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La mente può trovarsi in stati diversi , il sonno ,il sogno, la trance,l'ipnosi,l'attenzione fluttuante,
l'estasi,la preghiera,la meditazione,la creatività artistica e scientifica,
l'esplorazione dello spazio e degli abissi marini,l'agonismo sportivo.
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Il profondismo e la vertigine: gli ultra deep diver di Salvatore Capodieci e Stefania Zaia
"Nessun meandro, nessuna fessura, può pensare di essere al sicuro dall'uomo-pesce, nessuna fenditura, nessuna grotta è troppo profonda o troppo scura. Egli sembra aver affinità stretta con i fratelli della comunità alpina. Anche questi rischiano le loro vite per il gusto di un'esperienza speciale... Anche per loro non è tanto la parete rocciosa o la montagna a dover essere superata, ma il loro stesso essere" (Gilliam, 1992, 19).
Premessa
Il dizionario di Biologia e Medicina della Zanichelli definisce la "vertigine" un'alterazione della sensibilità spaziale con sensazione di rotazione. E' causata da un'alterazione dei rapporti tra il proprio schema corporeo e l'ambiente circostante ed è generalmente associata a sudorazione, nausea, vomito, pallore cutaneo, ipotensione, nistagmo, bradicardia, acufeni e a disturbi dell'equilibrio. La vertigine può insorgere per malattie dell'orecchio interno e medio, per lesioni o fenomeni irritativi centrali o periferici del nervo vestibolare, per un neurinoma del nervo acustico, per disturbi del cervelletto e di varie zone della corteccia cerebrale.
La parola vertigine deriva dal latino vertere, girare; il termine deriva dall'impressione erronea che quel che ci sta intorno giri attorno a noi, ma anche dall'impressione inversa, che è comunque erronea, e cioè di aver perduto la sensazione della stazione eretta e perciò di girare involontariamente nello spazio che ci circonda.
L'otoneurologo Hausler, che si occupa in modo specifico di vertigini, spiega che il termine si applica soprattutto alle sensazioni di rotazione, ma può anche descrivere una sensazione di rollio (oscillazione laterale), di beccheggio (oscillazione in avanti) o di caduta imminente.
La comparsa di vertigini di origine somatica dipende dalla difficoltà di integrare informazioni divergenti date da diversi sistemi percettivi deputati a segnalarci la nostra posizione nello spazio: l'apparato otticocinetico, il sistema propriocettivo e quello vestibolare che concorrono a darci il senso dell'equilibrio.
Gli sportivi che effettuano immersioni ad alte profondità seguono rigorosi screening di medicina subacquea con valutazioni neurologiche e otorinolaringoiatriche che consentono di escludere le cause di tipo organico.
Le vertigini di origine psichica presentato le stesse manifestazioni di quelle di origine somatica anche se sono dovute a cause psichiche.
Cosa accade quando il sintomo irrompe in assenza di un substrato organico?
La comparsa delle vertigini di origine psichica è legata, in modo analogo a quelle di origine somatica, alla difficoltà di integrare movimenti psichici divergenti tra loro che sono: bisogni, desideri e affetti.
In un caso come nell'altro, si può dire che le vertigini ricoprano la funzione di segnale d'allarme.
I pazienti che effettuano una terapia psicoanalitica possono sperimentare una vertigine "metafisica" che insorge di fronte ai grandi problemi dell'esistenza: la vita, la morte, l'infinito, l'eternità, il senso della propria esistenza e il sentimento di vuoto. Queste vertigine - suggerisce Danielle Quinodoz - si precisano con l'interrogativo: "Che senso ha la (mia) vita? Che senso ha la (mia) morte?".
La vertigine, sia di origine somatica che psichica, rappresenta quindi uno dei sintomi più angoscianti e pericolosi per chi pratica attività come l'immersione subacquea.
Sono numerosi gli psicoanalisti che si sono occupati di vertigine: Freud, Schilder, Rycroft, Rallo, Klein, Green, ma in questo articolo faremo riferimento principalmente a Danielle Quinodoz che ha affrontato l'argomento cercando di capire e classificare le vertigini.
Gli ultra-deep-diver
Tra i subacquei esiste un piccolo gruppo di sommozzatori che partecipano al profondismo estremo e si spingono ad oltre 200 metri di profondità. Vengono chiamati ultra-deep-diver. Soltanto otto di loro hanno superato la profondità di 250 metri (come si vede in tabella), fatto davvero eccezionale se si pensa che questo numero è inferiore a quanti hanno passeggiato sulla superficie lunare: dodici astronauti.
A questo otto, andrebbero aggiunti Mark Ellyatt che, nel 2003, avrebbe raggiunto i 314 metri, in Thailandia, ma il suo record non è stato verificato ed Erdogan Bayburt che, nel 2007, sarebbe sceso a 304 metri a Cipro, ma anche questo record non è stato verificato.
Si presentano, di seguito, alcune informazioni sulla storia e, in particolare, sui tentativi di record dei più famosi ultra-deep-diver.
