Sono trascorsi cinque anni dalla scomparsa di Marco Margnelli (Milano,1939-2005). Uno studioso che ha saputo anticipare molti degli interessi attuali delle neuroscienze e, soprattutto, relativi all’indagine neuropsicologica degli stati di coscienza. Si dichiarò sempre ateo, anzi agnostico, ma l’esperienza del sacro – incarnata e vissuta nel corpo di estatici e stigmatizzati – lo attrasse e lo coinvolse profondamente. Tutta la dimensione borderline, non in senso patologico, della mente (compresi quelli che vengono definiti fenomeni “paranormali”) erano per lui oggetto di attenzione ed indagine scientifica. E il suo interesse riguardo gli stigmatizzati era nell’ottica della medicina psicosomatica: se la mente è in grado di produrre simili lesioni nel corpo, forse riusciremo a scoprire anche come farle regredire. A beneficio dei pazienti con disturbi e alterazioni di carattere psicosomatico. Definiva tutta la storia dell’indagine del paranormale come “archivi dell’illusione”, nel senso che quanti studiavano tali fenomeni, focalizzavano la propria attenzione sul fenomeno più che sulla psiche e l’organismo di chi “viveva” tale fenomenologia. A Margnelli interessava invece l’approccio neuropsicologico e antropologico al cervello e al corpo di estatici, mistici, sensitivi, guaritori. Di tutta quella popolazione ignorata e trascurata dalla scienza, da cui, forse, c’era da apprendere qualcosa sulla natura della coscienza e, in particolare, dei rapporti mente-corpo. Se tali individui sostengono di vivere certe esperienze – era il suo parere – vediamo come, in che modo e in base a quali correllati neuropsicologici ciò si verifica.
Marco Margnelli aveva due anime: quella del ricercatore e quella del clinico. Svolgeva l’attività di medico di famiglia, di psicoterapeuta, ma non smetteva mai di pensare e agire come ricercatore. Era nato ricercatore, come neurofisiologo in seno all’Università di Milano e al Cnr (fece studi su sonno e fase Rem con un nome storico delle neuroscienze, Giuseppe Moruzzi). Il fatto di essere poi uscito dall’Università e aver fatto il medico di base, non sminuì le sue capacità di ricercatore. Anzi, secondo me le allargò e completò. Sarebbe finito a svolgere il lavoro di ricercatore di laboratorio, mentre così Margnelli fece pure ricerche sul campo. Adottò metodi da medico-antropologo.
Ugualmente avvenne con Giorgio Gagliardi, anch’egli medico di base, ipnologo, psicoterapeuta e ricercatore. Margnelli e Gagliardi crearono a Milano il Centro studi e ricerche e sulla psicofisiologia degli stati di coscienza che da piccolo consesso locale di appassionati e studiosi degli stati di coscienza, divenne in pochi anni noto in Italia e all’estero, producendo ricerche, pubblicazioni e prendendo parte a convegni italiani e stranieri. I grandi filoni del Centro furono gli studi sui sensitivi, guaritori, estatici, stigmatizzati. In quegli anni, Ottanta e Novanta, Margnelli e Gagliardi divennero i grandi esperti di questo tipo di fenomenologia, consultati, invitati a convegni, e intervistati a più riprese.
