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La mente può trovarsi in stati diversi , il sonno ,il sogno, la trance,l'ipnosi,l'attenzione fluttuante,
l'estasi,la preghiera,la meditazione,la creatività artistica e scientifica,
l'esplorazione dello spazio e degli abissi marini,l'agonismo sportivo.

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Riflessioni intorno e grazie a Covid-19 alias Sars/Cov 2 di Claudio Crialesi


Una premessa quasi una sintesi

La presenza del virus fa convivere strettamente paura & ansia. Se siamo adusi a distinguerle per caratterizzare la seconda (una paura senza oggetto reale, un simbolo personale) ora siamo in presenza di un evento reale imprevedibile e incontrollabile come ogni realtà, ma impalpabile e insidioso, punto di appoggio per angosce persecutorie e depressive.

La globalizzazione ha rivelato un lato oscuro e difese collettive, l'angoscia per l'estraneo, hanno rivelato la loro insufficienza. Vulnerabilità e mortalità, come un ritorno del rimosso, hanno invaso il campo emotivo, soggettivo e dei gruppi, con un effetto di riverbero e amplificazione. Una crisi della rappresentazione grandiosa dell'individuo post-moderno e iper-tecnologico.

La medicina e i suoi operatori hanno svelato un non-detto. La cura, come pratica empirica, nono-stante il supporto delle tecnologie medicali, non può aggirare le emozioni correlate al prendersi cura. Il procedere scientifico viene scandito da: esperienza, tentativi ed errori, cautela nel giungere a conclusioni. Stati mentali ansiogeni per un ambiente culturale pervaso da semplificazione, onnipotenza, eclissi dell'autorevolezza.

Il management politico-amministrativo chiede lumi alla scienza, ma non può dissimulare una necessità etica: responsabilità e scelta. L'umanità costretta ad incontrare sé stessa...
Se si moltiplicavano le descrizioni di un'ipertrofia dell'individuo sedotto dal discorso del capitalismo, ora ritroviamo persone denudate e deprivate di abitudini. Uno spazio possibile di pensiero o il vuoto angosciante che prelude a noia o altri affanni.

Entra in campo un altro gruppo specializzato, entro la società, quello degli psicoterapeuti e psicologi ora sedotti, ora arruolati se non entusiasti volontari. Professionisti ai quali l'immaginario sociale chiede di disinnescare lo “stress” (ansia, depressione), di neutralizzare il dolore mentale circolante.
Non basta rispondere con un rifiuto superficiale, ma occorre rendere pubblico quali risposte siano possibili. La psicologia che si occupa di persone con problemi (detta psicologia clinica) è per sua natura artigianale: lavora nel tempo necessario per apprendere dall'esperienza. 
Il ricorso a strumenti che godano di affidabilità (p.es. mindfulness o tecniche comportamentali) non può fare a meno della motivazione soggettiva o dell'accettare un percorso, seppur limitato, per acquisire delle competenze. 

Gli psichiatri vengono sollecitati in modo ambiguo, da un lato la rispettabilità che deriva dall'esser medici li rende autorevoli presso il gruppo dei colleghi e in ambiti sociali, dall'altro lato inducono diffidenza per occuparsi, in modo privilegiato, di persone con disturbi mentali.
Medici-psichiatri e psicologi sono investiti da attese-pretese con il pericolo di rendere opaco il confine sottile, ma dirimente, tra conoscere e risolvere un problema o eliminarlo. Nel primo caso la personalità si sviluppa e fortifica, nel secondo si perpetua l'incapacità a tollerare il dolore (W.R. Bion).
Resta appannaggio di tali sotto-gruppi specializzati sopportare richieste ambigue, intimamente contraddittorie. Si dovrà testimoniare con stoica trasparenza la capacità di offrire un aiuto a partire da una richiesta, una domanda, che sarà indagata insieme a chi l'ha posta.





§ 1    Sguardo psicosociale

La diffusione della produzione di merci, dei consumi e degli stili di vita ha disegnato una geografia dell'omologazione. Convivono l'emancipazione di intere popolazioni e una moltitudine di esclusi.
Economia, finanza, costruzione di infrastrutture sono intimamente associate alla tecnica come alla misurazione e riproducibilità. La potenza dispiegata dall'uomo ha indossato l'abito di una volontà di potenza che ha condotto a mutare i mezzi in fini alienati dalla necessità. La presunzione di potersi affidare a procedure e adempimenti ha invaso l'ambiente culturale e individuale. 