John Bennet è stato il primo sub a superare la barriera dei 305 metri nel 2001 e, da allora, il suo record è stato superato solamente due volte. E' nato in Gran Bretagna il 7 marzo del 1959 e la sua biografia sembra quella di un uomo qualunque. Figlio di genitori divorziati, all'età di 17 anni è entrato nel corpo di paracadutisti dell'esercito. Dopo la carriera militare, ha lavorato prima come buttafuori nei locali alla moda di Londra, poi è stato assunto come guardiano della Clinica psichiatrica di Broadmoor, che ospitava prevalentemente delinquenti che erano stati diagnosticati come psicotici. Bennet si stanca presto di questo lavoro e decide di cercare l'avventura emigrando in Australia. Qui c'è stato il primo approccio con la subacquea dal momento che decideva di frequentare un corso per principianti. John sentiva di essere approdato a un nuovo mondo, una dimensione parallela, una sorta di realtà virtuale caratterizzata da un profondo silenzio. La perfezione del mondo sottomarino gli permetteva di dimenticare gli affanni del mondo terreno. John aveva scoperto il proprio mondo, dove voleva vivere... e morire. Decideva così di intraprendere la carriera da professionista, anche se tutto ciò comportava diversi sacrifici e una vita molto disciplinata.
Passati solo pochi anni, il nome di John Bennet veniva associato a quello di un uomo il cui inesauribile desiderio corrispondeva allo stabilire continuamente nuovi record. Dall'Australia, non propriamente adatta per conquistare le profondità marine, si spostava nelle Filippine assieme alla moglie Gabriella Harris e al figlio Joshua. Qui intraprendeva la carriera di istruttore subacqueo, lavoro che richiedeva molto sacrificio per provvedere alla famiglia, che nel frattempo si era allargata visto che era nata Katie. La decisione di tentare di diventare un campione veniva presa sia per motivi economici che per la pura passione per le profondità.
La notizia della morte di Sheck Exley (un altro ultra deep diver) a Zacaton, non era sufficiente per fermarlo. La morte di un sub a quella profondità non sembrava una ragione valida per interrompere questo tipo di immersioni estreme, solo per paura delle possibili conseguenze fatali. Anzi chi ama la subacquea deve essere sempre più motivato a cercare il metodo più corretto e sicuro per riuscire in questo tipo di imprese: questa era l'opinione di Bennet. La vera passione di John era rappresentata dai relitti sommersi e, se l'utilizzo dell'elio avesse funzionato, sarebbe stato in grado di raggiungere relitti a profondità superiori ai 200 metri.
Il 1999 è stato un punto di svolta per la vita di Bennet, perché gli veniva proposto di ritrovare la Yamashiro. Quest'ultima era una nave militare giapponese che era stata affondata nel 1944 alla profondità di 200 metri nelle Surigao Straits, sito in cui erano presenti forti correnti e una cattiva visibilità. Barry Mather e Jim Noble, prima ufficiali di marina e in seguito cercatori di tesori nei relitti sommersi, presero la decisione di trovare la leggendaria nave. Secondo voci dell'epoca la Yamashiro era sotto il comando del coraggioso vice ammiraglio Nashimura e stava trasportando una riserva strategica di oro puro, quando venne affondata dagli alleati a sud di Leyte, portando negli abissi 1100 vite umane. I giapponesi avevano rifiutato l'aiuto alleato ed erano affondati assieme alla nave, fedeli alla loro tradizione kamikaze. Barry e Jim erano riusciti effettivamente a trovare il relitto sommerso, ma immergersi era un'altra faccenda. Troppo profondo e troppo pericoloso. A quel punto decidevano di contattare John Bennet e da quel giorno la nave diventava la sua ossessione. Tutto era stabilito, quello che mancava era uno sponsor per l'impresa; iniziava così una lunga ricerca.
Nel frattempo Bennet stabiliva un nuovo record, il suo record. Continuava intanto la ricerca di sponsor e il sogno di raggiungere la Yamashiro. Era il novembre del 2001 e John superava la profondità di 300 metri a Puerto Galera. Il problema era come riuscire a provare di aver raggiunto una tale profondità dal momento che i computer si congelavano alla profondità di 260-280 metri. Il signor Lee, che veniva dalla Corea, soprannominato "il mago", riuscì a costruire una macchina fotografica che sarebbe riuscita a resistere fino a 350 metri. La macchina venne attaccata alla base del cavo ad una profondità di 305 metri ed un cartellino di plastica veniva fissato al cavo alla profondità di 300 metri. La telecamera riprese tutto e non ci furono dubbi: il record precedente di Jim Bowden era stato superato.
In un'intervista condotta da Elena Konstantinou, la persona che finalmente si sarebbe offerta di fare da sponsor per la Yamashiro, Bennet concedeva alcune rivelazioni. Alla domanda, se alla profondità di 300 metri non fosse preoccupato, John ha chiesto di spegnere la videocamera che stava registrando l'intervista. Diventando leggermente nervoso rispondeva che parlare di preoccupazione non era il termine esatto, forse paura andava meglio. A quel punto Elena gli chiedeva informazioni circa le vertigini che aveva provato alla profondità di 60 metri, a cosa stesse pensando, se avesse avuto attimi di esitazione in cui tutto gli sembrava una follia, ma Bennet rispondeva che aveva avuto solamente un attimo di sconforto che doveva assolutamente superare se voleva vivere.
