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PSICHE E IPERBARISMO di Salvatore Capodieci

Relazione presentata al convegno "IMMERSIONE: ASPETTI MEDICI E PSICOLOGICI: dalle avventure di Julius Verne alla sicurezza del confronto ..." Mestre Venezia, 17 gennaio 2009 Premessa L'immersione subacquea si definisce ricreativa o sportiva quando è caratterizzata da precisi confini nei termini di tempi e profondità, che non richiedono la necessità di effettuare le obbligatorie soste di decompressione, e il tipo di attrezzatura utilizzata è finalizzata ad un'immersione che ha scopi ricreativi. Si parla, invece, di immersione tecnica quando è richiesto un addestramento più avanzato, una maggiore esperienza ed un'attrezzatura specifica. Si possono definire tecniche quelle immersioni praticate ad una profondità superiore ai 40 metri oppure in particolari ambienti in cui non vi sia un accesso diretto alla superficie, come nel caso di immersioni in grotta o in relitto; solitamente questo tipo di immersione prevede tappe di decompressione a più stadi durante la risalita. L'elemento fondamentale è la profondità dal momento che l'aria è respirabile, senza incorrere nel rischio di sviluppare la narcosi da azoto, fino a circa 40 metri. Per questo motivo si devono utilizzare miscele diverse dall'aria, che potenzialmente aumentano il fattore di rischio e richiedono quindi un addestramento specifico superiore a quello richiesto per l'immersione ricreativa. Si parla, quindi, di immersione tecnica quando è necessario utilizzare due o più gas; oltre all'aria si usa nitrox (aria iper-ossigenata), heliox (elio ed ossigeno), trimix (elio, ossigeno ed azoto), heliair (aria ed elio), hydrox (idrogeno ed ossigeno), hydreliox (idrogeno, ossigeno ed elio), neox (neon ed ossigeno) e argox (argon ed ossigeno). Respirare un mix di gas con una concentrazione di ossigeno pari a quella dell'aria (circa 21%) a profondità maggiori di 50-60 metri risulta assai pericoloso per via della tossicità dell'ossigeno, che provoca gravi sintomi neurologici. L'immersione tecnica richiede un equipaggiamento e un'attrezzatura specifici per evitare la dispersione termica dell'organismo e per poter avere con sé le bombole necessarie per poter effettuare le tappe di decompressione. Alcuni subacquei utilizzano una particolare attrezzatura chiamata rebreather, è un apparecchio che filtra e prepara il gas espirato dal subacqueo, in modo che possa essere respirato di nuovo. L'addestramento per questo tipo di immersione è specifico e approfondito ed esistono varie associazioni subacquee che organizzano appositi corsi di immersione tecnica. In sintesi, si può affermare che la "subacquea tecnica" inizi oltre i 40 metri di profondità e arrivi fino ai 100 metri. Quando si superano i 100 metri di profondità si usa parlare di "subacquea estrema". Sono innumerevoli, ormai, le motivazioni che sollecitano gli appassionati dell'attività subacquea ad immergersi: l'apnea, la caccia subacquea, la scoperta di flora e fauna (biologia marina), le immersioni notturne, l'esplorazione dei relitti o di grotte e anfratti (speleologia subacquea), l'archeologia subacquea, le attività di ricerca e recupero, la fotografia e la cinematografia subacquea, il tiro subacqueo, la mountain bike subacquea, l'hockey subacqueo, le attività di salvataggio e rianimazione e tante altre. La motivazione che probabilmente spinge sempre più persone ad immergersi sott'acqua è da ricercarsi nel crescente bisogno di trovare nuove cariche emotive che consentano di coniugare l'amore per le attività avventurose con un rapporto intimo con la natura. Nel mio intervento prenderò in analisi quali meccanismi psichici sono presenti nell'immersione tecnica e in quella estrema. Psiche e iperbarismo L'immersione subacquea è una risposta alle esigenze dell'inconscio tanto individuale che collettivo di recuperare quel rapporto primordiale presente sia nel ritorno alla condizione intrauterina, dove la vita si svolge nell'acqua, sia nelle profondità del mare dove vivono i pesci, nostri lontanissimi antenati. Sul piano cosciente, l'uomo è stato sempre spinto dalla sua curiosità esplorativa ad avventurarsi negli abissi e ha scoperto così che il punto più profondo (detto Challenger Deep) è situato in una lunga depressione sul fondo dell'Oceano Pacifico chiamata Fossa delle Marianne (Marianas Trench). Il 23 gennaio 1960, Jacques