scavata al cui interno l’uomo penetra e cammina”
B.Zevi
L’architettura non è solo materia, non è solo pieno, come comunemente si pensa. E’ anche vuoto, sottrazione.
Le due cose non sono in antitesi perché la loro unione genera lo spazio, lo spazio che percorriamo, lo spazio che percepiamo, lo spazio che viviamo.
Lo spazio in cui siamo immersi.
Può essere interno, generato da pareti, soffitti, chiusure, e può essere esterno quando quelle stesse pareti si tramutano in edifici, monumenti, alberi, ed è il solo cielo a coprirlo.
E quello spazio si chiama città.
Le due cose non sono in antitesi perché la loro unione genera lo spazio, lo spazio che percorriamo, lo spazio che percepiamo, lo spazio che viviamo.
Lo spazio in cui siamo immersi.
Può essere interno, generato da pareti, soffitti, chiusure, e può essere esterno quando quelle stesse pareti si tramutano in edifici, monumenti, alberi, ed è il solo cielo a coprirlo.
E quello spazio si chiama città.
Ma non bastano limiti fisici e costruiti per poter parlare di spazio: ogni elemento che concorre alla sua creazione deve vibrare di una sua identità e a al contempo deve esistere in perfetta armonia con gli altri in un sistema necessario.
Lo spazio è come una poesia e la poesia è tale solo se si sono scelte le giuste parole, combinandole in modo che la composizione risuoni.
Lo spazio è come musica.
E come questa scatena in noi reazioni e sensazioni legate alla percezione, in tutti noi, senza distinzione tra conoscitori dell’architettura e non.
“L’esperienza estetica di un manufatto [..] riguarda un piacere non legato ad alcuno dei cinque sensi, ma causato da una specie di senso aggiunto, attivato dallo spazio. Questo piacere concerne l’impressione di essere avvolti, di essere contenuti, come se l’ampliarsi e il restringersi dello spazio- ciò che costituisce la sua pulsazione vitale- potessero produrre una condizione di appagamento estetico. […] sfiorare camminando i muri di una stanza quasi vedendo questa avvolgersi attorno al corpo di chi la percorre, sono azioni che si traducono in una intensa gratificazione, al cui fondo si cela una vibrazione erotica nonché un richiamo ancestrale al grembo materno.”
In questo passo Purini arriva al cuore della questione, identificando la profonda gratificazione che riceviamo quando osserviamo qualcosa di bello.Quasi ci commuove forse perché vi leggiamo una promessa di felicità, come pensava Stendhal.
Lo spazio è come una poesia e la poesia è tale solo se si sono scelte le giuste parole, combinandole in modo che la composizione risuoni.
Lo spazio è come musica.
E come questa scatena in noi reazioni e sensazioni legate alla percezione, in tutti noi, senza distinzione tra conoscitori dell’architettura e non.
“L’esperienza estetica di un manufatto [..] riguarda un piacere non legato ad alcuno dei cinque sensi, ma causato da una specie di senso aggiunto, attivato dallo spazio. Questo piacere concerne l’impressione di essere avvolti, di essere contenuti, come se l’ampliarsi e il restringersi dello spazio- ciò che costituisce la sua pulsazione vitale- potessero produrre una condizione di appagamento estetico. […] sfiorare camminando i muri di una stanza quasi vedendo questa avvolgersi attorno al corpo di chi la percorre, sono azioni che si traducono in una intensa gratificazione, al cui fondo si cela una vibrazione erotica nonché un richiamo ancestrale al grembo materno.”
In questo passo Purini arriva al cuore della questione, identificando la profonda gratificazione che riceviamo quando osserviamo qualcosa di bello.Quasi ci commuove forse perché vi leggiamo una promessa di felicità, come pensava Stendhal.
La prima esperienza spaziale che viviamo è proprio nel grembo materno e questa ricerca di protezione, di un luogo in cui ci sentiamo al sicuro, la portiamo con noi per tutta la vita. Da bambini ci si ricava un rifugio tendendo un lenzuolo tra due sedie o costruendo una tenda o ancora semplicemente rintanandosi sotto le coperte con una torcia. Si cerca di ricreare un mondo sicuro, dove nessuno possa entrare al di fuori di noi.