La proposta di Elena consentiva finalmente di poter realizzare il sogno della Yamashiro, ma purtroppo Bennet non è vissuto a sufficienza per vederlo concretizzato. Era il 15 marzo 2004 e John Bennet morì durante un'immersione commerciale in una nave affondata in Sud Corea. Il suo compagno di immersione e migliore amico, Ron, aveva notato che qualcosa non andava nel suo atteggiamento, ma Bennet insisteva nel segnalare che tutto era apposto. Visto che lo strano comportamento di John non migliorava, i due avevano deciso di riemergere. Ron cominciava a risalire, ma quando ha girato la testa per cercare il suo amico, non lo ha visto dietro di lui. Non riusciva a trovarlo. Quando era riemerso aveva informato tutti che John era disperso. La ricerca era durata ore, ma non lo hanno più trovato: era scomparso senza lasciare traccia.
Dave Shaw aveva scoperto la passione per le immersioni nel 1999, quando con suo figlio Steven di 17 anni si stava immergendo nelle Filippine. Si stanca velocemente dei soliti tour della barriera corallina e si dedica al wreck diving, per poi passare alla speleologia subacquea. Lavorando come pilota di linea egli poteva far immersione in tutto il mondo. Nato in una piccola città dell'Australia dell'ovest, già all'età di tre anni aveva deciso che avrebbe fatto il pilota.
Nel 1973, l'allora diciottenne Dave incontrava Ann Broughton in un campo per giovani a Perth. Venti mesi dopo il primo appuntamento, che si era tenuto a bordo di un aeroplano, i due erano già sposati. Dopo la nascita della figlia Lisa, la famiglia si stabiliva definitivamente a Hong Kong, dove Dave lavorava per la Cathay Pacific.
Don Shirley era cresciuto nel Surrey, in Inghilterra, e ha lavorato per 22 anni come esperto di elettronica dell'esercito britannico, occupazione che lo aveva portato a partecipare alla Guerra delle Falkland e a quella del Golfo Persico. Amava occupare ogni istante del suo tempo libero facendo immersioni, specializzandosi in relitti profondi. Nel 1997 lasciava l'esercito e si trasferiva in Sud Africa cercando di costruirsi una nuova vita come istruttore di immersioni tecniche in una terra esotica in cui però si parlava inglese. Nel 2003 sposava Andre Truter, una donna africana di 38 anni con cortissimi ricci capelli castani e un sorriso furbo. Vivevano assieme in un bungalow in compagnia di due cani che si chiamavano Sheck e Argon.
Nel 2002 Dave e Don hanno modo di conoscersi e nasceva tra loro una profonda amicizia che li ha portati a stabilire insieme nuovi record.
Si erano immersi insieme nel Bushman's hole, una specie di dolina nel Sud Africa, e quando si trovavano nel fondo Dave ha trovato il cadavere di un uomo che era scomparso dieci anni prima, Dave lo aveva riconosciuto immediatamente: era Deon Dreyer, un giovane sudafricano di venti anni, che era morto durante un'immersione nel Bushman's hole. Una volta risalito, Dave aveva già deciso che avrebbe tentato di tirare fuori il corpo da lì e così, il 30 ottobre del 2004, avvisava i genitori del ragazzo scomparso che aveva intenzione di compiere questa impresa. Era un lavoro davvero rischioso poiché combinava l'importante sforzo fisico di portare in superficie il corpo alla difficoltà di raggiungere una tale profondità.
Don e Dave hanno soprannominato l'impresa the big dive e la programmavano per i primi di gennaio del 2005. L'immersione veniva pianificata nei minimi dettagli. Il tutto sarebbe durato all'incirca dodici ore. Dave sarebbe entrato in acqua alle sei del mattino, avrebbe raggiunto il corpo di Deon e, dopo averlo recuperato, avrebbe iniziato la risalita. Durante la risalita avrebbe dovuto incontrare Don alla profondità di 725 piedi e gli avrebbe passato il corpo. Quest'ultimo avrebbe quindi raggiunto la superficie grazie a una catena umana di ben nove sommozzatori in totale. Avevano previsto di far raggiungere a Deon la superficie in ottanta minuti. La motivazione che spingeva Dave verso una tale impresa, non era, secondo le sue stesse parole, portare sollievo ai genitori di Deon, ma solamente il brivido dell'avventura che the big dive avrebbe comportato. Prima di iniziare l'impresa Dave e Don espressero il desiderio che i loro corpi non venissero recuperati in caso fossero morti: sarebbero rimasti per sempre nel fondo del Bushman's hole.
Sfortunatamente the big dive non è andato come previsto. Don non vedendo più riemergere Dave, decideva di andare lui stesso nel fondo, per tentare di capire cosa fosse accaduto. Mentre procedeva la discesa, si danneggia un pezzo importante della sua attrezzatura e capiva che continuare in quelle condizioni avrebbe comportato una morte certa. Iniziava così una lunga risalita. Su di una lavagnetta ha scritto il messaggio "Dave non sta ritornando" e lo passa agli altri sommozzatori che lo attendevano lungo l'ascesa. La risalita era stata veramente difficoltosa, Shirley non lo sapeva ancora, ma una piccola bolla di elio si era formata all'interno del suo orecchio sinistro, causandogli vertigini e vomito. Per combattere il malessere e darsi forza, continuava a ripetersi che sarebbe sopravvissuto. Dopo dieci ore di immersione, Don aveva raggiunto la profondità di 20 piedi, era esausto e vicino all'ipotermia. Una volta raggiunti i dieci piedi le sue condizioni erano critiche e un compagno lo riporta in superficie. In ventidue minuti era in camera iperbarica.
