Andare
dentro le parole, dare un senso interiore a quello che facciamo, o che ci fanno
fare, o che non ci lasciano fare, per
una regola sociale consolidata innegabilmente utile: l’imparare. Un verbo difficile da coniugare che si avvicenda nella
staffetta con l’insegnare in un processo creativo di eredità nel solco
di chi ci ha preceduti.
Non basta l’innegabilmente utile, però, a portare sul piano razionale di una gioiosa
accettazione lo sforzo, il dis-piacere, l’obbligo
di imparare, il dovere di lavorare. Dunque, cosa ci accade quando siamo “ costretti” ad
imparare, a studiare, a tornare a lavoro dopo un periodo in cui la nostra
naturale pulsione al piacere ha goduto di un permesso: le vacanze?
Pare che
Dante abbia usato per primo il verbo imparare, nel significato di acquistare,
procurare. Facilmente s’intuisce che imparare può equivalere ad acquistare
conoscenza attraverso il verbo ‘studiare’,
per esempio. La parola studium in
latino, in apparente contraddizione col senso attuale del termine legato a
sentimenti premonitori di fatica, di stress nel linguaggio dei tempi che
corrono, significa amore di qualcosa,
occupazione prediletta, addirittura desiderio.
In realtà, sentiamo quanta distanza vi è tra l’antico significato e l’attuale
percezione, che invece fa riferimento all’apprendimento scolastico
dell’obbligo.
L’obbligo,
si sa, non lascia scelta, ci priva della libertà di decidere e molto
lontano appare il piacere di sapere,
se non perfino inesistente quando suona
la campanella del ritorno tra i banchi. Studiare, apprendere, imparare ci porta
per mano verso un cambiamento. Obbligo al cambiamento :due parole di grande
sollecitazione emotiva. Immediata è la sofferenza di ciò che viene sottratto: la libertà e la stasi,rassicurante
e pigra immobilità, quest’ultima intesa come contrario del cambiamento che per
il nostro sistema nervoso equivale ad un costoso dispendio energetico. L’apprendimento
è un cambiamento, e noi amiamo ripetere per non correre rischi. Lavorare nello
stile competitivo attuale porta con se
continui apprendimenti e cambiamenti.
Eppure pare
essere intrinseca alla natura dell’uomo
l’attitudine a conoscere: così come è
inevitabile che un bambino diventi un adulto, al pari dell’accrescimento fisico
vi è una crescita cognitiva, che trova nel concetto di sopravvivenza una
possibile ragione. Aver imparato a modellare una clava deve aver avuto vantaggi nel procacciarsi il cibo o nel
difendersi. Ciò ci riconduce inevitabilmente al concetto di piacere per
sopravvivere, od alla sopravvivenza come piacere. Imparare a fabbricare un
utensile conduceva al vantaggio di mangiare o di proteggersi, attività
innegabilmente piacevoli e vantaggiose.
Inutile
scomodare dotte citazioni per dire che l’uomo evita la sofferenza e tende al
raggiungimento della massima quota possibile di piacere, mentre il concetto di
felicità rimane un’ ambizione.
Serve alla
sopravvivenza.
Ma la realtà
esterna a quella spontanea ricerca è il limite al piacere. La relazione col mondo
esterno non ci consente assoluta libertà
di scelta, pertanto, presa coscienza che la società impone regole la cui
inosservanza comporta rischi, non resta altro che il controllo dei moti pulsionali
tesi al piacere, inibendoli o sublimandoli.
In questo secondo caso in qualche modo ci auto-inganniamo, cerchiamo una
via di fuga, spostando l’obiettivo della pulsione istintiva su un oggetto tutto
nostro, interiore, e che il mondo esterno non ci può vietare o censurare. Nel
nostro caso ci sono due istanze contrastanti: l’obbligo, di imparare o di
lavorare, ci sottrae nell’immediato la libertà, che equivale ad una sofferenza,
contrapposto al piacere del lavoro intellettuale e non, che evidentemente ci
rende indipendenti dal mondo esterno. Quest’ultimo piacere non è facilmente
percepibile, maggiormente ad uno studente cui sfugge il senso dell’obbligo, ed
ad una persona cui non siano
adeguatamente attivati i sistemi cerebrali di ricompensa. Lo stress da ritorno può rappresentare una ‘sofferenza’
imposta dalla civiltà, che baratta
continuamente la spinta pulsionale istintiva , personale ed immediata, con la
volontà generale di “incivilimento”, di crescita cognitiva o produttiva, che ci
differenzia dalla nostra natura animale. Evidentemente questo risultato non è
gratuito, ha un prezzo.
