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l'estasi,la preghiera,la meditazione,la creatività artistica e scientifica,
l'esplorazione dello spazio e degli abissi marini,l'agonismo sportivo.
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Dalle neuroscienze alla psicoanalisi: specializzazione emisferica e psicoanalisi bioniana a confronto di Nadia Deromedi.
Dalle neuroscienze alla psicoanalisi: specializzazione emisferica e psicoanalisi bioniana a confronto
Introduzione
Questa tesi(Universita Torino- Psicologia)dell’area di studi relativamente nuova costituita dal confronto neuroscienze e psicoanalisi, tratta un argomento neuroscientifico tra i più studiati, a causa del fascino che da sempre esercita sia sui ricercatori sia sui divulgatori soprattutto in America: la specializzazione emisferica. La scelta di questo interessante argomento è dovuta alle notevoli analogie che ho avuto modo di riscontrare tra le descrizioni del funzionamento mentale derivate dagli studi sulla specializzazione e la descrizione di alcune tra le fondamentali funzioni della mente proposte dallo psicoanalista Wilfred R. Bion.
La modalità con cui è stato affrontato il discorso, è stata proprio quella di operare un accostamento delle descrizioni riguardanti il funzionamento mentale cui le due discipline, operanti con metodologie e intenti completamente diversi, sono giunte e di tentare di porre in evidenza, in particolare, le similitudini. Non si è trattato quindi di una sovrapposizione di vedute né tantomeno della localizzare dei concetti psicologici in regioni cerebrali in quanto l’approccio non è stato forte e ha portato piuttosto alla nascita di ipotesi che possono stimolare la voglia di pensare. In effetti questo accostamento induce la nascita di pensieri da pensare…per dirla bionianamente. Ma perché la psicoanalisi bioniana? Bion ha costruito una teoria della mente evidenziando le funzioni mentali piuttosto dei contenuti; questo ha dato alla sua psicoanalisi un carattere cognitivo e reso la sua teoria adatta a questo confronto. I concetti maggiormente legati al discorso da me intrapreso sono: la centralità delle emozioni, la costruzione del pensiero partendo dall’emozione, la trasformazione degli elementi beta in alfa, la tendenza alla bugia, l’oscillazione PS«D, la capacità negativa.
Più in specifico il mio lavoro è partito dall’introduzione dell’ambito della specializzazione emisferica per poi inoltrarsi nel confrontare le due maggiori e più peculiari teorie sull’argomento riguardanti il funzionamento attribuito all’emisfero sinistro, rispettivamente di Michael Gazzaniga e V.S. Ramachandran, e la modalità del pensare ipotizzata da Bion.
Nel capitolo successivo ho affrontato il tema centrale delle emozioni e del loro ruolo nella formazione del pensiero, illustrando la teoria di Antonio R. Damasio e l’ipotesi bioniana della funzione alfa. Nel capitolo quarto ho descritto i diversi tipi di elaborazione messi in atto dagli emisferi, avvalendomi della teoria di Wilma Bucci, e accostato questi ai diversi processi mentali elaborativi individuati da Bion nella clinica. Per ultimo, nel capitolo riguardante il linguaggio, ho sottolineato l’importanza oggi riconosciuta all’emisfero destro nel produrre una comunicazione emozionante e adeguata, e accostato questa alla necessità, riscontrata anche da Bion, di uno sviluppo emotivo per un utilizzo adeguato del linguaggio.
I titoli dei capitoli si riferiscono all’aspetto legato alla specializzazione emisferica considerato nel confronto, mentre è implicito il riferimento alla psicoanalisi bioniana
Inizio ora con un’esposizione abbreviata del capitolo introduttivo che chiarisce il punto di partenza del mio assunto nel campo delle neuroscienze.
Capitolo 1 - Introduzione alla specializzazione emisferica
L’inizio del capitolo è dedicato alla scoperta della specializzazione emisferica, ossia della differenza funzionale rilevata negli emisferi rispetto a determinati compiti e della conseguente specializzazione in determinate capacità.
La certezza di un’asimmetria funzionale è stata identificata solo nel 1861 da Broca, ma altri studi e osservazioni sulla bilateralità erano già stati pubblicati (es. studi del 1870 di Hughlings-Jackson riguardo il ruolo dell’emisfero destro). Sempre in questo periodo nelle nozioni popolari si era insinuato il tema del doppio, Stevenson nel 1886 scrisse Dr Jekyll and Mr Hyde e si iniziava a pensare nei termini di due coscienze, una “primitiva” e l’altra “educata”… (Pally,1998a). Studi sistematici sulla specializzazione emisferica iniziarono, però, soltanto negli anni Sessanta, ad opera di quelli che oggi si considerano i pionieri e i massimi esponenti del campo: Roger W. Sperry e Gazzaniga. Il punto di partenza furono le prime essenziali osservazioni rilevate qualche anno prima da Sperry, e dal suo ricercatore Ronalds Meyers, che dimostrano con chiarezza il funzionamento indipendente degli emisferi.
Il capitolo prosegue con la descrizione delle specializzazioni, concetto che ha relativizzato quello di dominanza col quale, inizialmente, si indicava in senso assoluto l’emisfero sinistro perché sede del linguaggio e del ragionamento. Oggi, la prospettiva adottata per il cervello, rispetto alla questione della specializzazione, è ‘asimmetrico, ma integrato’ (Pally, 1998a). Le abilità, che costituiscono le specializzazioni emisferiche, sono per la maggior parte riconosciute e accettate, perché sostenute da numerosi studi a riguardo, ma si sottolinea al tempo stesso l’importanza fondamentale della cooperazione tra emisferi in un cervello sano.
L’emisfero destro si considera dominante per quanto riguarda l’elaborazione delle informazioni socio-emozionali, esso è infatti maggiormente connesso alle strutture del sistema limbico e controlla bilateralmente il sistema nervoso simpatico, nel riconoscimento dei volti, delle espressioni emotive del viso e dell’elemento emotivo nel discorso, ossia nella prosodia, nell’abilità musicale, in particolare per la melodia. Esso possiede maggior abilità nei compiti visuo-spaziali, nell’orientare il corpo nello spazio e nell’elaborazione delle sensazioni somatosensoriali per la costituzione dell’immagine corporea.
L’emisfero sinistro invece è dominante riguardo al linguaggio, in particolare nell’uso della grammatica, nel ragionamento analitico, nella risoluzione di problemi, nella capacità di trarre inferenze e di interpretare. E’ inoltre maggiore la capacità di controllo dei movimenti fini di dita, mani, braccia e dei muscoli legati all’esplicazione del parlare dunque bocca e lingua.
Il discorso pur essendo complesso e ricco di sfumature, si è prestato a facili dicotomie che da sempre attraggono il pensiero occidentale. Il fascino di questo argomento infatti non ha colpito solo gli studiosi del campo, ma anche i “non addetti ai lavori”, tanto che facili descrizioni di “stile di vita da cervello destro o sinistro” e modi di dire, non sempre veritieri, ma molto intriganti sono stati proposti da giornalisti e divulgatori e hanno fatto sì che questo argomento entrasse a far parte della cultura comune, soprattutto in America…
Gazzaniga, a questo proposito scrive come, nonostante i fraintendimenti popolari possano toccare gli scienziati, è bene lasciare che le cattive idee muoiano da sole e poi aggiunge, tra l’ironico e il pragmatico, il vantaggio che si può trarre dalla divulgazione…
“nella scienza americana simili interferenze possono avere un effetto ben preciso sui finanziamenti per la ricerca” (Gazzaniga, 1984, p.98).
