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L'esperienza dei mistici e quella della psicoanalisi dal vertice di Bion di Odilon de Mello Franco Filho





"Las ideas no son de nadie. Andan volando por ahí, como los angeles"

Gabriel Garcia Marques: Del Amor y otros demonios (1994)



Introduzione



Per "esperienza dei mistici", o "esperienza mistica", definisco un insieme di disposizioni di base affettiva che implicano uno stato peculiare della coscienza, uno stato che si riferisce al contatto con il "sacro". Parlare di esperienza mistica non è necessariamente parlare di religione o di misticismo .



La religione è un insieme di credenze nell'esistenza di forze soprannaturali; la manifestazione di tali credenze è realizzata mediante dottrine e propri rituali che coprono, in generale, precetti etici ( Dicionário Aurélio da Língua Portuguesa ). L'espressione misticismo comporta significati diversi. Si può riferire tanto ad un movimento in direzione della generalizzazione, razionalizzazione e ideologizzazione dell'esperienza mistica; come si può riportare a esperienze particolari, a disposizioni idiosincrasiche senza filiazione con " ismi ". Per liberarci dal campo del primo significato, che non ci interessa, preferiamo qui, appena menzionare " esperienze che si realizzano sul piano del sacro ", o, semplicemente, " esperienze mistiche ". Quando citiamo queste esperienze, non stiamo, necessariamente, dando ad esse una connotazione o un'interpretazione religiosa. L'esperienza mistica può essere sperimentata da non-credenti. Il poeta Jorge Luis Borges, dichiaratamente agnostico, riferisce nella sua vita la circostanza di esperienze mistiche per due volte e di esse ci diede una preziosa descrizione.







Il regno del sacro



Prendo in prestito da Galimberti (2000) il seguente concetto:



"Sacro" è parola indoeuropea che significa "separato". La sacralità, quindi, non è una condizione spirituale o morale, ma una qualità che inerisce a ciò che ha relazione e contatto con potenze che l'uomo, non potendo dominare, avverte come superiori a sé, e come tali attribuibili a una dimensione, in seguito denominata "divina", pensata comunque come "separata" e "altra" rispetto al mondo.



L'autore aggiunge che la tendenza umana davanti al sacro è ambigua. L'uomo tende a mantenersi distante da esso e, nello stesso tempo, è attirato da esso. Galimberti afferma che questa ambiguità è l'essenza di qualsiasi religione, in modo che essa si situa nella cesura che garantisce, simultaneamente, la separazione e il contatto, i quali restano regolati da pratiche rituali capaci di evitare, per un lato, l'espansione incontrollata del sacro, e dall'altro, la sua inaccessibilità .



Infine, la religione mantiene il campo del sacro, nello stesso tempo, separato e accessibile agli uomini. La Tradizione del Cristianesimo, forse nel collocarsi come rappresentante "ufficiale" di una forza mediatrice e conciliatrice tra il sacro e il profano (profano: quello che si sviluppa fuori dal tempio), sempre lasciò evidente la sua attitudine al sospetto davanti ai suoi mistici, la cui voce mai si mostrò concorde con le regole stabilite dalle autorità.











Freud: un agnostico che si addentrò nel regno del sacro



Questa affermazione non significa che Freud si sia dato pensiero con il misticismo o con l'esperienza mistica. E' conosciuta la sua corrispondenza con Romain Rolland, nella quale affermava che il misticismo non stava sulla sua linea delle preoccupazioni. Freud trovava che la sensazione di "sentimento oceanico" collegato alle cosiddette "esperienze mistiche" erano solamente la ripetizione del sentimento egoico di allargare i suoi limiti, somiglianti agli stati primitivi di fusione con la madre. Pertanto, il sentimento oceanico sarebbe soltanto uno stato regressivo (Freud, 1930/1964b).



Nonostante questa spiegazione riduzionistica e il suo disinteresse per il tema, Freud (1938/1964c) ritornò a citare il misticismo alla fine della sua vita, in una breve annotazione: Mysticism is the obscure self perception of the realm outside the ego, of the id.



Possiamo pensare che, con questa affermazione, praticamente senza un contesto più preciso o ampio, Freud tentava di recuperare il cammino della geniale intuizione che ebbe, molti anni prima, verso la percezione dell'inconscio dinamico e la sua formulazione come nucleo strutturante della psiche. Freud decentrò il soggetto dalla sua coscienza e lo centrò nel regno della cosiddetta Realtà Psichica, nel cui nucleo stanno l'inconscio, le pulsioni. In altre parole, Freud richiamò la nostra attenzione verso "qualcosa" aldilà delle esperienze sensibili (è meglio dire, sensoriali) e, con ciò, segnalò quello che già era presente, ma inaccessibile alla osservazione abituale.



