Euforione
A voi che questa terra generò
dal rischio, per il
rischio,
di illimitato ardire libero,
del proprio sangue prodighi…
A voi che un indomabile
Impeto sacro anima,
a
tutti voi che vi battete,
che felice sia l’esito!
J.W.Goete Faust II atto terzo: Arcadia
Metodi
Riprendiamo questo tema come un problema e proviamo a svilupparlo come un
concetto che si costruisce, si fabbrica, nell’ esperienza.
Dunque,
è come sempre dalla esperienza che è necessario partire. Non è una esperienza
priva di teoria, ma la concretizzazione in una situazione specifica di elementi
astratti, a loro volta derivati da precedenti esperienze.
Si
tratta del metodo prassi-teoria- prassi che Antonio Gramsci chiamava filosofia
della prassi e che C.S. Peirce definiva pragmaticismo, per distinguerlo dal
pragmatismo in cui prevale l'aspetto empirico ed induttivista. Noi, al
contrario, ci basiamo su fatti concreti da cui costruiamo ipotesi, o abduzioni,
per comporre dispositivi di intervento.
Questo
metodo sviluppa schemi di riferimento che diventano operativi nella misura in
cui si calano nelle situazioni concrete, seguendo sempre il metodo concreto-
astratto-concreto di cui parla K.Marx.
Questi
schemi o ECRO, come li chiama Pichon Rivière, costituiscono il codice genetico
della Concezione Operativa di Gruppo (COG) ed in questo lavoro cerchiamo di
applicare un nuovo giro di spirale per alimentarne,
con nuove esperienze, l'architettura concettuale. Grazie all’ epistemologia
convergente, proveremo a ricombinare il
codice per inserire i nuovi concetti fabbricati nella prassi.
Il
metodo ricombinante compone figure frattali che rendono conto delle esperienze concrete
in un cambiamento continuo, una dinamica in cui è riconoscibile una traccia,
una griglia concettuale, potrebbe dire Bion, che è capace di rinnovare
continuamente il proprio nucleo costitutivo di pensiero vivente in atto.
Si
tratta appunto di una spirale logaritmica che prosegue indefinitamente sia
verso l´interno che verso l´esterno. La curva continua ad avvolgersi attorno ad
un punto senza mai raggiungerlo.
Si
forma così una figura autosimile in cui una parte è simile al tutto.
Già
Bleger nel suo "Psicoanalisi dell'inquadramento psicoanalitico" ha
messo in evidenza il rapporto molto stretto esistente nella "situazione analitica",
così come lui la chiama, fra processo e inquadramento (enquadre).
Come
è noto, per Bleger, perchè possa esserci un processo è necessario un
"non-processo", cioè una cornice di stabilità che per lui è rappresentata
dall'"inquadramento" della seduta. Il termine inglese utilizzato a
questo proposito è setting.
Per
setting analitico, fin dall'articolo di Freud
"Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico", vengono
considerate quelle regole che riguardano gli orari e gli onorari, gli spazi ed
i tempi della seduta, i ruoli e lo scopo
o gli scopi dell'analisi.
Per
Bleger questi elementi costituiscono delle variabili che vengono fissate allo
scopo di evidenziare un processo analitico. Queste "variabili indipendenti"
costituiscono una cornice che delimita un campo interno in cui si sviluppa la
dinamica delle "variabili dipendenti" dal campo. In sostanza le
regole diventano lo sfondo, come nella teoria della Gestalt, da cui emerge un
figura che è la dinamica della relazione analitica e permette di collegare una
seduta all'altra.
Questa
proposta di Bleger si avvicina alle analisi di Goffman e dell'interazionismo
simbolico sulla funzione dei frame nella comunicazione, e se vogliamo,
l'inquadramento psicoanalitico che definisce la "situazione
analitica" costituisce, nel linguaggio di Alfred Schutz, una "provincia di significato".
Uno dei punti fondamentali di una nuova
epistemologia è proprio il rapporto tra processo e non-processo. Si tratta di
un rapporto relativo.
La terraferma è ferma per il mare, ma
il mare è fermo per il pesce.
Si tratta di distinguere nel supporto
del segno, tra substrato e stato, o vehiculum e significatum. Nel sistema percettivo
e neurologico abbiamo un substrato che assume stati, per esempio una sinapsi
che si attiva o si disattiva. Lo stato è attivato/disattivato, il substrato è
ciò che resta fisso (il non-processo).
Nel computer abbiamo i nuclei magnetici
che assumono lo stato 0/1. Questa organizzazione della materia (della materia!)
è in grado di registrare e cancellare e quindi trasmettere forme. Così l'acqua,
assumendo uno stato definito dalla ampiezza dell'onda e dalla sua lunghezza
assume una forma.
Restano da indagare le operazioni sulle
forme, le relazione tra le forme. E resta da indagare la trasmissione di energia,
perché la forma richiede e trasmette energia, e l'aspetto energetico del segno
è un campo ignoto per la semiotica, forse non per la psicoanalisi. (commento di Giampaolo Proni)
Queste
regole che si istituiscono continuamente, tanto che Georges Lapassade parla a
questo proposito di "istituente ordinario" per definire l'aspetto
istituente continuamente in atto nella "definizione di una situazione",
divengono il deposito delle ansie persecutorie e
depressive.
Eliott
Jaques, nel suo classico lavoro: "Sulle le istituzioni come difesa
dall'ansia persecutoria e depressiva", ha dimostrato come le regole istituzionali
funzionino da contenimento delle ansie psicotiche di base. Ad esempio, le regole che definiscono la
situazione "funerale" contengono l'ansia depressiva, la paura di
perdere la presenza, come dice Ernesto de Martino. Queste regole caratterizzano
un’istituzione ed il suo funzionamento muto e definiscono certi spazi interni
che modulano le attività di scambio simbolico e libidinale di una serie di soggetti.
Le
norme e le consuetudini si assembrano fra di loro e vanno a comporre una
macchina, cioè un insieme di parti biologiche, linguistiche, corporali,
materiali che, a differenza di una struttura che ci viene presentata come atemporale, vengono
concatenate in un tempo determinato, hanno una durata e lasciano a lato la
possibilità di crescita di una soggettività che può rifiutare la macchina, la
può cambiare in un’ altra.
Il
concetto di macchina è proposto da Felix Guattari e deve essere accostato al
concetto di dispositivo utilizzato da Michel Foucoult. Il dispositivo o i
dispositivi sono l'insieme di più regole che riguardano la circolazione della
sessualità, del danaro e del potere e che sono in grado di tagliare i flussi desideranti
che attraversano la macchina o le macchine in diversi punti.
Un
dispositivo che si organizza in più contesti può interpretare una domanda di cambiamento
di un flusso desiderante attraverso una diagnosi operativa che taglia il flusso
in un contesto residenziale e lo immette in uno semiresidenziale. Ad esempio il
dispositivo in cui lavoriamo si articola in un contesto ambulatoriale in cui la
domanda di cambiamento può essere interpretata proponendo l’immissione in un
contesto residenziale come la comunità terapeutica o in uno semiresidenziale come il centro diurno.
Dunque,
per tornare a noi, J. Bleger vede nel setting un aspetto di quell’ istituzione
che in seguito definirà "gruppo di gruppi" per evidenziarne
soprattutto l'aspetto della soggettività e della dinamica e non per
concentrarsi sull'aspetto delle norme e delle consuetudini
"istituite".