Il virus “Covid-19” ha in modo inatteso (traumatogeno ?) mostrato gli inconvenienti dell'inter-dipendenza planetaria. 
La paura dell'altro, se portatore di pericolo realistico, è stata una reazione iniziale quanto irriflessiva. Basti ricordare gli episodi, isolati, ma inquietanti, di ostilità o aperta aggressione nei confronti di cinesi residenti in Italia da molti anni. In seguito la stessa penisola italiana è divenuta oggetto di sospetto e repulsione quando pareva l'unico paese europeo avvicinato dal contagio (ricordiamo che virus in latino è traducibile come veleno!).
La xenofobia, col suo retaggio ancestrale, è stata dissolta da confini ormai porosi ad ogni presun-zione di controllo. Altra frustrazione per un pensiero semplificante alla ricerca di linee guida e protocolli da applicare. Veri esorcismi al cospetto di una realtà mai addomesticabile né resa muta servitrice.

Le misure intraprese dall'establìshment tecnico-politico hanno indotto una revisione del legame con l'autorità. Un oscuramento delle libertà individuali e il ritorno prepotente di decisioni verticistiche con riverberi ambigui nella tripartizione dei poteri statuali.
Una sorta di esperimento naturale. Esser costretti a maneggiare un evento inatteso e malsano ha reso omaggio alle necessità della biopolitica (M. Foucault). Si potevano percorrere sentieri alternativi ? In nome della libertà personale inviolabile si poteva o doveva lasciar libero corso alla diffusione del contagio con relativi decessi? Saremmo in grado di accettare questa prospettiva ?

Le misure di contenimento hanno uniformato comportamenti e livellato differenze, come se i cittadini fossero sollecitati ad esser “figli” e tra loro affratellati rispetto a chi si trovi a svolgere un ruolo genitoriale (legislatori). La modificazione delle consuetudini (lavoro, scuola, tempo libero) ha costretto a perdere abitudini che organizzavano l'esistenza. Il domicilio tornato spazio privilegiato di vita in quanto raccomandato anzi prescritto.
Non possiamo prevedere se o quanto l'evento malattia indurrà cambiamenti duraturi nelle condotte nonostante il parere di presunti esperti. 
Cerchiamo perimetri di riferimento e visioni rassicuranti... Una possibilità evolutiva risiede nell'accettare l'esposizione al divenire e alle sue incertezze senza disperante fatalismo.

§  2   Sguardo psicodinamico 

La psicoanalisi e la psicologia dinamica ci invitano a pensare emozioni che mettono alla prova la capacità di risposta ad un ammalarsi insidioso, disarmante. Come si trasmette ? Attraverso l'aria ? Per areosol diffuso dal nostro respirare e parlare ? Col contatto fisico ? Attraverso superfici non igienizzate ? Una morte per insufficienza respiratoria anzi per soffocamento...
L'emblema dell'angoscia: dal vagito al “gridasti soffoco” di Ungaretti. Siamo sicuri di trovarci al cospetto di un ospite sconosciuto? 
Si tratta solo di morire... Il suo diniego ha fallito e passeggia per le strade del pianeta il reale della morte.



Il contatto somatico, la relazione interpersonale come veicoli del negativo sollecitano l'angoscia e la colpa.
Essere aggrediti dal virus (persecutorietà), perdere sé stessi e le persone care (lutto o depressione), percepire l'altro con sospetto e ricorrere al controllo meticoloso, a restrizioni severe (ossessività fobica), cagionare morte (distruttività e colpa).
Il virus come minaccia incombente di dolore. Una forza distruttiva e disgregatrice dei legami (l'isolamento, la quarantena). Potente emblema anti-eros.

La turbolenza indotta da questi stati mentali sarà più o meno gestibile a partire dall'equilibrio 
interno raggiunto da ogni soggetto. La sua posizione esistenziale rispetto all'auto-stima, alla gestione dell'incertezza, al rapporto con aspetti distruttivi di sé e al grado di soddisfazione ricavata dai propri legami (intimità, tenerezza, genitalità).