E quale relazione ciò ha con il sacro prima menzionato? In un lavoro precedente (Mello Franco Fº, 1998), ebbi l'opportunità di abbordare questa relazione, nel menzionare l'interessante saggio di Bomford (1990) nel quale l'autore dà risalto all'importante parallelo tra la nozione degli attributi della Divinità formulati dalla teologia e la nozione freudiana delle qualità dell'inconscio. Vediamo il seguente quadro (leggermente modificato da me):







Attributi della Divinità



Eternità

Infinità

Non contraddizione

Indivisibilità

Atto Puro

Attributi dell' Inconscio



Atemporalità

Assenza di limiti spaziali

Onnipotenza

Spostamento/Condensazione

Equivalenza tra la Realtà

Interna e la Realtà Esterna





Come si può dedurre da questa comparazione, c'è una "equivalenza di rappresentazioni" in quello che si intende per Divinità e quello che Freud descrisse come attributi dell'Inconscio. Di questa equivalenza di rappresentazioni (il che non significa identità ontologica), si può pensare che tutte e due le nozioni sono riferibili al piano del sacro. Così, la cosiddetta Realtà Psichica (termine coniato da Freud, il cui contenuto rimette all'Inconscio) si situa nello stesso apparente decentramento nel quale si colloca la nozione di sacro , come qualcosa di separato , costituito a parte nel registro logico formale. Con questa geniale intuizione, Freud inserisce il nostro essere nel centro di una realtà opaca al sensorio e che, per essere ineffabile (indicibile), si mette fuori del linguaggio discorsivo e solo è accessibile attraverso l'esperienza .



Nel frattempo, queste approssimazioni che segnaliamo non si esauriscono sul piano citato. Eigen (1998, p. 33) nota che, in molte occasioni, Freud si valse di immagini estratte dal mito e dalla religione per esprimere il processo creativo. L'uso spontaneo delle immagini mistiche per rappresentare il blocco creativo, la lotta, l'agonia, la grande gioia, la l'effusione e la scoperta, diventano parte del linguaggio dell'incontro clinico.



Il fatto notevole, però, è che il creatore della Psicoanalisi era aldilà dell'uso spontaneo di queste immagini, che sono comuni nelle osservazioni del sacro. Nel formulare un metodo per abbordare la Realtà Psichica, introdusse delle condizioni che presentano una notevole vicinanza con la cosiddetta "via mistica", per un contatto con la Realtà Ultima. Vediamoli



a - Il Metodo psicoanalitico avvia una conoscenza della Realtà Psichica che viene dall'esperienza di essere. Non si tratta, qui, di "sapere su", ma di "vivere" l'esperienza dell'inconscio nella seduta. Freud (1940/1964d, p.177) già segnalava: For a pacient never forgets again what he has experienced in the form of transference; it carries a great force of conviction than anything he can acquire in others ways.



Nello stesso modo, la conoscenza mistica non è data dalle dottrine e regole canoniche. Il mistico non fa discorsi sopra la divinità (questo è compito dei teologi). Egli esperimenta stati di qualità intuitiva, nei quali tutta la sua affettività e, perché no, tutta la sua sessualità è ingaggiata. Niente sfugge da questo tuffo.



Rizzuto (1996, p.72) sintetizza la vicinanza tra l'esperienza mistica e quella psicoanalitica sostenendo che, tanto la conoscenza esperienziale psicoanalitica, nel contesto di una relazione ritualizzata e profondissima (la nostra seduta), quanto il conoscere esperienziale e ineffabile del mistico, condividono nel modo più essenziale il conoscere umano.



b - Nelle due condizioni - la psicoanalitica e la mistica - il "conoscere per esperienza" è intrinsecamente legato ad un processo di trasformazione. L'analizzando e il mistico si rassomigliano in quanto i due sono trasformati irreversibilmente dalla esperienza con un essere speciale, sia esso umano o trascendente (Rizzuto,p 65) . Bion fu l'autore che mise molto in evidenza questo aspetto, sul quale torneremo più avanti.



c - Altro punto di contatto tra queste esperienze menzionate può essere captato nella conosciuta raccomandazione di Freud affinché l'analista lavori in uno stato di attenzione liberamente fluttuante. Si tratta della controparte, nell'analista, della associazione libera del paziente, con la quale Freud inaugurò effettivamente il suo metodo originale. La finalità: mantenere spazi mentali disponibili per accompagnare i movimenti dell'inconscio (suo e del paziente) nella seduta, senza preconcetti e senza saturazione da "il già conosciuto", o da quello che "deve essere" captato come imposizione dei propri desideri.



Questa è una disciplina che i mistici conoscono bene, nello sviluppare uno stato recettivo che li getta in nuovi spazi nella espansione psichica sperimentata. Con ciò, l'esperienza mistica si costituisce in esperienza cognitiva che opera a determinati livelli di conoscenza inusuali. A questo proposito, vale ricordare anche la raccomandazione di Freud in una lettera a Lou Andréas-Salomé: Ci d obbiamo accecare artificialmente fino a intravedere una fiaccola di luce nell'oscurità . Questa è una affermazione che suonerebbe familiare al mistico S. Giovanni della Croce, a partire dai suoi vissuti delle "notti oscure", come condizione di avvicinamento alla divinità. Tanto per l'analista, quanto per il mistico, la verità emerge dalla parte centrale di un paradosso: solo nell'oscurità si può catturare la luce.