Il capitolo prosegue con il paragrafo dedicato ai metodi d’indagine che hanno permesso lo studio della specializzazione emisferica e che ora mi limiterò ad accennare.
Le prime osservazioni si devono al metodo per eccellenza della neurologia quello della lesione, ancor oggi largamente utilizzato, mentre il metodo più tipico in questo campo consiste nello studio dei pazienti cosiddetti split-brain, anche se i risultati di queste ricerche sono stati spesso oggetto di discussione a causa della variabilità rispetto alla completezza della commissurotomia. Un altro metodo molto utilizzato è il test di Wada che permette lo studio su un cervello intatto e porta a considerare la possibilità di una disconnessione funzionale (Risse e Gazzaniga, 1979). Negli anni Settanta, sono stati utilizzate altre due metodologie per poter svolgere degli studi su soggetti normali: l’ascolto dicotico e la presentazione tachistoscopica.
Oggi si utilizzano massicciamente le tecniche di neuroimmagine funzionale come la Tomografia ad Emissioni di Positroni (PET), la Risonanza Magnetica Funzionale e la Spettroscopia a Risonanza Magnetica (MRS).
Infine mi è sembrato necessario nel capitolo introduttivo un riferimento alla questione lateralità vs modularità. Il concetto di modularità è sicuramente oggi la modalità più condivisa e produttiva con cui affacciarsi allo studio del cervello, visto quindi come un’organizzazione in moduli che funzionano in modo indipendente e parallelo. Questo concetto ha soppiantato quello di lateralizzazione, idea suggestiva nata dai primi studi e si riferisce alla presenza di due menti (diverse) in un solo cervello.
Nonostante il cambiamento di prospettiva, non si possono negare agli emisferi specifiche abilità, che sottendono una diversa elaborazione dell’informazione in entrata, e dunque l’evidenza di determinate dominanze. Il punto risiede nell’utilizzo di dati e ipotesi teoriche all’interno di una visione più ampia, che non si fermi a quella che potrebbe essere una sterile descrizione di dicotomie, ma venga utilizzata per un quadro sempre meglio integrato delle conoscenze.
Capitolo 2 - Le maggiori teorie sull’emisfero sinistro: l’interprete e i sistemi di credenza
In questo capitolo ho confrontato la psicoanalisi bioniana, con le maggiori e più specifiche teorie sul funzionamento dell’emisfero sinistro. La prima considerata, la teoria dell’interprete di Gazzaniga, è la più famosa delle due ed è legata ai primi e molteplici studi sulla specializzazione essendo infatti sostenuta da uno dei massimi esponenti nel campo.
Le basi per la teoria risultano i numerosi esperimenti rivelatori, effettuati su pazienti split brain, tra i quali quello cosiddetto della “zampa di gallina” eseguito per la prima volta da Gazzaniga e Joseph LeDoux (1978) risulta tra i più caratteristici e classici. Al soggetto vengono presentate rapidamente e contemporaneamente due immagini, rispettivamente una zampa di gallina all’emisfero sinistro e una nevicata al destro e gli viene poi chiesto di scegliere un’illustrazione attinente a ciascuna immagine lateralizzata a partire da una serie posta di fronte a lui. Il soggetto sceglie con la mano destra una gallina e con la sinistra una pala di neve. Gli sperimentatori chiedono di motivare la scelta e la risposta, ormai divenuta famosa, è:
“ ‘Ah, è facile. La zampa di gallina va con la gallina e ci vuole una pala per pulire il pollaio’ ” (Gazzaniga, 1989, p.75, ed orig. 1985).
In un attimo l’emisfero sinistro, unico ad avere la possibilità di esprimersi verbalmente, costruisce una teoria sulle azioni del corpo e spiega la scelta –adeguata- messa in atto dal “muto” emisfero destro.
Sono stati compiuti esperimenti simili anche riguardo la risposta emotiva; ad esempio ad una ragazza venne mostrato un filmino, che riguardava scene di un incendio piuttosto raccapriccianti, esclusivamente ad un campo visivo. Al momento del resoconto la ragazza disse che non sapeva dire ciò che aveva visto, ma si sentiva impaurita e aggiunse che, anche se il Dr. Gazzaniga le era simpatico, in quel momento per qualche ragione aveva paura di lui. La valenza emozionale era stata trasmessa, ma l'emisfero sinistro non aveva recepito il contenuto che aveva determinato la variazione a livello emozionale, e dovendo comunque gestire l’emozione, l’aveva interpretata come aveva potuto.
Gazzaniga, nella sua teoria dell’interprete, postula l’esistenza di un interprete all’interno di un’organizzazione modulare del cervello (1985), organizzazione in cui l’informazione in arrivo viene scomposta in parti e trattata da unità specifiche che funzionano indipendentemente dalla consapevolezza verbale e in parallelo al pensiero cosciente (Gazzaniga stesso riconosce la similarità tra la modularità della mente da lui formulata e il concetto freudiano di funzionamento mentale inconscio [Bucci, 1999], proponendo di cambiare il concetto di “processo inconscio” nell’idea di “moduli mentali cocosci ma non verbali”).
L’ipotesi dell’interprete, modulo strettamente collegato alle capacità verbali, deriva dalla rilevazione della tendenza ad interpretare insita nell’emisfero sinistro, il quale sembra regolato da una legge per cui ha bisogno di dare una spiegazione a tutto. Le inferenze tratte, sia riguardo gli eventi del mondo circostante sia riguardo i nostri comportamenti e stati d’animo, permettono la formulazione di ipotesi che possono trasformarsi in credenze e teorie più o meno multidimensionali e flessibili, e fondamentali per l’identità dell’individuo.
Con una visione di più ampio respiro, il vantaggio di tale meccanismo è, come dice Gazzaniga, la possibilità di “distaccarsi dall’influenza delle forze ambientali” (id., p. 166), dunque assolutamente necessario. Ciò che è stato considerato nel confronto con la psicoanalisi bioniana, sono però le conseguenze a “breve termine” di questo funzionamento, che nel suo esplicarsi quotidiano permette all’uomo di stare bene e di gestire con ordine gli eventi della vita. L’interpretazione, o la giustificazione o la razionalizzazione, consentono infatti secondo Gazzaniga di vivere con l’indispensabile sensazione di coerenza interna (sarebbe interessante la riflessione considerando che Gazzaniga ha costruito la teoria sul fenomeno dell’interpretazione e che questa parola indichi in psicoanalisi lo strumento per eccellenza dell’analista).
Questo funzionamento è stato confrontato con i due tipi di pensiero ipotizzati da Bion – quello che permette di pensare i pensieri e quello della bugia - ed è stato collegato, sulla base di alcune analogie, a quello che porta alla bugia.
Il primo punto che ho considerato è costituito dalla tendenza, che diviene spesso costrizione, nell’interpretare rispetto cui Gazzaniga dice :
“la mia tesi è che il cervello umano sia costretto a interpretare i comportamenti reali e a costruire una teoria che ne spieghi il perché “ (id., p.76).
Anche Bion riconosce questa tendenza mentale in modo universale, riscontrandola all’interno della coppia analista-paziente, suo laboratorio.
Per l’analista egli auspica un assetto mentale di lavoro detto capacità negativa, concetto che permette di intuire come avesse focalizzato la tendenza ad una ricerca affannosa di ragioni e perché, in quanto indicante proprio la necessità, che diviene capacità, di sostare nell’incertezza. La voglia di spiegazione e il conseguente ordine logico del campo dell’esperienza eliminano il disagio psichico e permettono di provare un sentimento di sollievo, (accostabile alla necessaria sensazione di coerenza interna di Gazzaniga) ma possono portare lontano dalla verità e per questo sono pericolosi se agiti dall’analista.
