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IN QUELLA NOTTE BUIA DELLA COSCIENZA CHE NON ATTENDE PIU NESSUNA ALBA TERRENA di Guglielmo Campione

IN QUELLA NOTTE BUIA DELLA COSCIENZA CHE NON ATTENDE PIU NESSUNA ALBA TERRENA : IL COMA VEGETATIVO, LE CREATURE BIONICHE E LE DOMANDE SULLA VITA E SULLA MORTE. Le tragica vicenda di Eluana, ci pone tutti di fronte al tema della morte, dell'autodeterminazione e della qualità oltre che della quantità della vita(dare anni alla vita o vita agli anni ?)ma anche sul tema poco dibattuto dello stato mentale in cui si sosta in situazioni analoghe.Il tema della coscienza , mai è stato così attuale e fondamentale .Per la medicina scientifica lo stato di coscienza si riferisce al livello di coscienza presentato dalla persona in una determinata condizione.Dal punto di vista neurologico la coscienza è caratterizzata da due componenti: la vigilanza e la consapevolezza. La vigilanza: è caratterizzata da uno stato di veglia che non necessariamente è associata alla consapevolezza di ciò che accade nel mondo che ci circonda. La consapevolezza: consiste nella consapevolezza del mondo che ci circonda e, nella condizione più evoluta, del proprio essere. Lo stato di coscienza è stabilito dal buon funzionamento delle due componenti. Quando si ha vigilanza senza consapevolezza la persona appare con gli occhi aperti, un normale ciclo sonno-veglia senza segni di contatto con l'ambiente. Questa condizione è normalmente conosciuta come stato vegetativo. Nel caso del coma oltre alla consapevolezza manca la vigilanza per cui la persona ha gli occhi chiusi e ha difficoltà a fornire risposte anche riflesse (es. reazioni allo stimolo doloroso). Lo stato di coscienza può avere diversi livelli che non sono classificati in modo univoco. Alcuni autori (Damasio) parlano di coscienza nucleare per definire quella condizione alla base di comportamenti automatici come, ad esempio, nel sonnambulismo, quando una persona può effettuare una serie di azioni anche complesse senza una specifica consapevolezza e ricordo. Un livello più alto è la coscienza classica che prevede un'interazione più o meno appropriata con l'ambiente. Il livello massimo di coscienza è rappresentato dalla "Coscienza di Sé" che prevede la gestione complessa di se stessi nell'ambiente sociale con elaborazioni complesse di pensiero e di strategie d'azione. Su una dimensione così misteriosa come quella di una vita senza coscienza possiamo solo interrogarci ricordando , con Voltaire,che forse una persona va giudicata più dalle domande che non dalle risposte Anche W.R.Bion una volta aveva detto che" la risposta è la morte della domanda" e che "la curiosità è una seccatura perchè non ci dà requie, ci pungola continuamente ad apprendere di più riguardo a qualche cosa di cui non sappiamo niente ". Ma è davvero uno stato di assenza di coscienza ? o non è un particolare stato, di cui non sappiamo nulla se non che il soggetto non è responsivo agli stimoli fisici ? Non Si conoscono al mondo casi di risveglio da stati vegetativi così prolungati e nessuno ha tantomeno mai potuto descrivere a posteriori uno stato simile. Tutto quello che sappiamo, si fa per dire, viene dagli studi sulla "Near Death experience, i cosiddetti stati di premorte ( si veda a tal riguardo, nella bacheca foto del gruppo stati di coscienza la copia scanner del saggio di Renzo Rossin dei primi anni 90 pubblicato sulla rivista "Consciousness" ). Il soggetto vede sè stesso nel proprio letto in una visione dall'alto, ci possono essere rapide reminiscenze visive di episodi del passato , visioni di luci e altro. Lungi da tentazioni "Faustiane" dobbiamo confessare lo stato di impotenza conoscitiva di fronte a certe dimensioni . Ma dobbiamo anche chiederci se certi stati di Stand by della mente e del corpo sono previsti dalla natura o