Il titolo di questa comunicazione preliminare allude sia
alla creazione di un gruppo di studio e ricerca volto ad intrecciare la psicoanalisi
ed alcuni prodotti artistici, sia alla ricerca di un’amicizia con l’arte per
nutrire e proteggere le funzioni personali necessarie a svolgere il lavoro
clinico.
Non si vuole dar vita ad un lavoro di “applicazione”
delle conoscenze.
Vorrei essere il promotore di un gruppo che intenda esplorare
e descrivere processi creativi.
Quando ho pensato a tale possibilità, dopo l’entusiasmo,
mi sono sentito smarrito davanti ad un compito difficile e forse insolubile.
Ho
iniziato a pensare a delle opere che mi hanno affascinato, ma questo non mi
aiutava nel precisare un metodo di lavoro. Scrutavo la mia libreria, ho
sfogliato alcuni libri, ma non trovavo idee.
Un’edizione dei “Sei personaggi in cerca d’autore” si
apre con una riflessione di L. Pirandello sulla scrittura. Possiamo
ammirare la bellezza delle descrizioni eppure sfugge il processo che conduce alla
creazione.
“E’ da tanti anni a servizio della mia arte (ma come
fosse da jeri) una servetta sveltissima e non per tanto nuova sempre del mestiere.
Si chiama fantasia. E si diverte a
portarmi in casa, perché io ne tragga novelle e romanzi e commedie, la gente
più scontenta del mondo… Quale
autore potrà mai dire come e perché un personaggio gli sia nato in fantasia? Il
mistero della creazione artistica è il mistero stesso della nascita naturale.”
Cosa poter aggiungere?
Ho iniziato a sfogliare un altro libro. L’intervista,
svolta nell’arco degli anni, da F.
Truffaut al grande A. Hitchcock. “…
la casa di Rebecca non aveva alcuna collocazione geografica, era completamente
isolata e questo si ritrova negli Uccelli. E’ istintivo da parte mia: devo
tenere questa casa isolata, per essere sicuro che la paura sarà senza possibili
vie d’uscita. La casa, in Rebecca, è lontana da tutto, non si sa neanche quale sia
la città più vicina.”
“La signora Danvers quasi non camminava, non la si vedeva
mai muoversi, da un posto all’altro… Era un mezzo per mostrare la situazione
dal punto di vista della protagonista: non sapeva mai dove era la signora
Danvers e così era più terrificante; vedere camminare la signora Danvers
l’avrebbe umanizzata”
Bellissimi dialoghi
e retroscena dei films del regista inglese, ma troviamo solo la descrizione
dei risultati di un percorso che rimane oscuro.
Poco utile pensare alle vite drammatiche di tanti artisti
per egemonizzarle con argute interpretazioni intorno ai motivi di una scelta o
di una fine tragica.
Ho pensato che solo la mia ignoranza impediva di scorgere
una soluzione. Bastava immergersi in uno studio “matto e disperatissimo”? O frequentare
un corso universitario di arte?
Eppure perché non illuminare qualche tratto di questo sentiero
e affrontare una ricerca qualitativa intorno al pensiero produttivo (creativo)
con l’ausilio di altri colleghi interessati!
Vorrei procedere con un breve racconto relativo agli
antecedenti di questa mia iniziativa; seguirà un sintetico riferimento ai
rapporti tra psicoanalisi ed arte; poi una digressione nel campo di studi sul
pensiero. Infine una sintesi con la speranza di rendere utili e comprensibili le
mie idee.
§ 1 Durante le
mie vacanze invernali ho incontrato nella mia città natale un fraterno amico;
un professore di lettere di un liceo che tempo fa ha rinunciato ad una
possibile carriera universitaria. In questo momento è anche uno stimato critico
di musica jazz. Mi aveva chiesto un parere professionale intorno alle brevi
biografie che aveva composto su due cantanti: Billie Holliday e Bessie Smith. Nel corso dei nostri dialoghi era
emerso in modo prepotente il desiderio di dare vita ad una ricerca intorno alla
creazione artistica ed alla sua fruizione.