L'articolo
di Bleger è successivo all’ esperienza del 1962 a Royaumont (Francia), portata
avanti da Georges Lapassade, durante un corso di formazione nella Mutuelle
etudiante des etidiantes de France (MNEF), che aveva visto emergere la dimensione
istituzionale nascosta nella dinamica dei gruppi.
I
partecipanti a quella esperienza, che si erano riuniti per apprendere il gruppo
con la modalità del T-Group di K.Lewin, contestarono le regole che permettevano
lo svolgimento dell’esperienza, cioè gli orari, i tempi, gli scopi e i ruoli,
in termini blegeriani contestarono l'inquadramento, l'aspetto silenzioso, le
variabili indipendenti. In sostanza evidenziarono l'aspetto istituzionale che stava
nascosto sullo sfondo dell’ esperienza.
Questa
esperienza vide la nascita dell’ autogestione pedagogica il cui strumento
fondamentale, come è fondamentale nell'analisi di qualsiasi istituzione, è l'assemblea
generale che fa emergere gli aspetti latenti, dati per scontati di qualsiasi situazione.
Questa
premessa si è resa necessaria per collocare l’istituzione e il gruppo di cui
siamo rispettivamente coordinatore ed osservatore nella Comunità terapeutica di
Vallecchio di Montescudo di Rimini.
Da
questa prassi operativa abbiamo analizzato
nell’anno 2005 i testi delle osservazioni del gruppo, per definire gli
emergenti seduta per seduta. Abbiamo quindi lavorato sul processo di oltre un
anno di gruppo assieme alla Dott.ssa Rosita Guidi.
Mentre
lavoravamo sul materiale emerso e riflettevamo concettualmente sull’esperienza
presa in esame, il gruppo continuava a svilupparsi e a produrre nuovo
materiale. Anche questo nuovo materiale
è servito da base per un’ ulteriore riflessione che continua mentre sta
continuando il gruppo: prassi-teoria-prassi. I due processi, vale a dire
analisi del materiale emerso dal gruppo e
produzione continua del gruppo, vanno in parallelo e si influenzano
reciprocamente.
Discutendo
con Armando Bauleo ci siamo resi conto che questo metodo può apparire troppo
esplicativo, come se non ci fosse il caso, come se tutto fosse spiegabile, un
errore di un certo materialismo dialettico
che si ritrova in Bleger e anche della psicanalisi che pensa di spiegare
tutto con il passato. Non è così, anche
in questo lavoro il caso o meglio il caos è dominante, noi cerchiamo solo di
ipotizzare delle configurazioni possibili sia con la scrittura che con le
immagini che costituiscono parte integrante del nostro lavoro.
Il
chiarore non esaurisce l’oscuro, noi pensiamo che qualcosa mancherà sempre e
dovrà sempre mancare, non c’è una spiegazione totale. L’esistenza dell’ignoto e
dell’incomprensibile è l’essenza della natura umana, forse una qualche
approssimazione viene dai versi di Juan de la Cruz:
Entréme
donde no supe,
y quedéme
no sabiendo,
toda
ciencia trascendiendo
L´Istituzione
La Comunità
terapeutica di Vallecchio nasce nel 1984
all’interno di un movimento che ha origine nel 1977 nella città di
Rimini.
Sono
gli anni in cui alcuni operatori socio sanitari del servizio pubblico iniziano
ad interrogarsi sul fenomeno della tossicodipendenza, sull´impatto che il
problema ha nella comunità, sulle modalità terapeutiche più adeguate di
intervento.
Per
conoscere tale fenomeno gli operatori decidono di andare sul campo, di
conoscere i tossicodipendenti, di parlare con loro e di interrogarsi insieme
sulle cause e sulle possibilità di cura. E´ dalla piazza che si parte per
sensibilizzare la comunità rispetto all´argomento, con una manifestazione a cui
partecipano migliaia di persone a Rimini nel 1980.
L´intento
è quello di scuotere la città rispetto ad un atteggiamento di delega, passività
e di negazione, perché nella città di Rimini vigeva lo stereotipo dell’ ”isola
felice” priva delle contraddizioni delle grandi metropoli. Questo stereotipo
era conveniente all’industria turistica, poiché gli albergatori pensavano che
l’ammissione dell’esistenza in loco di un grave problema di tossicodipendenza
da eroina avrebbe potuto spaventare i turisti.
Per
rompere questo stereotipo si è resa necessaria un fase di mobilitazione basata
sull’informazione diretta alla cittadinanza del numero crescente di
tossicodipendenti da eroina che si rivolgevano al servizio.
Possiamo
definire questa come una fase istituente, in cui "esperti" e tossicodipendenti
riflettono insieme su come affrontare una problematica complessa, in cui si
incrociano modalità di pensiero differenti, desideri, slanci, conflittualità.
In questa fase si ricerca la partecipazione attiva della cittadinanza, si
rifiuta l´idea che la tossicodipendenza sia una fenomeno estrapolato dal contesto
e dalle dinamiche sociali.
La
direzione che si intraprende è quella di creare contesti terapeutici
all´interno del territorio, senza separazioni o chiusure, in osmosi con la
città. Si definisce un "modello" di intervento terapeutico, inteso
come l’ "insieme di pratiche, basate sull´utilizzo di uno schema di
riferimento" (Bauleo in "Cambiare: il modello operativo del SerT di
Rimini”) mai
definitivo ed in continuo movimento.
Tra
i vari interventi terapeutici di quegli anni viene fondata la Comunità di
Vallecchio, che nasce dalla collaborazione fra operatori diversi e 6 tossicodipendenti
che accettano per la prima volta il programma residenziale. La struttura è
pensata per le persone più problematiche, per cui le terapie ambulatoriali non
sono sufficienti. L´istituzione che nasce quindi è un prodotto dell´azione, come
dice Deleuze, della fase istituente.
La
Comunità si modifica nel tempo, rispecchiando le trasformazioni della
tossicodipendenza e la molteplicità delle problematiche. Dopo una supervisione negli anni ´90, per esempio,
si apre alle coppie tossicodipendenti, accogliendo e tentando di gestire le
dinamiche che un tale cambiamento comporta. Il tentativo è quello di evitare
l´istituzionalizzazione della struttura, mantenendo vivo il rapporto dialettico
fra la realtà esterna e le modalità di cura dell´istituzione.
Nel
2000 operiamo un’ ulteriore riflessione
sui profondi cambiamenti della tossicodipendenza, sulle situazioni estremamente
complesse che si presentano, sulle comorbilità psichiatriche che sempre più
frequentemente arrivano nei contesti residenziali, essendo di difficile
gestione a livello ambulatoriale.
Per
rispondere alle esigenze che si presentano, nasce Il Centro Diagnosi e Terapia Breve.
Il CDTB si trasforma nel 2006 in COD e
si prefigge lo scopo di inquadrare le problematiche specifiche della persona e
di definire le modalità di intervento terapeutico più adeguate. I percorsi vengono
maggiormente individualizzati e l´occhio con cui si osservano i fenomeni
ricorda più quello di una clinica che quello di una comunità terapeutica.
D´altra parte,
però, rimane di fondamentale importanza l´aspetto della socializzazione nel COD
ed il gruppo costituisce uno strumento terapeutico imprescindibile.
