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La sindrome da rientro al lavoro e scuola di Stella Morgese







Andare dentro le parole, dare un senso interiore a quello che facciamo, o che ci fanno fare,  o che non ci lasciano fare, per una regola sociale consolidata innegabilmente utile: l’imparare. Un verbo  difficile da coniugare che si avvicenda nella staffetta  con l’insegnare  in un processo creativo di eredità nel solco di chi ci ha preceduti.
Non basta  l’innegabilmente utile, però,  a portare sul piano razionale di una gioiosa accettazione  lo sforzo, il dis-piacere, l’obbligo di imparare, il dovere di lavorare. Dunque, cosa  ci accade quando siamo “ costretti” ad imparare, a studiare, a tornare a lavoro dopo un periodo in cui la nostra naturale pulsione al piacere ha goduto di un permesso: le vacanze?
Pare che Dante abbia usato per primo il verbo imparare, nel significato di acquistare, procurare. Facilmente s’intuisce che imparare può equivalere ad acquistare conoscenza  attraverso il verbo ‘studiare’, per esempio. La parola studium in latino, in apparente contraddizione col senso attuale del termine legato a sentimenti  premonitori di fatica, di stress nel linguaggio dei tempi che corrono, significa amore di qualcosa, occupazione prediletta, addirittura desiderio. In realtà, sentiamo quanta distanza vi è tra l’antico significato e l’attuale percezione, che  invece fa  riferimento all’apprendimento scolastico dell’obbligo.
L’obbligo, si sa, non lascia scelta, ci priva della libertà di decidere  e  molto lontano appare il piacere di sapere, se non perfino inesistente  quando suona la campanella del ritorno tra i banchi. Studiare, apprendere, imparare ci porta per mano verso un cambiamento. Obbligo al cambiamento :due parole di grande sollecitazione emotiva. Immediata è la sofferenza di ciò che  viene sottratto: la libertà e la stasi,rassicurante e pigra immobilità, quest’ultima intesa come contrario del cambiamento che per il nostro sistema nervoso equivale ad un costoso dispendio energetico. L’apprendimento è un cambiamento, e noi amiamo ripetere per non correre rischi. Lavorare nello stile competitivo attuale porta con  se continui apprendimenti  e cambiamenti.
Eppure pare essere intrinseca  alla natura dell’uomo l’attitudine a conoscere:  così come è inevitabile che un bambino diventi un adulto, al pari dell’accrescimento fisico vi è una crescita cognitiva, che trova nel concetto di sopravvivenza una possibile ragione. Aver imparato a modellare una clava deve aver avuto  vantaggi nel procacciarsi il cibo o nel difendersi. Ciò ci riconduce inevitabilmente al concetto di piacere per sopravvivere, od alla sopravvivenza come piacere. Imparare a fabbricare un utensile conduceva al vantaggio di mangiare o di proteggersi, attività innegabilmente piacevoli e vantaggiose.
Inutile scomodare dotte citazioni per dire che l’uomo evita la sofferenza e tende al raggiungimento della massima quota possibile di piacere, mentre il concetto di felicità rimane un’ ambizione.
Serve alla sopravvivenza.
Ma la realtà esterna a quella spontanea ricerca è il limite al piacere. La relazione col mondo esterno non ci consente assoluta libertà di scelta, pertanto, presa coscienza che la società impone regole la cui inosservanza comporta rischi, non resta altro che il controllo dei moti pulsionali tesi al piacere, inibendoli o sublimandoli.
In questo secondo caso in qualche modo ci auto-inganniamo, cerchiamo una via di fuga, spostando l’obiettivo della pulsione istintiva su un oggetto tutto nostro, interiore, e che il mondo esterno non ci può vietare o censurare. Nel nostro caso ci sono due istanze contrastanti: l’obbligo, di imparare o di lavorare, ci sottrae nell’immediato la libertà, che equivale ad una sofferenza, contrapposto al piacere del lavoro intellettuale e non, che evidentemente ci rende indipendenti dal mondo esterno.  Quest’ultimo piacere non è facilmente percepibile, maggiormente ad uno studente cui sfugge il senso dell’obbligo, ed ad  una persona cui non siano adeguatamente attivati i sistemi  cerebrali di ricompensa.  Lo stress da ritorno può rappresentare una ‘sofferenza’ imposta dalla civiltà, che  baratta continuamente la spinta pulsionale istintiva , personale ed immediata, con la volontà generale di “incivilimento”, di crescita cognitiva o produttiva, che ci differenzia dalla nostra natura animale. Evidentemente questo risultato non è gratuito,  ha un prezzo.