La biografia drammatica delle due cantanti ed il loro
essere parte di una comunità marginale rendeva sin troppo agevole costruire
delle ipotesi relative ad alcuni dinamismi psicologici (le biografie ed un mio
commento sono reperibili sul sito Roma injazz). Ancor più affascinante poteva
essere la riflessione relativa all’uso della voce, del respiro, del silenzio (le
pause) come mezzi implicati nel cantare (anche se lontani dal “bel canto”). Il
suono appartiene al corpo e coinvolge esecutori e ascoltatori.
Daniel
Barenboim nel suo libro “La musica sveglia il tempo” (edito da
Feltrinelli nel 2007) esordisce con la frase paradossale: “sono fermamente
convinto che sia impossibile parlare della musica”. Eppure cerca di tradurre
con le parole quanto risulta effimero e potente. Effimero perché il suono
compare e scompare incessantemente; scrive: “la musica è lo specchio della
vita: entrambe cominciano dal nulla e finiscono nel nulla”. Eppure questi suoni
organizzati entrano nel nostro corpo attraverso le orecchie e possono stimolare
risonanze emotive, immagini, ricordi o alterare il ritmo cardiaco e il respiro.
La musica può esser percepita e apprezzata ad ogni
latitudine e questa esperienza ha sollecitato il grande direttore d’orchestra,
nonché pianista, a dare vita insieme all’intellettuale palestinese, emigrato
negli Stati Uniti, E. Said ad un’iniziativa considerata impossibile.
Un’orchestra che facesse incontrare giovani musicisti del medio-oriente di fede
islamica ed ebraica!
Passiamo alle osservazioni dello psicologo scozzese C. Trevarthen che in un suo lavoro sul
ruolo giocato delle emozioni intuitive nella comunicazione precoce tra madre e
bambino (pubblicato nel testo a cura di M. Ammaniti e N. Dazzi edito da Laterza,
nel 1990, titolato “Affetti”) rilevava
che il canto spontaneo di molte madri partiva da un centro tonale per allontanarsi
da questo con intervalli di terza e quinta (con delle modifiche sono gli
intervalli tipici di molte strutture del jazz; le cosiddette “blue note”).
Un’altra sollecitazione viene dal ricordo di una rilettura
del testo di H. Rosenfeld
“Comunicazione e interpretazione”. L’autore esprime il suo dispiacere per come
non sia preso in considerazione il ruolo giocato dal tono di voce dell’analista
nella comunicazione col paziente.
Un gruppo di studio potrebbe approfondire e integrare
queste informazioni. Cosa suscita un tipo di musica (o canzone o opera lirica),
cosa suggerisce? Dal canto gregoriano monofonico alla melodia popolare sino
alle atmosfere rarefatte della musica classica contemporanea. E di seguito cosa
ci suggerisce la pittura: da un quadro di Giotto alla scomposizione formale
sino all’astrattismo. Parimenti la produzione di films o lavori teatrali.
Nella mia esperienza clinica ho notato in diverse persone,
quando il lavoro d’introspezione si consolida e diviene anche un piacere,
l’avvio di interessi culturali (scrivere, leggere, la musica). Questi fenomeni
assumono un valore ancor più significativo se ad operare tali scelte siano
individui che per estrazione sociale ed immersione nel concreto sembravano ben
lontani da un’attività creativa e simbolica. In altri casi rileviamo il venir
meno di inibizioni durature e la ripresa di interessi ed attività artistiche.
Quanto detto sino ad ora sono delle allusioni, eppure
possono trasformarsi in sentieri per intrecciare la vita, l’arte e la
psicoanalisi. Pretesti associativi per avviare una riflessione intorno alla
creatività nella pratica analitica (duale e di gruppo). Una creatività
necessaria per avvicinare il disagio contemporaneo nelle sue forme più tenaci e
non come vezzo anticonformista.
Terminate le vacanze ho pensato di non far cadere
nell’oblio queste impressioni e di avviare un lavoro di gruppo su questi temi
per sfruttarne le potenzialità di condivisione e apprendimento.
2 Il rapporto storico tra arte e psicoanalisi.
I misteriosi oggetti detti arte presuppongono un
desiderio, sono costruiti grazie ad atti creativi e necessitano della
costruzione di legami. Chi li produce connette dentro se stesso idee,
sentimenti, competenze. Quanto creato si connette al pubblico che definirà un
consenso o dissenso.