Nei giorni seguenti, alcuni sub che stavano recuperando l'attrezzatura rimasta nel Bushman's hole, ritrovano anche i cadaveri di Dave e di Deon. L'impresa di recuperare il cadavere di Deon gli era costata la vita, ma Dave in qualche maniera era riuscito nel suo intento. La telecamera fissata nell'elmetto di Dave permise di comprendere cosa fosse realmente accaduto nelle profondità del Bushman's hole, come il sommozzatore avesse trovato la morte. Quando Dave raggiunse il corpo di Deon, erano passati dodici minuti dall'inizio dell'immersione. Quello che aveva scombussolato i suoi piani era stato scoprire che il cadavere non era più fissato al fondo, ma aveva cominciato a fluttuare davanti a lui. Invece di decomporsi, il corpo si era saponificato e questa composizione gli conferiva una particolare galleggiabilità. Il fatto che il corpo fosse libero da vincoli che lo tenessero ancorato al fondo, rendeva veramente complessa per Dave l'impresa di imbrigliarlo: uno sforzo fisico troppo intenso per una tale profondità. Dave aveva lavorato con affanno nel tentativo di catturare il corpo, ormai quello era il suo unico pensiero, la sua ossessione, ormai non era più in grado di pensare razionalmente. A ventuno minuti dall'inizio dell'immersione, Dave Shaw era morto.
The big dive, anche se si conclusa tragicamente, non era riuscita ad allontanare Don Shirley dal profondismo, ed infatti affermava "La grotta è il luogo dove vivere". Nessun sommozzatore che si era immerso quel giorno decise di smettere e tutti affermarono di essere orgogliosi del comportamento di Dave: "Dave portò il rebreather dove non era mai stato prima. La gente non sapeva nulla dei rebreathers finché lui non era morto dimostrando cosa si poteva fare. Duecento metri era un'immersione decisamente profonda con un rebreather. Questo ragazzo ha fatto l'impresa più grande" (Zimmerman, 2005).
Nuno Gomes è nato a Lisbona nel 1951. Crescendo sulle coste portoghesi, viveva praticamente sempre in mare, imparando a nuotare e a praticare la caccia subacquea nell'atlantico portoghese. Il padre di Nuno, essendo un dissidente verso il governo portoghese di allora, aveva trasferito l'intera famiglia in Sud Africa, quando Nuno aveva quattordici anni. Si erano stabiliti a Pretoria. Dopo la scuola Nuno sposava Liz e hanno due bambini. Ottenuta la laurea in scienze geologiche accettava un posto da ricercatore presso l'università conseguendo anche un master in ingegneria civile.
Negli anni Settanta iniziava ad appassionarsi di speleologia subacquea e al profondismo. Andare sempre più in profondità era diventato il suo obiettivo e il Boesmansgat nel Nothern Cape sembrava perfetto. Nel 1988 infatti otteneva il nuovo record africano pari a123 metri. Nel 1992 raggiungeva in solitaria i 153 metri. L'anno seguente aveva l'onore di conoscere il leggendario Sheck Exely e di immergersi con il suo eroe conseguendo un nuovo record personale di 177 metri. Il 1996 è stato l'anno in cui riusciva a battere il record di Jim Bowden scendendo a una profondità di 282,6 metri nel Boesmansgat. A tali profondità Nuno affermava di focalizzarsi solamente sul piano di immersione, senza permettere a pensieri negativi di invadere la sua mente.
Quando ha saputo del nuovo record mondiale di 307,8 metri stabilito da Bennet nelle Filippine, Gomes decideva di tentare l'impresa di batterlo. Era il 2004. Decideva di provare il record a Dahab nel Mar Rosso. Aveva previsto di raggiungere i 305 metri di profondità, ma l'immersione non è andata come previsto a causa di un problema tecnico. Gomes, comunque, non si è arreso e ci riprova nel 2005 questa volta con successo. Il suo traguardo è stato 321,8 metri, andare più a fondo sarebbe equivalso a morte sicura, ma Nuno era destinato a ritornare a quella profondità, solo per poter conoscere l'affascinante Shareen Anderson, che avrebbe girato un documentario sull'impresa. Due sogni si erano così realizzati in un giorno soltanto: il record della sua vita e l'incontro con la donna dei suoi sogni.
A proposito di Sheck Exley e Jim Bowden scegliamo di riportare qui di seguito il racconto dell'ultima immersione che hanno fatto insieme e dalla quale, purtroppo, solo uno dei due è tornato vivo.