Piccard, che è morto l'1 novembre 2008, all'età di 86 anni, ed il tenente Don Walsh (US Navy) stabilirono il nuovo record di discesa sottomarina (con il batiscafo Trieste) arrivando alla profondità di 10.917. La dimensione esplorativa si lega agli aspetti insiti nell'attività subacquea e in particolare al "wreck diving" (l'immersione nei relitti), dove nella ricerca di qualcosa di misterioso da scoprire e riportare in superficie si può fare riferimento al vecchio archetipo della ricerca del "tesoro sommerso". Jung metteva in evidenza il valore di queste fantasie scollegate dalla realtà considerando il materiale fantastico un elemento fondamentale per il rinvenimento di quel "tesoro sommerso" che il paziente e l'analista, come due palombari, devono riuscire a far emergere durante la relazione analitica. Quando l'immersione supera i 100 metri di profondità, la subacquea assume caratteristiche simili a quelle degli sport estremi, che possono essere riassunte nel modo seguente. - La forza e il coraggio: per essere praticata è richiesta una certa dose di coraggio; quest'ultimo è connesso ad una ricerca di emozione e di avventura. - La sfida dell'imprevedibilità: c'è una forte dose d'imprevedibilità che caratterizza questa attività. Per ogni sport estremo potremmo individuare una serie di variabili, sostanzialmente non ponderabili, che rendono imprevedibili le condizioni di svolgimento di queste attività. - La differenza fra avvenimento e avventura: un avvenimento diviene un'avventura quando è suscettibile di una duplice determinazione consistente nell'avere un inizio e una fine ben definiti e nel realizzare qualcosa che abbia una qualche rilevanza ... la subacquea estrema è sempre avventura. - L'autoperfezionamento, sino alla morte: nella subacquea tecnica la sfida è maggiormente rivolta verso se stessi. La sfida diviene un mezzo di conoscenza di sé e di miglioramento; l'autoperfezionamento è lo scopo ultimo, rispetto al quale l'attività ludica diviene qualcosa di strumentale. L'obiettivo sarà così quello di arrivare al limite, quest'ultimo in alcune circostanze non è più solo il limite personale, ma quello assoluto. L'autoperfezionamento si configura come elevazione a standard d'eccellenza: la posta in gioco si fa illimitata, al punto da incontrare il limite ultimo, la morte. L'incolumità fisica diventa il punto limite. - L'entrare in sintonia con l'elemento naturale per saperlo sfruttare: l'avventura e la sfida a se stessi hanno bisogno dell'elemento naturale. Gli sport estremi, infatti, si svolgono in ambienti spesso estesi e incontaminati. L'atteggiamento dello sportivo entro quest'ambiente è inoltre peculiare: si tratta non di contrastare, di avversare gli elementi naturali, bensì di entrare in sintonia con essi, per saperli sfruttare. Quegli elementi che al contempo possono arrecare pericolo, le correnti, i venti, gli appigli, per estensione tutte le caratteristiche ambientali, se sapientemente sfruttati, accrescono la riuscita dell'attività estrema: il vento per la vela, la corrente d'acqua per il rafting o l'onda per il surf. - La deregulation: negli sport estremi c'è un basso tasso di regolamentazione. Grande è, quindi, la libertà lasciata al soggetto. Questi sport diventano il luogo per una sperimentazione di sé viceversa negata in altri spazi e in altri momenti sociali. In tutti gli sport estremi c'è, inoltre, il paradosso della tiger in the cage: affinché si produca l'eccitazione deve esistere la possibilità del pericolo (la tigre), ma anche la convinzione dell'esistenza di una barriera di protezione (la gabbia). - Lo spirito ribelle: la subacquea è anche ribellione. E' il ribellarsi alle leggi della Natura, alle regole della Creazione che hanno assegnato il mare ai pesci e agli uomini la terra. Tramite una forma di isolamento autoimposto il subacqueo riesce ad estranearsi dalla società e forse anche in questo modo esprime il suo spirito ribelle. - L'addestramento e l'equipaggiamento: gli sport estremi, come la speleologia subacquea o l'alpinismo, si svolgono in ambienti inospitali e richiedono un equipaggiamento speciale e un addestramento specifico per sopravvivere in questi ambienti. Tra i subacquei esistono delle piccole elite che partecipano al profondismo estremo spingendosi ad oltre 200 metri di profondità e che vengono chiamati "ultra-deep diving". Questi sommozzatori necessitano di altissimi