I prodotti artistici danno voce a desideri, fantasie, angosce.
La psicoanalisi si occupa di aspetti analoghi del soggetto.
Il sogno e il motto di spirito venivano considerati residui
del raziocinio e proprio in quei luoghi Freud
intravide dei sentieri da percorrere per raggiungere nuove verità. Questo è già
un esempio di processo creativo in quanto implica la competenza nel riconoscere
problemi dove altri non ne vedevano.
Freud ha sovente indicato come la produzione artistica riuscisse
a cogliere aspetti dell’uomo che erano raggiunti dalla psicoanalisi con un
lavoro tortuoso e incerto (i suoi scritti sono punteggiati da citazioni della
letteratura classica).
Importante che il gruppo di studio sappia utilizzare questa
eredità. Tornare a frequentare i maestri per imparare come costruivano la teoria
piuttosto che applicare dei contenuti o spiegazioni. La grandezza di quanto
ricevuto riposa nella complessità del procedere di Freud; pur animato dal
desiderio scientista ritrovava l’uomo e se stesso. Pensiamo al suo visitare per
giorni la statua di Mosè per osservarla e utilizzare le proprie impressioni.
Nella prospettiva freudiana avvicinarsi ai prodotti artistici
aveva diversi scopi. Una interpretazione di significati per suffragare la
capacità esplicativa della psicoanalisi (la sua applicazione); mettere alla
prova il suo metodo (le associazioni verbali guiderebbero necessariamente verso
le origini dei complessi ideativi); corroborare le teorie e ripensarle tornando
al contesto clinico. In taluni casi fornire una spiegazione dei dinamismi
inconsci che rendevano comprensibile la vita di un personaggio insigne.
In questo procedere troviamo il ricorso al pensare
associativo, oggi diremmo analogico, che meriterà più avanti una precisazione.
Ricordiamo il V° capitolo dell’Interpretazione dei Sogni
(dove la tragedia di Edipo viene collegata al dramma di Amleto). “Il delirio e
i sogni nella Gradiva di Jensen” (1906) per descrivere riscontri, in tale opera
letterarie, alla teoria del sogno.
Ne “Il poeta e la fantasia” (1907) viene posta una
relazione tra gioco infantile, fantasia e creazione poetica. Tali temi saranno
ripresi nel saggio teorico “Precisazioni sui due principi dell’accadere
psichico” (1911) per delineare la differenza tra principio di piacere e di realtà.
Altri esempi di una decodifica di significati li abbiamo in: “Il motivo della scelta
degli scrigni” (1913); “Il Mosè di Michelangelo” (1913); “L’umorismo” (1927).
“Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci” (1910) e
“Dostoevskij e il parricidio” (1927) sono due esempi di esplorazione delle
biografie di personaggi insigni per rintracciare dinamismi inconsci. L’intento
era quello di presentare come potente e risolutivo il metodo della
psicoanalisi.
In sintesi Freud considerava le produzioni artistiche
(soprattutto letterarie) il compromesso ben riuscito, e sancito da convenzioni
sociali, di un conflitto inconscio. L’artista sarebbe nell’intimo una persona
che non avrebbe mai ben accettato il principio di realtà e le rinunce ad esso
correlate. La sua rigogliosa fantasia (la veste di desideri più o meno
accettabili) sarebbe associata ad una serie di mezzi espressivi (scrittura,
pittura, ecc) che per via di un consenso sociale permetterebbero di ricavare
fama ed ammirazione, per l’artista, e al suo pubblico di identificarsi con le
sue creazioni e di vivere in forma vicaria quanto viene narrato.
Importante cogliere l’intento di corroborare o
rimaneggiare delle teorie. Le attività dell’artista davano vigore al concetto
di sublimazione. L’articolo sull’umorismo riprendeva le idee espresse nel Motto
di spirito e le collegava alla teoria strutturale. Un ricordo d’infanzia di
Leonardo conteneva riflessioni su omosessualità, identificazione e narcisismo. Il
lavoro sulle memorie del “presidente Schreber” (1910), per oscuri motivi
considerato un caso clinico, conteneva le prime riflessioni sul narcisismo.