1. Scena tratta dal film “Hook Capitan Uncino” di Steven Spielberg
Crescendo rimane insita in noi quella ricerca di spazi protetti, familiari, e spesso non amiamo ambienti vasti, privi di qualsiasi connotazione.
Avvertiamo un senso di alienazione, non sappiamo collocarci in quella realtà.
Avvertiamo un senso di alienazione, non sappiamo collocarci in quella realtà.
Adrian Stokes, critico d’arte di scuola psicoanalitica, riconosce il valore emozionale di una scultura di Barbara Hepworth perché è possibile interpretare le sue forme come un ritratto di famiglia.
E lo stesso è per l’architettura: lo spazio è memoria.
L’atmosfera, un elemento architettonico, la luce ed altro ancora, possono richiamare alla nostra mente ambienti in cui abbiamo vissuto e siamo stati felici lasciandoci sospesi tra la commozione e la malinconia.
E lo stesso è per l’architettura: lo spazio è memoria.
L’atmosfera, un elemento architettonico, la luce ed altro ancora, possono richiamare alla nostra mente ambienti in cui abbiamo vissuto e siamo stati felici lasciandoci sospesi tra la commozione e la malinconia.
“Facciamo affidamento sull’ambiente circostante affinché indirettamente rappresenti e ci rammenti gli stati d’animo e le idee a noi cari.”
L’architettura per questo sa parlarci, è tramite costruito della comunicazione.
Gli edifici esprimono significati e lo fanno influenzando la nostra percezione spaziale.
La religione ha compreso la vocazione dello spazio architettonico ad avvicinare l’uomo al sublime e soggiogarlo spiritualmente. Le passioni umane, le debolezze, il ritmo frenetico della vita, distolgono l’uomo dalle sue aspirazioni interiori. Servono luoghi in cui poterle perseguire, luoghi la cui suggestione sia talmente potente da accendere un sentimento di fede che permane anche quando non siamo più fisicamente in quel posto. Templi, cattedrali, moschee, santuari, da sempre hanno costruito spazialità di volta in volta maestose e ricche, o raccolte e mistiche, buie o luminose, esprimendo la gloria e la potenza, la spiritualità, il timore o il perdono.
A chi non è capitato almeno una volta, tra incenso profumato, marmo e affreschi, vetrate colorate e mosaici, di sentirsi inermi ed impotenti rispetto all’infinito?
Chi non si è sentito avvinto da un senso di pace ed equilibrio o di rispetto? Riemergono in noi idee che altrove potrebbero apparirci irrazionali e persino ridicole ma che questi spazi hanno la forza di rendere reali.
Gli edifici esprimono significati e lo fanno influenzando la nostra percezione spaziale.
La religione ha compreso la vocazione dello spazio architettonico ad avvicinare l’uomo al sublime e soggiogarlo spiritualmente. Le passioni umane, le debolezze, il ritmo frenetico della vita, distolgono l’uomo dalle sue aspirazioni interiori. Servono luoghi in cui poterle perseguire, luoghi la cui suggestione sia talmente potente da accendere un sentimento di fede che permane anche quando non siamo più fisicamente in quel posto. Templi, cattedrali, moschee, santuari, da sempre hanno costruito spazialità di volta in volta maestose e ricche, o raccolte e mistiche, buie o luminose, esprimendo la gloria e la potenza, la spiritualità, il timore o il perdono.
A chi non è capitato almeno una volta, tra incenso profumato, marmo e affreschi, vetrate colorate e mosaici, di sentirsi inermi ed impotenti rispetto all’infinito?
Chi non si è sentito avvinto da un senso di pace ed equilibrio o di rispetto? Riemergono in noi idee che altrove potrebbero apparirci irrazionali e persino ridicole ma che questi spazi hanno la forza di rendere reali.
Eppure l’impulso dell’uomo di proiettare all’esterno le verità in cui crede ha trasceso la disponibilità di risorse e di denaro.
Esempio sono le chiese rupestri, santuari letteralmente scavati nella roccia, disseminati nelle gravine del territorio tra Puglia e Basilicata.