livelli di addestramento, di esperienza, di efficienza fisica e di un ottimo supporto di superficie. Sono soltanto otto (forse 9) gli sportivi che hanno superato la profondità di 250 metri, come si vede in Tabella. Si pensi che questo numero è inferiore a quanti hanno passeggiato sulla superficie lunare: dodici astronauti. Il primo che ha superato i 1.000 piedi (305 metri) è stato John Bennett nel 2001; da allora il suo record è stato superato solo due volte. Tabella: Immersioni oltre gli 800 piedi. Nome / Località / Profondità / Anno Nuno Gomes Mar Rosso 1.056 piedi (321,86 m) 2005 Pascal Bernabè Mediterraneo 1.083 piedi (330 m) 2005 David Shaw Sud Africa 888 piedi (270,66 m) 2004 G.M de Oliveira Brasile 898 piedi (273,71 m) 2002 John Bennett Filippine 1.010 piedi (307,84 m) 2001 Jim Bowden Messico 925 piedi (281,94 m) 1994 Sheck Exley Sud Africa 863 piedi (263 m) 1993 Don Shirley Sud Africa 820 piedi (249,93 m) 2005 Mark Ellyatt * Thailandia 1.027 piedi (314 m) 2003 * questo record non è stato verificato. Qualsiasi sia l'attività subacquea il momento più significativo corrisponde all'attimo in cui viene attraversata quella linea che segna il confine tra l'aria atmosferica e l'acqua, che vuol dire di fatto varcare una linea reale, unica e diversa da altri limiti. Confine che segna la separazione tra due mondi: quello terrestre e quello sottomarino. Nel momento in cui si valica questa linea di contatto tra l'aria e l'acqua si sviluppa nel subacqueo una divaricazione tra pulsioni profonde (inconsce) e motivazioni coscienti e l'immersione viene da quel momento "agita". In che modo, allora, l'immersione subacquea può essere considerata un "passaggio all'atto"? Per rispondere a questo interrogativo, si prenderanno in esame alcune modalità con le quali un subacqueo può immergersi. Prometeo od Orfeo? Le parole del filosofo Pierre Hadot (2006): "Ci sono stanze del sapere che nessuno ha mai aperto, chiuse a doppia mandata; ci sono arcani impolverati che hanno ancora il fascino di scrigni; ci sono misteri seppelliti e segreti innominabili. Ma poi c'è la scoperta, lo stupore, la gioia di vedere e capire 'per la prima volta': c'è la conoscenza", ci fanno venire in mente l'immersione profonda o in relitto. Hadot nei suoi studi cita il celebre aforisma di Eraclito: "La Natura ama nascondersi". Il significato di questa frase fa riferimento alla disposizione dell'uomo verso la natura [nel subacqueo tecnico ed estremo verso le profondità marine], che può essere di tipo "prometeico", ovvero di chi vuole impossessarsi della Natura per domarla e trasformarla, oppure può essere di tipo "orfico"; in questo caso la natura è sentita come misteriosa e solo un atteggiamento "poetico e artistico" può sollevare il velo dei suoi misteri. Ricordando il mito, Prometeo rubò agli dei il segreto del fuoco e fece dono all'umanità della tecnica e della civilizzazione. L'uomo prometeico è quindi colui che rivendica un diritto di dominazione sulla natura e l'atteggiamento prometeico è ispirato all'audacia, alla curiosità senza limiti, alla volontà di potenza e alla ricerca dell'utile. Il sub prometeico è rappresentato dagli ultra-deep diving. Orfeo era, invece, un prodigioso cantore, semidivino, in grado di smuovere la Natura col proprio canto; una figura complessa e poliedrica in quanto archetipo dell'artista, che con la melodia, il ritmo e l'armonia penetra nei segreti della natura. Era anche molto coraggioso, infatti decise di partire con gli Argonauti salpando con essi. L'atteggiamento "orfico" si basa sul rispetto per il pudore della Natura, che va svelata con cautela. Un rappresentante di questo modo di immergersi può essere individuato nel comandante Raimond Bucher che, pioniere della subacquea italiana e mondiale, aveva continuato ultranovantenne a praticare immersioni ad aria dimostrando che non esiste un'età per smettere di andare sott'acqua. I due atteggiamenti corrispondono al nostro rapporto sempre ambiguo con il mare e non possono essere separati in maniera troppo netta. Il mare può presentarsi a noi, da una parte, con un suo aspetto ostile (dal quale bisogna difendersi), dall'altra con il suo fascino, a volte terrorizzante, che ingloba il nostro stile di vita. I due atteggiamenti possono quindi succedersi nell'arco della vita immersiva del subacqueo, coesistere o addirittura mischiarsi tra loro, pur restando radicalmente e