Breve riflessione



Riti, dottrine, teorie (mediazioni linguistiche), religioni, setting analitico..., quale la funzione di queste intermediazioni? Necessitiamo di esse per entrare in contatto con l'essenza di noi stessi? La risposta è, fino ad un certo punto, sì, perché cerchiamo una realtà che, simultaneamente, si avvicina e si allontana da noi. Essa è separata e, allo stesso tempo, ci forma e invade il nostro quotidiano. Fu questa l'intuizione geniale di Freud che lo portò a formulare la nozione di inconscio. E' così il sacro: presente e separato. In un certo modo, il sacro sembra separato, perché abbiamo bisogno di esso così. Esso contiene una luce (per i mistici), una turbolenza emotiva (per gli psicoanalisti) la cui intensità totale non potremmo sopportare. A questo livello, i limiti tra sanità e pazzia sono tenui.



Da un altro lato, siamo attratti da questo regno infinito come da un tropismo. L'uscita dall'impasse creato in questa frontiera è stata tentata attraverso la religione e la psicoanalisi. Nelle religioni, tanto le dottrine, quanto i culti funzionano come processi di transizione (nella accezione di Winnicott) nel contatto con la Divinità. In Psicoanalisi, questo processo di transizione è, nella seduta analitica, rappresentato come insieme di esperienze emozionali vissute nella profondità della coppia analista-analizzando, essendo queste esperienze rappresentate posteriormente dalla parola interpretativa. Senza queste mediazioni, tanto il mistico, quanto il comune religioso, quanto noi stessi, ci perderemmo nelle turbolenze di questo territorio.



Nonostante tutte queste forme di avvicinamento, noi continuiamo ad ignorare; mediante queste esperienze speciali, abbiamo appena brevi lampi della nostra realtà. Nella nostra profondità siamo ineffabili per noi stessi, qualunque siano "le vie" che possiamo prendere per questa avvicinamento. Credo che sia, in ragione di questa questione che Winnicott impiegò il termine sacro per segnalare l'incomunicabile core of self that shines through unintegration (citato da Eigen, p.47). Ciò, nella parola dei mistici, esplicita una oscurità che è, nello stesso tempo, eccesso di luce. Non c'è mistica o psicoanalisi che consegue espandersi senza tollerare questo paradosso.







Bion e il Modello Mistico nell'avvicinamento alla Realtà Psichica



Forse nessun altro analista più di Bion ha utilizzato il modello mistico per parlare di quello che accade in una seduta di analisi, nella relazione tra la mente dell'analista e quella dell'analizzando. Rimanga chiaro che la preoccupazione di Bion non è con gli sdoppiamenti religiosi delle esperienze dei mistici, ma con l'esperienza mistica come un modello per pensarsi in psicoanalisi, così come egli anche prese altri modelli (lo scientifico, l'artistico) con lo stesso obiettivo. Egli arriva anche a fare una distinzione, dal punto di vista della psicoanalisi, tra questi tre modelli, affermando che le formulazioni religiose (qui egli non impiegò la parola "mistici") assolvono meglio i requisiti per l'evoluzione del contatto con la profondità della Realtà Psichica (trasformazioni di K ? O, come denomina questa esperienza), da qui le formulazioni matematiche (Bion, 1965, p.156).



Questa affermazione di Bion è coerente con il fatto che egli prende, come punto di partenza, l'asserzione che le qualità psichiche con le quali la Psicoanalisi lotta non sono percepite attraverso i sensi. Ossia, i fatti, dell'esperienza psicoanalitica appartengono, fondamentalmente, non a una Realtà Sensoriale, ma a una Realtà Psichica, che si riferisce a processi inconsci che operano in un'area di non-concretezza, infinita, indicibile (Bion, 1970, pag. 26). Per riferirsi a questa Realtà, Bion creò un simbolo: "O" , che denota the numinous realm of the unconscious, where the human and individual truth resides - ultimate reality, absolute truth. (Sandler, 2005, p. 527) . "O" è il punto di partenza di questa verità, accessibile appena per mezzo delle sue trasformazioni. Questo punto di partenza, nella cultura, già é arrivato ad essere tradotto in vari linguaggi: Realtà Ultima, Divinità, Cosa in Sé (Kant), ecc. "O" è un termine intenzionalmente creato per non essere saturato con significati riduttivi.



Le caratteristiche di questa Realtà (quella di "O" nella terminologia di Bion) creano una questione di metodo che è, simultaneamente, una sfida alla Psicoanalisi: come, allora, avere un accesso a una Realtà che è infinita, indicibile? Bion tenta una risposta e dà un suggerimento: l'analista deve lasciare la sicurezza data dagl'inquadramenti temporo-spaziali, spogliandosi dell'esercizio di alcune funzioni coscienti. In questo momento, entra il modello mistico, che passeremo ad esporre.



Un Punto di Partenza



L'esposizione sul Modello Mistico dell'osservazione in Psicoanalisi può iniziare con il non:



Non è un atteggiamento religioso



Non è meditazione contemplativa



Non è tentativo di "illuminazione"



Non è "ispirazione" di eletti



Non è versione psicoanalitica di "soggettivismo" [nel testo portoghese "achismo "], ossia, tendenza a collocare l'asserzioni in termini di opinione personale ( io trovo che. etc, etc )



Questa serie di non fornisce la chiave per introdurci nell'idea centrale presente nel modello in questione che è la Negatività .