Gli studi sui veggenti di Medjugorie di Margnelli e Gagliardi hanno costituito un modello di studio medico-antropologico. Così come per gli stigmatizzati, indagine che seguiva sostanzialmente tre fasi: raccolta della testimonianza del soggetto e di quanti lo seguivano (accoliti o medici che fossero); raccolta dei dati psicologici e clinici del soggetto (avvalendosi di test psicoproiettivi, dell’inventario multifasico di personalità Minnesota e di analisi di laboratorio); verifica strumentale della veridicità del soggetto (impiegando, ad esempio, il lie detector, la cosidddetta “macchina della verità”, e l’elettroencefalografo). Giorgio Gagliardi, vicepresidente del Centro, in quegli anni divenne tra l’altro un grande esperto di lie detector, tanto da essere interpellato in ambito medico-legale e invitato come consulente in svariate trasmissioni televisive.Ad alcuni tale approccio poteva apparire eccessivamente positivista e strumentale, tuttavia tale metodologia consentì di acquisire conoscenze scientifiche sui veggenti e mistici che prima non esistevano. Chiarendo – ben prima di George Lapassade, entologo e psicosociologo francese, con diverse altre attitudini intellettuali, studioso della “transe” e degli stati modificati, con il quale Margnelli ebbe contatti e scambi - il versante “naturale” della dissociazione. Compreso il fatto che mistici e stigmatizzati non dovessero necessariamente essere classificati come “isterici”. Includere tali soggetti nell’ambito della fenomenologia isterica, secondo Margnelli era non soltanto riduttivo, ma non aggiungeva praticamente nulla alla comprensione della psicofisiologia dell’esperienza del sacro. George Lapassade ebbe comunque anch’egli un ruolo importante nell’introdurre a livello accademico lo studio degli stati di coscienza: ricordo la sua collaborazione col sociologo delle religioni Pietro Fumarola dell’Università di Lecce, e gli studi sugli stati di coscienza associati al fenomeno della “taranta”.
Marco Margnelli è sempre rimasto, di fondo, un ricercatore, un neurofisiologo. Non si separò mai dalla sua formazione accademica, pur occupandosi di temi che, all’inizio, ai suoi colleghi universitari, apparvero stravaganti: la trance ipnotica, l’estasi mistica, le droghe psicoattive, gli stigmatizzati, i sentitivi, i guaritori. L’idea di Margnelli era: se queste cose esistono e sono diffuse in varie epoche e culture umane, le dobbiamo studiare con i metodi della scienza. Non vi può essere una teoria globale della coscienza, se non cercando di comprendere gli stati “altri” del cervello e della mente. Il suo approccio fu un misto tra quello dell’antropologo e quello del medico, con una “ciliegina” del laboratorista.
Se poteva non faceva mai mancare riscontri sperimentali, persino analisi di laboratorio sui soggetti studiati, e ovviamente consenzienti. La prima fase era quello dell’antropologo: studiamo il soggetto nel suo ambiente. La seconda fase: se il soggetto è collaborativio, sottoponiamolo a tutta una serie di test e verifiche, che potevano andare dai test psicologici, agli inventari di personalità, al lie detector (la cosiddetta macchina della verità, ma più che altro per rilevare le reazioni psicofisiologiche), alle analisi bioumorali. Qualcuno ha utilizzato un ossimoro per definire questo tipo di approccio, che nella sua sinteticità rende abbastanza l’idea dell’atteggiamento di Margnelli riguardo i soggetti che si trovò ad analizzare e studiare: “empatia critica”.
Margnelli era indubbiamente poliedrico, dotato di molte altre attitudini e qualità, oltre a quella del ricercatore. Era un ottimo oratore. Apparentemente timido e riservato, si trasformava ogni volta che prendeva la parola in pubblico. Aveva un tono basso di voce, e non faceva alcuno sforzo, deliberatamente, per elevarlo. Difatti, era il pubblico a prestargli attenzione, e regolarmente veniva colpito per la sua padronaza dell’argomento, dalla lucidità e dalla precisione dei suoi termini. Sarebbe stato un valido docente universitario ma, per una serie di vicissitudini, si era trovato a fare il medico mutualista, l’ipnologo e lo psicoterapeuta. Salvo recuperare le sue qualità di docente in varie occasioni e, in particolare, nei corsi, molto apprezzati, che teneva presso l’Associazione medica italiana per lo studio dell’ ipnosi (Amisi) di Milano.