fondamentalmente contrapposti. I giocatore della "vertigine" Nell'evoluzione normale di ogni persona che inizia a camminare c'è l'esperienza della caduta e nell'esperienza normale di ogni persona, che desideri essere se stessa, c'è l'esperienza del sentimento di vuoto. La vertigine, come illustra bene Danielle Quinodoz (2005), è un gioco sospeso tra angoscia e piacere. Angoscia, in quanto la vertigine è fonte di malessere intenso, ma anche piacere perchè la vertigine è anche brivido cercato e goduto, in un gioco di ripetizione, come al Luna Park o come quello del bimbo che gode nell'essere lanciato per aria da persone fidate e che esprime in quel verso, che è una commistione tra la risata e un urlo di paura, gli elementi di angoscia e di piacere presenti nella vertigine (Freud, 1899). Si può giocare con le vertigini in molti modi e in molti campi. A volte il rischio è minimo e alla peggio capita una brutta caduta se si fa una scalata con una buona cordata o una 'pallonata' in un'immersione ricreativa. Al contrario chi scia su una parete verticale o fa il funambolo rischia la morte. Gli ultra-deep divers, quando superano i 250 metri di profondità, o Reinhold Messner, quando scala gli "ottomila metri", non hanno nessuna voglia di morire, ma desiderano avvicinarsi il più possibile al limite oltre il quale i giochi sono fatti. Tutti coloro che giocano pericolosamente con le vertigini sono interessati al limite e questo è presente in tutti i campi anche se il limite tra la vita e la morte rimane il più spettacolare. Arrivare fino al punto in cui non si può vivere senza ossigeno per Messner o a profondità sempre maggiori che richiedono numerose ore di decompressione per i subacquei profondisti fanno sì che il limite non appena raggiunto venga costantemente ricacciato per essere nuovamente superato. Alla fin fine quello che interessa questi giocatori della vertigine - precisa la Quinodoz - non è l'impossibile, ma il possibile: "fino a dove posso arrivare?". Messner (1992), nel suo libro "Le più belle montagne", dice: "Cerco i miei limiti. Ho bisogno di superare i miei limiti come un altro ha bisogno di droga. Costantemente. Quello che ho raggiunto finora mi interessa poco. Quel che mi soddisfa, che mi tiene all'erta, è quel che potrei (forse) raggiungere ora". Il piacere per il limite è equivalente al gusto per quella zona fittizia in cui si sente che i due estremi si riuniscono in noi e che dobbiamo tenerli insieme: la forza e la debolezza, il grande e il piccolo, il sempre e il mai, il conoscibile e l'inconoscibile. Il pendio, la neve, la montagna, l'aria, le profondità marine vengono trattate da chi pratica gli sport estremi come se fossero persone vive, pericolose e affascinanti che essi hanno un bisogno vitale di conoscere. La gravità del pericolo, che viene corso, mette in evidenza l'intensità del bisogno di conoscere questa "persona" ... di familiarizzare con questo 'oggetto'. Per cercare di fare questa conoscenza, chi gioca con le "vertigini" ha bisogno di incontrare l'oggetto attraverso la propria sensorialità: ha bisogno di sentire l'oggetto, non soltanto di conoscerlo con il pensiero o la fantasia; pensieri e fantasie sono presenti, ma rinviano continuamente ad una conoscenza corporea. Philippe Petit (1991), il famoso funambolo, dice: "Io annuso l'altezza, io assaporo la profondità, io aspiro il vento e l'aria". Cristina Freghieri (2003), una subacquea tecnica, sostiene: "In pratica per sentirmi positiva verso me stessa e verso la vita in generale, ho bisogno di "respirare l'acqua". L'elemento acqua e la specifica situazione dell'immersione profonda, crea in me il giusto rapporto nei confronti degli altri al punto che ho superato la sofferenza della 'solitudine' proprio andando sott'acqua, scoprendo così la 'parte migliore di me'". Possiamo allora dire che la montagna, la neve, l'aria, l'immensità, le profondità marine, ecc. sono l'oggetto oscuro e affascinante che gli sportivi estremi vogliono raggiungere? O bisogna piuttosto dire che lo sostituiscono? Che lo rappresentano? O meglio che lo simboleggiano? Non ci sono ovviamente risposte generali, ma solo personali. Come subacqueo, ma soprattutto come psicoanalista penso che più si tende ad usare il verbo essere nella risposta ("il profondismo è l'oggetto") più c'è il rischio che lo sport sia pericoloso; più si utilizza il verbo simboleggiare ("spingersi in