Zacaton è il più profondo di cinque cenotes situati nel Messico nord-orientale. L'esplorazione del luogo aveva permesso di stabilire che la superficie di Zacaton era posta circa a ventuno metri al di sotto del terreno circostante, il suo diametro era di circa 115 metri e la forma piuttosto circolare. Le pareti laterali sembravano ondulate e le dimensioni della struttura aumentavano con il crescere della profondità, stimata attorno ai 330 metri. Il luogo era ideale per tentare di stabilire un nuovo record di immersione e la coppia Exley-Bowden programma il tentativo. La meta prefissata era il raggiungimento dei 303 metri e la data stabilita il 25 dicembre 1993. Tutta la squadra, di comune accordo, riteneva che le condizioni determinate dalle precipitazioni eccezionalmente abbondanti di quell'inizio di dicembre non fossero favorevoli a una tale impresa e, così, per la sicurezza dei subacquei l'immersione fu rimandata all'aprile del 1994.
La mattina presto del 6 aprile tutto sembrava essere pronto e i due subacquei con la loro squadra di supporto si radunano sul pendio sovrastante El Nacimiento. Bowden e Exley si vestono e nuotano insieme all'interno di Zacaton. L'umore prima dell'immersione era positivo e ottimista. Gli uomini iniziano la loro discesa alle 9:50 circa. Bowden raggiunge i 280 metri e trascorre all'incirca nove ore in decompressione. Exley, per motivi che probabilmente non conosceremo mai, non ritorna dalla sua immersione. Aveva raggiunto una profondità massima di 274 metri. La ricerca del corpo di Sheck non è stata neanche presa in considerazione, dato che l'unico uomo capace di effettuare un tale recupero era proprio quello che si trovava là sotto. Tre giorni dopo, mentre la squadra raccoglieva l'attrezzatura venne rinvenuto il cadavere. Le diagnosi più autorevoli attribuivano l'incidente alla "sindrome nervosa da alta pressione".
Ecco come Bowden ricorda l'amico: "In una disciplina ossessivamente egocentrica come la speleologia subacquea, dava un senso di freschezza il vedere un uomo che faceva fronte all'impossibile senza squilli di tromba ed entourage presidenziali come spesso accade con persone che tentano molto meno. Sheck cercava la mia amicizia e io la sua per il medesimo motivo: eravamo entrambi dei solitari. Avevamo un comune legame, un'ossessione, una passione... il nostro amore per l'esplorazione. L'esplorazione era un'esigente dama che si era inserita sulla strada dei nostri rapporti con gli altri e sapevo che avrebbe potuto causare enorme dolore a coloro che ci amavano. Certo egli mi mancherà tantissimo, ma d'altronde ci immergevamo sempre da soli. Forse ora sarà ancora più vicino a me" (Gilliam, 1992).
Per concludere riportiamo qualche notizia autobiografica di Pascal Bernabé e il racconto del giorno in cui ha stabilito il suo record ancora imbattuto. Quello che colpisce di questo sommozzatore è il suo amore per gli sport estremi in generale, non solo per il profondismo. Prima di approdare al deep diving ha sperimentato la vertigine in tutti campi possibili, diventando a pieno titolo un esemplare giocatore dell'impossibile. Ecco come risponde in un'intervista a una domanda riguardo a cosa ricordasse della sua prima immersione: "Sì, fu un momento meraviglioso, un'immersione in Nuweiba, Egitto, nel 1990, eccetto un check/test dive, essa fu la prima volta in assoluto. Ho percepito qualcosa di unico, differente. Prima di allora, ho provato il paracadutismo, l'alpinismo, la boxe, la maratona... ma quella volta sentii che era la mia strada. E la solita cosa mi è successa quando ho cominciato le immersioni profonde e in grotta" (Intervista, 20.01.2009).
Martedì 5 luglio 2005, a Propriano (Corsica), alle nove del mattino, Bernabé raggiunge i 330 metri di profondità. Ecco il racconto che lui stesso fa della giornata.
"Sono anni che aspetto questo momento: sono seduto comodamente sulla barca di proprietà del centro immersioni di Denis Bignand. Sotto le mie pinne, che sono già in acqua, ci sono 400 metri di profondità. Le acque di Valico sono inaspettatamente calme! Abbiamo dovuto rinunciare così tante volte a causa del vento! La realizzazione di questa immersione era diventata un'ossessione, un'idea fissa nella mia testa. A breve distanza, sulla costa, riusciamo a scorgere porto Pollo. Ai miei piedi c'è una grande boa, attaccato alla quale c'è il cavo di 350 metri appesantito con 50 chili, che scende verso gli abissi aspettando solo me. Troppo male, ho ancora questo nodo allo stomaco, che non se ne vuole andare, nonostante il rilassamento, la respirazione calma e specialmente queste così buone condizioni. La squadra è in fermento attorno a me: Hubert, François, Tono, Christian, Sophie, Frank e Denis. Ho ridotto il mio equipaggiamento allo stretto necessario, per abbassare il rischio di errori e confusione una volta sul fondo. Solo le quantità di gas sono state ultra razionate, la mia paura è sempre stata quella di restare senza gas. Entro in acqua e finisco di prepararmi un po' laboriosamente, ma è necessario. Non voglio lasciare nulla al caso. Cerco di rimanere concentrato nonostante i problemi dell'ultimo minuto. Visualizzo l'immersione un'altra volta, assicurandomi di non aver dimenticato nulla dalla