La negatività (anche presente nell'atteggiamento dei mistici) sorge nell'opera di Bion come metodo di conoscenza, come via epistemologica e non religiosa. Egli portò la Negatività alle sue ultime conseguenze nella sua proposta di come l'analista deve lavorare senza memoria, senza desiderio, senza comprensione . Il suo contenuto è: in analisi, l'essenziale è che si possa convivere con la frustrazione di non sapere. La finalità è creare uno spazio interno per vivere l'esperienza e solo dopo tentare di collocarla nelle parole che non procureranno saturarla con formulazioni complete .



Per Bion, la presenza dei fattori memoria, desiderio, comprensione è legata alla necessità di evacuazioni sotto il dominio del Principio del Piacere e sono rappresentanti di resistenze. L'abolizione (nella situazione analitica) dell'uso della memoria e del desiderio di comprensione, o della cura, è la condizione che permetterà l'Attenzione Liberamente Fluttuante preconizzata da Freud. Secondo Rezende (1993, pag. 256), memoria e desiderio allontanano l'analista dal contatto con l'esperienza emozionale del quì ed ora. Dissociano la mente dell'analista, nel pretendere un possesso del passato (per mezzo della memoria) e del futuro (per mezzo del desiderio). Quello che Bion oggettivava con questa disciplina, era una rottura parziale con la realtà, diminuendo il contatto con quello che è sensoriale, per dare una dimensione psichica alla realtà. L'intenzione è lo sviluppo della sensibilità da parte dell'analista.



Ritorno all'uso di un linguaggio negativo per chiarire alcune questioni che la proposta di Bion possa suscitare a questo riguardo:



- Queste formulazioni non implicano fare l'apologia dell'ignoranza, neppure minimizzare l'importanza delle teorie. La proposta contiene una critica ad un sapere che dispensa la osservazione, appoggiandosi all'autorità dei testi, del già conosciuto, del già visto.



- "Senza memoria" non ha a che vedere con la "dimenticanza". Si tratta di controllare per mezzo di una disciplina la presenza di ricordi, teorie, o di quello che già fu detto o udito. La celebre ed anche comica immagine stereotipata dell'analista con il suo blocconotes dietro al divano non ha posto in Psicoanalisi.



- "Senza memoria" non significa un sommario rifiuto di qualsiasi immagine, sogno, idea o esperienza passata che affiori spontaneamente all'analista durante la seduta. La critica non è alla memoria, ma al tentativo di ricordare.



- "Senza desiderio" non suggerisce la eliminazione delle qualità dell'affetto durante la seduta. Si tratta del tentativo di esclusione volontaria di ogni desiderio di cura, comprensione, superiorità, potere analitico sopra il paziente, o sopra i colleghi, che possono essere intensi e persecutori, al punto che sostituiranno i legami con quella esperienza in particolare. Per la preservazione di questi legami, diminuite il rischio della analista di consegnarsi ad una attività allucinatoria, che è frutto del desiderio, sotto l'egida del Principio del Piacere.



- "Senza comprensione" non implica rinuncia ai significati, ma contiene una critica alla precipitazione nell'ottenere significati e riempirli con idee premature. Quello che Bion critica è una comprensione artificialmente forgiata che non rispetta l'esperienza e i dati che essa può fornire.



- Sarà possibile all'analista raggiungere completamente le "esenzioni" proposte? Probabilmente no . Senza vedere risultati onnipotenti, esse si situano in un campo di necessarie propensioni , ad essere attinte in maggiore o minor grado, conforme alla condizione che sarà delineata a seguire .



Capacità Negativa



Per aversi l'accesso al vertice mistico e vivere la condizione di senza memoria, senza desiderio . Bion dice che è necessario lo sviluppo della Capacità Negativa. Il termine è preso in prestito da Keats, quando questo si era riferito a Shakespeare, in quanto avendo la capacità di stare nella incertezza, nei misteri, nei dubbi, senza qualsiasi tentativo irritabile di cercare fatti e ragioni. Questa capacità tollera la decostruzione del già-saputo per trovarsi di fronte al non-sapere fino a che sorgano nuove possibilità di senso, fino allora insospettabili. Essa dipende dalle condizioni della personalità dell'analista che gli permettono convivere con le domande.



Tale disciplina apre un cammino per quello vediamo a seguire.



Fede



Lasciamo che proprio Bion (1970, p.31) parli:



It may be wondered what state of mind is welcome if desires and memoires are not. A term that would expresss approximately what I need to express is "faith" - faith that there is an ultimate reality and truth - the unknown, unknowable, ´formeless infinite`.



Per la soppressione della memoria, desiderio, etc, si apre lo spazio per atti di Fede. La Fede organizza uno stato mentale nel quale il contatto con "O", nella esperienza (è bene sottolineare questa parola) può evolvere in un avvicinamento che mai sarà completato.



In sintesi, la Fede consiste nella sicurezza (non certezza) che una supposizione o una intuizione incontri una controparte nella esperienza della realtà. Il risultato di questo incontro, se avverrà, non sarà una verità assoluta, ma un pensiero in espansione che ammette nuove riformulazioni.



E' necessario riconoscere che l'impiego di tale termine - Fede - può essere caricato di connotazioni religiose, può portare al rischio di confusione e sospetti di un campo analitico che si stia trasformando in una pratica religiosa comune , tuttavia, Bion vuole riferirsi a uno stato mentale che ha operatività esattamente nel campo scientifico. In questo riferimento, egli non è solo, come avanti vedremo.