Sindrome da ritorno a scuola o a lavoro, con le stesse valenze simboliche: agitazione, insonnia, ansia, senso di nausea fino al vomito, crampi addominali, emicrania, irritabilità,tristezza, tachicardia, stanchezza non sono altro  che  epifenomeno di un allarme, obbediente alla biochimica dello  stress. Il nostro corpo esegue ordini apparentemente irragionevoli per scappare o attaccare, una nota strategia per  allontanarsi dal pericolo o eliminare il pericolo sotto dettatura della paura, preziosa emozione. Tutto avviene al di qua della ragione. Un esempio per tutti: ci basti pensare alle figure che associamo a scuola od al lavoro,professori  giudicanti  o compagni competitivi e datori di lavoro esigenti o colleghi antipatici  che siamo costretti ad incontrare, nella rappresentazione mentale della perdita  della libertà di scelta di scappare o attaccare, così come le materie da studiare poco congeniali, una occupazione non prediletta.  Cambiamenti, adattamenti che creano allarme, paura. Non si può ignorare che la nostra natura è molto più antica della nostra civiltà ed il processo di adattamento a quest’ultima potrebbe non solo essere parziale, ma persino anti-biologico, innaturale.  Da dove arrivano, dunque, questi ordini che la “civiltà” stenta a riconoscere come appropriati,  etichettandoli come “disturbo” o ribellione? Darwin volle  dimostrare personalmente che la ragione potesse imporsi sull’istinto. Si sottopose egli stesso ad un esperimento poggiando la sua guancia contro la parete di  vetro che lo separava da una vipera dal morso velenoso. Era assolutamente deciso a non spostarsi di lì pur tenendo d’occhio la vipera che non tardò a sferrare il suo attacco al vetro mentre Charles balzò indietro vistosamente. Ammise: “Appena la vipera si lanciò contro il vetro, i miei propositi furono come spazzati via. Feci un balzo indietro ad una velocità prodigiosa. La mia volontà e la mia ragione furono impotenti contro l’immaginazione di un pericolo che non avevo mai sperimentato.”
Se avessimo potuto valutare i parametri  del suo corpo, lo avremmo visto impallidire, sudare freddo,con la frequenza cardiaca sicuramente aumentata, come il valore della pressione sanguigna e della glicemia, coi  muscoli fibrillanti, pervaso da una emozione che tutti saremmo d’accordo a chiamare paura. Organi ed apparati in azione per la nostra salvezza. Una  emozione che mette in discussione la sopravvivenza ed i piaceri ad essa legati dà segni fisici imponenti. Un concerto di “reazioni viscerali” a partenza verosimile da una piccola area a forma di mandorla nella parte anteriore del cervello chiamata amigdala. Segnali di cambiamento dei parametri fisici descritti vengono inviati con complesse connessioni tridimensionali  ai centri superiori ed inferiori dell’intero cervello, dove vengono mappati e dai quali riemerge una risposta che può essere a contenuto più o meno positivo o negativo: un passo avanti od un balzo indietro! Lo stile emozionale di ognuno e soprattutto il controllo esercitato dalla integrazione dei sette strati di neuroni della corteccia cerebrale consentono di porgere alla coscienza cosa sta accadendo nel mondo esterno. Charles Darwin ci avrebbe potuto fornire un elaborato cosciente  dei suoi sentimenti sull’accaduto e su quanto si fosse spaventato. Due circuiti in azione: uno breve, brevissimo, incontrollabile, automatico, immediato, salvavita, passante attraverso l’istinto di sopravvivenza, ineliminabile, impreciso, potremmo dire, per la precisione; l’altro lento, complesso, analitico, razionale, cortocircuitato dal primo, preciso ed utile, potremmo dire, per la precisione. La coscienza razionale alla luce dei fatti, appare un lusso, con tutto il peso che la parola coscienza porta con se. Darwin fece un balzo indietro. Se ci fosse dato di ascoltarci probabilmente faremmo un passo indietro sulla soglia della scuola o del luogo di lavoro. Il nostro cervello  lavora segretamente quotidianamente,  mettendo in scena  milioni di scelte razionali apparenti attimo per attimo. L’amigdala, per semplicità, ci terrà lontani dal fuoco,  in mille modi se ci siamo bruciati anche una sola volta. Se veniamo spinti nel fuoco il nostro corpo risponderà con un disturbo(fuga) o con la ribellione(attacco).
Non appaia esagerato questo discorrere: tornare a scuola o a lavoro non ci mette in pericolo di vita, ma sollecita evidentemente i valori  incancellabili cui essa è legata.
 Il piano razionale della gioiosa accettazione  non basta a bloccare il sistema di attivazione di difesa teso a proteggere ciò che istantaneamente appare molto più importante ai nostri sistemi collaudati in millenni di storia biologica della umanità. La ragione, evidentemente, si presenta con argomentazioni deboli, rispetto alla forza delle motivazioni portate dal paleo-cervello. Una motivazione forte potrebbe essere  il ritorno all’antico significato della parola studium,  una motivazione forte potrebbe essere  la riattivazione dei sistemi  cerebrali di ricompensa per il lavoro. Nessuna molecola esoterica da somministrare che intercetti  i sintomi della sindrome da stimolazione di antichissimi circuiti, tenendo ben presente che in  questi stessi circuiti incantati c’è tutta  la Divina Commedia, tanto per  non trascurare l’orgoglio del genio italiano, e tutto ciò che costituisce l’orgoglio della intera comunità umana.




2 commenti:

  1. Una motivazione forte potrebbe essere il ritorno all’antico significato della parola studium, una motivazione forte potrebbe essere la riattivazione dei sistemi cerebrali di ricompensa per il lavoro. .."

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