolo matematico, per esempio nell’opera di Leibniz o di Pascal. In genere, nlla cultura del Barocco è come se il corpo fosse immerso nella realtà e da essa fosse attraversato in entrambe le direzioni: dall’esterno verso l’interno e dall’interno verso l’esterno. E’ come se attraverso i sensi esso si liquefacesse nella realtà, protrudendosi e insinuandosi dentro le sue pieghe – e viceversa accogliesse il mondo esterno dentro di sé, facendosi penetrare da esso attraverso le soglie dei sensi. La carne barocca si espande nella realtà fino a dove giungono i sensi e viene trafitta e percorsa dalle sensazioni fino all’interno del corpo. Si potrebbe forse dire che attraverso l’esperienza barocca dei sensi si pone in evidenza una percezione precedente a quella del corpo fisico: una percezione immaginaria della realtà, in cui tutte le sensazioni - vista, udito, tatto, odorato - vanno a confluire e sovrapporsi. Si tratta, certo, di una percezione immaginaria, ma pure sensualissima, per cui il soggetto può vedere con la bocca e baciare con gli occhi – in cui, cioè, la protrusione della vista dentro la realtà esterna (incursione che peraltro il Seicento viene perfezionando con l’ausilio di strumenti ottici meccanici) può rovesciarsi nella intrusione della realtà esterna nell’interiorità, attraverso la bocca o le orecchie. E’ una dimensione in cui il “vicino” (il momento del baciare) e il “lontano” (il momento del vedere o dell’udire) non sono più luoghi reali, ma luoghi di un immaginario geometrico – che pure hanno tutta la rilevanza di luoghi fisici, legati all’esperienza.
Più precisamente, questa idea del corpo si presenta come un intreccio tra attività e passività: attività di indagine sul mondo (protrusione sulle cose) e passività delle sensazioni (disposizione ad essere percorsi e invasi dalle sensazioni esteriori). Si tratta di un intreccio che trova la sua massima intensità nel rapporto amoroso – come è ovvio. E immagine di questo rapporto complesso tra interiorità ed esteriorità e tra attività e passività è, in generale, proprio la nudità stessa - la pelle scoperta ed indifesa con cui si fa esperienza delle cose, ma anche superficie lieve ed esposta in cui si prova la passività e la esposizione del corpo all’esterno. Più in particolare, in due altre immagini si traduce tale stretto rapporto tra interiorità ed esteriorità, sensazione e passività: la ferita e lo svisceramento. Si tratta di due immagini che avevano già una tradizione ben definita all’interno dell’immaginario sia letterario sia mistico e che il Barocco – per il tramite ingegnoso del concetto – svolge e varia in tutte le sue implicazioni. La distinzione tra homo interior e homo exterior ha una tradizione che risale alla teologia paolina, ripresa poi da Agostino e posta a fondamento della distinzione tra esteriorità sensitiva ed animale (“homo exterior dicitur quod habemus commune cum animalibus”, Quaestiones in epistulam ad Romanos, q.158) ed interiorità angelica (“homo interior quod commune possidemus cum angelis”,ibidem). La ferita e lo svisceramento evocano una osmosi tra le due aree, un ambito di indecidibilità tra umano e inumano, tra angelico e animale, la cui soglia è la sensazione interpretata come passività e consunzione: l’uomo si assottiglia fino a farsi spazio mobile di attraversamento e consunzione. Si apre un nuovo spazio di interpretazione dell’umanesimo, che caratterizzerà a fondo la “modernità”.
Il corpo mistico: L’estetica di Giovan Battista Marino .