Un'altra possibile confusione è con la Credenza. L'operazione di Fede alla quale noi ci riferiamo, non ha niente da vedere con la credenza, come sottolinea Rezende. La Credenza è un tentativo di sostituire l'esperienza dalla realtà, e essa precede la scienza e prescinde da essa, in una supposizione che già si era arrivati là. Da parte sua, la Fede è una forma di vivere l'esperienza nel prisma della negatività , ossia, nell'ammissione che non tutto fu raggiunto pienamente e non lo sarà. La Fede è punto di partenza, non di arrivo, in relazione ad "O".







At-one-ment



A partire dagli stati mentali della Fede, è evoluta l'esperienza di "O". Questa esperienza non è una operazione intellettuale di "conoscenza". Il contatto con "O" in Psicoanalisi è una esperienza affettiva, ossia, vissuta mediante gli affetti nella relazione analitica. Non è una esperienza di conoscere , ma di essere . Bion descrive questa situazione come "At-one-ment" , che potrebbe essere tradotta approssimativamente come uno stato mentale nel quale l'analista è trasformato dalla esperienza di "O" come condizione per conoscerla (o meglio, per trasformarla in conoscenza). Altri significati del termine potrebbero essere: comunione, essere uno con, essere in sintonia con la realtà ultima. Questo contatto è modificatore, possibile solo con la tolleranza alla frustrazione e al dolore, esso si trasforma in una esperienza dell'essere.



Questa condizione di trasformazione come modo di avvicinarsi alla realtà non è una "opzione" metodologica, ma una imposizione della propria natura del campo. Bion (1965, p.148) chiarisce perché:



It is not knowledge of reality that is at stake, nor yet the human equipment for knowing. The belief that reality is or could be known is mistaken because reality is not something which lends itself to being known. It is impossible to know reality for the same reason that makes it impossible to sing potatoes; they may be grown, or pulled, or eaten, but not sung. Reality has to be "been": there should be a transitive verb "to be" expressily for use whith the term "reality".



Riassumendo, per Bion, la esperienza della realtà ultima solo si può sperimentarla essendo. Su questa stessa linea, Psicoanalisi Reale è la psicoanalisi che incammina questa esperienza di essere d'accordo con il reale. Essa è realizzata (nel significato che il termine ha nella Lingua Inglese) come esperienza di "qualcosa" che dà senso a quello che venne vissuto nella relazione bi-personale. Questo "qualcosa" è la Verità, in termini psicoanalitici. Essere psicoanalizzato è vivere questa esperienza, il che è differente di sapere di psicoanalisi.







Cosa tutto questo ha a che vedere con la Mistica



Le considerazioni fatte decorrono dal fatto che, a Bion, non passò inosservato l'enorme portata epistemologica delle formulazioni mistiche nelle varie culture.



Quello che ci insegnano alcuni mistici: gli elementi fondanti della esperienza mistica sono la Fede e il Vuoto (la negatività).



Chi meglio sintetizzò questa Negatività, nella tradizione cristiana fu Mastro Eckhart (secolo XIII), esponente della Teologia Negativa. Essa potrebbe essere così sintetizzata: E' più vero quello che neghiamo di Dio che tutte le affermazioni che su di lui possiamo fare. In Eckhart, c'è una proposizione di grande valore epistemologico, contenuta in una celebre formula: non si può vedere se non attraverso la cecità, conoscere se non per la non-conoscenza, comprendere se non per l'assenza di ragione. Nicolau de Cusa (secolo XV), sulla stessa linea di pensiero, propugna, per arrivare a Dio, una "ignoranza educata": dobbiamo trovare maniere di disapprendere le cose che ci distanziano dalla percezione della verità profonda.



Appropriandomi di queste affermazioni, come modello per la Psicoanalisi: se la parte essenziale della Realtà Psichica è indicibile, se l'inconscio (la sua espressione essenziale, secondo Freud) è al di là dei nomi attraverso i quali tentiamo di designarlo (o di imprigionarlo), questa negatività ci fa prendere coscienza dell'abisso esistente tra quello che possiamo dire sulla mente e essa stessa. Pertanto, il discorso sopra la mente non è lo stesso che sentire la mente.



Bion (1965, p.158) menziona anche S. Giovanni della Croce (secolo XVI) come modello per avvicinarci all'esperienza analitica. La psiche in evoluzione nella Psicoanalisi subisce trasformazioni simili a quelle dell'anima che cerca l'unione divina. Queste trasformazioni operano inizialmente sulla linea della Negatività, della spoliazione e della Fede su quello che prima non è riconosciuto o presente a causa della sensibilità. Stabilendosi un parallelo tra l'esperienza mistica delle Notti Oscure di S. Giovanni Della Croce e la esperienza psicoanalitica nella proposta di Bion, abbiamo la seguente relazione:



Prima Notte



Per San Giovanni: è un punto di partenza. E' la notte dei sensi, della privazione delle soddisfazioni immediate. Si tratta di non avere e di privarsi di avere.



Per Bion: si relaziona alla disciplina della privazione della memoria e del desiderio, che precede l'operazione della Fede, così come può essere intesa nella Psicoanalisi e nelle altre scienze.