“Su che cosa poggia l’azione analitica secondo Bion? Sulla forza e sulla capacità di tollerare il dolore, la frustrazione dell’incoerenza; di resistere alla seduzione proposta dal senso di liberazione che spesso è possibile attendersi dalla coerenza” (Viola, 1996-1997, p.66)
Nei Seminari clinici Bion evidenzia poi come la ricerca di spiegazioni nell’analista aumenti ad opera della pressione esercitata dal paziente affamato di certezze, affinché capisca e lo faccia in fretta (1987).
La capacità negativa è il presupposto perché, grazie al meccanismo di oscillazione PS ↔ D si formi il pensiero ed emerga una configurazione dotata di senso (es. un’interpretazione).
E’ necessario infatti per Bion sostare in PS, nel polo della confusione caotica e del vuoto della posizione schizoparanoide, grazie alla capacità negativa e alla pazienza per far emergere uno schema dotato di senso, analogo a D, che risiede nel polo della sicurezza.
Bion auspica, per un’interpretazione adeguata, un atteggiamento mentale passivo e fiducioso verso un pensiero che verrà; Gazzaniga ipotizzando un funzionamento “attivo” dell’interprete che cerca una spiegazione al comportamento, si avvicina invece a ciò che Bion descrive accadere come afferrarsi al noto per paura o ansia rispetto all’“immersione” in PS, nell’ignoto. Il fatto che Bion esorti a non rifugiarsi nel familiare in modo spesso incalzante, induce a pensare a quante forze contrarie e forse più naturali, spingano ad utilizzare il nostro sistema di credenze perché è troppa la fatica, o è troppo il dolore e l’impazienza, e il sollievo momentaneo è invece a portata di mano. Gazzaniga stesso definisce riflesso il modo in cui l’uomo moderno effettua inferenze. Egli scrive:
“La mente media ricava grande piacere dal costruire teorie sulla base di queste correlazioni superficiali. Solo una mente addestrata e istruita impara a inibire questo riflesso e talvolta si mette in cerca di cause nascoste o d’altro genere” (Gazzaniga, 1989, p. 164, ed. orig. 1985).
Una mente addestrata come quella di un’analista…
A questo proposito, Bion esorta gli analisti ad un uso corretto e moderato delle teorie psicoanalitiche, che pur indispensabili devono rimanere un bagaglio leggero, non devono oscurare la vista e sovrapporsi all’esperienza reale della seduta (1987).
Considerando queste descrizioni possiamo accostare il risultato del processo di pensiero ipotizzato da Gazzaniga al fenomeno della bugia bioniana, ossia alle assunzioni false, che forniscono al soggetto una teoria utile come barriera difensiva contro sentimenti e idee che potrebbero prenderne il posto (1963). Tali espressioni inibiscono il pensiero perché occupano il posto della “non cosa”, laddove si poteva sviluppare il pensiero vero, e possono portare a comunicazioni –K, che impediscono la conoscenza K e allontanano dalla verità. Bion riconosce lo stretto rapporto tra queste asserzioni e i fenomeni noti come espressioni di resistenza (1970).
Ho considerato poi la visione della schizofrenia cui sono giunti Gazzaniga e Bion utilizzando i loro diversi modelli esplicativi. Gazzaniga ipotizza alla base di ogni disturbo una situazione di squilibrio neurochimico non ben interpretabile dall’emisfero sinistro, per cui:
“L’interprete insediato nel cervello cerca di mettere ordine nel caos prodotto da anomalie chimiche” (1998. p.92,ed. orig.1990)
La funzione dell’interprete continuerebbe ad operare correttamente, mentre l’anomalia consisterebbe nel “materiale“ da interpretare e nell’accumulo di interpretazioni conseguentemente bizzarre, che tendono sempre più a cronicizzare.
La teoria del pensiero di Bion, ipotizza invece la mancanza o la rottura del contenitore e l’invasione di elementi beta, ossia di dati sensoriali puri, non dotati di senso: la parte psicotica cerca di eliminare l’apparato per pensare i pensieri, odiati perché possibili portatori di verità e dunque di contatto con la realtà.
Il confronto ha condotto a considerare che l’interprete di Gazzaniga non è assimilabile alla funzione alfa né all’apparato per pensare i pensieri perché a differenza di questi spesso conduce alla bugia. Entrambi gli autori hanno però pensato ad un difetto molto primario del processo del pensiero, in Gazzaniga descritto come arrivo di percezioni anomale, in Bion come mancata basilare trasformazione degli elementi beta in alfa che permangono così “insensati”. Successivamente l’interprete continua la sua funzione e creerà interpretazioni bizzarre, in Bion il soggetto si affiderà a credenze vuote di significato, ma sature per evitare di pensare.
Il punto che pone maggior distanza tra la due visioni è il fatto che la teoria di Gazzaniga risulta avulsa da ogni possibile determinismo emotivo riguardo il motivo dello squilibrio iniziale.
“Non so perché mi sento così”; “che cattivo umore questa mattina”…capita a volte di non accorgersi del motivo delle nostre sensazioni, di essere “ignoranti “ verso noi stessi…Si tratta di una sorta di dissociazione funzionale in un cervello intatto che non sempre funziona in modo integrato. In un paragrafo particolare che ho intitolato significativamente Interpretazione o attesa? ho posto l’attenzione sul funzionamento mentale che segue questo tipo di evento secondo i diversi autori.
Gazzaniga (1985) fornisce l’esempio del trascorrere una serata piacevole, e di svegliarsi la mattina seguente sentendosi ansiosi e depressi. Egli ipotizza l’attivazione “capricciosa” di un modulo non verbale, con connotazioni emotive negative da cui risulterebbe l’umore negativo e il conseguente comportamento del soggetto di fronte alla sensazione sconosciuta che può essere: non farci caso o trovarvi una spiegazione –qualsiasi- per poter star meglio.
Ho proposto poi la lettura di un pezzo tratto da La signora Dalloway di Virginia Woolf, la quale con il suo stile analitico e realistico, riesce a descrivere splendidamente il meccanismo mentale conseguente ad una delle situazioni suddette. In questo caso però la mente della Signora Dalloway non si accontenta di una spiegazione ma aspetta (bionianamente) il pensiero giusto che si accorda emotivamente alla sua sensazione…
“…Ma, ma, perché d’un tratto si sentì, senza che ne capisse la ragione, così disperatamente infelice? Come una persona che abbia lasciato cadere una perla, o un diamante nell’erba e con grande attenzione ne scosta i fili alti di qui e di là, tra le radici; così lei andava da una cosa all’altra. No, non era perché Sally […] E non c’entravano né Elisabeth né Doris Kilman: quelli erano fatti. Era piuttosto una sensazione, una sensazione sgradevole di prima, forse: qualcosa che aveva detto Peter, che s’era associata a una depressione sua,[…] e poi una cosa detta da Richard s’era aggiunta, ma che cosa le aveva detto? Eccole lì, le rose: La festa! La sua festa! Tutti e due la criticavano molto slealmente, ridevano di lei ingiustamente, per le sue feste. Era quello! Era quello! […] Ora che sapeva che cos’era si sentì perfettamente contenta” (1993, p. 108,ed. orig.1925).