L’autore che con maggiore lucidità e consapevolezza mira a fare convergere il piano dell’esperienza mistica – vale a dire dell’esperienza diretta della divinità - e quello dell’esperienza letteraria è certo Giovanbattista Marino. La sua poetica punta, da una parte, a mettere in contatto i vari sensi tra loro, cercando di evocare la sostanza irrapresentabile e metamorfica che sta alla base di ogni immagine, come di ogni suono, come di ogni percezione tattile – e che insieme attraversa ogni visione, ogni canto, ogni sensazione. D’altra parte, egli mira a trasfigurare il classicismo, mutuandone temi, immagini, situazioni, modi – ma reinterpretandoli attraverso una sensibilità moderna completamente diversa da quella antica, in quanto marcatamente sensuale e centrata sulle emozioni, per cui quelle immagini “classiche” rimangono come una sorta di riserva e serbatoio di senso in cui cercare ispirazione. E’ l’esperienza del soggetto moderno, insomma, a dare senso alle figure mitologiche della classicità, così come a quelle testamentarie ed evangeliche. E’ la parola poetica moderna a rielaborare quei modelli e trasformarli in esperienza per il soggetto moderno: quei modelli, in sé, non hanno più alcun significato precostituito. Questa sorta di sincretismo culturale ed estetico porta Marino ad incrociare consapevolmente temi ed immagini classici con temi ed immagini biblici ed evangelici: è il motivo per cui la figura di Adone – proprio come eroe innocente della “passività” – viene avvicinata a quella di Cristo, attraverso tutta una serie di rimandi e di precisi segnali. L’incontro tra temi cristiani e temi classico-pagani avviene soprattutto nel nome della sensibilità erotica, anche appoggiandosi alla preesistenza di un lessico spesso comune sia alla lirica amorosa, sia a quella mistica – per la coincidenza di “conoscere” e “amare”, implicita nella teologia cristiana. L’esito è una sorta di dispiegamento di un erotismo in cui convergono comportamento, religione ed arte e che trova nella poesia e nella musicalità del verso il suo centro unificatore – come nel poeta il suo massimo realizzatore. Negli stessi anni, la medesima tendenza a fare convergere figurazioni classiche e temi religiosi è comune anche ad un pittore come Nicolas Poussin, della cui sensibilità artistica Marino fu grande estimatore e delle cui opere fu avveduto collezionista. Entrambi operano una trasfigurazione della classicità eroica in una sensibilità moderna, per molti versi del tutto antieroica, ovvero di un eroismo martirologico della follia, del dolore, dell’eccesso insensato.
L’esperienza mistica
Il convergere del piano mistico e di quello letterario sono facilitati nel Barocco dal fondersi delle immagini e dei temi comuni alle due letterature. D’altra parte proprio l’esperienza dei sensi e del corpo si pongono come terreno di incontro delle due sfere di esperienza: quella del divino e quella dell’interiorità.
Il Concilio di Trento, nel tentativo di sottrarre il testo biblico alla deriva di interpretazioni e di traduzioni che l’età moderna squadernava, impone la sparizione fisica della Bibbia. L’Indice di Paolo IV, nel 1559, aveva proibito il possesso e la lettura di ogni testo biblico in volgare. L’Indice del 1580 proibisce non solo la traduzione, ma anche la parafrasi o la trasposizione poetica di passi della Sacra Scrittura. Nell’Indice di Clemente VIII del 1596, il divieto si estende anche ai sommari e ai compendi. Alla pubblicazione degli Indici segue la repressione, con la confisca puntuale e sistematica dei testi trovati in chiese e monasteri.
In tal modo, l’esperienza del divino si stacca dalla lettura del libro e si sposta nella esperienza quotidiana della preghiera. “Tace il libro, parlano i corpi”, per citare Carlo Ossola. Si cercano così proprio sulla carne le testimonianze della Grazia: corpi denudati, piagati - colpiti dalla violenza e dalla dolcezza amorosa del divino. Sono corpi che sperimentano la violenza dell’irrompere del divino, nell’essere “fogliati” o scorticati – secondo un’immagine mistica che è già figurata nel Marsia di Dante (Paradiso, I). Sono corpi su cui il detto biblico “Verbum caro factum est” (“La parola è diventata carne”, Giovanni, 1,14), si fa esperienza diretta, per cui Dio può scriverli quei corpi, incidendo la pelle o il cuore con inchiostro di sangue, come fossero pagine di un libro; o tesserli come tele, trapassandoli con aghi di dolore e trapuntandoli di perle – come in un «peircing» ante litteram - per rinnovarli, rivestirli, abbellirli e ornarli (come sostiene il mistico francese Jean Joseph Surin nella lettera “à la Mère Jeanne des Anges, ursuline, à Loudun”, del 29 luglio 1659).