Seconda Notte :



Per San Giovanni: ha a che vedere con il cammino che l'anima traccia, nello stato di Fede, per una unione con Dio. Con un atteggiamento negativo da parte dell'intelletto, è anche notte oscura.



Per Bion: è l'esercizio dell'atto di Fede come atteggiamento epistemologico.



Terza Notte :



- Per San Giovanni: ha a che vedere con un punto verso dove si cammina: Dio, che è ugualmente punto oscuro in questa vita.



Per Bion: ha a che vedere con la esperienza di "O", irraggiungibile per i sensi, innominabile per il linguaggio.



Nell'uno e nell'altro autore, le tre situazioni sono convergenti. La prima si riferisce alla privazione come condizione di disponibilità. La seconda è la afflizione presente quando si tenta di giungere all'abbandono del vincolo o definizione. Il termine bioniano corrispondente a questa afflizione è turbolenza emotiva . La terza convergenza è che, per ambedue, questo viaggio di unione mistica (con "Dio" per San Giovanni e con "O" per Bion) si fa non attraverso le parole, ma attraverso la esperienza di essere. Ossia, attingiamo alla Realtà Ultima (la Divinità, per i mistici e la Realtà Psichica per la Psicoanalisi) non per la teologia o per le teorie psicoanalitiche, ma per una conoscenza esperienziale che passa per la Negazione e per la Fede



Incontriamo, in San Tommaso d'Aquino (secolo XIII), nella Summa Teologica, una affermazione simile a questa ultima: il misticismo è la conoscenza di Dio attraverso l'esperienza.



Nell'induismo e in altre correnti mistiche, localizziamo approssimazioni preziose al tema della negatività: lo svuotamento come condizione di riempimento attraverso l'esperienza mistica.



Ciò che riguarda la coppia psicoanalitica in questo cammino "oscuro"



Ritornando alla turbolenza emotiva.



Per Bion, l'elemento fenomenologico che lega l'esperienza psicoanalitica alla esperienza mistica è la turbolenza, tradotta con termini come annichilimento, panico, frammentazione, la minaccia degli oggetti bizzarri . L'uomo confrontandosi con sé stesso vive un collasso mentale con orrore. Forse nessuno ha descritto queste condizioni con tanta forza quanto Bion, per averle vissuto con intensità, durante la sua vita (Eigen, p. 34).



Così, l'incontro con "O" non avviene nella serenità del Nirvana, ma nella turbolenza, vissuta come catastrofe. "Pazzia" sarebbe la nozione prossima alle condizioni menzionate. L'area di contatto con "O", tanto nella esperienza mistica, quanto nell' insight psicoanalitico, é molto prossima alla pazzia. Ambedue contengono un vortice di sensazioni e emozioni che trascinano il Sé in un vortice che, allo stesso tempo, conduce al vuoto, all'informe ignoto.



La differenza tra lo psicotico e lo psicoanalista, o il mistico, è che lo psicotico si perde in questo vuoto e non si recupera. Già i secondi, grazie alla Capacità Negativa, hanno l'opportunità di riscattarsi da questo annichilimento e viverlo in una esperienza dell'io. Si conclude, pertanto, che la turbolenza vissuta, tanto può contenere una esperienza di distruzione, quanto di costruzione.



In termini clinici, questo paradosso porta il paziente a un dilemma. Secondo Bion (1965, p.166), se egli sta tentando di collaborare, ha due scelte. Da un lato può scegliere la "sanità", che è forte e distruttiva. Dall'altro, può scegliere la creatività, che è impotente e "insana".



E a che cosa si riferisce questa costruzione in uno spazio di violenza? Si riferisce al risveglio della Coscienza (ou Insight ). E' una esperienza di contatto con "O", con la verità. In Psicoanalisi, con la verità rispetto a sé stesso. E perché ciò potrebbe avere effetti tanto turbolenti? Sandler (2001), parafrasando Bion, offre una risposta: Truth is too heavy a load for the desirous beast to carry. Nell'uomo, tanto possiamo constatare un impulso per la ricerca della verità, quanto per un allontanamento da essa. Un paradosso che sempre ci accompagna. L'esperienza mostra che l'uomo può conservarsi nella pazzia, per non aver contatto con la verità e può impazzire, perché aveva preso contatto con essa. Questa condizione, sempre segnata dalla violenza, è parte di ogni ora analitica. Pertanto l'avvertenza : Making the best from a bad job. ( Bion, 1979).







Domanda: Può la Psicoanalisi di Bion condurre a un misticismo?



La mia risposta personale è: no. Se eventualmente accadesse, sarà più dovuto a precipitosi lettori piuttosto che a ciò che il nostro ha scritto.



La opzione dal vertice mistico nell'osservazione dell'esperienza psicoanalitica, il riferimento ai mistici, l'impiego di termini, tali come Fede, Verità Assoluta, non significano che Bion abbia attribuito una connotazione religiosa alla Psicoanalisi e neanche che egli dia all'oggetto psicoanalitico lo stesso statuto ontologico che la religione attibuì alla nozione di divinità.



Di fatto, l'opera di Bion non suggerisce che egli si tenga occupato con l' "O" della religione (Eigen, p.83). Il suo campo è la Psicoanalisi . L' "O" della Psicoanalisi è la Realtà Psichica, tale come Freud la formulò. Il vertice mistico, in Bion, costituisce una posizione metodologica per l'accesso alle esperienze di questa ultima.