La famiglia come gruppo primario può assumere il ruolo di appartenenza capace di alleviare le fatiche dell'individuo. Un nuovo tempo da condividere e nuove azioni da inventare (il clan). Sappiamo che può altresì esser luogo di patimento e invalidazione. Ambiguità, ambivalenze, conflitti prima sopiti, grazie alla loro dislocazione nella prassi quotidiana (le abitudini), possono riemergere e chiedere nuove sublimazioni.

La casa nella sua fisicità compendia vissuti stratificati. Il focolare, luogo riconoscibile e rassicu-rante, luogo atavico che protegge dai nemici, può assumere i connotati di una restaurata caverna per l'animale-uomo. La cultura come strumento di adattamento dissotterra retaggi primordiali, mentre la natura del virus fa risuonare il mondo interno (affiliazione, cura dei consanguinei, angosce primitive).

Dal vertice gruppale possiamo tentare di rendere pensabile la complessità nella quale siamo immersi. Nel piccolo gruppo sono noti i fenomeni di diffusione trans-personale e risonanza emotiva. Possiamo immaginare cosa possa accadere in gruppi sempre più vasti sino a comprendere un'intera nazione o più paesi costretti a trovare un modo per interagire. Il ruolo dell'establìshment si è rivelato insostituibile e non a caso, pur presenti delle infrazioni isolate, non si sono al momento verificate ribellioni plateali e organizzate. 
Il vertice tecnico-amministrativo-politico sta ricoprendo il ruolo di “capo” di una moltitudine (Freud di “Psicologia delle masse e analisi dell'Io”) che ha riconosciuto e legittimato tale posizione e allo stesso tempo validato un'identificazione tra ogni cittadino in vista del reciproco interesse (la sopravvivenza).

Alcuni professionisti della relazione d'aiuto (medici e infermieri) li possiamo considerare un gruppo specializzato all'interno della struttura sociale. Gruppo deputato a maneggiare emozioni incande-scenti per contrastare la malattia e scongiurare la morte. Comprensibile sia un gruppo sollecitato da potenti movimenti affettivi interni ed esterni. 
Il sociale più ampio attende risposte, l'esonero dai patimenti, l'etica professionale incontra il limite personale (umana fatica) e quello professionale. Si procede per tentativi ed errori, ragionando sulle strategie, per rendere replicabili le cure. Frustrazioni o delusioni possono affaticare il soggetto o diffondersi nel gruppo (traumi cumulativi?). Utile che la struttura sociale sia e resti benevola  nei confronti di chi incontra il contagio e non solo quello reale, ma anche quello emotivo.

Nella loro pratica medici e infermieri devono trattenere nel preconscio il senso umano del loro operare per proteggere un io professionale (efficienza). Questo spazio potrà divenire amorevole consapevolezza verso il malato che depura sentimenti di colpa, con  l'accettazione del limite oppure esser silenziato o rimosso. Giungono notizie furtive, dal non-detto relativo al decidere chi potrà esser curato e chi no, al funzionamento solidale dei gruppi di lavoro
A questi professionisti dobbiamo affidarci (asimmetria e dipendenza) grazie a loro sperimentiamo la fiducia. La gratitudine può circolare e rendere possibile una bonifica dei territori angoscianti e mortiferi prima dipinti a tinte espressioniste. 
Fiducia e speranza vanno protette e a questa esigenza risponde la necessità di contare guariti e dimessi dagli ospedali e non solo contagiati e deceduti. 

Una psicologia clinica che non si limiti a imitare la tecnica non potrà che offrire un “ascolto empatico”. 
Empatico come radicale capacità di decentrarsi da ogni pregiudizio o diagnosi per avvicinare l'altro-da-sé e raggiungere una nuda vita.
L'ascolto non si esaurisce nell'efficienza dell'udito, ma implica lasciare che nascano parole per rendere esplicito quanto non ancora espresso (capacità negativa e tolleranza del vuoto di Bion). 