Di nuovo, si tratta di un corpo comunque reso passivo di fronte alla potenza della divinità, i cui effetti sul fedele sono espressi attraverso le azioni metaforiche “fisiche” e corporee dell’ “invadere”, “bruciare”, “incidere”, “ferire” e “risanare dolcemente”. È una passività che giunge fino all’annichilimento, alla riduzione a nulla, alla morte mistica come annullamento in Dio. E proprio il tema del nulla assume ora un’importanza del tutto nuova. Dio sparisce dal cielo, scacciato dal progredire del telescopio; sparisce dal mondo, scacciato dalla ricerca scientifica; sparisce dal Libro, il quale viene sottratto dai provvedimenti controriformisti. Si ritrae dunque nell’interiorità, in quel luogo intimo in cui non può arrivare la coscienza, né la memoria, né la parola. E in quella interiorità profonda, nella semioscurità di quella cripta della mente, illuminata dalla luce sovrannaturale del divino, conserva tutta la potenza sensuale che la “realtà” gli ha sottratto. E, d’altronde, che Dio sia nulla rispetto al mondo, nulla di ciò che sensibilmente è, diviene un’idea ammissibile: la mistica – in quanto esperienza del divino - diviene l’esperienza di un desiderio e di una mancanza assoluti.
Il corpo barocco ed i sensi nella Poesia .
Il Barocco sviluppa un tipo di esperienza dei sensi del tutto particolare. La metafora e le altre figure retoriche cessano di essere solo un modo di disporre il testo sulla pagina, o di renderlo più efficace, per diventare un modo di percepire il mondo, di farne esperienza. La trovata ingegnosa, la cosiddetta arguzia o acutezza, attraverso la metafora, diventa un modo di conoscere il mondo, una modalità dell’esperienza. Si tratta di un’esperienza in cui i sensi hanno un rilievo straordinario: la percezione sensibile, attraverso l’elaborazione ingegnosa e retorica, si confonde con l’esperienza immaginaria. Il corpo pare liquefarsi nella realtà - allargando la sfera dell’interiorità a tutto lo spazio raggiunto dai sensi e aprendo il corpo ad essere attraversato, percorso, trafitto e imbevuto dalle sensazioni. “Ferita” e “svisceramento” traducono in immagine questo tipo di esperienza di apertura e liquefazione del corpo dentro alla realtà, lo scambio immaginario di interiorità ed esteriorità.
Proviamo a leggere alcuni esempi poetici che possano testimoniare questo tipo di esperienza dei sensi, del corpo e della carne.Tra i ritratti di donne “belle, impudiche e scellerate” – troviamo il ritratto di Angelica. Si tratta del personaggio dell’Orlando Furioso, di Ludovico Ariosto, la quale, dopo lungo fuggire vari cavalieri innamorati, è infine caduta innamorata lei stessa del giovane saraceno Medoro, ferito e da lei medicato. Il poeta immagina che sia il ritratto stesso di Angelica a parlare e descrivere il suo innamoramento, con un sottile gioco arguto e concettoso sul tema della piaga d’amore.Il testo è tratto da G. Marino, La Galeria, a cura di Marzio Pieri, Liviana, Padova 1969.Il componimento si compone di due ottave di endecasillabi.
