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Psicoanalisi tra arte, scienza, religione e mistica di Salvatore Freni

Il dilagare del bisogno di spiritualità, che si traduce nell'enorme diffusione di pratiche religiose e meditative tradizionali e nuove, sette di vario genere, uso di sostanze o di situazioni particolarmente stressanti per ricercare l'accesso a stati di coscienza fuori dall'ordinario, è una caratteristica molto evidente della società contemporanea. Forse risponde all'esigenza di far fronte alla vacuità e mancanza di significato delle relazioni d'uso, promosse in modo violento dal consumismo esasperato e con tutte le sofisticate, talora apertamente perverse, tecniche di propaganda del Mercato e della Tecnologia, i nuovi Golem. Tutto ciò espone gli individui al rischio grave di non saper differenziare l'autenticità del percorso formativo, proposto dalla psicoanalisi e dalle pratiche meditative sostenute da metodi ben collaudati, dalla illusoria ricerca di false realizzazioni in esperienze di esaltazione visionaria, indotta da gruppi e sette, più o meno satanici, o da eccitamenti variamente provocati. A ciò va aggiunto il fatto, spesso sottovalutato, che viviamo, ci piaccia o no, in un mondo condizionato da millenni di religioni, sempre in guerra tra loro, con l'inevitabile conseguenza di non poter discriminare in ciascuna di esse la dimensione dell'autenticità da quella dell'inautenticità, quella della mistica da quella del potere . Anche le ideologie e le sperimentazioni di organizzazione del vivere, laiche e materialiste, sono di fatto fallite forse perché hanno sottovalutato o interpretato in modo superficiale l'incidenza del fattore mistico nell'umano. La stessa psicoanalisi, che Rolland avrebbe voluto come "scienza-religione", a causa del legato freudiano di ateismo e razionalismo radicali, ha sottovalutato l'aspetto mistico insito nella dialettica conscio/inconscio, nella sua struttura bi-logica. Quasi tutti gli studiosi, non psicoanalisti, di mistica dichiarano la propria insoddisfazione verso Freud perché ha confuso le religioni e i riti religiosi con l'istanza mistica ubiquitaria degli umani ( anche, e talora soprattutto, dei "non credenti") riducendo tutto a semplice patologia. Molti di essi, però, non prendono in esame il pensiero di Bion, di Winnicott. Credo infatti che dobbiamo a personaggi come Bion, Winnicott, Lacan, la seria riconsiderazione della questione della mistica psicoanalitica; da alcuni anni, soprattutto in ambiente americano e inglese, numerosi psicoanalisti, di indubbio valore scientifico, propongono originali modi di applicare nella clinica e nell'elaborazione teorica la dimensione mistica della psicoanalisi e la sua apertura verso l'integrazione con la pratica della meditazione del buddhismo. Penso che all'analista, mistico laico, che opera nel mondo, potrebbe bastare sviluppare uno stato di coscienza mistica dualistica, cercando di realizzare il più possibile l'essere all'unisono all'interno della protettiva sacralità del setting e in particolari momenti della sua vita quotidiana, mentre si mantiene aperto al mondo in modo attivo e interessato; realizzare questa condizione di continua, se possibile pacifica, tensione dialettica tra due anime implica una strutturazione epistemologica della mente che richiede consapevolezza profonda di Sé e assunzione di responsabilità del proprio essere nel bene e nel male. Ho dovuto per questa relazione ricorrere allo studio di testi specifici, all'aiuto di studiosi esperti ( voglio qui citare e ringraziare particolarmente: Marco Vannini, ritenuto in Italia uno tra i maggiori studiosi di Meister Eckhart, avendone curato l'edizione italiana di quasi tutte le opere; Anthony Molino, antropologo e psicoanalista italo-americano ora residente in Italia, che ha pubblicato due libri dove è ampiamente trattato il rapporto tra psicoanalisi e buddhismo, tema in continua crescita nell'ambiente psicoanalitico americano e inglese; Corrado Pensa, docente di Religioni Orientali all'Università "La Sapienza" di Roma) e alla partecipazione a convegni ( ad es. Mistica, Oggi. Firenze 23 ottobre 1999). Anche la letteratura psicoanalitica e, ancor più, quella psicologica, contrariamente a quanto si pensa comunemente, sono molto ricche di titoli che propongono la questione del rapporto tra mistica e psicoanalisi; tuttavia persistono ancora elementi di confusione tra la dimensione "mistica" dell'essere umano in quanto tale, la fenomenologia dell'esperienza mistica e l'espressione di credenze e riti delle diverse religioni tradizionali e delle cosiddette "nuove religioni" ( New Age, Next Age ecc.). Poiché in questa prima presentazione del mio lavoro, l'obiettivo predominante è quello di delimitare il campo concettuale e pratico in cui situare la questione del rapporto tra mistica e psicoanalisi o, meglio, la questione di una mistica psicoanalitica come dice Eigen (1998), ho rinunciato a cercare in modo accurato la bibliografia esistente, facendo una scelta di campo tra gli studi che ho potuto consultare o che mi sono apparsi interessanti. Pertanto mi scuso con i colleghi italiani che hanno scritto su questi argomenti e mi impegno fin d'ora a riguardare la letteratura esistente nelle successive elaborazioni di questo tema che mi sembra di straordinario interesse scientifico e fascino intellettuale oltre che estetico. In particolare penso all'opera di Davide Lopez e alla sua teorizzazione della Persona e dell'Etica della Persona e alle sue connessioni con il significato simbolico del fato e delle divinità greche e con le figure di Buddha, di Zarathustra e dell'oltre-uomo nietzschiano. Fondamentale è stato per me il testo del lavoro di Emmanuel Ghent (1990) molto interessante per la diagnostica differenziale tra l'abbandono, la resa, l'arrendevolezza del meditante e/o del mistico e la sottomissione e il masochismo inteso come una perversione della rinuncia, del distacco, del non attaccamento del sannyn ( il rinunciante ); temi che verranno chiariti per la forte analogia con lo stato mentale richiesto all'analista nella realizzazione del suo setting mentale e all'analizzante allorché si abbandona fiduciosamente all'esperienza e alla relazione psicoanalitiche rinunciando coraggiosamente alla sua corazza difensiva, accettando con pari disposizione e tolleranza la gioia e il dolore connessi all'esplorazione autentica dell'ignoto e all'esposizione, talora disturbante e terrorizzante, al vuoto.

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