Bion, in Attenzione e Interpretazione, scrive che l’insight deve precedere l’atto interpretativo e che l’interpretazione non è la rappresentazione di un pensiero, bensì la trasformazione di un’emozione alla quale viene dato prima un nome (il quale se rimane il processo finale rischia di diventare una bugia) e poi un significato. Collegando più esplicitamente il discorso al tema della lateralizzazione, la Bucci, scrive come sia dunque l’emisfero destro, con la sua capacità analogica nella corrispondenza di pattern, a spingere verso la giusta associazione emotiva:
“Forse sua moglie si è rivolta a lui in maniera leggermente ridicolizzante, o si è mossa quasi impercettibilmente mentre lui la cingeva con le sue braccia in un momento di tenerezza, o ha sorriso un po’ troppo al suo migliore amico. Nessuna di queste situazioni viene afferrata dall’emisfero sinistro (ovvero dai sistemi simbolici e verbali) […]. Nondimeno, le capacità del cervello destro (il processore subsimbolico o implicito) possono operare e attivare un ricordo o un’immagine che produrranno angoscia, con sentimenti associati.”(1999, p. 163).
Nel seconda parte del capitolo ho considerato invece la teoria dei sistemi di Ramachandran, professore di neuroscienze e psicologia a San Diego. Egli nel suo libro davvero brillante La donna che morì dal ridere, espone la teoria – peraltro non in disaccordo con quella di Gazzaniga - in cui sostiene che l’anosognosia risulta dai diversi ruoli giocati dagli emisferi rispetto al sistema di credenze. L’emisfero sinistro avrebbe il compito di ordinare gli input e interpretarli in un sistema di credenza coesivo con lo scopo di mantenere quest’ultimo stabile e efficiente. Al giungere di un’informazione incoerente, la tendenza dell’emisfero sinistro sarà di ignorarla o di stravolgerla per adattarla alla struttura preesistente (lo stesso Ramachandran suggerisce come questo tipo di scopo, sia il motivo alla base delle difese freudiane: negazione, rimozione, razionalizzazione, e altre forme di autoinganno).
L’emisfero destro invece funziona da rilevatore di anomalie per il quale il sistema verrà rivisto non appena l’anomalia supera una certa soglia. Nel caso di lesione all’emisfero destro il rilevatore risulta indebolito e l’emisfero sinistro manterrà la sua credenza e razionalizzerà in modo fantasioso l’incapacità motoria, che pur apparendo ai suoi occhi, non appare al suo emisfero destro!
Introducendo in modo interessante il discorso in ambito clinico, Pally scrive che durante l’interpretazione del transfert può capitare che il rilevatore di anomalie avverta l’individuo di rivedere il suo sistema di credenze nevrotico (1998). Bionianamente il pensiero vero, emerso dal vissuto emotivo provato nella relazione, cerca di sconvolgere un establishment noto, presente nella mente del paziente.
Nel Confronto con la psicoanalisi bioniana ho collegato la tendenza al mantenimento e alla stabilità della credenza al concetto di gruppo (o istituzione o establishement):
“L’individuo manifesta sempre qualche aspetto stabile e costante della propria personalità, […] Questa stabilità corrisponde a ciò che ho chiamato Istituzione” (1973, p. 165, ed. orig.1970).
L’anomalia rilevata dall’emisfero destro è collegabile al concetto di mistico (o Messia o genio) personificazione dell’idea nuova. L’Istituzione tende ad incorporare il genio ma, quando questo è troppo violento può capitare rompa il contenitore troppo rigido (cambiamento catastrofico), così come l’anomalia rilevata dall’emisfero destro può essere integrata nel modello esistente o, superando una certa soglia, può portare questo a destrutturarsi.
Rispetto alla formazione del pensiero, questo modello evidenzia la paura del cambiamento, la tendenza al mantenimento del noto, la rigidità assimilabili al meccanismo ipotizzato dell’emisfero sinistro riguardo i sistemi di credenza.
Interessante a livello psicoanalitico è poi il lavoro di Ramachandran rispetto alle difese psichiche e l’ipotesi circa la possibilità di intravedere il maggior esplicarsi delle difese nell’anosoagnosia a causa di un danno ai circuiti dove questi meccanismi si originano.
Capitolo 3 - Le emozioni e l’emisfero destro
In questo capitolo ho trattato il ruolo dell’emisfero destro nel campo delle emozioni, e l’importanza di queste rispetto alla formazione del pensiero.
Dopo aver descritto la dominanza dell’emisfero destro nel campo emotivo riguardo la percezione, l’espressione, e l’elaborazione delle emozioni e la sua conseguente importanza nelle relazioni sociali e nella valutazione del contesto, ho esposto la teoria di Antonio Damasio, riguardo la base emotiva del pensiero razionale e secondo la quale la nostra capacità di prendere decisioni e ragionare non viene “disturbata” dalle emozioni, bensì sostenuta da questa realtà sostanzialmente somatica.
Egli, nel bellissimo libro intitola significativamente L’errore di Cartesio, espone interessanti casi clinici di pazienti con lesioni prefrontali che pur non riportando danni cognitivi evidenti dimostravano una personalità diversa e in particolare un deficit nella capacità decisionale, soprattutto nel dominio personale e sociale, combinato con piattezza di emozioni e sentimenti. Damasio scrive:
“[…] una riduzione dell’emozione può costituire una fonte ugualmente significativa di comportamento irrazionale.” (1995, p.96, ed. orig.1994).
In questa teoria Damasio considera anche l’anosognosia perché anch’essa porta a queste incapacità, seppur in un quadro commisto di molti altri disturbi. Egli ritiene che, le aree in mutua comunicazione entro la regione dell’emisfero destro lesa nell’anosognosia, producano la mappa più completa e integrata dello stato presente del corpo, dell’immagine del corpo (questo argomento comprende l’importante concezione del proto sé, struttura basilare per il senso di sé e dunque per la coscienza). I soggetti anosognosici infatti oltre all’incredibile mancanza di consapevolezza nei confronti dello stato del loro corpo, manifestano un’assenza di ogni preoccupazione per il proprio stato e un’assenza di emozioni. In effetti, Damasio scrive:
“E’ significativo che la rappresentazione dello spazio extrapersonale, come pure i processi dell’emozione, implichino una dominanza dell’emisfero destro.” (id., p. 113).
Così capita che, alle notizie negative circa il loro stato di salute, essi reagiscano con animo sereno, a volte con macabro umorismo, mai con angoscia e disperazione…adeguate.
La teoria di Damasio si basa sull’ipotesi del marcatore somatico che consiste nell’affermare l’esistenza di un meccanismo automatico e somatico che agisce “marcando” determinate immagini di situazione tramite le sensazioni corporee provate, e che risulta vantaggioso nel processo di presa di decisione perché limita le alternative su cui applicare il ragionamento. Scrive:
“Sembra che l’apparato della razionalità, ritenuto neocorticale non operi senza quello della regolazione biologica, tradizionalmente considerato subcorticale. Sembra cioè che la natura abbia edificato il primo non semplicemente alla sommità del secondo, ma con questo e a partire da questo” (id., p. 188).
All’inizio della vita la sopravvivenza dell’individuo è assicurata dalle disposizioni regolatrici per lo più innate, per cui risulta implicato il sistema limbico. Durante lo sviluppo, la mente categorizza i fenomeni e le situazioni, finchè successivamente la corteccia prefrontale, può sostituire alle risposte automatiche un processo decisionale basato sull’esperienza pregressa. In questo modo si anticipa il risultato delle possibili risposte:
“L’ansia degli esseri umani potrebbe essere l’elevato costo dell’abilità di anticipare i pericoli e di pensare a potenziali problemi futuri. Gli animali inferiori devono subire le conseguenze di scelte sbagliate, ma non si preoccupano di queste prima del tempo”(Pally, 1998b, p. 354).