ANGELICA
1
Il fido annel , che per virtù d'incanti
d'involarmi a le viste ebbe valore ,
m'ascose agli occhi de' sagaci amanti
ma non del cieco e più sagace Amore.
Errai fra l'armi e fra gli armati erranti,
or di me fanciul nudo è vincitore;
tal che ferita da l'altrui ferita ,
per dar vita a chi muor, perdo la vita.
2
M'assido a lato al giovane Africano,
di crudo feritor Medica pia .
Ei con gli occhi m'uccide , io di mia mano
di curar il suo mal tento ogni via.
Mentre la piaga sua chiudo e risano,
sento aprirsi nel cor la piaga mia.
Io languisco d'amor, di duolo ei langue : m'asciuga il pianto, e io gli asciugo il sangue.
La situazione di sensuale erotismo è moltiplicata dal gioco retorico e concettoso delle antitesi. La donna, bianca e cristiana, è seduta a fianco del corpo nudo, esposto ed indifeso del giovane africano – nero e musulmano – ferito e quasi privo di sensi. La virtù dell’anello, capace di sottrarla alla vista degli “armati erranti”, non può nulla di fronte alla vista “interiore” di Amore. Così, mentre cura la ferita del “fanciul nudo”, sente lo sguardo del giovane aprirgli nel cuore la ferita d’amore: alle armi belliche si sostituisce il tagliente potere della vista, capace di ferire il cuore. Ma è proprio la caratteristica di “esposizione”, di languido abbandono del giovane a “ferire” l’interiorità della donna (“ferita da l’altrui ferita”), a farla innamorare. All’atto di curare da parte della donna, corrisponde specularmente l’atto di ferire da parte del giovane – anche se in effetti, dei due, è la donna che agisce (“io di mia mano di curar il suo mal tento ogni via”) mentre il giovane, di nuovo, è oggetto esclusivamente passivo (“la piaga sua chiudo e risano”, “di duolo ei langue”). Dove fallirono tanti “armati” cavalieri, è proprio la sola, inerme nudità del giovane ferito (dietro la quale si profila la nudità del Dio Amore, pronto a scagliare i suoi dardi) a sedurre la donna e ferirne il cuore profondo. Quello che è rilevante, è il fatto che il nucleo della tensione poetica – generatore della macchina concettosa delle antitesi incrociate - si incentra sulla opposizione tra interiorità ed esteriorità dell’esperienza dello sguardo (come rapporto di guardare e di mostrarsi, di nascondere e di vedere, attraverso le soglie progressive delle armature, delle vesti e della pelle), mentre la risonanza interiore ed erotica dell’atto del guardare viene ricondotto al campo metaforico della ferita, come esperienza di ulteriore ed estremo oltrepassamento della soglia ultima della pelle: apertura, esposizione, svuotamento, mancanza. La esperienza del corpo come “perdita” e “mancanza” è sottolineata dalla ripetizione del verbo “asciugare”, all’ultimo verso, rivolto agli ummori del pianto e del sangue: secrezioni del corpo preso e dominato dalla passione, quasi espressione del suo svuotarsi ed esporsi alla sofferenza ed alla mancanza.
Mi sembra eccessivo parlare di sensualita'...l'effetto ottico potrebbe rivelarsi forviante, ma se studiamo la psicologia di un'adolescente che e' sostanzialmente una donna acerba (o almeno dovrebbe) ci accorgeremo che proprio la grazia che emana quando parla o si muove finisce per evocare un sentimento d'accoglienza... La purezza anche quando non e' autentica (non a caso si parla di gattamorta) si manifesta attraverso una gentilezza che potrebbe trarre in inganno... Si dice "fare gli occhi dolci" perche' gli occhi sono lo specchio dell'anima e si stabiliscono, volente o nolente, molteplici affinita'... veniamo sedotti da uno sguardo che ci sembra materno e quindi affidabile... In ogni caso la storia di questa beata romana e' molto interessante.
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