In questi siti gli impulsi architettonici e artistici si mostrano nelle loro forme più pure: absidi scolpiti nella pietra, archi e colonne sbozzati, pitture rupestri dall’iconografia bizantina o longobarda.
Ma lo spazio che creano non è per questo meno potente e toccante.
Esempio sono le chiese rupestri, santuari letteralmente scavati nella roccia, disseminati nelle gravine del territorio tra Puglia e Basilicata.
In questi siti gli impulsi architettonici e artistici si mostrano nelle loro forme più pure: absidi scolpiti nella pietra, archi e colonne sbozzati, pitture rupestri dall’iconografia bizantina o longobarda.
Ma lo spazio che creano non è per questo meno potente e toccante.
Scendendo i gradini che conducono alla Cripta del Peccato Originale a Matera, fiancheggiando la gravina, si ha l’impressione di scendere nel ventre della Terra.
E quando si entra nella grotta non è difficile immaginare cori benedettini e fumo di candele che aleggiano nell’aria.
Lo spazio è unico, buio, composto da sole tre absidi scavate e pitture parietali dai colori vividi e brillanti.
L’unica illuminazione doveva provenire dalle torce dei monaci. Non ci sono mosaici scintillanti o vetrate istoriate, gli affreschi sono ancora legati allo stile bizantino eppure, in questo luogo nel cuore della Terra, l’uomo si è sentito più vicino al cielo.
E’ stato creato uno spazio puro in una forma che avvolge e protegge (rimandando ancora una volta al grembo materno), esaltata dall’oscurità invita alla contemplazione.
E quando si entra nella grotta non è difficile immaginare cori benedettini e fumo di candele che aleggiano nell’aria.
Lo spazio è unico, buio, composto da sole tre absidi scavate e pitture parietali dai colori vividi e brillanti.
L’unica illuminazione doveva provenire dalle torce dei monaci. Non ci sono mosaici scintillanti o vetrate istoriate, gli affreschi sono ancora legati allo stile bizantino eppure, in questo luogo nel cuore della Terra, l’uomo si è sentito più vicino al cielo.
E’ stato creato uno spazio puro in una forma che avvolge e protegge (rimandando ancora una volta al grembo materno), esaltata dall’oscurità invita alla contemplazione.
2. Grotta del Peccato Originale, Matera
Ci sono anche spazi che pur non essendo santuari hanno la stessa forza mistica e suggestione, sono esperienza corporea che coinvolge la mente nel profondo.
La Fondazione Querini Stampalia di Carlo Scarpa a Venezia ne è esempio.
Gli interni sono concatenati in un percorso che pone il visitatore nella condizione di determinare l’ ambiente in cui si trova, misurandolo con i passi, con la rotazione del corpo per impegnare i gradini che portano da una stanza all’altra, con lo sguardo che cerca di cogliere i colori. I pensieri allora si annullano ed è come galleggiare senza tempo: è solo un’impressione perché il tempo scorre nello spazio ed è scandito dalla luce che lo rende ogni volta diverso. Anche il giardino interno è progettato in modo tale che il solo sguardo non possa catturarne l’essenza, costringendo a percorrerlo in un esperienza fisica che intreccia natura e architettura.
La Fondazione Querini Stampalia di Carlo Scarpa a Venezia ne è esempio.
Gli interni sono concatenati in un percorso che pone il visitatore nella condizione di determinare l’ ambiente in cui si trova, misurandolo con i passi, con la rotazione del corpo per impegnare i gradini che portano da una stanza all’altra, con lo sguardo che cerca di cogliere i colori. I pensieri allora si annullano ed è come galleggiare senza tempo: è solo un’impressione perché il tempo scorre nello spazio ed è scandito dalla luce che lo rende ogni volta diverso. Anche il giardino interno è progettato in modo tale che il solo sguardo non possa catturarne l’essenza, costringendo a percorrerlo in un esperienza fisica che intreccia natura e architettura.
3. Fondazione Querini Stampalia, Carlo Scarpa. Interno.
4. Fondazione Querini Stampalia, Carlo Scarpa. Esterno.
4. Fondazione Querini Stampalia, Carlo Scarpa. Esterno.
Ed è questo intreccio che dona spesso all’esterno qualità spaziale in un mutuo appartenersi di architettura e natura.