Questo aspetto potrebbe risultare interessante anche nello studio di patologie psicologiche costituite da un’incapacità decisionale e da ruminazioni, come ad esempio nel disturbo di tipo ossessivo.
La teoria di Bion sul pensiero richiama profondamente le ipotesi di Damasio, nella visione del processo che porta al pensiero, vero per Bion e razionale per Damasio.
In entrambi, infatti, la base del processo del pensiero risiede nel corpo, nella trasformazione di primi dati sensoriali grezzi in ciò che Damasio chiama immagini, non riferendosi solamente alla modalità visiva, e in ciò che Bion chiama elementi alfa.
Palesemente simile è il concetto riguardante il primo associarsi degli elementi alfa. Entrambi gli autori infatti postulano il crearsi di una sorta di narrazione breve e personale, costituita da immagini e avente senso. Damasio propone una narrazione non verbale che si basa su configurazioni neurali che diventano immagini e che costituiscono il “film del cervello”. Bion postula l’unione degli elementi alfa, i quali singolarmente non risultano pensabili, e la costituzione di “catene” più lunghe di senso dette miti e sogni, e intesi come piccole narrazioni individuali.
Un altro punto su cui vorrei attirare l’attenzione è il senso di soggettività che queste sensazioni somatiche, divenute immagini, acquistano in entrambe le teorie. Secondo Damasio è la prima funzione del sé, il proto-sé che operando a livello strettamente corporeo e gestendo il dentro e il fuori, marchia le sensazioni come nostre. Questa funzione primaria, essendo esplicata principalmente dall’emisfero destro e da altre strutture subcorticali, induce a supporre che le prime funzioni significanti si creino proprio in questo emisfero, il cui sviluppo precede quello dell'emisfero sinistro. In Bion:
“La funzione alfa dota la mente di un senso di soggettività. Ora la mente può pensare a sé stessa e avere una risposta personale agli avvenimenti emotivi. E’ capace di trasformare in pensieri l’esperienza emotiva di base.” (Symington,1998,p. 62, ed. orig.1996)
Un altro aspetto fondamentale per entrambe le teorie, ed espresso nello stesso modo, è la necessità di apprendere dall’esperienza.
Nel dimostrare la teoria del marcatore somatico, Damasio fa un chiaro riferimento al processo dell’apprendimento tramite la marcatura dell’esperienza diretta di una sensazione che dà luogo a ciò che egli definisce il “circuito del corpo”. Bion, che ha intitolato uno dei suoi libri Apprendere dall’esperienza, ha utilizzato questo concetto riferendosi alla relazione analista-paziente, in cui è essenziale per l’analista calarsi nell’esperienza emotiva per trarre pensieri (e interpretazioni) piuttosto che arroccarsi dietro teorie psicoanalitiche che, se utilizzate troppo presto, ostacolano l’approccio alla realtà emotiva.
Un altro concetto, che non si può non evidenziare, è la necessità da entrambi rilevata di una trasformazione delle emozioni affinché queste possano divenire coscienti. Franco De Masi, nella recensione del lavoro di LeDoux, scrive un passo proprio relativo a questo…
“Insieme a Bion, le neuroscienze ci dicono che le emozioni non sono solo inconsce, ma che per divenire coscienti devono essere trasformate” (1999, p. 185).
Ho terminato il capitolo con un paragrafo riguardante memoria e conoscenza emotiva inespressa nell’emisfero destro, ossia l’informazione emotiva “prigioniera” nell’emisfero destro muto, in quanto caratteristica molto interessante in termini psicologici.
Ho illustrato le proposte teoriche di Galin (1974) di Joseph (1996) e di Ramachandran.
Capitolo 4 - Due emisferi, due stili cognitivi?
Dopo aver illustrato le teorie relative ad un aspetto specifico e dominante in ciascun emisfero, in questo capitolo ho fornito una visione simultanea delle differenze emisferiche grazie al concetto di stili cognitivi e confrontato queste con le diverse possibilità di approccio alla conoscenza in terapia. Ho esposto inizialmente le capacità visuo-costruttive dell’emisfero destro con l’ormai classico esperimento dei cubi rossi che ha evidenziato la specificità dell’emisfero destro e ha portato Gazzaniga (1984) a sostenere di aver verificato l’ipotesi di due stili cognitivi diversi caratterizzanti gli emisferi non più distinti in dominante e inferiore, ma come funzionanti in modo diverso.
Dalla prima semplice dicotomia verbale/non–verbale, si è così assistito ad una successione di polarità che seguivano passo passo i risultati degli esperimenti: temporale/spaziale, sequenziale/simultaneo, digitale/analogico, analitico/olistico. Quest’ultima coppia ha più di altre segnato il pensiero in questo campo: l’emisfero destro gestaltico, caratterizzato da un approccio globale alle cose, è in grado di cogliere con simultaneità le relazioni fra elementi; il sinistro è invece l’emisfero sequenziale, logico, analitico, adatto al linguaggio e alla rilevazione di causalità.
La questione degli stili cognitivi è sempre stata piuttosto controversa a causa di questa sorta di “dicotomania” (Springer & Deutsch, 1998), ma preoccupanti furono soprattutto le successive speculazioni eccessivamente lontane dai dati di realtà, dal sapore più letterario che scientifico. Al culmine di una linea interpretativa sempre più astratta e generalizzante troviamo, dopo un romantico razionale/intuitivo, pensiero occidentale/pensiero orientale, proposto da Robert Ornstein (1977).
In seguito ai molteplici studi, oggi per stili cognitivi diversi si intende una differenza basata su una diversa elaborazione e non su una diversa percezione come era stato inizialmente ipotizzato. A questo punto ho presentato gli stili elaborativi della Bucci, in quanto lei stessa trova, tra gli studi sulla lateralizzazione, prove della distinzione da lei operata nella teoria dei codici multipli, tra elaborazione subsimbolica ed elaborazione simbolica.
Luigi Solano (2001) nel suo ultimo libro Mente e corpo, descrivendo la teoria dei codici multipli, espone questo accostamento in modo chiaro e sintetico:
“[…] dall’attivazione di rappresentazioni non verbali analogiche e globali (emisfero destro), ci si potrebbe connettere attraverso il corpo calloso alle immagini più definite, “denominabili” dell’emisfero sinistro, luogo elettivo dell’elaborazione simbolica; sempre nell’emisfero sinistro avverrebbero le connessioni tra immagini discrete e parole.” (Solano, 2001, p. 237).
I ponti di collegamento tra la teoria dei codici multipli e la lateralizzazione sono costituiti oltre che dalla teoria di Gazzaniga, dall’ipotesi di Corballis sulla generatività, e dalle evidenze neuroscientifiche di Kosslyn e di altri autori.
Corballis considera la generatività, ossia la capacità di produrre nuovi insiemi combinando elementi in una modalità scandita da regole, la funzione essenziale dell’emisfero sinistro. La Bucci accosta questo aspetto alla caratteristica dei sistemi simbolici di organizzazione delle entità discrete. La funzione dell’emisfero sinistro nella creazione di rappresentazioni mentali generative nell’emisfero sinistro risulta anche dagli importanti studi di Kosslyn (1987) sulle immagini mentali e da quelli sul danno alla parte posteriore dell’emisfero sinistro, correlato alla perdita di rappresentazioni mentali discrete (Farah, 1984).