Il gruppo
Il gruppo terapeutico nasce con la prima formulazione teorica del progetto del
COD, come strumento che permette di lavorare sulla motivazione al percorso
terapeutico e sulle conflittualità che possono nascere durante la permanenza con
gli altri utenti e con gli operatori.
Il
gruppo, coordinato secondo la Concezione Operativa, si struttura come uno
spazio all´interno dell´istituzione, uno spazio "altro" discriminato
dallo spazio dell´istituzione stessa. Tuttavia l´istituzione preme sul gruppo,
rendendo difficoltosa la discriminazione dello spazio gruppale rispetto allo
spazio istituzionale.
Lo spazio fisico del gruppo, per esempio,
è un refettorio utilizzato dagli utenti
per i pasti, in cui è presente la macchinetta del caffè, a cui alcune persone
accedono durante il gruppo, un altoparlante interno alla sala che viene
utilizzato per interpellare gli utenti
ed "entra" nello spazio gruppale . Le possibilità di
boicottare tale spazio è data quindi anche dalla commistione degli spazi fisici
e può avvenire sia da parte degli utenti che degli operatori.
Il tempo del gruppo è stato sin dall´inizio
definito di un´ora e mezzo, vale a dire dalle 14, 15 alle 15,45.
Sul
tempo come sullo spazio si giocano le resistenze dei membri del gruppo che possono
entrare, uscire, arrivare in ritardo o andare via prima.
I
ruoli sono definiti dall’
applicazione della Concezione Operativa, per cui c’è un coordinatore che segnala
ed interpreta gli ostacoli cognitivi ed affettivi che il gruppo trova nel
lavoro sul compito e l’osservatore che annota ciò che avviene nel gruppo ma non
interviene.
Il
compito è l’elaborazione della
motivazione alla terapia.
Il
rapporto fra setting gruppale e setting istituzionale è stato analizzato da vari autori. In particolare Marta
De Brasi ha messo in evidenza come il compito gruppale e quello istituzionale
possano essere convergenti o divergenti. Durante il processo gruppale può emergere
una divergenza fra gruppo ed istituzione
ed in questo caso si produce un conflitto con tutte le conseguenze. Il caso
preso in esame nel lavoro di M. De Brasi
riguardava un intervento in una istituzione nel Nicaragua
post-rivoluzionario, per la precisione in un
consultorio.
Un
altro interessante lavoro, a questo proposito, è quello di R. Picciulin e C.
Bertogna riguardo alla comunità terapeutica la Tempesta di Gorizia. Gli autori
mettono in evidenza, seguendo Bleger, come l'istituzione si organizzi
simmetricamente alla problematica di cui si prende cura. Nel caso da loro preso
in esame il setting istituzionale della comunità aveva degli aspetti indiscriminati
con il setting del gruppo terapeutico e produceva una simbiosi tipica della
dipendenza patologica, caratterizzata, appunto, da un nucleo simbiotico
indiscriminato che viene proiettato e depositato nelle forme istituzionali.
Inoltre
evidenziano un conflitto irresolubile fra la regola del gruppo terapeutico: “dire
tutto quello che passa per la mente” e l'implicazione istituzionale che si manifestava
concretamente nelle conseguenze sul programma terapeutico (allungamento,
espulsione o altro provvedimento), qualora un integrante del gruppo terapeutico
avesse rivelato ad esempio di consumare eroina.
Questioni
di setting
Nella nostra esperienza si è istituita un´altra regola di setting che riguarda
la libertà di partecipazione al gruppo.
Il
compito del gruppo si è andato precisando nel corso del tempo, c'è stato un
processo di approfondimento che ha rivelato aspetti latenti, ad esempio si è
venuto sempre più chiarendo che "l'attrattore strano", che produce la
forma frazionata o frattale del gruppo è la motivazione alla terapia, che
contiene in sé la disponibilità al cambiamento e le conseguenti resistenze.
Questo
compito solleva una grossa quantità di ansia che viene proiettata sul setting.
Continuamente il setting è attaccato in vari modi, si attacca il ruolo del
coordinatore a cui viene richiesto di diventare leader e di ordinare la seduta
prendendo il potere, di decidere la tematica della seduta e l'ordine ed il
tempo degli interventi, ma anche di dire chiaramente chi ha ragione e chi ha
torto. Gli si richiede di assumere il ruolo di "duce" che metta fine
al caos grippale, violando le regole dell'inquadramento e decidendo la riduzione
del tempo della seduta o il suo aumento, gli si richiede di giudicare e guidare
il gruppo.
In
sostanza si chiede che il coordinatore faccia il lavoro del gruppo che così
rimarrebbe nell'assunto di base della dipendenza così ben descritto da W.Bion.
Nel
nostro caso la presenza di una équipe (coordinatore e osservatore) ci ha
permesso di contenere questi attacchi al
setting che abbiamo potuto osservare e naturalmente vivere, come osservatori
partecipanti,un pò come quando una mareggiata si scatena contro gli argini di
un porto, come all'Habana sul Malecon dove si infrangono le onde dell'oceano.
Questo
aspetto riguarda il controtransfert dell’ équipe di coordinazione (coordinatore
ed osservatore).
In
particolare nell'assetto di questo gruppo gioca un ruolo importante l'implicazione istituzionale. Si
intende con questo termine il grado di coinvolgimento con l'istituzione in cui
si sta operando.
Renè
Lourou nel suo “La chiave dei campi”, ha chiarito come l'implicazione
istituzionale sia un continuum e proceda da una disimplicazione ad una
surimplicazione, secondo una curva a forma di campana. Nel nostro caso uno di noi è più disimplicato
perchè proviene da un'altra istituzione, l'Azienda Unità sanitaria locale di
Rimini e anche se partecipa alla équipe terapeutica non è un dipendente della cooperativa
che gestisce il COD. L'altra terapeuta è più implicata perchè è dipendente
della cooperativa e lavora come psicologa all'interno del centro.
La
libertà di partecipazione al gruppo è quindi una regola di setting, che si è stabilita
in un tempo di 2 anni dalla nascita del gruppo, essendo implicito per tutti i
membri, ma non per il coordinatore, che il gruppo, come le altre attività
terapeutiche fosse obbligatorio. Inizialmente lo scopo è stato quello di
preservare alcuni utenti in difficoltà dai provvedimenti che sarebbero scattati
automaticamente per chi non avesse partecipato al momento terapeutico, provvedimenti
relativi alle regole istituzionali.
Si
è definita una regola "altra" rispetto all´istituzione, che discrimina lo
spazio gruppale al quale le persone possono sentirsi libere di partecipare o
meno, di dire le proprie opinioni, discutere, arrabbiarsi senza temere necessariamente
delle conseguenze.
E´
chiaro comunque che pensare ad una libertà completa del gruppo rispetto all´istituzione
sia inverosimile. Le dinamiche dell´istituzione attraversano costantemente il
gruppo.
Un’
operatrice della struttura partecipa alla terapia gruppale e ciò comporta delle
fantasie su come il materiale prodotto venga portato fuori ed utilizzato.
L´istituzione
è dentro il gruppo.