lista, come se dovessi andare sullo spazio. Infatti, la risalita dal fondale sarà anche più lunga di un viaggio di ritorno dallo spazio. Sto preparando davvero un viaggio verso l'ignoto. Nonostante la preparazione meticolosa, l'incertezza rimane, soprattutto per quello che riguarda lo stato della mia mente e del mio corpo sul fondo, visto che solo tre subacquei si sono immersi oltre i 300 metri. Con i movimenti impediti dalle mie sei larghe bombole, finalmente comincia la mia immersione. Rompo la superficie del mare, la barriera che separa l'aria, i miei amici e la sicurezza dalle profondità della solitudine. In questo momento lo stress dovrebbe scomparire...ma non accade. Uno stop di concentrazione a -6 metri, ma solo per un momento, ho fretta di essere sul fondo. La discesa comincia, piano inizialmente, e in seguito sempre più veloce a causa dei miei pesi. Passo il livello dei 100 metri senza molta attenzione e continuando a guadagnare velocità. Passo i 150 metri. Durante la mia prima immersione a miscela di gas nel 1993, quella profondità sembrava quasi inaccessibile. Ma dal 1996, tra l'esplorazione delle grotte sommerse e assistendo alle immersioni con Pipin e Audrey Ferreras, sono ridisceso tra i 150 e 174 metri circa 15 volte, spesso con difficili condizioni e compiti da eseguire, che mi hanno dato una certa tranquillità psicologica a questa profondità durante la discesa, ma soprattutto durante la risalita e le tappe per la decompressione. Sono appena andato oltre i 200 metri per la terza volta, da quando pratico il profondismo. Ma oggi è quasi solo una formalità, visto che l'obiettivo è andare molto più in profondità! Ancora nessuna HPNS (Sindrome nervosa da alta pressione).
Il cavo scivola velocemente tra i miei guanti. Troppo velocemente! Ho bisogno di tutta la mia concentrazione per bilanciare, per passare le bombole nel grande moschettone, che mi assicura al cavo, per gonfiare il mio abito a secco, che è fortunatamente dotato di un tasso di grande portata.
Sto raggiungendo l'ultima bombola da 20 litri, che è attaccata all'altezza del segno dei 250 metri, sebbene sia in realtà situata a 265 metri (a causa dell'elasticità del cavo) con una barra di luce chimica, come tutti i cilindri in profondità.
È un momento difficile: abbandono il gas di viaggio, che sto respirando da meno 70 metri e comincio a respirare la miscela per il fondo, a fare il nodo... troppe cose da fare nello stesso tempo: la sindrome nervosa da alta pressione è ben sviluppata, nella forma di leggeri brividi ma soprattutto di difficoltà di concentrazione. Inoltre la bombola del gas da viaggio che supponevo di legare scivola sul cavo e si allontana da me! I miei amici me la riportano pochi minuti dopo senza in realtà comprendere cosa stia succedendo e non senza una certa apprensione.
Certamente le cose non mi andranno meglio con la profondità. Adesso mi sento comodo con solo quattro bombole riempite con la miscela di fondo.
Stranamente passando i 200 metri sono scosso meno di quanto non lo fossi a Fontaine du Vaucluse. Non ho nemmeno nessun disturbo della vista, a parte per un effetto avanzato di visione a tunnel: il mio campo visivo sembra ristretto, senza molta visione laterale. I miei erogatori Apecks e il mio Aqualung titan funzionano meravigliosamente bene. Mi accorgo con fatica del cartellino dei 300 metri, che dovrebbe in realtà attirare la mia attenzione. Un flash sta lampeggiando, indicando la zona veramente profonda. Raggiungo il cartellino dei 330 metri (situato a più di 335 metri), quando nel mio orecchio destro c'è una grande deflagrazione accompagnata da un dolore acuto. Lo stress che se ne era andato dai 70 metri, immediatamente ritorna. In quel momento sono sicuro che ho una grande lesione nel mio timpano. Gonfio velocemente le mie ali e comincio la risalita. Il dolore nell'orecchio non peggiora. Evito di pensare a cosa mi aspetta, concentrandomi solo sulla risalita.
A meno 265 metri raggiungo felicemente la bombola di decompressione per la mia prima tappa in profondità. Poi la risalita comincia di nuovo, più lentamente (10 metri/minuto). A meno 215 metri faccio la seconda tappa profonda, mentre appendo la seconda bombola da decompressione. Ed è ancora più lentamente (5 metri/minuto) che raggiungo la tappa di decompressione dei meno 165 metri e la bombola successiva. L'orecchio non mi fa male come pensavo avrebbe fatto e ora sono in una zona famigliare. Dai meno 150 metri l'ascesa diventa estremamente lenta (3 metri/minuto) in particolare con tutte le bombole accumulate intorno a me, sul cavo e sulla mia imbracatura.
A meno 65 metri arrivo al secondo cavo. Qui sono felice di trovare François Brun, con il quale di solito esploro i relitti sommersi, uno dei quali in particolare, era situato a largo delle coste catalane a meno 110 metri. La nostra ultima uscita era stata un'esplorazione di allenamento tre settimane fa. Lui sta usando un Buddy Inspiration rebreather. Mi raggiunge per un aggiornamento e per rifornirmi di cibo e bevande. Lo metto a conoscenza del dolore nel mio orecchio e della mia leggera nausea. Lui mi aiuta a liberarmi di quattro bombole e poi passa un po' di tempo con me raggiungendo le proprie tappe di decompressione.