In definitiva, paiono delinearsi due modalità elaborative caratterizzanti gli emisferi, che porterebbero alle preferenze nell’esecuzione di compiti specifici da parte degli emisferi. Sommariamente, l’emisfero destro è di primaria importanza nell’elaborazione del vissuto somatico delle sensazioni corporee e del corpo nello spazio, nell’ambito delle emozioni, soprattutto nella prima gestione effettuata in modo analogico, e nell’ambito della comunicazione di queste; esso infatti occupa un posto di primo piano riguardo la prosodia (vedi capitolo successivo) ed è inoltre migliore nel riconoscimento di pattern.
L’emisfero sinistro, fondamentale per il linguaggio, si occupa delle categorie, del pensiero più astratto, della logica e della causalità e utilizza regole nell’organizzare elementi che hanno la caratteristica di essere entità discrete.
Ciò che non è sicuro è la localizzazione di quello che la Bucci definisce come sistema simbolico, ma non verbale. Solano sembra lo attribuisca all’emisfero sinistro, dove avverrebbero le connessioni parola-immagine discreta. Credo però rimanga un punto da chiarire, considerando magari le difficoltà riscontrate nei pazienti commissurotomizzati nel compito di associazione parola-immagine.
Ho trovato interessante collegare le differenze elaborative degli emisferi a quanto succede in clinica, laddove le terapie nascono per dar “spazio per elaborare”, o per fornire un nuovo “metodo di elaborazione” .
Dopo aver presentato estesamente alcuni concetti bioniani cui mi sono riferita, come legame K ed evoluzione in O, ho proposto una riflessione sul cambiamento in terapia collegato ai diversi tipi di elaborazione coinvolti.
La Bucci parla della necessaria attivazione delle componenti subsimboliche nel trattamento terapeutico, perché solo con un cambiamento che comprende le componenti sensoriale, viscerale e motoria dello schema l’individuo si sentirà realmente diverso. Il linguaggio difficile e particolare di Bion rende arduo il confronto, ma pare si possa intravedere una simile necessità in quello viene chiamato esperienza in O. Questo non significa che l’attivazione di cui parla la Bucci e l’esperienza in O, che rimane un’esperienza misteriosa e solo intuitivamente compresa siano assimilabili, ma simile è l’importanza data a livelli indicibili ed emotivi di esperienza, esperibili nel trattamento e utili per produrre un cambiamento, che sarà solo successivamente tradotto in termini verbali.
La necessità del passaggio al verbale è trattato dalla Bucci in modo più esplicito di quanto sia visto da Bion, il quale pone invece al centro del cambiamento, un’esperienza di verità che si vive nell’essere, dunque un’elaborazione emotiva che si è riuscita a sentire e pensare in una relazione, non necessariamente a comunicare verbalmente sul momento; il cambiamento auspicato da Bion, meno discusso e più vissuto, è un cambiamento catastrofico! La catastrofe del noto è l‘unico modo per realizzare una modificazione della personalità, permettendo al soggetto di accogliere elementi emotivi che consentono nuovi pensieri. Per dirla con Ramachandran, l’anomalia rilevata dall’emisfero destro è talmente sconvolgente e vera che distrugge il sistema di credenze preesistente. Bion aveva però anche concettualizzato il legame K , legame basato sull’amore per la conoscenza, e di questo ne aveva sottolineato l’importanza in analisi perché costituente un “trampolino di lancio” per il divenire in O e la modalità ideale di rapporto in cui elaborare a parole ciò che si è vissuto, pur riconoscendo un’inevitabile conseguente senso di frustrazione dovuto ai limiti stessi del linguaggio. E’ infatti fisiologico, per Bion, che da una trasformazione del pensiero in espressioni comunicative risulti una certa falsità, che l’individuo deve saper tollerare per non cadere nell’illusione della bugia che tutto satura.
L’importanza data all’esperienza somatica emotiva pone molta distanza tra queste teorie e la visione di base delle terapie fondate sul potere della narrazione, che pongono al centro dell’interesse la ricostruzione della storia personale. Lo stesso Ferro, nella sua interpretazione bioniana, dà molta importanza a “tutte le storie possibili”, al bisogno del paziente di narrare e narrarsi, e pone come meta primaria dell’analisi la costruzione di storie.
Con cautela ho avanzato l’ipotesi che un tipo di elaborazione prettamente narrativa, utilizzando massicciamente il linguaggio prediliga un’elaborazione simbolica e “sinistra”. La costruzione di storie, e il bisogno che se ne ha, risultano infatti vicine alla tendenza dell’emisfero sinistro ad interpretare e a costruire teorie sul comportamento dell’individuo per mantenere lo stato di coerenza: tendenza che a volte si paga a prezzo della verità con costruzioni di significato che esulano dalla realtà dell’individuo.
Bion ponendo al primo posto la necessità di un’esperienza di realtà indescrivibile ma trasformativa, tende a sottolineare i limiti del linguaggio in questo campo, mentre la Bucci, evidenzia invece la necessità di simbolizzare il nuovo schema sperimentato subsimbolicamente nella relazione terapeutica, e punta sull’integrazione delle funzioni dei sistemi e sul funzionamento collaborativo degli emisferi. La creatività in effetti non pare appartenere ad un singolo emisfero ma emerge piuttosto dal funzionamento integrato tale da rendere, un po’ semplificando, un libro emozionante e un’opera d’arte fatta…a regola d’arte…
In questo senso l’importanza oggi attribuita in terapia al sistema subsimbolico ossia al contatto costante con la propria realtà emotiva, risulta chiara; la narrazione sarà vitale quando manterrà questo contatto, quindi senza trasformarsi in –K ostruendo la via verso la verità e costituendo situazioni di cosiddetto impasse che possono dal luogo solo a “cambiamenti apparenti”.
Prima di terminare il capitolo ho aggiunto due “appendici” per trattare due aspetti specifici legati alla questione degli stili cognitivi, che ora mi limiterò a nominare: Usi e abusi del concetto di stili cognitivi e due delle ipotesi teoriche riguardo l’asimmetria nel cervello.
Capitolo 5 - Gli emisferi e il linguaggio
In questo capitolo ho affrontato il tema del linguaggio e dei diversi contributi degli emisferi nel provvedere a questa complessa funzione, oggi non più considerata dipendente da pochi centri cerebrali organizzati in modo discreto, bensì prodotto dell’attività congiunta di molte regioni corticali e sottocorticali funzionalmente e anatomicamente correlate. Dopo aver dedicato un paragrafo alla dominanza per il linguaggio dell’emisfero sinistro riguardo gli aspetti di espressione e comprensione, lettura e scrittura, le funzioni di spelling, il nominare, la grammatica, la sintassi, la formazione di concetti verbali, la memoria verbale e il ragionamento analitico, ho focalizzato l’attenzione sul contributo dell’emisfero destro, inizialmente sottovalutato ma oggi riconosciuto.
Ho presentato dunque la distinzione utilizzata nel parlare di linguaggio tra aspetti sintattici, semantici, pragmatici, che concorrono contemporaneamente a dar luogo ad un linguaggio efficace, soffermandomi in particolare sulla relazione emisfero destro e pragmatica. Infatti se per la sintassi il ruolo dominante è sostenuto dall’emisfero sinistro, e per la semantica rimangono dubbi rispetto al potenziale o effettivo ruolo dell’emisfero destro, questo occupa sicuramente un posto importante per la pragmatica, dunque per l’uso dell’enunciato, per il significato della frase nel contesto in cui è emessa, per l’intenzione del parlante. All’interno della pragmatica risulta inoltre fondamentale la prosodia, una tra le più importanti strutture della paralinguistica, che determina nel parlare tono, altezza, timbro, intensità della voce e nello scrivere accentuazione, sottolineatura, spaziatura del discorso e che risulta veicolata dall’emisfero destro (Levelt, 1989).