L’ambizione insita nella mia proposta, in attesa di una
messa alla prova della realtà, è quella di imparare insieme.
Perché non rileggere l’Edipo di Sofocle piuttosto che il
solo V° capitolo dell’Interpretazione dei Sogni? Perché non rivisitare la mitologia
relativa all’anatema lanciato su Laio? In questo modo i temi del complesso
familiare, delle identificazioni, della colpa e responsabilità potrebbero
ricevere nuove suggestioni. Rintracciare
poi tali temi nella letteratura o nelle arti figurative con lo spirito di
ricevere senso piuttosto che darne.
Aggiungiamo un’altra ambizione. Fortificare la
consapevolezza che la psicoanalisi, in quanto procedere empirico, generi delle congetture.
In ogni incontro clinico si costruiscono “comprensioni” (una connessione di stati
motivazionali come afferma Heidegger nei Seminari di Zollikon) e non spiegazioni
per come sono intese dalle scienze dette naturali. La genuina “formazione”
poggia sulla capacità di convivere col dubbio e l’incertezza, per lasciare che
nel tempo necessario si definisca una “gestalt”: un sentire-pensare che sia poi
comunicato ai nostri pazienti.
Con M. Klein e
i suo collaboratori mutano i vertici d’osservazione verso le opere artistiche,
ma permane una fedeltà nel modo di pensarle. Si tende ad applicare le
spiegazioni tratte dalla pratica clinica (“Situazioni d’angoscia infantile
espresse in un’opera musicale e nel racconto di un impeto creativo” M. Klein
1929).
Si deve riconoscere la fecondità delle riflessioni
relative alla capacità simbolica come competenza costitutiva e supportiva delle
funzioni egoiche (“L’importanza della formazione dei simboli nello sviluppo
dell’Io” M. Klein 1930) . La possibilità di maneggiare simboli, il linguaggio o
il gioco, permette di integrare le rappresentazioni degli oggetti e di prendere
distanza dalla concretezza dei vissuti.
Vale la pena ricordare un lavoro di H. Segal del 1947: “Un approccio psicoanalitico all’estetica”. In
questo articolo l’allieva di Klein vede nel desiderio di integrazione e
riparazione della posizione depressiva la base necessaria per le sublimazioni e
la creatività. Per attingere a tali possibilità sarebbe necessaria la capacità
di tollerare l’angoscia e la colpa. Questi dinamismi troverebbero espressione
simbolica nel mondo creato dall’artista: sia esso pittore, scrittore o
musicista. Personaggi insigni e particolarmente ammirati costruiscono dei mondi
attraverso il loro stile e le ambizioni (porta l’esempio di M. Proust che vuole
ricordare e ricomporre la sua vita). Il “piacere estetico” provato dai fruitori
sarebbe un’esperienza globale, la capacità/possibilità di cogliere come un
tutto gli aspetti formali e di contenuto espressi da una certa opera. Il
pubblico si identificherebbe empaticamente col mondo affettivo trasmesso dall’oggetto
artistico; sia sul versante delle angosce contenute che dal lato della definizione
di un’armonia possibile.
L’autrice si propone di rendere comprensibile sia l’arte
detta classica che privilegia l’armonia e la buona proporzione (possibile
vicinanza all’ideale); sia le espressioni più avanzate dell’arte moderna che
cercano di dare espressione anche a quanto risulti dissonante (il “bello” e il
“brutto”).
Pensiamo poi al Winnicott dei “fenomeni transizionali”.
Citiamo solamente altri psicoanalisti che hanno dato contributi al tema
arte/creatività. Chasseguet-Smirgel; Marion
Milner e il nostro Franco Fornari con l’importante puntualizzazione
relativa al ruolo della “innovazione” nella creatività artistica e scientifica
e non alla semplice sterilizzazione di destini pulsionali.