profondità sott'acqua simboleggia l'oggetto") più credo che lo sport rimanga un gioco e sia meno pericoloso. Numerosi "giocatori dell'impossibile" hanno un punto in comune: il bisogno di ripetere un "terrore senza nome" che avevano provato nei primi mesi di vita e che era consistito nella sensazione di morire, un vissuto che non avevano potuto elaborare in quel momento a causa di una madre inadeguata a contenere l'angoscia del figlio. La madre era stata talmente angosciata dal rischio di morte del suo amato bambino che era stata incapace di contenere l'angoscia di quest'ultimo e anche di rendersi conto che il figlio era terrorizzato. Il bambino era rimasto così solo con un terrore senza significato e perciò non integrabile nella sua psiche (Quinodoz, 2005). La pratica dello sport estremo è quindi un modo per ricreare quella condizione infantile e cercare di elaborarla. Conclusioni Fino agli anni '50 gli psicologi correlavano la partecipazione a sport pericolosi a nascosti desideri di morte con spostamento e rovesciamento dell'angoscia secondo la teoria freudiana e alla presenza di un eccesso di sentimenti di inadeguatezza e inferiorità. Negli ultimi anni questa visione si è modificata e, oggi, le teorie psicologiche vedono nella partecipazione agli sport pericolosi anche un desiderio di arricchimento, di accrescimento e di stimolo o un incremento del proprio livello di arousal. E' stato così possibile iniziare a studiare la psicologia degli sport estremi e del profondismo subacqueo. I motivi che spingono un subacqueo ad immergersi a profondità sempre maggiori sono numerosi. In questo mio intervento ne ho prese in esame due: l'aspetto prometeico od orfico ed il "giocare" con le vertigini. Alla domanda "Prometeo od Orfeo?", come modalità di "agire" l'immersione, è difficile dare una risposta, forse è possibile solo una riflessione. In uomini come Jacques Piccard o Raimond Bucher, che sono stati "estremi" nell'avventura, una modalità "orfica" ha consentito di essere "estremi" anche nella vita arrivando a stadi molto avanzati di età. Altri sportivi, come gli ultra-deep diver, che hanno scelto una modalità "prometeico" di agire l'immersione, sono incorsi in gravi incidenti e ben tre di loro (Bennett, Exley e Shaw) sono morti ancora giovani: all'età di 45 anni i primi due e a 50 anni David Shaw. Ritengo, comunque, che l'atteggiamento prometeico od orfico oppure il 'giocare' con le vertigini abbiano per il subacqueo estremo il significato di una ricerca di equilibrio. Cos'è l'equilibrio? Certi artisti, come Tinguely (1), riescono ad esprimere bene nelle loro opere, cos'è questa condizione: uno stato precario, la risultante di movimenti diversi e posizioni instabili che un solo granello di polvere può inceppare! Chi esercita gli sport estremi è consapevole di questo: parafrasando l'opera di Tinguely potremmo dire che un granello di sabbia è a volte sufficiente per rendere inefficace un erogatore e far diventare così imprevedibile una programmata immersione subacquea. Sul significato, per un individuo, del bisogno di ricercare il proprio equilibrio, le scienze come la psicoanalisi possono aiutarci nel descrivere le condizioni che devono essere soddisfatte perchè la mente funzioni, così come si può analizzare la qualità della tela e la composizione dei colori indispensabili ad un artista come Van Gogh per creare un quadro. Quello, però, che costituisce l'essenza stessa della bellezza degli abissi sottomarini (o dell'opera d'arte) e la creatività della mente di chi vuole conoscerli (o crearla) forse non si potrà mai spiegare veramente del tutto. Forse è meglio così; la complessità della mente e lo spirito dell'uomo non smettano mai di sbalordirci! Bibliografia Freghieri C., La profondità "dentro" ognuno di noi, Rivista Telematica Psychomedia, 20.03.2003. http://www.psychomedia.it/pm/grpind/sport/freghieri.htm Freud S. (1899), L'interpretazione dei sogni, OSF III, Boringhieri Torino, 1980. Hadot P., Il velo di Iside. Storia dell'idea di natura, Einaudi, Milano, 2006. Jung, C.G., Concezione energetica in psicologia, in Opere, vol. VIII, Boringhieri, Torino, 1969. Messner R., Le più belle montagne e le più famose scalate, Vallardi Editore, Lainate, 1992 Petit P., Funambole, Albin Michel, 1991. Quinodoz D., La vertigine tra angoscia e piacere, Franco Angeli, Milano, 2005.

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