Secondo Asa Kasher (1991) il linguaggio è sostenuto da due tipi di competenze pragmatiche: quella linguistica (tipicamente analitica, utile per gestire asserzioni, domande o ordini) localizzabile nell’emisfero sinistro, e quella non linguistica collegabile all’emisfero destro. E’ stato interessante notare come Bara (1999) giudichi questa tesi compatibile con la sua teoria, che sostiene l’esistenza di due modalità elaborative diverse: una linguistica e una extralinguistica.
Ho descritto poi le anomalie del linguaggio in seguito a lesioni dell’emisfero destro, che a causa dell’uso anormale della prosodia rimane privo della normale intonazione emotiva che dà senso alla frase e a causa della difficoltà nel considerare il conteso nel quale le parole sono inserite, pur veicolando informazioni non risulta comunicativo (Myers, 1978). Il paziente fatica anche nel capire gli altri in quanto incapace di afferrare il senso di metafore e humor e di capire il tono emotivo nel discorso altrui; egli comprendendo solo letteralmente l’enunciato (Winner e Gardner, 1977), spesso non coglie il reale significato del discorso. Inoltre sembra che la parte anteriore destra sia particolarmente interessata al controllo sociale e situazionale del linguaggio. Le anomalie di comunicazione nei pazienti con lesioni frontali destre comprendono la tangenzialità, i cambiamenti d’argomento inaspettati, il discorso socialmente inappropriato (Alexander, Benson & Strauss, 1989). Al contrario i pazienti con danno all’emisfero sinistro rimangono capaci di discriminare l’intenzione di una frase e nonostante le difficoltà si sforzano di usare la corretta intonazione.
I deficit conseguenti ad una disfunzione precoce o innata dell’emisfero destro risultano inoltre simili.
Ho riportato poi gli accostamenti del danno all’emisfero destro ad altre patologie: disturbo semantico pragmatico, l’autismo e l’iperlessia.
Nei bambini con disturbo semantico pragmatico si riscontra un linguaggio fluente e grammaticamente complesso, ma con poca sensibilità alla situazione e difficoltà nell’integrare informazioni semantiche alla conoscenza del mondo. In entrambi i disturbi inoltre si rileva difficoltà nell’integrare informazioni, incapacità nell’usare e capire la prosodia, interpretazioni concrete e letterali, tendenza a dare risposte impulsive piene di dettagli tangenziali e difficoltà nel distinguere gli elementi importanti da quelli non importanti (Shields, 1991). Interessante è inoltre la riluttanza di entrambi i gruppi nell’ammettere i loro problemi comunicativi.
Un’asimmetria emisferica anormale è stata sospettata anche nell’autismo. I primi lavori ipotizzavano una disfunzione dell’emisfero sinistro, ma i bambini autistici mostrano deficit nell’area della prosodia dell’uso sociale del linguaggio, nella lettura dell’espressione emotiva nel linguaggio. I deficit del linguaggio nell’autismo non sono primari, e molte delle caratteristiche anomalie socio-affettive sono più plausibilmente collegate ad un deficit dell’emisfero destro (Springer e Deutsch, 1998).
I bambini colpiti dal disordine semantico–pragmatico e dall’autismo presentano inoltre una caratteristica: l’iperlessia. Essi sono capaci di una lettura accurata, alla quale segue una comprensione davvero povera perché letterale. E’ stato supposto (Frith e Snowling, 1983) che l’abilità puramente linguistica sia intatta e i problemi sorgano per il mancato utilizzo della dimensione extralinguistica.
La descrizione del linguaggio in seguito a danno da emisfero destro, è paragonabile al linguaggio utilizzato dai pazienti schizofrenici. Questo paragone, pur lontano dal localizzare il focus della disfunzione cerebrale di un disturbo così complesso che si estende in tutta la corteccia, può far capire qualcosa in più rispetto alla genesi di questa sindrome.
Il linguaggio dello schizofrenico appare largamente compromesso nelle sue diverse dimensioni.
Christoopher D. Frith scrive:
“Le anomalie del linguaggio schizofrenico si trovano a livello dell’uso del linguaggio non di competenza linguistica; il problema sorge quando il paziente deve usare il linguaggio per comunicare con gli altri.[ …] I processi con cui usiamo il linguaggio per comunicare i nostri pensieri e desideri agli altri rientrano nell’ambito della cosiddetta ‘pragmatica’ ” (1995, p. 102, ed.orig. 1992).
La tesi di Frith, in particolare, è che alcuni disturbi del pensiero schizofrenico riflettano un disturbo di comunicazione dovuto all’incapacità di prendere in considerazione la conoscenza dell’ascoltatore nella formulazione del proprio discorso; una capacità emotiva di sensibilità discriminazione e che si riflette nel sociale e si riconosce a livello pratico nell’uso della pragmatica. L’appiattimento dell’affettività si riscontra anche nelle voci monotone valutabili in base alla riduzione di variazione della tonalità (Leff & Abberton, 1981) e nella difficoltà nell’impiego della mimica facciale da parte di pazienti schizofrenici cronici (Braun et. al., 1991).
Nei pazienti schizofrenici si è riscontrata inoltre una particolare difficoltà a comprendere espressioni in cui vi sia discrepanza tra il significato letterale e quello inteso da colui che parla, fenomeno studiato per quanto riguarda la metafora (Cutting & Murphy, 1990), non ancora per quanto riguarda l’ironia.
Sembra dunque che i pazienti schizofrenici mostrino un linguaggio che comprende le caratteristiche di quello descritto in caso di danno all’emisfero destro.
Il linguaggio dello psicotico viene descritto anche da Bion, il quale nei primi tempi del suo lavoro con pazienti psicotici, scrive vari saggi proprio riferendosi alla dimensione linguistica. In Sviluppo del pensiero schizofrenico (1955), sostiene riguardo la psicosi:
“L’intaurarsi del pensiero verbale – che, come ho detto, coincide con la posizione depressiva – viene ad essere gravemente disturbato: ciò accade perché è esso che provvede ad integrare e ad articolare le varie impressioni sensoriali, ricoprendo un ruolo insostituibile nel prendere coscienza della realtà interna ed esterna.” (Bion, 1970, p.71, ed. orig. 1955).
Egli descrive come in questi pazienti il linguaggio risulti vuoto di significato, spezzettato nella sua forma a causa dell’attacco attuato verso questa funzione capace di creare legami di significato e possibile contenitore di emozione e significato. Ciò che viene evitato, perché intollerabile, è il contatto con la realtà che il linguaggio potrebbe creare. In Trasformazioni, in particolare, Bion indica l’esistenza di una funzione del pensiero psicotico connessa con la sottrazione di significato. L’incapacità di contenere le sensazioni e le emozioni della parte psicotica e il suo odio per il significato visto come legame con la realtà, sono le radici di un uso improprio del linguaggio, che affondano in una realtà profondamente emotiva.