Si dica, a proposito, che le nozioni di Fede e Negatività, presenti in questo metodo, non sono nozioni confinate al dominio religioso. In vari campi, esse hanno anche una presenza esplicita, senza che siano prese come religiose propriamente dette. Vediamo questo:



Nella Filosofia, per esempio: in Francis Bacon (secolo XVI), incontriamo l'affermazione che la conoscenza dipende dall'annullamento di tutte le credenze, eccetto l'osservazione maggiormente controllata. E' presente la raccomandazione della negatività, per lasciarsi il percorso libero la osservazione. Im Jakob, filosofo tedesco dei secoli XVIII e XIX , discepolo di Kant, incontriamo la nozione di Fede, legata alla conoscenza immediata. Per Hume (secolo XVIII), la fede consiste in una forma di sperimentare i fatti. Una ricerca più accurata potrebbe portare alla presenza del concetto in altri autori.



Nelle scienze, figure notevoli, come Albert Einstein, Erwin Schödinger, Werner Heisenberg, matematici, come Alfred N. Whitehead, a dire di Sandler (1997), scivolarono, o aderirono esplicitamente alla esperienza mistica, senza che si siano trasformati in praticanti del misticismo. In Einstein, incontriamo prova di uno stato mentale non scientifico, che fa parte della sua aspirazione alla verità e alla comprensione. Egli aveva detto che una delle fonti di questo sentimento è la Fede nella possibilità che le regole valide per il mondo dell'esistenza siano razionali, questo è, comprensibile per la ragione ( Scritti della Maturità) .



Nelle arti, la sensibilità degli artisti li hanno portati ad apprezzare l'importanza del Negativo per l'apprendimento delle cose, come Keats sottolineava in Shakespeare. La nozione di "Opera Aperta", di Umberto Eco, va in questa direzione: essa punta verso molti significati, innumerevoli soluzioni, nessuna di esse pretende di esaurire le questioni.



I poeti simbolisti vedevano, nell'immagine del deserto, una metafora per la creazione, ossia, una condizione di creatività.



Il vertice mistico che esaminiamo è anche presente nell'intuizione di Rilke: " Dio è la infinita oscurità che tutto contiene dentro di sé "



In Adélia Prado, poetessa brasiliana, il tema del silenzio rimanda a quello della oscurità come condizione per la rivelazione: L'oscurità è Dio che si sforza di uscire da dentro di me. Già il demonio è Lucifero - la luce.



Domanda: la proposta di soppressione della memoria e del desiderio è un tentativo che, al di là della impossibilità, riprende pretese oltrepassate epistemologicamente di un ritorno alla cosiddetta Neutralità dell'osservatore?



In questo senso, anche, la mia risposta è no.



Tutto il pensiero di Bion non ha questa pretesa e tali termini - neutralità e oggettività - appartengono a un territorio con il quale la Psicoanalisi non ha condivisione.



Lo stesso vale per Freud. Anche se gli sia attribuita la raccomandazione di neutralità dell'analista, giammai Freud impiegò, nei suoi scritti, la parola tedesca corrispondente alla nostra "neutralità". Usava altro termine, ben diverso (indifferenza), prossimo a quello di rinuncia in quanto ai risultati . In una connotazione più ampia, indifferenza anche può indicare " ricevimento senza preconcetti del materiale analitico" (Freud, 1964/1926a).



Ora, tutte queste accezioni hanno molto a che vedere con la raccomandazione di Bion, quanto alla disciplina, per la soppressione dei desideri. Bion non era un ingenuo. Sapeva quanto le nostre menti sono caricate di nozioni prestabilite e della tendenza ad allucinare (Principio di Piacere) invece di osservare. Abbiamo nozione che un lavoro di asepsi mentale totale è impossibile. Quello che ci resta possibile è una disciplina tendente a sopprimere gli effetti di quello che già sappiamo , per aprirci a quello che non sappiamo . E' riguardo all'ignoto.



"Senza-Memoria, Senza-Desiderio" non rappresentano disprezzo per le teorie. Pretendono di essere appena un modo di relazionarsi con esse. La psicoanalisi non necessita di essere ricreata in ogni momento. Quello che Bion preconizzava era la necessità dell'analista di stare sempre disponibile a captare le esperienze. E' in rapporto al valore della esperienza come fonte di conoscenza. Nel suo lavoro "Caesura", Bion (1977, p.56) fa la raccomandazione che il saggio sia letto e dimenticato, fino a che qualche associazione del paziente lo riporta alla coscienza, per essere riformulato in una nuovo linguaggio. Risalta così, l'importanza della privazione di un tipo di memoria sensoriale (legata alla scarica del principio del piacere), ma allo stesso tempo richiama l'attenzione sul fatto che questa privazione permette di creare spazio, con lo scopo che, in condizioni non controllabili, emerga un tipo di "memoria-sogno" che esprima un contatto onirico (evoluzione di "O") con la esperienza emozionale della seduta, senza aspirazione di onniscienza.