Hubert Foucart lo sostituisce a meno 50 metri. È un discepolo di quello che lui chiama il baroque diving: profonde immersioni sia nelle grotte che in mare aperto, giù a una profondità di meno 211 metri (niente male!), allora assistendo Pipin. Mi dà un mix di acqua e metopimazina per prevenire la nausea. Poi è il turno di Denis di venire a trovarmi, anche lui con il suo rebreather. Mi porta un po' di buon puré e della zuppa di Sophy in siringhe giganti. Questo cibo salato è una buona alternativa al latte condensato, alla crema dolce di castagne, alla marmellata e all'acqua già assorbita. Poi mi consegna un rebreather, che non funzionerà. Quindi, il resto della risalita sarà fatto a circuito aperto, ma senza particolari problemi tecnici, nonostante le alte percentuali di elio.
Da meno 30 metri, inizio a sentire maggiormente gli effetti della dura risalita in superficie. Il dolore nell'orecchio aumenta e in poco tempo, ogni movimento del cavo diventa un incubo. La decompressione si trasforma in una tortura. Inoltre, a circa meno 12 metri, il mal di mare comincia: unendosi al dolore e alla nausea comincia a rendermi esausto. La fine della decompressione è con Christian, Pierre, Lolo, Théo, Francis e sua moglie Sylviane, che stanno insieme a me su fino ai 3 metri e fino alla superficie, che rompo dopo 8 ore e 47 minuti di immersione.
Il ritorno in superficie che avevo sognato durante tutto il tempo della decompressione è brutale. Sono scosso dalla risalita, che non aiuta il mio mal di mare. I miei amici mi aiutano a liberarmi del mio equipaggiamento, mentre salgo con difficoltà sullo Zodiac.
Qui si prendono cura di me e velocemente sono condotto alla costa dai miei vecchi compagni Tono e Deit. Ancora esausto, continuo a respirare l'ossigeno per un'altra mezz'ora sul pavimento mentre mi sto reidratando abbondantemente (acqua e acqua con un reidratante orale).
Dovrei essere felice. Ma mi sento appena un po' più sereno, e un po' frustrato dalle vertigini, ma che discesa troppo veloce... già solo un ricordo.
Il gioco ha funzionato oggi, le mie analisi del sangue non erano così male. Comunque sto già pensano a cosa può essere migliorato" (Bernabé, s.a.).
La vertigine e gli ultra deep diver secondo la teoria di Danielle Quinodoz
La psicanalista svizzera Danielle Quinodoz ha elaborato una particolare prospettiva di analisi del sintomo vertiginoso facendo tesoro della sua lunga esperienza di psicoterapeuta e dei casi clinici da lei presi in esame. D'accordo con Freud che le vertigini siano una manifestazione dell'angoscia, la Quinodoz è riuscita a mettere in collegamento il sintomo vertiginoso con le vicissitudini della relazione del paziente con le persone importanti del suo mondo interno. Come ogni paziente costruisce una relazione d'oggetto che ha una forma peculiare, così le vertigini assumono significati specifici diversi per ogni persona.
Mettendo a frutto la propria esperienza la Quinodoz riesce a distinguere le vertigini sperimentate dai pazienti in sette tipologie proponendo un nuovo sistema classificatorio per questo sintomo. Le sette tipologie descritte vengono esposte in ordine gerarchico seguendo il calare della loro gravità e problematicità per il paziente.
Le vertigini da angoscia della fusione: sono la forma più grave e primitiva di vertigine. Ne è affetto il paziente che non ha superato l'angoscia primitiva di essere annientato se si separa dell'oggetto e che usa conseguentemente la fusione come meccanismo di difesa per portare sempre con sé l'oggetto. La fusione causa le vertigini nel caso in cui l'oggetto con cui il paziente è fuso non è considerato affidabile. Conoscere solo la modalità fusionale di instaurare relazioni è causa di angoscia continua perché al di fuori della fusione si è in grado di vedere solamente il vuoto.
Le vertigini da angoscia di essere lasciati cadere: diversamente dalle prime vertigini descritte, questa seconda tipologia non comporta fusione dell'Io, piuttosto l'oggetto viene percepito come contenitore. In queste vertigini da abbandono il soggetto e l'oggetto vivono esistenze distinte e il soggetto soffre sentendo che l'oggetto può lasciarlo cadere e che quindi lo perderà.
Le vertigini da angoscia di essere risucchiati: sono opposte e complementari alle vertigini da angoscia di essere lasciati cadere. Il timore del paziente è quello di essere tenuto prigioniero di un contenitore che si teme non lascerà il suo contenuto libero di uscire. Possono essere simili alla claustrofobia e si presentano ogni volta che il paziente si trova in una situazione che evoca la fantasia di essere risucchiato da un oggetto che racchiude e di rimanerne prigioniero. La fantasia sessuale soggiacente a questo tipo di vertigini è rappresentata dal paziente che, prigioniero di una madre che viene da lui confusa con la sua vagina risucchiante, si sente confuso con il pene risucchiato e prova angoscia.