Come
regola di setting la libertà di partecipazione non è stata decisa dagli utenti, ma è stata stabilita dal coordinatore, che
applicando la Concezione Operativa
paradossalmente obbliga alla libertà. Tale regola viene continuamente
attaccata dai membri del gruppo che spesso ne auspicano l´obbligatorietà. Le
persone si lamentano di questa regola e vorrebbero che il coordinatore facesse
sentire la propria autorità e richiamasse tutti al gruppo.
La
regola infatti li pone tutte le volte davanti alla scelta di partecipare o
meno, responsabilizzandoli sulla possibilità di essere agenti attivi della
propria terapia. La libertà si struttura quindi come un ostacolo alla delega e
alla dipendenza. Chi viene al gruppo non viene ha un motivo per farlo.
Processi gruppali
E´ molto importante guardare a come si struttura di volta in volta il gruppo.
Considerare chi partecipa, chi non viene, chi se ne va, diviene un emergente di
una dinamica latente nel gruppo legata spesso ad aspetti istituzionali.
A
questo proposito è importante sia il concetto di latente istituzionale,
proposto da R. Lourou, che fa riferimento
all´aspetto istituito, che gioca un ruolo di resistenza nel lavoro del gruppo, ma
anche al concetto di istituzione latente proposto da A.Bauleo, che al contrario
fa più riferimento all´aspetto istituente.
Infatti
il gruppo operativo attratto dal proprio compito, sia manifesto che latente,
nella misura in cui comincia a funzionare, produce uno smascheramento delle
complicità istituzionali. Si potrebbe dire che le appartenenze istituzionali
funzionano come
resistenze nel passaggio dal precompito al compito. In questo senso, il gruppo
operativo opera una sovversione rispetto all´istituzione, proprio perché il suo
funzionamento, la sua dinamica stacca, per così dire, i propri integranti dai
muri immaginari delle appartenenze istituzionali (le professioni: sono
insegnante, sono medico, sono psichiatra, sono
psicologo, sono educatore e cosi via, ma anche le patologie: sono maniaco
depressivo,sono tossico da eroina,sono borderline, ecc...), per immetterli
nello spazio gruppale in cui può prodursi una nuova soggettività.
L´illusione
gruppale, il termine è di Anzieu, è l´elemento sovversivo del gruppo operativo
perché può permettergli di trasformarsi da gruppo oggetto (come direbbe
Guattari) così come è istituito, per così dire, sulla carta da parte dell´istituzione,
a gruppo soggetto, imprevedibile nella sua dinamica potenzialmente antiistituzionale,
perché portatore di elementi istituenti.
In
questo passaggio gioca un ruolo decisivo la circolazione dei flussi libidici
che permette l´emergere della produzione desiderante, il motore di cambiamento
dell´istituzione stessa. Una delle problematiche emerse dall´analisi del
processo gruppale, all´interno del COD, è la difficoltà di coesistenza di
discorsi e comportamenti differenti dalla dipendenza da sostanze, che tende ad
occupare tutto lo spazio tempo gruppale, schiacciando e annullando tutto il
resto. Si può pensare che i discorsi ed i comportamenti che rompono
radicalmente questo stereotipo vengano ignorati, negati o normalizzati per il
timore che suscitano agli integranti del gruppo.
La
dipendenza da sostanze può essere considerata una problematica che ha
un´origine esterna: " il problema non sono io, ma l´eroina, la cocaina, l´alcool,
i farmaci dentro di me. Se li elimino, guarisco".
E´
uno stereotipo basato sulla idea di possessione: sono in preda al "demone
della droga". Ogni demone ha un suo nome (coca, ecstasy, ecc..) e c´è una
aspettativa esorcistica basata sull’ espulsione del demone. L´idea che l´espulsione della sostanza
coincida con la guarigione fa parte dello stereotipo gruppale ed è identificato
con il tempo necessario allo scalaggio dei farmaci (metadone, buprenorfina,
benzodiazepine).
Questo
stereotipo è completato dalla idea che il demone che bisogna convincere a
lasciare il corpo si chiama "astinenza". E´ infatti l´astinenza a
possedere "l´adepto" al culto della sostanza quando la sostanza non
risiede nel corpo. Ed è l´astinenza a produrre i comportamenti tipici del
dipendente da sostanze. In questa visione mano a mano che diminuisce la
sostanza nel corpo aumenta il "demone" dell´astinenza nella mente.
Nel
gruppo ci troviamo sempre di fronte alla richiesta di un esorcismo
dell´astinenza, ci viene attribuito il potere magico di scacciare questo
demone. A volte emerge imperiosamente la pretesa di una soluzione immediata, catartica
di questa "possessione da sostanze". Questa idea è per noi una resistenza al lavoro
terapeutico ed alla presa di coscienza, ma è anche un punto di partenza. L´accettazione
del ruolo di "signore delle droghe" a cui ubbidiscono tutte le astinenze
è un passaggio necessario. L´obbiettivo che la persona si pone (es. scalare la
buprenorfina) è il punto da cui si parte per iniziare a lavorare.
Stereotipi
Per la concezione operativa di gruppo lo stereotipo è una forma di pensiero
rigido e ripetitivo che impedisce l´apprendimento dall´esperienza.
L’obbiettivo
che la persona si pone può essere rappresentato da uno di questi stereotipi:
guarisco se tolgo i farmaci
guarisco
se trovo l´amore
guarisco
se sconto la pena, ecc.
L´esplicitazione
degli stereotipi, non sempre chiari in principio, permette l´elaborazione della
reale motivazione alla terapia. Sono motivazioni spesso distanti dal motivo per
cui un servizio ha inviato il soggetto: permettere un´osservazione che consenta
una diagnosi, motivare al percorso terapeutico, ecc.
Riteniamo
che la libertà di partecipazione al gruppo faciliti l´esplicitazione delle
reali motivazioni al percorso terapeutico, perché, in uno spazio gruppale in
cui il coordinatore non ha compiti normativi, è possibile esprimere anche idee
"sconvenienti" rispetto all´istituzione e alle sue regole. Solo
alleandoci con la motivazione reale possiamo lavorare e favorire un’ eventuale
elaborazione della motivazione verso una consapevolezza maggiore dei propri
problemi.
Un
elemento che si chiarisce allora è che quando non è chiara la propria
motivazione, sia molto più precaria la possibilità di concludere il trattamento
al COD. Succede per esempio che per alcune persone, per cui non è prevista una
disintossicazione da farmaci o da sostitutivi dell´eroina, inviati dai servizi
per uno scopo diagnostico e per elaborare un progetto terapeutico, la
ritenzione sia a rischio. Da quanto
detto sin ora abbiamo riflettuto allora sulla necessità di un obbiettivo chiaro
e condiviso, per un buon esito del programma terapeutico.
I
trattamenti si sono strutturati sempre più tenendo conto di obbiettivi
concreti, semplici, così come di tempi definiti, il più possibile in accordo.
Se all´inizio della storia del COD in casi di necessità pratica (difficoltà di
ricollocazione nel territorio, di reinserimento in famiglia, ecc.) abbiamo
prolungato il tempo di permanenza, alla lunga ci siamo resi conto che questi
percorsi potevano concludersi con un fallimento, perché non si era tenuta in
dovuta considerazione la motivazione di chi diceva di volere rimanere al COD,
ma che profondamente si percepiva in una situazione di stallo ed assenza di
progettualità. Riflettere quindi sugli elementi prodotti dal gruppo terapeutico
ci ha permesso di apportare delle modifiche anche a livello istituzionale, mai
definitive ovviamente, per cui dal gruppo come istituente ci sono state delle
ripercussioni sull´intero COD, che a sua volta influenza il gruppo con una
modalità circolare aperta a spirale.