Considerazioni Finali



1. L'avvicinamento all'esperienza psicoanalitica da un vertice mistico non rende la psicoanalisi una "Mistica". La Psicoanalisi fa da interlocutrice con varie aree del sapere umano senza ridursi a nessuna di loro. L'esperienza per la Psicoanalisi è unica.



2. Come attività dell'essere umano la Psicoanalisi non può pretendere di spiegare la mente. Questa è un mistero per sé stessa e, in questo senso, appartiene al dominio del sacro che abbiamo menzionato all'inizio. Lo psicoanalista condivide con il mistico il riconoscimento che l'essenziale di noi stessi è ineffabile (indicibile).



3. Concludiamo, pertanto, che nessuna Psicoanalisi può contenere la mente. In termini clinici, significa che nessuna teoria, nessuna interpretazione può svuotare il potenziale di significati che una esperienza emozionale comporta. Bion (1975/1991, p.112), in uno dei dialoghi che crea tra due personaggi, fa un riferimento alla relazione tra la Psicoanalisi e la Realtà, nella seguente forma : Psychoanalysis itself is just a stripe on the coat of the Tiger - Ultimately it may meet the Tiger - The Thing Itself - O. (la sottolineatura è mia).



4. Se la Psicoanalisi è un' esperienza particolare per l'intervento di affetti vissuti nella relazione bipersonale, è possibile stabilire una distinzione tra discorso sulla Psicoanalisi e essere psicoanalizzato. Una conclusione ovvia è che, per essere psicoanalista, è necessario essere psicoanalizzato. La funzione psicoanalitica della mente (presente in gradi variabili nell'analista e nell'analizzando) si espande come esperienza di essere-con-la-Realtà Psichica. Per il suo carattere inesauribile, infinito, questa esperienza colloca l'analista sempre nella condizione di venire-a-essere psicoanalista. Questa prospettiva può suonare come familiare anche ad un mistico.



5. Lo spazio etico dell'analista è la Fede, indirizzata verso la Verità.



Fede, come già prima fu menzionata, deve essere intesa come stato mentale che non ha a che vedere con certezze, ma con intuizioni che potranno, o non, essere realizzate (nella accezione inglese della parola: tornate reali ) nell'esperienza in corso. L'analista etico è quello che istituisce e mantiene questo stato mentale come riguardo all' "O" del paziente, senza confonderlo con i suoi valori, pre-conoscenze, preconcetti e desideri di potere, o di cura. In queste condizioni menzionate, è possibile l'emergenza della Verità. La Verità è ciò che permette di conseguire l' "O" di quella esperienza emozionale. Collocata nel campo del simbolico (dato che il fondo dell'esperienza psicoanalitica non appartiene al livello del sensoriale, del concreto), essa è sempre incompleta e transitoria. Né l'analista, né il paziente ha l'ultima parola in merito.



Queste considerazioni coincidono con una osservazione che Freud fece nel 1914, in una lettera all'ambasciatore americano Putnam: Il grande elemento etico nel lavoro psicoanalitico è la verità e, di nuovo, la verità .







Alla fine di questa esposizione, è opportuna un'osservazione che Bion fece a proposito dell'opera di Melanie Klein, in una delle sue conferenze: Quello che Melanie Klein tentò di dire illuminò tanto le cose che rivelò visioni ancora maggiori nella oscurità, di aree non illuminate. In Psicoanalisi, sempre stiamo scoprendo più spazi di ignoranza, oscurità, il vuoto



Questa osservazione suggerisce che la Psicoanalisi non pretende di essere una risposta, ma una domanda. Sostenersi nel silenzio, nella cesura di una domanda ancora senza una risposta, suppone un atto di Fede e tolleranza fondamentale. In questo vertice, si avvicinano gli psicoanalisti, i mistici, i poeti, gli scienziati in generale.



















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SOMMARIO







L'autore propone di esplorare l'affermazione che alcune condizioni mentali di accesso alla esperienza mistica possono fare parte del vissuto psicoanalitico. Questo avvicinamento conferisce allo psicoanalista la possibilità di impiegare elementi della disciplina di alcuni mistici per pensare la esperienza della seduta, senza che questo significhi uguagliare le due situazioni, o intendere la Psicoanalisi come un atteggiamento religioso o mistico.



A Bion, non passò inosservata questa vicinanza, arrivando ad affermare che i fatti psicoanalitici possono essere espressi adeguatamente, prendendo come modello l'esperienza dei mistici. Nel prenderla come modello, egli l'usa come costruzione provvisoria per dare significato ai fatti osservati nell'esperienza con il paziente.



A partire da questa approssimazione metodologica e, prendendo come modello di base le concezioni di Negatività, Fede ed esperienza di Indicibile, che sono applicabili all'avvicinamento alla Realtà Psichica (o inconscio), l'autore riprende i contributi di Bion per situare la Psicoanalisi come un'esperienza aperta all'ignoto di ogni seduta. La proposta della Psicoanalisi non è decifrare la mente, ma collocare l'analizzando di fronte al mistero della stessa, in un contatto che non appartiene al campo del discorso, ma che costituisce un'esperienza emozionale di trasformazione viva nella relazione analitica.


Odilon de Mello Franco Filho, Membro ordinario con funzioni di training della Brazilian Society of Psychoanalysis di São Paulo .


Traduzione dal portoghese di Mario Giampà

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