In ogni caso, si dichiarò e ritenne regolarmente uno “scienziato”. In questa ottica va vista la sua appassionata ricerca sugli stati di coscienza: non certamente l’hobby di un medico ex neurofisiologo Cnr, ma bensì il lavoro di uno studioso che, pur all’esterno dell’ambiente accademico, era riuscito a mantenere alta la propria professionalità, conoscenza della materia e capacità di utilizzare strumenti e standard della ricerca accettata e condivisa.
Disponeva di un’innata attitudine all’insegnamento, una straordinaria capacità di oratore, di coinvolgere il pubblico con relazioni o conferenze che abbinavano i suoi aneddoti di ricercatore, i puntuali riferimenti tratti dalla letteratura scientifica, intuizioni lessicali sue proprie.C’era molto da imparare da Margnelli. Ed infatti, non sono mai mancati gruppi di persone, di ogni età, attorno a lui e attorno alla sua attività. Parecchi studiosi, ricercatori, ma anche studenti (sia di medicina, psicologia, filosofia o altro) che impostarono, ad esempio, la propria tesi di laurea sulle ricerche realizzate da Margnelli. Rimanendo magari in seguito nel suo ampio studio a fare praticantato, sia per la professione che per le ricerche sugli stati di coscienza. Aveva la capacità di dialogare con i giovani, cogliendo pure i suggerimenti e le indicazioni che da essi gli venivano.
Fu un ottimo divulgatore: oltre ai suoi libri, scrisse parecchi articoli per varie riviste di divulgazione scientifica. Collaborò ad esempio alla prima rivista italiana di divulgazione scientifica: Sapere di Giulio Maccacaro. E al progetto iniziale di Riza Psicosomatica di Morelli e Masaraki. Prese spesso parte a interviste televisive – ricordo le troupe tv nel suo studio – e a programmi tv, in particolare, fino all’ultimo, dopo essersi trasferito a Roma, alla serie Miracoli condotta da Pietro Vigorelli ed Elena Guarnirei su Rete 4.
Certo, alcune volte si faceva coinvolgere da attività non al livello della sua serietà professionale e preparazione scientifica, ma il suo atteggiamento è sempre stato di apertura e collaborazione. Non facendo mancare le sue puntualizzazioni e le sue critiche, se era il caso. Ma, di base, non si negava.
Ho incontrato Marco Margnelli – che conoscevo già per i suoi libri e per le sue ricerche – alla fine degli anni Ottanta. Frequentandolo poi quotidianamente nella prima metà degli anni Novanta. Se devo richiamare alla mente una sua immagine, lo vedo nel suo studio medico, alla sua scrivania cosparsa dagli oggetti più svariati, comprese le immancabili sigarette e la pipa per i momenti di raccoglimento e riflessione. Il suo amore per la razionalità, coniugata però all’intuizione del momento, i suoi commenti sempre precisi e illuminanti, a volte sagaci, magari accompagnati dalla sua risata un po’ roca, da fumatore, tutta particolare. Anche quando ci riuniva a casa sua, nei pressi dell’Arena, per parlare di progetti, mentre cucinava il suo piatto forte, derivato dalle ascendenze valtellinesi della sua famiglia d’origine: i pizzoccheri.
Lo rivedo nel suo studio medico. Alle sue spalle la libreria, con una parte dei suoi libri, appunti, protocolli di ricerca e faldoni di documentazione per i suoi articoli e libri. Di quello studio in via Villoresi 5 a Milano, zona Navigli, che fu precedentemente di suo padre, anch’egli medico. Su un lato della stanza, alla destra di Margnelli, l’ampio divano ricoperto da un pesante telo di velluto rosso e nero, su cui faceva distendere i pazienti per le sedute di psicoterapia ed ipnosi.
E l’eterno via vai di gente. Al mattino e nella fascia serale i pazienti mutualistici. Nel pomeriggio i pazienti che seguiva da specialista.