resi possibili , bionicamente, dalla tecnologìa umana .La parola "bionico" fu coniata da Jack E. Steele nel 1958, probabilmente originandola dal lemma greco "βίον" (pronunciato "bion"), che significa "unità di vita", e il suffisso -ic, che significa "come", "simile a" o "nella maniera di", da cui quindi "come la vita". Una persona così vive o è come se vivesse ? Cos'è che identifica la vita ? il funzionamento appena sufficiente degli organi o l'essere in relazione ? Che cos’è, infatti, la vita? La semplice animazione della materia, come pare di poter dire per certe esistenze tenute appunto "in vita" dalla strumentazione tecnologica? O il rispetto dell’individuo, della sua coscienza, della sua deliberazione valore indiscusso della cultura laica, che lo ha assunto a principio della sua organizzazione sociale? Il problema dell’eutanasia non mette in gioco il valore della "vita" che prolifera ovunque, ma il valore dell’"individuo" che, in certe condizioni può non ritenersi più degno di sé, e può quindi sentirsi in diritto di decidere di por fine a un’esistenza in cui altro non riconosce che un puro processo biologico, il quale, grazie all’assistenza tecnica, procede nella sua anonima irreversibilità. Sarebbe augurabile che la morte perdesse quel suo tratto di estraneità che inevitabilmente possiede quando è affidata alle sorti biologiche dell’organismo, e diventasse qualcosa di familiare con la vita, qualcosa che non chiude come un evento estraneo amori e amicizie, ma si fa accompagnare dagli amori e dalle amicizie per cui e con cui siamo vissuti. Questa è la morte "umana" che va assolutamente distinta dalla morte "biologica" che al limite non ci riguarda. Paiono esistere oggi una morte cerebrale, frutto di una convenzione scientifico- sociale ed una morte affettiva-emotiva oltreche una morte biologica. La morte cerebrale è una morte sociale non biologica,(...)non è una percezione dell'intuito o del buon senso(...),non è ovvia(...),anticipa la morte somatica ? La nozione illuminista del corpo come proprietà esclusiva dell'individuo(...)è ancora valida? Il corpo puo essere percepito morto nel senso medico sociale mentre non è percepito morto nel senso affettivo e simbolico..Vi sono solo due stati organici: vivo o morto...? Come dice Galimberti : "La morte mi riguarda o riguarda solo il mio organismo? Questo pensiero che accompagna la vita di noi tutti, che limita la nostra progettualità, che ci fa compiere certe scelte a una certa età e non a un’età più avanzata, questo pensiero della fine dei nostri giorni che coinvolge aspettative e speranze, progetti e rimpianti, affetti e stili di vita, è una faccenda da affidare alle sorti della materia di cui siamo fatti, o è una faccenda su cui anche noi possiamo intervenire, proprio perché coinvolge quel che siamo e non tanto quello di cui siamo fatti? Quando ci dovessimo emancipare da questo grossolano materialismo che, cadenzando la vita sulle sorti della materia, ci espropria di quel che la vita ha significato per noi, dello stile che le abbiamo dato, dell’impronta che le abbiamo conferito, per consegnarci irrimediabilmente a quell’evento non nostro che è la morte organica, anche la decisione se prolungare o meno la vita del nostro organismo risulterebbe più facile. Del resto tanta incertezza e tante discussioni intorno alla morte assistita, chiesta, invocata e talvolta accordata, quando il paziente è vivo solo per le leggi biologiche dell’organismo, in quella notte buia della coscienza che non attende più nessuna alba, dipende dal fatto che è incerto il nostro concetto di "vita", che oscilla paurosamente tra la vita anonima dell’organismo e quella personalizzata dell’individuo che, nelle residue possibilità biologiche del suo organismo, non riconosce alcuna immagine di sé ".

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