Si potranno anche proporre strumenti per addomesticare ansia o tristezza o colpa, ricorrendo a pratiche legate all'evidenza empirica, ma se si vuol credere, e far credere, che psicologi e psicoterapeuti possano applicare algoritmi di cura siamo nella propaganda. 
Solo la prassi dell'incontro renderà comprensibile le esigenze personali, solo in un legame intersoggettivo transiteranno apprendimenti duraturi (le identificazioni del linguaggio psicoana-litico).

§  3   Setting e nuovi media    

I dispositivi informatici rendono possibile quanto prima impossibile e fantascientifico. Parlarsi, guardarsi, sentirsi vicini seppur lontani, condividere immagini e filmati, poter lavorare (smart work at home).
Ancora incerto se sapremo governare il valore d'uso di tali mezzi o rimanere sedotti dal loro volto onnipotente, perseguendo relazioni quantitative più che qualitative. Dispositivi veicolo di una potenza priva di saggezza e del feticcio della merce, ora si offrono come amabili servitori delle nostre necessità (lavoro, condivisione, contatto).

Con tali strumenti (internet, smartphone, e-mail) già da tempo si confrontano i professionisti  psichiatri, psicologi, psicoterapeuti. Dei mediatori che permettono di mantenere o avviare relazioni d'aiuto che ai tempi del coronavirus sono ostacolate. Un nuovo setting che merita qualche riflessione.

Le coordinate temporali (momento e durata dell'incontro) possono esser mantenute salvaguardando la funzione regolatrice del setting (la falsificazione degli aspetti processuali seguendo F. Codignola). Lo scenario percettivo può mutare: le sedute o i colloqui avvengono nello studio o ambulatorio del professionista oppure nell'abitazione ? Il paziente ha un luogo che gli permette di proteggere la riservatezza ? E' costretto o sceglie di cambiare ambiente fisico dell'incontro ? Nel lavoro di gruppo quali peculiarità o raccomandazioni ?

Il paziente mantiene la responsabilità di scegliere se aderire o meno alla proposta di un incontro in-remoto, può esser invitato ad impegnarsi nel mantenere o procurarsi e proteggere le coordinate spazio-temporali del setting. Fenomeni che potranno essere illuminati dall'indagare analitico e preziosa opportunità per entrare in contatto con aree mentali del paziente. Possiamo pensare ad un'iper-stimolazione percettiva dell'analista o psicoterapeuta nel divenire spettatore dei luoghi abitati dai suoi pazienti al confronto dell'ingresso di una persona nello suo spazio professionale.
Eppure anche questa evenienza non può essere etichettata come un accidente che contamini la possibilità di coglierne le intenzioni inconsapevoli.

Dalle testimonianza dei colleghi sembra emergere che l'accettazione serena dei collegamenti in-remoto, da parte del professionista, permetta di preservare l'assetto analitico e non alteri il valore del percorso di cura. A partire dal setting interiore (coordinate concettuali, formazione, capacità riflessiva) diverrà degno di attenzione ogni fenomeno relativo alla scena entro la quale è situato il paziente. Eppure restano dei quesiti. 

La fisicità dell'incontro viene sostituita da una rappresentazione e in questa sorta di veloce traduzione perdiamo qualcosa ? Se sì cosa ? Quanto perduto è irrimediabile ? O dobbiamo semplicemente accettarne la specificità ? Il flusso di identificazioni proiettive che rendono vivo e terapeutico il lavoro resta immutato ? La mimica, il tono della voce hanno la possibilità di esser catturate dalla videocamera, ma possono sollecitare teatralità o inibizioni ?

Resta il dato inoppugnabile del desiderio e disponibilità da parte di terapeuti e pazienti a non interrompere un legame sentito importante, utile, indispensabile (dal lato del paziente) e confermante il ruolo professionale (dal lato del terapeuta). Solo il dialogo franco e duraturo tra i colleghi permetterà di costruire utili congetture.

Importante precisare che il tema del setting è particolarmente caro alla tradizione psicoanalitica per l'utilizzo della relazione terapeutica, con i suoi riflessi transferali, mentre per gli indirizzi che privilegiano una soluzione al problema del paziente l'uso dei media elettronici è stato già sperimentato e dibattuto.


dr. Claudio Crialesi
Psicologo-Psicoterapeuta
crialesiclaudio@gmail.com












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