Sindrome da
ritorno a scuola o a lavoro, con le stesse valenze simboliche: agitazione,
insonnia, ansia, senso di nausea fino al vomito, crampi addominali, emicrania,
irritabilità,tristezza, tachicardia, stanchezza non sono altro che epifenomeno di un allarme, obbediente alla
biochimica dello stress. Il nostro corpo esegue ordini
apparentemente irragionevoli per scappare o attaccare, una nota strategia
per allontanarsi dal pericolo o
eliminare il pericolo sotto dettatura della paura, preziosa emozione. Tutto
avviene al di qua della ragione. Un esempio per tutti: ci basti pensare alle
figure che associamo a scuola od al lavoro,professori giudicanti o compagni competitivi e datori di lavoro esigenti
o colleghi antipatici che siamo
costretti ad incontrare, nella rappresentazione mentale della perdita della libertà di scelta di scappare o
attaccare, così come le materie da studiare poco congeniali, una occupazione non prediletta. Cambiamenti, adattamenti che creano allarme,
paura. Non si può ignorare che la nostra natura è molto più antica della nostra
civiltà ed il processo di adattamento a quest’ultima potrebbe non solo essere
parziale, ma persino anti-biologico, innaturale. Da dove arrivano, dunque, questi ordini che
la “civiltà” stenta a riconoscere come appropriati, etichettandoli come “disturbo” o ribellione? Darwin
volle dimostrare personalmente che la
ragione potesse imporsi sull’istinto. Si sottopose egli stesso ad un
esperimento poggiando la sua guancia contro la parete di vetro che lo separava da una vipera dal morso
velenoso. Era assolutamente deciso a non spostarsi di lì pur tenendo d’occhio
la vipera che non tardò a sferrare il suo attacco al vetro mentre Charles balzò
indietro vistosamente. Ammise: “Appena la vipera si lanciò contro il vetro, i
miei propositi furono come spazzati via. Feci un balzo indietro ad una velocità
prodigiosa. La mia volontà e la mia ragione furono impotenti contro
l’immaginazione di un pericolo che non avevo mai sperimentato.”
Se avessimo
potuto valutare i parametri del suo
corpo, lo avremmo visto impallidire, sudare freddo,con la frequenza cardiaca
sicuramente aumentata, come il valore della pressione sanguigna e della
glicemia, coi muscoli fibrillanti, pervaso
da una emozione che tutti saremmo d’accordo a chiamare paura. Organi ed
apparati in azione per la nostra salvezza. Una emozione che mette in discussione la
sopravvivenza ed i piaceri ad essa legati dà segni fisici imponenti. Un
concerto di “reazioni viscerali” a partenza verosimile da una piccola area a
forma di mandorla nella parte anteriore del cervello chiamata amigdala. Segnali
di cambiamento dei parametri fisici descritti vengono inviati con complesse
connessioni tridimensionali ai centri
superiori ed inferiori dell’intero cervello, dove vengono mappati e dai quali
riemerge una risposta che può essere a contenuto più o meno positivo o
negativo: un passo avanti od un balzo indietro! Lo stile emozionale di ognuno e
soprattutto il controllo esercitato dalla integrazione dei sette strati di
neuroni della corteccia cerebrale consentono di porgere alla coscienza cosa sta
accadendo nel mondo esterno. Charles Darwin ci avrebbe potuto fornire un
elaborato cosciente dei suoi sentimenti
sull’accaduto e su quanto si fosse spaventato. Due circuiti in azione: uno
breve, brevissimo, incontrollabile, automatico, immediato, salvavita, passante
attraverso l’istinto di sopravvivenza, ineliminabile, impreciso, potremmo dire,
per la precisione; l’altro lento, complesso, analitico, razionale,
cortocircuitato dal primo, preciso ed utile, potremmo dire, per la precisione.
La coscienza razionale alla luce dei fatti, appare un lusso, con tutto il peso
che la parola coscienza porta con se. Darwin fece un balzo indietro. Se ci
fosse dato di ascoltarci probabilmente faremmo un passo indietro sulla soglia
della scuola o del luogo di lavoro. Il nostro cervello lavora segretamente quotidianamente, mettendo in scena milioni di scelte razionali apparenti attimo
per attimo. L’amigdala, per semplicità, ci terrà lontani dal fuoco, in mille modi se ci siamo bruciati anche una
sola volta. Se veniamo spinti nel fuoco il nostro corpo risponderà con un
disturbo(fuga) o con la ribellione(attacco).
Non appaia
esagerato questo discorrere: tornare a scuola o a lavoro non ci mette in
pericolo di vita, ma sollecita evidentemente i valori incancellabili cui essa è legata.
Il piano razionale della gioiosa accettazione non basta a bloccare il sistema di attivazione
di difesa teso a proteggere ciò che istantaneamente appare molto più importante
ai nostri sistemi collaudati in millenni di storia biologica della umanità. La
ragione, evidentemente, si presenta con argomentazioni deboli, rispetto alla
forza delle motivazioni portate dal paleo-cervello. Una motivazione forte
potrebbe essere il ritorno all’antico
significato della parola studium, una motivazione forte potrebbe essere la riattivazione dei sistemi cerebrali di ricompensa per il lavoro.
Nessuna molecola esoterica da somministrare che intercetti i sintomi della sindrome da stimolazione di
antichissimi circuiti, tenendo ben presente che in questi stessi circuiti incantati c’è tutta la Divina Commedia , tanto
per non trascurare l’orgoglio del genio
italiano, e tutto ciò che costituisce l’orgoglio della intera comunità umana.
Una motivazione forte potrebbe essere il ritorno all’antico significato della parola studium, una motivazione forte potrebbe essere la riattivazione dei sistemi cerebrali di ricompensa per il lavoro. .."
RispondiEliminaElisabetta, condividi?! :-)
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