Il telefono che, per un motivo o per l’altro, squillava ininterrottamente. Specie quando organizzavamo incontri, convegni, conferenze. Oppure per la visita, anche estemporanea, di studiosi in transito per Milano. Anche perché lo studio medico di Margnelli era pure sede del Centro studi e ricerche sulla fenomenologia degli stati di coscienza, denominazione chilometrica per dire che, in quella sede, ma anche sul campo, ci si occupava di ricerche inerenti gli stati modificati di coscienza.
Tanto quelli indotti in modo “naturale” (sonno e sogno, ipnosi, estasi, trance, meditazione), che quelli indotti da sostanze psicoattive. Riguardo alle ricerche sul campo, in altri luoghi presso i quali di volta in volta Margnelli veniva invitato, vi fu ad esempio una sperimentazione controllata, a cui egli prese parte con altri psicoterapeuti ed “entronauti”. Era una delle prime volte che un gruppo di ricercatori italiani – psicologi, psichiatri, psicoterapeuti – sperimentavano su se stessi gli effetti dell’ayahuasca, la cosiddetta “liana della morte” o “telepatina”. Si tratta di una pianta (liana) amazzonica da cui viene ricavata una bevanda che induce esperienze allucinogene e dissociative.
Ricordo che Margnelli ne ebbe, al momento, pesanti vissuti emozionali. Raccontò in seguito che era stato come se si fossero aperti i rubinetti di tutta la sofferenza che si portava dentro. In quegli anni, attraverso Margnelli e la Società italiana per lo studio degli stati di coscienza (Sissc), che egli presiedeva, ebbi pure modo di incontrare ed intervistare, nel corso di un convegno a Rovereto, Albert Hofmann, il chimico farmaceutico (ex Sandoz) scopritore dell’Lsd, in seguito studioso e autore di vari saggi sul ruolo delle sostanze psicoattive nelle culture umane. L’intervista venne pubblicata sul primo numero della rivista Altrove della Sissc, che Margnelli ideò e battezzò con lo psicoanalista Gilberto Camilla, succeduto in seguito alla direzione, e il ristretto gruppo dirigente dell’associazione. Di quel gruppo facevano parte giovani ricercatori di grande preparazione e intelligenza , tra cui ricordo, solo per citarne un paio, Giorgio Samorini, etnobotanico e studioso di storia, cultura e scienza delle sostanze psicoattive, Antonio Bianchi, medico anestesista e tossicologo. Furono gli anni in cui Margnelli venne riconosciuto come maestro e pioniere indiscusso di questi studi in Italia, ed egli era giustamente orgoglioso e motivato ad intraprendere nuovi iniziative culturali, ricerche, incontri.
Il Centro studi diretto da Margnelli a Milano, presso il suo studio, era un porto di mare. Svolgevamo incontri serali, in genere a metà settimana, in un clima cameratesco. Si apprendevano sempre nuove cose e, nel medesimo tempo, ci si divertiva. Lo scambio e il confronto con studiosi di varia formazione e discipline, accomunati dalla ricerca sugli stati di coscienza, a volte molto vivace, era sempre una esperienza stimolante. Transitavano studiosi e personaggi di tutti i generi, anche dall’estero, alcuni francamente stravaganti e bizzarri. Il divano nello studio di Margnelli, su cui si stendevano i pazienti in analisi o in seduta ipnotica, capitava divenisse un improvvisato giaciglio per chi, compreso il sottoscritto, faceva tardi dopo le riunioni e non poteva rientrare in treno alla propria dimora, fuori Milano.
Marco amava la compagnia, quanto la solitudine. Alternava momenti di grande allegria e battute salaci, ad altri in cui si manifestava la sua vena maliconica, introversa. Accettava sempre di incontrarsi e scambiare qualche chiacchiera, specialmente all’ora di pranzo e cena, oppure per un caffé nei baretti di via Villoresi, appena fuori lo studio medico. Quella era una zona adorabile, sui Navigli. Era una Milano dei vecchi tempi, un clima di quartiere, in cui tutti conoscevano tutti, figuriamoci “il dottore”.