La capacità di simbolizzare, che permette una comunicazione col gruppo il quale deve condividere la congiunzione costante, risulta compromessa nello psicotico che utilizza “pseudosimboli” in cui la congiunzione è costante tra lui e la sua divinità, ossia manca il riferimento al gruppo. Il “simbolo” psicotico nasce da saturazioni premature a causa dell’incapacità totale di sostare nell’incertezza di PS. Da questa incapacità deriva il linguaggio letterale dello psicotico in cui si può riconoscere il fenomeno che la Segal definisce equazione simbolica (Viola, 1996-1997), che si manifesta quando il paziente non riuscendo a distinguere tra la cosa e la cosa simbolizzata non vede altri significati oltre a quello obbiettivo.
Nonostante la compromissione di entrambi i contributi degli emisferi nel linguaggio dello psicotico, le caratteristiche della letteralità, delle carenze relative all’aspetto pragmatico ed emotivo del discorso specchio della gravissima compromissione a livello di sviluppo emotivo nello psicotico, sono caratteristiche legate all’emisfero destro. Questo potrebbe collegarsi proficuamente anche all’ipotesi di Gazzaniga secondo cui, nella psicosi, l’interprete continuerebbe a funzionare bene, ma su di un materiale anomalo derivante dall’emisfero destro. In effetti anche Bion ipotizza che l’incapacità di simbolizzare derivi da una grave mancanza a livello emotivo responsabile anche della distruzione della sintassi e della forma. Secondo Bion per giungere al simbolo grazie all’attesa della congiunzione costante è necessario anche tollerare la frustrazione della perdita, cui sicuramente un pensiero trasformato in parole va incontro, capacità incompatibili con la psicosi e con la sua intollerabilità alla frustrazione.
Ho trovato significativo, in seguito alle ultime considerazioni, riservare un paragrafo allo sviluppo del linguaggio. L’emisfero destro infatti matura prima del sinistro (Chiron et. al., 1997): nei primi tre mesi le espressioni vocali sono sotto l’influenza delle strutture subcorticali del sistema limbico (Meltzoff, 1990) ma dai 3-4 mesi la corteccia orbito frontale, soprattutto a destra, inizia a maturare ottenendo un certo controllo sul sistema limbico. Le prime vocalizzazioni sono collegate a specifici stati emotivi e ne comprendono il significato emotivo (Joseph, 1982). Pally (1998a) riporta poi le osservazioni di Scheibel secondo cui l’emisfero sinistro inizia a maturare significativamente solo a 18 mesi.
Questi dati ci portano inevitabilmente a considerare il tipo di comunicazione e di rapporto del bambino nei primi mesi di vita considerato dalla psicoanalisi. Bion descrive un bambino che espelle con forza il suo terrore senza nome, che solo l’incontro con la funzione di reverie materna permetterà di tollerare. In questo modo il bambino grazie allo sviluppo emotivo dovuto alla sua introiettata capacità di contenere, potrà successivamente utilizzare la sua prima forma di comunicazione, l’identificazione proiettiva, in modo consono alla relazione, ossia tenendo conto dell’altro. Questo passaggio è necessario perché grazie all’identificazione proiettiva –utilizzata in modo adeguato- la comunicazione diviene emozionante. Pare dunque che Bion si avvicini all’intravedere la base pragmatica ed emotiva della comunicazione veicolata, come dicevo sopra, dall’emisfero destro.
Conclusioni
Lo scopo di questa tesi era mettere in luce un punto di vista nuovo all’interno di un’area di riflessione, neuroscienze e psicoanalisi, in via di espansione. L’approccio all’argomento, pur avendo portato ad originali accostamenti, è stato delicato e cauto, perché come scrive Damasio al termine di L’errore di Cartesio:
“[…] Tanti “fatti” sono incerti, e che molto di ciò che si può dire sul cervello rientra piuttosto nella categoria delle ipotesi di lavoro.” (Damasio, 1995, p. 349, ed. orig. 1994).
Partendo da questo presupposto, si può rilevare ciò che questa tesi ha fatto emergere dall’accostamento di importanti “ipotesi di lavoro”.
La descrizione del funzionamento mentale che emerge dal confronto Bion-Damasio vede una mente che evolve grazie all’apporto fondamentale fornito dalla possibilità di trasformare le emozioni. Ciò che risalta infatti è la necessità di un primo trattamento delle sensazioni somatiche che portano ad apprendere dall’esperienza e alla possibilità di pensare.
Questa prima elaborazione è una funzione attribuita primariamente all’emisfero destro, il primo a svilupparsi nel bambino. Sembra proprio che, uno sviluppo emozionale adeguato sia legato al formarsi di una struttura predisposta a questa elaborazione, alla trattazione della componente emozionale.
Il funzionamento mentale che emerge invece dal confronto tra le teorie di Gazzaniga e Ramachandran e la psicoanalisi bioniana, riguarda la funzione interpretante della mente, attribuita all’emisfero sinistro riguardo i comportamenti e gli stati d’animo. Questa funzione nonostante la sua enorme utilità nell’ordinare gli eventi e nel fornire coerenza, può portare a false spiegazioni per il modo di operare a volte troppo costrittivo. Bion aveva intuito la presenza di questo funzionamento mentale, infatti il concetto a lui caro di capacità negativa sostiene la necessità che l’analista, in particolare, sviluppi una capacità di sostare nell’incertezza senza farsi sedurre, nella frustrazione dovuta alla mancanza di comprensione, dall’utilizzo di una spiegazione immediata. Egli aveva concettualizzato la bugia come risultato dell’incapacità di approssimarsi alla verità emotiva.
I diversi autori hanno rilevato inoltre un medesimo funzionamento tendente ad evitare il cambiamento mantenendo i propri sistemi di credenza invariati, un cercare di rimanere, bioniamente, attaccati al noto piuttosto che spingersi verso l’ignoto, O. Questo fenomeno avviene, per dirla con Ramachandran, quando l’emisfero sinistro, sede del sistema di credenze, evita di considerare le anomalie segnalate dall’emisfero destro emotivo, e per dirla con Bion quando non viene accolto il pensiero vero e rivoluzionario nell’Istituzione.
Dal collegamento poi tra i rispettivi stili elaborativi degli emisferi e i due processi che possono avvenire in analisi descritti da Bion, l’emisfero destro, emotivo e subsimbolico, è stato messo in relazione con la possibilità di sperimentare l’esperienza di O e di condurre ad un vero cambiamento, quello sinistro, simbolico, con la possibilità di stabilire un rapporto di conoscenza basato sulla comunicazione verbale K.
E’ apparso fondamentale comunque, l’aspetto di cooperazione e integrazione tra emisferi, che sottende un’interazione necessaria e profonda tra le funzioni da questi processate. Di questo ne è un esempio la funzione del linguaggio, che sottende il buon funzionamento di entrambe le componenti nel dar luogo ad una comunicazione adeguata ed emozionante.
Ciò che risulta dunque è la nascita di un discorso destinato ad evolversi, sia considerando il tumultuoso affluire di nuovi “fatti” dalle neuroscienze, sia approfondendo il discorso grazie all’apporto di altre discipline, come il cognitivismo.
La stesura della tesi mi ha dato modo di notare tante possibili strade di approfondimento che avrei potuto imboccare, come: la memoria rispetto agli emisferi e il ruolo di primo piano che questa occupa nella clinica; un’ottica che privilegi lo sviluppo considerando l’importanza che esso riveste nella teoria psicoanalitica; un’analisi che consideri le differenti radici culturali delle teorie; un’analisi delle patologie che si ipotizzano legate agli emisferi; il tema della comunicazione e della relazione.
Tanti possibili approfondimenti che potrebbero svilupparsi dopo quella che è stata la nascita di un vertice particolare.
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GUGLIELMO CAMPIONE
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