E’ il Genius Loci, lo spirito del luogo.
Quando un’opera costruita cattura l’essenza di un posto reinterpretandola, ne esalta le qualità naturali e sembra esserne il completamento naturale.
E’ una verità antica che l’uomo ha catturato da tempi lontani. Il Tempio di Poseidone a capo Sounion (Attica, Grecia), quello che è giunto fino a noi, è datato 440 a.C.
Collocato sulla sommità della rupe protesa verso il mare sembra indicare il punto in cui il cielo e il mare si toccano per mezzo del tempio saldamente connesso alla sua roccia che non sarebbe null’altro che pietra se non ci fosse l’architettura a conferirle potenza e significato.
E lo sguardo umano si sente appagato, la mente avverte quasi un richiamo ancestrale allo spazio naturale, uno spazio che così trasfigurato e completato non disorienta più ma accoglie l’uomo come parte del tutto.
E’ il Genius Loci, lo spirito del luogo.
Quando un’opera costruita cattura l’essenza di un posto reinterpretandola, ne esalta le qualità naturali e sembra esserne il completamento naturale.
E’ una verità antica che l’uomo ha catturato da tempi lontani. Il Tempio di Poseidone a capo Sounion (Attica, Grecia), quello che è giunto fino a noi, è datato 440 a.C.
Collocato sulla sommità della rupe protesa verso il mare sembra indicare il punto in cui il cielo e il mare si toccano per mezzo del tempio saldamente connesso alla sua roccia che non sarebbe null’altro che pietra se non ci fosse l’architettura a conferirle potenza e significato.
E lo sguardo umano si sente appagato, la mente avverte quasi un richiamo ancestrale allo spazio naturale, uno spazio che così trasfigurato e completato non disorienta più ma accoglie l’uomo come parte del tutto.
5. Tempio di Poseidone a Capo Sounion
La mente e lo spazio in Architettura sono indissolubilmente legate, si influenzano a vicenda.
Lo spazio può nascere dal costruito, dall’architettonico, ma se la mente non gli attribuisce alcun significato allora questo non esiste.
Non è spazio. E’ non-luogo. Al contempo se lo spazio è sapientemente disegnato influenza la mente, le suggerisce ricordi, provoca sensazioni fisiche, ne amplifica la percezione, crea suggestioni.
E allora ricordiamo che gli spazi che viviamo, nei quali esistiamo e che noi stessi creiamo, sono per noi una promessa di felicità.
6. "Antipodi", Duomo di Modena
Bibliografia
Bruno Zevi, Saper vedere l’architettura, Torino, Einaudi, 1948
Lo spazio può nascere dal costruito, dall’architettonico, ma se la mente non gli attribuisce alcun significato allora questo non esiste.
Non è spazio. E’ non-luogo. Al contempo se lo spazio è sapientemente disegnato influenza la mente, le suggerisce ricordi, provoca sensazioni fisiche, ne amplifica la percezione, crea suggestioni.
E allora ricordiamo che gli spazi che viviamo, nei quali esistiamo e che noi stessi creiamo, sono per noi una promessa di felicità.
6. "Antipodi", Duomo di Modena
Bibliografia
Bruno Zevi, Saper vedere l’architettura, Torino, Einaudi, 1948
Franco
Purini, Comporre l’architettura,
pp.74-75, Bari, Editori Laterza, 2000
Alain de
Botton, Architettura e felicità, pag.
105, Parma, Ugo Guanda Editore, 2006
una scrittura sobria ma intensa e vibrante di emozioni e suggestioni cenestesiche e visive a tratti anche musicali
RispondiEliminaLa trattazione del tema dello spazio interno cosi caro alla psicoanalisi condotto in termini architettonici mi pare di grande interesse oltreche un contributo innovativo
RispondiEliminaLa memoria dello spazio interno è stata definita da Mauro Mancia memoria implicita da distinguersi dalla memoria esplicita cosciente e biografica : la memoria implicita è una memoria inconscia generata dalle esperienza protomentali o arcaiche dell esperienza unana durante la vita amniotica
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