Così
il gruppo operativo diviene gruppo operativo produttivo, come dice A. Bauleo.
Destini
Dall´analisi della storia del gruppo emerge l´idea di destino come uno degli
stereotipi di base.
L'idea
stereotipata di destino è caratterizzata dalla coazione a ripetere la propria storia
e quella dei propri padri, senza possibilità di cambiamento, di deviazioni da
un cammino segnato.
Questo
è per noi uno stereotipo di base, un ostacolo al lavoro terapeutico, il più
complesso fra quelli emersi, apparentemente inattaccabile nella sua rigidità.
Se
non ci si può sottrarre ad un destino segnato, a poco vale l´analisi dei propri
problemi, la motivazione al cambiamento. A nulla serve impegnarsi, lavorare. Tutt’al
più ci si può aspettare un colpo di fortuna dall´esterno, che non dipende da
noi. Appunto nell'antica accezione latina di fortuna: "fortuna imperatrix
mundi" in cui la fortuna è il fato, il destino è determinato dagli astri.
Sembra
concretamente il manifestarsi dell´aspetto "demoniaco" della coazione
a ripetere di cui parla Freud in "Al di là del principio del piacere".
Come è noto, Freud vede nella Wiederholungszwang un automatismo di ripetizione
che costituisce la radice di ogni sintomo e che è l´essenza dello stereotipo.
Nella metapsicologia dell´ultimo Freud la necessità di ripetere un’ esperienza
spiacevole violerebbe il "principio di piacere" che governa ogni
pulsione e delineerebbe l´appartenenza della coazione a ripetere al gruppo di
pulsioni che riunisce sotto la denominazione di thanatos ,cioè l´istinto di
morte.
Nel gruppo questo "istinto" si evidenzia come la forza contraria all´aggruppamento,
alla costruzione di vincoli grippali. In sostanza è una resistenza narcisistica
alla circolazione libidica fra gli integranti del gruppo che impedisce al
gruppo stesso di essere produttivo.
La coazione a ripetere emerge con la forza dell´individuo che si rivolge a se
stesso totalmente interessato a contemplare il proprio ombelico : la monade di
Leibniz, priva di porte e di finestre.
Questa
situazione, in cui il gruppo interno degli integranti prevale sulla realtà del
gruppo esterno, è la condizione nella quale le fantasie individuali legano il
flusso libidico e ne impediscono la circolazione. Gli integranti sono seduti
nel gruppo ed apparentemente si guardano gli uni con gli altri, ma non c´è
nessuna interazione, domina l´idea della ripetizione della propria vicenda individuale,
c´è la fantasia non esplicitata del mito di Sisifo.
Perché
faticare ancora per portare il macigno in cima alla collina quando già so che
il macigno crollerà a valle e dovrò eternamente ricominciare questa condanna?
Riportiamo
qualche emergente del gruppo in tal senso:
“sta
succedendo la stessa cosa… i miei hanno avuto le loro difficoltà e io sono
cresciuto così e mia figlia uguale…una catena che non si spezza”
“lo
conosco e lo riconosco, fatto e rifatto centinaia di migliaia di volte”
“perché ci
provi se sai già che fallisci?”
Ci sembra di aver individuato questo mito come resistenza al compito, il mito individuale in cui tutto si ripete.
La
situazione, in questo caso, ci appare come se gli intergranti fossero seduti con
il volto verso l´esterno del gruppo e si dessero le spalle. E´ in questa
situazione di dominio narcisistico, in cui il proprio gruppo interno assorbe
l´investimento libidico, che si possono aprire dei varchi per permettere la
creazione di vincoli con i coordinatori, con gli altri integranti e con lo
scopo o gli scopi del gruppo.
Allora
le monadi cominciano ad aprirsi ed i dialoghi, che spesso ricordano i drammi di
Bekett, si aprono alla consapevolezza del qui ed ora per intuire che la
ripetizione non si produce da un evento originario iniziale di cui le ripetizioni
sarebbero continue copie. L´evento originario, un trauma ad esempio, una
violenza subita o un lutto o un abbandono, insomma una causa di una catena di
conseguenze, diventa un mito e dunque impossibile da modificare in quanto
appartenente ad un altro ordine logico. Questo mito originario o mito della origine,
produce la catena delle ripetizioni cui nessuno può sfuggire. Così si ripete
continuamente l'evento originario mitico che non può mai essere cambiato ed in
questo caso la ripetizione è una ripetizione in negativo,una continua serie di
copie sempre più imperfette di un originale.
L´intuizione
dell´aspetto affermativo della ripetizione, come dice Deleuze, rompe con l´idea
di un fatto, un evento, un’ origine mitica ed immodificabile della ripetizione
perché apre il destino alle possibilità e dunque alla libertà della
ripetizione. La ripetizione differente non ha nessuna origine, è un flusso
aperto, affermativo.
Come dice
Nietszche bisogna volere l'eterno ritorno dell'uguale:
'Ora io muoio e mi dissolvo,' tu diresti
'e in un attimo non sono più
nulla. Le anime sono altrettanto mortali
come i corpi.
Ma il nodo delle cause nelle quali io
sono avvolto, ritorna e mi rifarà
di nuovo! Io stesso appartengo alle
cause dell'eterno ritorno.
Io ritorno, ritornerò ancora, con questo
sole, con questa terra, con
questa aquila, con questo serpente; ma
non per una nuova vita o una vita
migliore o una vita consimile: ritornerò
di nuovo eternamente per
condurre questa medesima vita, nel
grande come nel piccolo, e insegnare
ancora l'eterno ritorno di tutte le
cose: per pronunciare ancora la parola
del grande meriggio della terra e
dell'uomo, ed annunciare di nuovo
agli uomini il Superuomo.
(Fiedrich Nietzsche “ Così Parlò
Zarathustra”, parte terza, Il
convalescente)
Colpe
Accanto a questo stereotipo ne abbiamo rilevati altri, cioè l´idea che il
percorso terapeutico serva ad espiare una colpa e che quindi va sopportato,
adattandosi passivamente alle norme comportamentali e facendo scorrere il
"tempo della pena".
“mi sembra
un carcere, la differenza è che là fai i festini e fai passare il tempo””
“non mi
voglio bene…non me ne frega niente di
me, ho fatto troppi sbagli, mi sono rovinato la vita”
Anche
se questa idea ostacola il lavoro di gruppo è meno pesante del primo: si può sempre
sperare che una volta espiata la pena la vita possa ricominciare, si può
sognare,
avere desideri, tensioni verso il futuro.
La
colpa si presenta come risultato di una trasgressione. E’ stata violata una
legge, non solo la legge del parlamento attualmente vigente, forse anche
quella, ma più profondamente è stata trasgredita la “Legge del padre” come
direbbe Lacan, che vieta di cogliere il frutto dell’albero proibito.