Personalmente sono riconoscente verso un volume curato da
Pier Francesco Galli, edito da Einaudi col titolo “Preconscio e creatività”
(1999), contenente articoli di psicoanalisti afferenti alla cosiddetta “psicologia
dell’io”composti tra il 1952 e il 1979. Tra i lavori presenti sono interessanti
quelli di E. Kris intorno all’ispirazione e ai processi pre-consci. La loro
fedeltà alla meta-psicologia mostra come lo sforzo di spiegare dei dinamismi
psicologici conduca a descrizioni antropomorfe della mente. Si presuppone un “centro”
che sovrintenda e controlli (una sorta di mente nella mente); mentre oggi è la
stessa psicologia accademica a indicare che l’auto-coscienza è una costruzione
utile all’adattamento, ma priva di qualsiasi regia.
3 Definizioni di creatività, creazione.
Dal Dizionario
della Lingua italiana Devoto-Oli edizione 2007/2008.
Creare: a) far esistere, generare dal nulla (in ambito
religioso); b) fondare, istituire; c) porre, stabilire; d) causare, determinare.
Creatività: capacità della ragione o della fantasia di
produrre idee nuove o di individuare soluzioni originali.
Creativo: a) che si riferisce alla progettazione o
realizzazione di qualcosa; b) ricco di fantasia.
Dal Dizionario di
Psicologia del Prof. U. Galimberti edizione 2006.
Creatività: carattere saliente del comportamento umano,
particolarmente evidente in alcuni individui capaci di riconoscere, tra
pensieri e oggetti, nuove connessioni che portano a innovazioni e a
cambiamenti.
Dal Dizionario
“Psiche” ediz. Einaudi 2009 a cura di Barale, Bertani, Gallese, Mistura,
Zamperini.
Creatività: l’abilità degli individui di creare qualcosa
che attualmente non esiste, di innovare un prodotto o un oggetto o una forma
esistente, di produrre qualcosa mediante l’abilità immaginativa. Tale capacità
si estende a due ambiti: la soluzione di problemi e la scoperta di problemi.
Pensiamo all’esistenza di un problema per il soggetto, un
problema posto dal vivere o da lui sentito come tale. Possiamo intuire come
l’esperienza analitica si muova sul confine di tale processo. Una persona vive
una questione che pare irrisolvibile e chiede l’aiuto ad un professionista. Ogni
seduta è un incontro-scontro ed implica dei problemi emotivi: delle esperienze
valutate per il grado di piacere-dolore che vi è associato. Ci si attende che tali
problemi siano affrontati e non più evitati.
Gli psicologi della gestalt hanno dato dei contributi
ancora utili: il pensiero produttivo
di M. Wertheimer e gli studi da parte di K. Duncker. Polemizzando con le
visioni associazioniste e del comportamentismo consideravano l’apprendimento e
la risoluzione di problemi frutto di una ristrutturazione del campo percettivo,
oggi diremmo cognitivo. Parlavano di “insight”,
termine a noi familiare (in verità usavano il termine della lingua tedesca: einsicht).
Un “vedere dentro”, un’illuminazione o intuizione per cui un insieme di oggetti
o un contesto venivano colti in modo nuovo, e ciò conduceva alla soluzione di
un problema. W. Khoeler vedeva all’opera lo stesso processo anche negli animali
antropomorfi. Anche se la descrizione dei suoi esperimenti non sembra escludere
la presenza di prove ed errori anche se non rilevabili da comportamenti
espliciti.
Gli psicologi della gestalt non prendevano in
considerazione la motivazione, né dei processi mentali inconsapevoli. Due
elementi centrali e nel contesto clinico e nel campo artistico. Rimane
l’utilità e suggestione delle loro ipotesi per quanto riguarda l’idea di una
ristrutturazione delle mappe interiori: la sensazione di sorpresa e la capacità
di vedere in modo diverso quanto prima sembrava caotico.
L’analista G. Muraro ha costruito una metateoria sul
senso dell’analisi ricorrendo al termine “sorpresa” (mutuato da T. Reik).
Lo psicologo cognitivista P. Johnson-Laird nel volume “Pensiero e Ragionamento” (2006) illustra
i diversi percorsi per acquisire conoscenze e risolvere problemi.