Le vertigini di alternanza tra imprigionamento ed evasione: si riscontrano nel paziente che, sul versante regressivo, prova la sensazione che l'oggetto lo tenga imprigionato. Può allora fare un movimento per fuggire da questa prigione, ma una volta allontanato da questa modalità fusionale di relazione sente il vuoto e la caduta. Ricerca quindi nuovamente la prigione per scampare al vuoto. Il fuggire e ritornare, protratto incessantemente, produce il sintomo vertiginoso. Il paziente si colloca in una zona di frontiera fra l'angoscia di perdere l'Io a causa della fusione e l'angoscia di perdere l'oggetto a causa della defusione.
Le vertigini da attrazione per il vuoto: queste vertigini si manifestano in due forme, una forma attiva in cui il paziente prova il desiderio di gettarsi nel vuoto per recuperare ciò che di sé aveva gettato fuori tramite la proiezione, e una passiva in cui il paziente si sente irresistibilmente attratto da un vuoto senza fondo in cui teme di scomparire.
Le vertigini da espansione: si presentano nei pazienti che si rendono conto di espandere sempre di più il loro Io, come se avessero bisogno di un'espansione continua per sentire di esistere. La sensazione di vertigine appare quando si rendono conto che hanno bisogno di toccare i limiti dell'oggetto per scoprire quelli del loro Io.
Le vertigini da competizione: esprimono l'angoscia di castrazione. Il desiderio di far cadere il terzo amato, scatena nel paziente la fantasia che il padre possa volersi vendicare e le vertigini compaiono come segnale d'allarme che impedisce al paziente di attuare desideri così pericolosi.
La Quinodoz non si limita a proporre una originale classificazione delle vertigini ma introduce anche la descrizione di sportivi particolari, i giocatori dell'impossibile, che amano giocare pericolosamente con le vertigini. Questi giocatori dell'impossibile sono interessati a raggiungere il limite massimo della prestazione previsto dal loro sport e a realizzare l'impresa più estrema. Una volta che hanno raggiunto questo limite, lo respingono immediatamente e tentano di oltrepassarlo nuovamente. Secondo la Quinodoz, i giocatori della vertigine affrontano il pericolo perché questo rappresenta la difficoltà di incontrare un oggetto interno che vogliono conoscere e per ottenere il loro scopo utilizzano al massimo la loro corporeità.
La Quinodoz rileva in tutti i giocatori dell'impossibile che ha avuto in analisi un terrore senza nome (Bion, 1967) provato in età precoce. Nel risolvere ciò che appare ai limiti del possibile, cercano di ricreare quella situazione estrema dell'infanzia e verificano che nonostante allora la madre fosse mancata, ora sono in grado di restaurarla attraverso la loro impresa. Sapranno così di aver introiettato la sua capacità di rêverie.
Dopo quello che abbiamo raccontato a proposito degli ultra deep diving e la narrazione delle loro imprese si può con certezza affermare che anche questi sommozzatori si possono considerare a pieno titolo dei giocatori dell'impossibile nel senso appena descritto.
E in veste di giocatori della vertigine, da quali tipi di vertigine (tra quelli proposti dalla Quinodoz) potrebbero venir colpiti? Prima di rispondere a questa domanda è necessaria una precisazione. La psicanalista svizzera ritiene che ad ogni forma di vertigine da lei descritta possa corrispondere, oltre che un'angoscia particolare, anche uno specifico piacere, e riesce a dimostrare questa sua affermazione prendendo in esame la dinamica di alcuni sport. Ora, tornando agli ultra-deep-diver e alla subacquea, possiamo ritenere che essi possano essere affetti da tre delle sette tipologie di vertigine.
La vertigine da angoscia di essere risucchiati: il piacere di non lasciarsi imprigionare dall'oggetto interno si può esprimere attraverso lo sport in modi particolari. Nell'immersione subacquea, il sommozzatore può vivere soprattutto il piacere di lasciarsi risucchiare dall'acqua e dalla profondità, sapendo che questo imprigionamento è provvisorio e padroneggiabile.
La forma passiva della vertigine da attrazione per il vuoto: se il paziente riesce a deidealizzare il vuoto insondabile questo perde la sua totipotenza magica e può diventare uno spazio. Una volta compiuto questi passo, nella fantasia del subacqueo, l'acqua non è più senza fondo e non può risucchiarlo all'infinito. Il sommozzatore prova allora il piacere di penetrare le profondità marine e di esplorarle perché lo spazio ora è diventato accogliente. La sensazione integrante di piacere che prova l'ultra-deep-diver è il sentire che i limiti dell'oceano sono molto lontani e misteriosi e che un certo rischio di venire risucchiato permane. Tuttavia ciò che permette di provare piacere è che il rischio non è più magico e, se si osservano con scrupolo le regole, il piacere dell'esplorazione prevale sul rischio.
La vertigine da espansione: è la forma che caratterizza tipicamente l'ultra-deep-diver (e tutti i giocatori dell'impossibile). Nella ricerca di continui record, questi sub provano un piacere intenso a spostare il limite massimo possibile e a rendersi conto dove potrebbe cominciare l'emorragia narcisistica.
BIBLIOGRAFIA
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Pubblicato da
GUGLIELMO CAMPIONE
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