Insomma
si coglie la radice della cultura giudaico-cristiana e cioè: in questa “valle
di lacrime” che è il mondo non c’è posto per il piacere ma solo per il dolore
che ci purificherà dal “peccato originale” e tramite il sacrificio del vivere
ci immetterà nella felicità futura dell’altro mondo. I piaceri, invece, ci
vincolano al principe di questa terra e ci impediscono l’ascesi, ci
appesantiscono e per così dire ci sprofondano negli inferi.
Tanto da fare venire in mente il patto di Faust:
Faust
Se potrai illudermi a segno
Che io sia gradito a me stesso,
se mi potrai, nel piacere, ingannare,
Sia questo il mio ultimo giorno!
T’offro questa scommessa.
Mefistofele
Accetto
Faust I: Studio
Si può solo
apparentemente rimediare a questa “colpa”. L’espiazione avviene attraverso la
punizione del corpo che è costretto a provare un surplus di dolore. Questo
sacrificio permette la purificazione dalla colpa di avere provato il piacere.
Ma non basta.
Se
il piacere è vietato alla collettività, questa si pone nel confronti dei
trasgressori come L’Altro generalizzato di cui parla George Mead e questo Altro
diventa un “creditore danneggiato” che
va in collera contro il debitore e lo pone fuori dalla legge. Contro di lui può
essere perpetrato qualsiasi atto ostile.
E’ diventato
un “homo sacer”, direbbe Giorgio Agamben.
Dice Nietzsche:
Il “castigo” in questo stadio del costume
è semplicemente l’immagine, la
mimica del normale comportamento nei confronti del nemico
detestato, disarmato, abbattuto, che non soltanto ha perduto ogni diritto alla
protezione, ma anche alla compassione, ed è dunque il diritto di guerra e
l’affermazione vittoriosa del vae victis in tutta la sua inesorabile
crudeltà.
Genealogia della morale, Dissertazione seconda paragrafo 9
Pensiamo
a questo proposito a quello che è successo e a quello che succede nelle
comunità terapeutiche dove sembra sia tutto possibile: violenze sessuali,
uccisioni, occultamenti di cadaveri in discariche.
La
struttura di questo stereotipo aggiudica all’osservatore ed al coordinatore nel
gruppo il ruolo di spettatori della “festa crudele” del castigo che servirebbe
a ricongiungere il trasgressore alla comunità di cui ha violato la Legge. Questo
ruolo fa emergere controtransferalmente il sadismo.
Si
direbbe che ci si trova nella posizione
di quel personaggio del film Salo-Sade di Pasolini, che guarda le efferatezze
con un binocolo rovesciato.
Riportiamo un
emergente di un gruppo:
“il
periodo che sono stata qua è stato il più brutto della nostra relazione…me lo
mettevano contro”
Ma
l’équipe di coordinazione si trova fra la Scilla del sadismo e la Cariddi dell’
ascetismo, infatti l’altro ruolo che viene proiettato è quello di
rappresentanti del principio di realtà che non prevede il piacere. E’ come se
rappresentassimo un Super-io Sadico incapace di provare piacere se non attraverso
la crudeltà e portatore di un imperativo morale
categorico alla Kant cui i trasgressori dovrebbero adeguarsi passivamente.
Ancora una
frase emersa in gruppo:
“se stai
sotto padrone bisogna stare zitti”
Ma
sicuramente nel patto alla ricerca di un piacere che non sazi, a noi è data la
parte di Mefistofele, e così quando emerge il senso di colpa per le azioni
commesse :
Faust:
…..Lo strazio di lei sola mi rode
l’esistenza fin nel midollo delle
ossa…E tu irridi tranquillo al destino di migliaia come lei!
noi dobbiamo tenere
il ruolo che ci viene assegnato e rispondere a questi rimorsi come
Mefistofele:
Eccoci al limite della nostra intelligenza, dove voi uomini cominciate a
vaneggiare .Perchè ti metti con noi se non sai andare fino in
fondo?Vuoi volare e soffri di vertigini? Siamo noi che siamo venuti a cercarti
o tu noi?
Faust I Giornata cupa-Campagna
E’ difficile mettersi nel posto di Mefistofele,
ma è necessario per provare ad interpretare questo stereotipo che
impedisce al gruppo di pensare. Il gruppo, in questo modo, si può riappropriare
del proprio senso di colpa, del desiderio di punire il trasgressore, della ricerca
del piacere, sopportare la
contraddittorietà fra sentimenti opposti e provare ad uscire da un
pensiero rigido.
Amori
Un altro ostacolo al lavoro terapeutico è l´idea che la risoluzione ai propri problemi avvenga incontrando
l´amore (il COD è una struttura mista, in cui non sono vietati i rapporti di
coppia).
Questo
stereotipo richiama l´assunto di base dell´accoppiamento di Bion. Anche in questo caso tale idea rende poco
importante l´analisi dei propri problemi, la presa di coscienza che invece è lo
scopo del gruppo terapeutico, ma è comunque presente una tensione desiderante
su cui si può cercare di lavorare all´interno del gruppo.
L´amore, infatti, apre le possibilità al presente.
E´
speranza e progettualità, è l´opportunità di liberare i flussi libidici a volte
bloccati da tempo, sotto il peso delle patologie, perché possano circolare nel
gruppo. Chi si innamora o viene al COD con la motivazione di trovare un/a
compagno/a, può aprirsi a nuove relazioni e a possibilità di pensiero diverse,
uscendo da se stessi e da modalità stereotipate di comportamento.
Può
succedere però che il proprio mondo interno e più in specifico i vincoli creati
nel passato, vengano riprodotti nel presente, senza elaborazione o cambiamento.
L´altro,
di cui ci si innamora, non è realmente un altro, ma uno schermo su cui
proiettare le proprie modalità di relazione passate. Si riproducono allora
schemi relazionali rigidi che sono causa di malintesi, poiché non sono il
frutto di una comunicazione reale fra le persone, ma la riproduzione di schemi
comportamentali stereotipati.
In
particolare quando l´altro non esiste se non come proiezione di sé, si produce
un vincolo narcisistico che diventa un ostacolo al lavoro di gruppo.
A
volte, poi, la speranza di trovare l´amore si trasforma in dipendenza (ciò
richiama gli assunti descritti da Bion di dipendenza e accoppiamento,
resistenze al lavoro terapeutico). La propria vita e la propria felicità
dipendono interamente da un altro, sono nelle mani di un altro.
Questo tipo
di vincolo pone il soggetto in una condizione di passività e forma una
resistenza al lavoro del gruppo, poiché evidenzia la possibilità di risoluzione
magica delle proprie problematiche in un altro con caratteristiche a volte
idealizzate o mitiche. Riportiamo di seguito un emergente di un gruppo
terapeutico, che può esemplificare ciò che abbiamo detto:
" Il problema è una ragazza..non ho
rapporti da 6 anni perché voglio lei"
Questo emergente segnala la resistenza alla costruzione di vincoli nel qui ed
ora per la permanenza di un vincolo idealizzato nel gruppo interno. Di nuovo si
segnala il narcisismo come un ostacolo al lavoro del gruppo sul compito,che è
direttamente la costruzione di legami con gli altri. Questo emergente segnala
la resistenza alla costruzione di vincoli nel
qui ed ora per la permanenza di un vincolo idealizzato nel gruppo interno.
A volte l'istituirsi di vincoli amorosi è così precoce e volatile da pensare
che Puk abbia sparso casualmente i suoi filtri sugli occhi degli integranti del
gruppo.