A volte si può ricorrere a procedure prestabilite e
sicure (ad esempio con la matematica o quando devo avviare un’automobile,
ecc.). Ma quando non si possono seguire tali procedure ci si deve affidare a “soluzioni euristiche”: la soluzione
non è chiara sin dall’inizio e risulterà soddisfacente, ma non ottimale perché
si devono ricavare nuovi dati. Facile cogliere come quel soddisfacente sia
legato alla soggettività. Per le scienze matematiche viene definito euristico un procedimento
approssimativo, non rigoroso.
Pensiamo ad un incontro analitico, all’enigmaticità di
una seduta. Esistono delle intenzioni, ma non possiamo programmare in anticipo
cosa si dirà e come lo si dirà, né come andrà a finire.
Pensiamo a dei frammenti di vita. Un lungo percorso di
studi in vista di un progetto professionale; una storia sentimentale; ecc.
Pensiamo ad uno scrittore con la sua pagina o a un
pittore davanti alla sua tela.
Johnson-Laird utilizza il termine creativo per individuare un tipo di ragionamento che non utilizzi
delle regole consolidate. Tale lavoro mentale non sarebbe deterministico, ma
possiede vincoli impliciti definiti dal tipo di problema da risolvere, dalle
conoscenze possedute e dalle tradizioni. Questo lavoro interiore avviene in
modo inconsapevole, né si dovrebbe considerare la mente come il territorio di
un “centro” che governi e sovrintenda; seppur risulti funzionale
all’adattamento ricorrere a delle strategie.
Per questo autore l’inconscio non è certo quello
psicoanalitico, ma un regno di nudi meccanismi, comunque convinto che la
consapevolezza non potrà mai conoscere e descrivere cosa la determini.
Davanti a un problema, per ricavare ed organizzare
informazioni, si ricorrerebbe a tre tipi di ragionamento. Deduzioni: si giunge ad affermazioni vere a partire da certe
premesse e date delle congiunzioni o disgiunzioni tra proposizioni. Di fatto
non ci sono nuove conoscenze, solo la certezza intorno ad alcune affermazioni. Induzioni: si producono informazioni
prima non possedute, si va oltre quanto è disponibile; le induzioni sono
necessarie perché è raro avere informazioni sufficienti. Abduzioni: quando si cerca di spiegare un’induzione, una
generalizzazione, si opera per abduzione. Viene introdotto un concetto non
contemplato nelle premesse; produciamo delle spiegazioni possibili che si
prestano ben poco ad controllo scientifico. Le induzioni infatti possono essere
vere, ma nulla lo garantisce.
Molte delle spiegazioni date con induzioni e abduzioni
sono attinte dalla memoria a lungo
termine e sono debitrici di esperienze,
conoscenze pregresse o semplici credenze.
Francesco Corrao utilizzava il termine abduzione per
cogliere la specificità del lavoro analitico.
Per Johnson-Laird quando
le spiegazioni per induzione e abduzione non risultano soddisfacenti ne vanno costruite
di nuove. Per tale compito si ricorre sovente al ragionamento per analogia.
L’analogia però non è lì pronta ad attenderci va trovata!
Una psicologia accademica e sperimentale che persegue la definizione univoca
dei propri concetti approda a percorsi ed esperienze regno della soggettività.
Gli elementi dell’analogia vengono trasferiti al problema
da risolvere ed in questo modo rendiamo conoscibile quanto si presentava
oscuro. Ricaviamo nuove idee o la convinzione soggettiva di aver trovato una
spiegazione, ma tale procedere può indurre in errore in quanto riconduce al già
conosciuto! Il ragionamento per analogia sintetizza quanto appariva non
unitario e si collega al senso emotivo delle esperienze. Per questo svolge un
ruolo centrale la sensazione o
convinzione soggettiva di aver trovato la soluzione.
Trovare l’analogia implica un lavoro mentale
inconsapevole che poi appare come un dato immediato. Un lavoro interiore viene
svolto e solo alcune propaggini ne vengono colte o possono essere descritte: il
pre-conscio (concetto caduto in disuso) si correla in modo intimo al pensare
associativo e creativo.
Accedere al pre-conscio è la condizione assunta
dall’analista (attenzione uniformemente distribuita) e auspicabile nel paziente
(invito ad associare liberamente). Non è un caso che molti soggetti immersi nel
concreto non riescano a lasciare la presa di un pensare iper-trofico quanto
inconcludente.
Ricordo ancora un uomo di circa cinquanta anni che
conviveva da tempo con stati depressivi. Si perpetuavano assenze dal lavoro e
malumore. Le sedute erano grigie e monotone. Dopo circa due anni dall’inizio
del trattamento, e in modo imprevedibile, all’inizio di una seduta la persona
cominciò a fissare il calendario appeso alla parete e poi a verbalizzare
apprezzamento per le figure, dando vita per la prima volta ad una produzione
“gratuita” di idee (col nuovo anno chiese se potesse avere in regalo il vecchio
calendario!).
4 Sintesi
Psicoanalisi ed arte possono essere intrecciate perché in
tali ambiti coesistono percorsi creativi. La pratica clinica è una psicologia
empirica che incontra il soggetto e tale incontro è segnato da desideri e
valutazioni incessanti della qualità dell’esperienza.
Vengono posti problemi là dove non ne venivano colti
attraverso l’incessante attività di interrogazione svolta dall’analista e poi
acquisita dal paziente.
Nella produzione artistica ritroviamo una necessità e
impellenza soggettiva di produrre oggetti attraverso una peculiare tecnica.
Non si vuole attingere alla critica d’arte o all’estetica,
ma come fruitori si desidera
approssimarsi ad un compito disarmante: rendere meno oscuri dei percorsi
mentali detti creativi.
Bion nel suo lavoro “Il cambiamento catastrofico” ripreso
in seguito come capitolo del libro “Attenzione e interpretazione” si occupa
dell’idea messianica e di come possa essere trattata o non trattata da un
gruppo o istituzione. Avviene l’incontro-scontro tra un soggetto o un’idea
portatori di “verità” e un contesto che incarna la tradizione. Un’istituzione
svolge il compito di rendere trasmissibile tali verità. Si costruisce una negoziazione
tra idea messianica e istituzione dove l’una e l’altra possono vivere il timore
di distruggere o essere distrutti, ma esiste la possibilità di un accrescimento
reciproco.
Tale opera può esser letta come un’analogia per indicare
cosa potrebbe accadere e dentro un gruppo organizzato e dentro ognuno di noi.
Esistono dei processi mentali e interpersonali a lenta evoluzione, che assumono
il ruolo di strutture, e possono nascere nuove esigenze percepite come dissonanti.
Come saranno maneggiate?
Sovente il soggetto che produce arte è animato da
esigenze sentite come irrinunciabili. Vuole, deve, dipingere, scrivere,
suonare, cantare, ecc. Come ha conosciuto queste esigenze? Come ha costruito il
proprio stile? Come o cosa sente-pensa mentre è immerso nel suo lavoro? Come ha
trovato alcune soluzioni?
Un aspetto centrale della produzione artistica è proprio
la possibilità di costruire grazie alle tecniche (scrittura, dipingere, ecc.) e
allo stile un mondo tangibile ed evanescente; reale eppure inventato. Una
realtà di confine capace di trasformare idee e vissuti. Un campo mentale segnato
dal procedere analogico e dall’integrazione di processi inconsci e pre-consci.
Utile attingere a delle fonti scritte e alla
testimonianza di operatori creativi che potranno essere intervistati per
conoscere e apprendere.
PERCORSI del LAVORO di GRUPPO
(A)
- Aneddoti clinici con la presenza esplicita di oggetti
artistici (di paziente o analista)
- Definire alcune ipotesi relative a tale avvenimento
- Espansione di queste ipotesi con esclusivo riferimento
all’opera artistica
- Verificare se tale approfondimento illumina in modo
nuovo i percorsi dell’analisi
(B)
Partire da lavoro e/o vita di alcuni artisti per poi
avvicinarsi alla pratica clinica:
“Lezioni americane” di I. Calvino
Films: “Vivere” di
A. Kurosawa; “La pelle che abito” di P. Almodovar
Pittura: Caravaggio – Hopper; Balla - Mondrian –
O’ Keeffe.
Musica: Miles Davis
Poesia: Dino Campana;
T. S. Eliot; E. Dickinson
Nessun commento:
Posta un commento