…sulle cui ciglia saggiare
il potere del mio fiore
a far nascere l´amore.
W. Shakespeare “Sogno di una notte a mezza estate” Atto II scena II
Inoltre, abbiamo potuto verificare che, nonostante i rapporti di coppia non
siano vietati nel COD, spesso nel gruppo emerge l´idea che il lavoro
terapeutico possa essere un ostacolo alla relazione di coppia, la fonte di
discussioni e problemi.
:"non vorrei che mi mettessero nella
condizione di dover scegliere tra il programma e stare con lui."
Abbiamo constatato che la presenza simultanea dei due membri di una coppia è
rara, spesso uno solo partecipa al gruppo, oppure nessuno dei due. Una
possibile spiegazione sta nel concetto dell´ansia depressiva all´interno del
gruppo.
Il
gruppo operativo, seguendo Pichon Rivière, ha come scopo il cambiamento di
comportamenti e ruoli acquisiti, attraverso nuove modalità che si apprendono in
gruppo. Tale cambiamento però suscita ansie di attacco e di perdita, vale a
dire la paura di non saper affrontare una realtà nuova percepita come
pericolosa (ansia persecutoria) perché gli strumenti usati in precedenza non
sono più adeguati e la paura di perdere i vecchi strumenti, i propri ruoli e le
proprie certezze (ansia depressiva).
Tali
resistenze, sempre presenti nel lavoro gruppale, possono diventare massicce
quando si teme che il cambiamento possa mettere in discussione un vincolo di
coppia. La risposta può essere allora quella di chiudersi rispetto all´esterno
ed al gruppo, cristallizzando modalità di comportamento per prevenire cambiamenti
e possibili abbandoni.
Il
gruppo stesso reagisce cercando di espellere un membro della coppia che può diventare
facilmente il capro espiatorio che assume su di se il deposito delle ansie
paranoidee degli intergranti. Così di volta in volta può essere attribuito il
ruolo dell´infedele o traditore che manipola il vincolo illudendo la fedeltà
dell´altro per raggiungere scopi nascosti. Oppure vengono messi in scena drammi
della gelosia con l´assunzione inconsapevole dei ruoli di Desdemona Otello e
Iago.
Ma è
soprattutto l´amore contrastato a dominare le dinamiche di gruppo. In questo
stereotipo Giulietta e Romeo si ripresentano continuamente e mentre nel gruppo
interno l´amore infelice diviene una resistenza alla formazione di vincoli, nel
gruppo attuale si ripresenta sotto la forma della ripetizione subita e non
voluta. A volte si presenta l'aspetto dell'amor fou che ricorda i versi di
Cavalcanti:
Voi che per li occhi mi passaste 'l core
e destaste la mente che dormia,
guardate a l'angosciosa vita mia,
che sospirando la distrugge Amore.
E questo vera e propria liason dangereuse provoca fughe dal gruppo e dall'istituzione
e talvolta termina con la morte. Un emergente di questa situazione è
rappresentato da una coppia che lascia il gruppo e fugge dalla comunità per
vivere una relazione che termina quando lei si sveglia alla mattina e trova il
suo compagno accanto a se freddo e rigido stroncato da una overdose. Ma non
sempre emerge questo aspetto distruttivo, a volte l'intensità del sentimento
riesce a motivare alla costruzione di vincoli che permettono al gruppo di
lavorare sul compito del cambiamento del proprio gruppo interno e dei propri
fantasmi. Non è possibile prescindere dalla complessità che certe dinamiche
pongono all´interno del gruppo, che si possono solo accettare ed analizzare.
Libertà
Parlare di libertà in un gruppo all´interno di un´istituzione richiama la
questione libertà-obbligatorietà che ha visto coinvolte le istituzioni e le ha
percepite modificarsi nel tempo, con processi a volte lenti, a volte
difficoltosi.
Intendiamo
riferirci alle istituzioni totali, come il manicomio, le carceri, i campi di
concentramento, i CPT si potrebbe azzardare, in cui il conflitto fra libertà e
obbligatorietà è tuttora vivo.
Parlare
di libertà di un gruppo terapeutico allora non ha una valenza solo
"tecnica", ma profondamente ideologica nel senso più puro del
termine. Alla base del concetto di libertà sta quindi l´idea che ogni individuo
è responsabile della propria cura, che può scegliere di affrontare la propria
malattia o di non farlo, che partecipa attivamente alla terapia e che ha in sé
gli strumenti per agire.
Significa
quindi prendere le distanze dal concetto di adattamento passivo dell´individuo
ad un qualsiasi progetto già definito a priori. La libertà ha in sé l´idea
dell´imprevisto, del non certo, di un percorso in evoluzione. E ha in sé anche
la possibilità di disobbedire ad una norma prefissata. La disobbedienza è
possibile solo se non è certo cosa è bene e cosa non lo è, se ci si pone in una
situazione di parità rispetto agli altri e di sfida rispetto a soluzioni già
definite.
Con
la libertà come strumento terapeutico quindi ci si pone l´obbiettivo ambizioso
di aiutare le persone a rendersi più consapevoli e più attive nella realtà. In
tal senso ci rifacciamo al concetto di adattamento attivo di Pichon Rivière e
continuiamo la prassi di Franco Basaglia.
Sui
muri del manicomio di Trieste c´era scritto: La libertà è terapeutica. La
partecipazione libera al gruppo pone, come abbiamo già detto, tutte le volte
l´individuo davanti alla domanda: "voglio andare? O no?" e
rifacendoci ad un film di Nanni Moretti, anche alla domanda "Mi si nota di
più se vado o se non vado?", vale a dire che impatto ha sugli altri la
presenza o l´assenza della persona in un dato momento, come messaggio
comunicativo non verbale.
La
libertà non è solo quella di partecipare o meno, ma anche libertà di
espressione e di pensiero. Non ci sono regole da seguire su cosa dire o no, su
pensieri consentiti o meno. Lo scopo è quello di permettere lo svilupparsi di
una comunicazione meno stereotipata. Ad un livello più profondo una
comunicazione più libera può far emergere ansie psicotiche di confusione,
depressive o di persecuzione.
Sull´istituzione
vengono depositate infatti, come descritto da Eliott Jacques, le ansie
psicotiche dell´individuo che può trovare una modalità di contenimento alle
parti di sé che procurano sofferenza. Il gruppo è uno spazio in cui possono
venire mobilizzate tali ansie. Lo spazio è protetto dal setting, ma al suo
interno le ansie possono circolare. E´ il setting che protegge rispetto a tali
ansie ed il gruppo stesso, che condivide e distribuisce il carico emozionale su
tutti i partecipanti.
A
volte chi partecipa al gruppo può sentire emozioni forti e disturbanti ed avere
paura. Una paura per esempio, anche se non necessariamente consapevole, può essere
quella della dissoluzione dell´identità personale nel gruppo. Questa paura
richiama il concetto di socialità sincretica, descritta da Bleger.
Nel
gruppo, infatti, esistono dei vincoli silenziosi ed invisibili, ad esempio le
persone che si trovano nella sala d´aspetto di una stazione ci appaiono come
individui isolati e privi di contatto fra loro, ma se il treno o l´autobus,
come nel film “Lista de espera”, non arriva si evidenzia la socialità per
interazione, la cooperazione, il lavoro per uno scopo comune. Il compito fa
emergere i vincoli della socialità per interazione.
Questo
fenomeno è anche descritto da Sartre in “Critica della ragione dialettica”,
quando parla delle persone che aspettano l´autobus in una condizione di
serialità. L´uscita dalla serialità avviene quando qualcuno indica uno scopo:
"c´è da prendere la Bastiglia!" allora dalla situazione di sfondo
della serialità emerge il gruppo in fusione, che è prodotto dal compito.
Anche
Felix Guattari quando parla di gruppo oggetto e gruppo soggetto si riferisce
allo stesso fenomeno. Il gruppo operativo, a differenza di altri tipi di
gruppo, vuole mobilizzare la socialità sincretica e permettere che emerga la
parte psicotica nel gruppo, ma dà la libertà agli individui di poterlo fare
rispettando i propri tempi.
La
distanza che ogni persona può prendere dal gruppo è diversa. Sono gli
stereotipi che contengono le ansie psicotiche di base.
Gli
stereotipi sono schemi cognitivo-affettivi che emergono in qualsiasi gruppo
come ostacolo al libero pensiero. Sono le uova che il gruppo deve rompere
perchè possa liberarsi la capacità di apprendere dall´esperienza. Solo un clima
di libertà permette al gruppo di sopportare l´ansia che si sviluppa dalla
rottura degli stereotipi. E’ la libertà
a creare il clima emotivo che permette l´elaborazione dell´ansia. La reciproca
fiducia nella libertà è l´accettazione della differenza degli integranti. Solo
così il gruppo non diventa dipendente da un leader o non deposita sul
coordinatore il compito di abolire le differenze e impara che non c´è nessuna
colpa per il piacere della conoscenza.
Un
utente da tempo presente nel Cod, per esempio, non partecipa mai al gruppo ma
passa davanti alla sala in cui siamo ogni volta. La distanza che al momento ha
trovato rispetto al processo gruppale è dunque questa, ma non è detto che le
cose non possano cambiare nel tempo. Altre persone partecipano al gruppo
entrando e uscendo in continuazione, altre ancora sono presenti costantemente.
Non è detto che chi partecipa costantemente sia più addentro degli altri al
processo gruppale.
Una
osservazione critica rispetto alla libertà di partecipazione è che chi non è
motivato può evitare il processo terapeutico.Anche in questo caso l´assenza
della persona ci dà una fotografia della situazione.
Ma
come si può lavorare su questo?
Se
partecipa a qualche gruppo si può far
notare che ci si è resi conto che oggi c´è e che ne siamo contenti. Non è
indifferente per il coordinatore e per il gruppo che la persona ci sia o non ci
sia.
L´atteggiamento
positivo di tale affermazione ha lo scopo di evitare giudizi. Spesso basta dire
questo perchè la persona spieghi come mai non è venuto altre volte e ci dia
informazioni su di sé e sulle proprie motivazioni. L´interpretazione delle
presenze-assenze è generalmente gruppale: il coordinatore ha un´idea di chi c´è
e chi non c´è e lo esplicita. Questo fa sì che i membri del gruppo prendano più
consapevolezza degli altri e li richiamino
in gruppo.
In
alcuni casi è stata prescritta l´obbligatorietà del gruppo dall´équipe del Cod,
per singole persone: "il gruppo è libero ma tu sei costretto ad andare".
Ciò
si pone come un intervento terapeutico calibrato su una specifica situazione in
uno specifico momento. Lo scopo è quello di non far giocare alla persona il conflitto
"vado o non vado al gruppo?", ma proiettarlo sull´équipe terapeutica:
" L´équipe mi costringe ad andare al gruppo, io non vorrei".
Solo
in un secondo momento il conflitto viene reintroiettato dalla persona e
sopportato. L’équipe terapeutica ha adottato tali modalità in situazioni
specifiche eccezionali che non hanno a che fare con la gravità della patologia,
ma con situazioni di stallo da cui il singolo non riesce ad uscire.
In
genere questi interventi, pensati sulla persona e temporanei, hanno portato
risultati positivi.
Per
concludere, possiamo dire che il compito del gruppo, che è quello di parlare
delle motivazioni alla terapia, si lega in modo stretto al concetto di libertà:
può succedere che una persona che viene al COD perché obbligato (da sanzioni
legali, da problemi pratici di abitazione, lavoro, sostentamento) partecipi
liberamente alla terapia del gruppo. Questa contraddizione fra l´obbligo alla
permanenza e la scelta di stare in gruppo, magari neanche profondamente pensata
e consapevole, crea comunque uno sfasamento fra due piani che può aprire un
varco al pensiero.
Bibliografia
Samuel Bekett Teatro Mondatori
Jaques Lacan
Scritti Einaudi
Charles S. Peirce
Opere Bompiani
Erving Goffman La vita quotidiana come rappresentazione Il Mulino
Felix Guattari Una tomba per Edipo Bertani
Josè Bleger Psicologia della Conducta Paidos
Psicoigene e Psicologia
Istituzionale Lauretana
Simbiosi e ambiguità lauretana
Alfred Schutz Don Chisciotte e il problema della realtà La Nuova
italia
Karl Marx Liniamenti di critica dell’economia politica La Nuova
Italia
Giorgio Agamben Homo Sacer Einaudi
Antonio Gramsci Quaderni dal Carcere Einaudi
Jean Paul Sarte Critica Della Ragione Dialettica Il saggiatore
Enrique Pichon Riviere Il Processo Gruppale lauretana
Psicologia del la vida cotidiana Nueva Vision
Armando Bauleo Ideologia Gruppo e Famiglia Feltrinelli
Psicoanalisi e gruppalità Borla
Comunicazioni personali
Lezioni alla scuola di prevenzione J.Bleger
Franco Basaglia L’Istituzione Negata Einaudi
Che cos’è la psichiatria Einaudi
Georges Lapassade Stati modificati di coscienza e transe Sensibili
alle foglie
Transe e dissociazione Sensibili alle foglie
Lezioni alla scuola di prevenzione
J.Bleger di Rimini
J.W.Goete Faust Mondatori
Juan de la Cruz Poesie Einaudi
W.
Shakespeare “Sogno di una notte a mezza estate”
W. Shakespeare Otello
W. Shakespeare Giulietta e Romeo Mondadori
Fiedrich Nietszche Così parlò Zaratustra Adelphi
Fiedrich Nietszche Genealogia della morale
Adelphi
Marta
De Brasi Leonardo Montecchi L’Orizzonte della prevenzione Pitagora
Marta
De Brasi Armando Bauleo Clinica Gruppale e Clinica
Istituzionale
Leonardo
Montecchi Varchi
Pitagora
Leonardo
Montecchi Tesi di
Prevenzione
http//:www.bleger.org
Guido
Cavalcanti Rime
Einaudi
Gilles
Deleuze Differenza e ripetizione Cortina
Istinti e istituzioni Mimesis
Eterotopia
Benoit Mandelbrot
Gli oggetti frattali: forma, caso e dimensione; Einaudi
Filmografia
Salò
e le 120 giornate di Sodoma Anno 1975 Regia
Pier Paolo Pisolini
Ecce
Bombo Anno
1978 Regia Nanni Moretti
Lista
de Espera Anno
2000 Regia Juan Carlos Tabio