In ogni caso, appena entravi in studio, capivi subito, dalla sua espressione e dal suo rispondere a monosillabi, se Marco aveva voglia di chiacchierare, oppure era immerso nella scrittura di qualche lavoro scientifico, di qualche nuovo articolo o libro. Aveva una grande capacità di concentrazione ed estrema lucidità mentale. Ti sorprendeva sempre, a volte con intuizioni fulminanti e precise, altre per la sua semplicità e, talvolta, ingenuità quasi infantile, nei rapporti umani.
L’intensa attività del Centro diretto da Margnelli culminò con il convegno internazionale Le dimensioni della coscienza, tenutosi a Firenze nel 1992, nel corso del quale si affrontarono per la prima volta in termini multidisciplinari (vi furono relazioni sul versante storico, antropologico, persino criminologico, oltre che psicologico e psichiatrico) il tema della coscienza e delle sue modificazioni, sia in senso “naturale” che patologico. Al convegno fiorentino, per una serie di fortunate coincidenze, dati i mezzi economici limitati, parteciparono studiosi del livello di Kenneth Ring, psicologo dell’Università del Connecticut tra i maggiori e seri studio delle esperienze di premorte (Nde).
Un’altra tappa importante fu la realizzazione del volume collettaneo La fenomenologia della coscienza normale e alterata (Theta Pubblicazioni, Milano 1994) che, in pratica, stampammo in proprio, riuscendo perciò con molta difficoltà a distribuirlo soprattutto alle librerie di Milano. E’ infatti un volume attualmente introvabile. Il volume si apriva con il capitolo dal titolo “Cos’è uno stato di coscienza” in cui Margnelli illustrava il tema rifacendosi ad un modello che lo aveva conquistato da almeno vent’anni e lo aveva in seguito indotto a dedicarsi assiduamente all’argomento: la mappa degli stati di coscienza dello psichiatra americano Roland Fischer (il lavoro originale venne pubblicato sulla prestigiosa rivista Science nel 1971 col titolo “A Cartography of the Ecstatic and Meditative States”).
Era un lavoratore tenace ed esigente, amava la precisione del ricercatore metodico, a cui era stato addestrato, e nutriva con molta passione ciò che faceva.
Come psicoterapeuta era più sul versante di Freud (lo ammirava come scienziato e come scrittore), che non su quello di Jung. Margnelli era attratto dall’insolito, ma il suo sforzo era quello di spiegarlo con la mentalità e gli strumenti razionali. Per sua stessa ammissione, tra il serio e l’ironico, negli ultimi anni della sua vita si era fatto crescere la barba, per assomigliare ancor più al padre della psicoanalisi. E, al pari di Freud, era un forte fumatore.
Importanti anche i rapporti di Margnelli col mondo della cultura e dell’arte, i suoi contatti con la storica Fondazione per l’Arte Contemporanea Mudima di Milano e il protocollo di ricerca che impostò su “stati di coscienza e creatività”, coinvolgendo un gruppo di artisti, scrittori e musicisti professionisti, tra i quali il jazzista e compositore Gaetano Liguori. Margnelli ebbe importanti contatti e scambi intellettuali con parecchi rappresentanti del mondo artistico di quegli anni, ad esempio l’artista psichedelico Matteo Guarnaccia, oppure l’artista-etnofotografo, nonché insegnante Watsu, Italo Bertolasi. Ma anche con giornalisti e scrittori, come Lina Sotis, Viviana Kasam, Franco Bolelli, Gianni De Martino. Solo per citarne alcune, tra le tante figure che Margnelli ha incontrato, frequentato e con le quali ha collaborato.
Era in grado di coinvolgere il pubblico con un eloquio brillante, colto, che mescolava la sua esperienza universitaria e in seno al Cnr, la sua vasta cultura scientifica e generale, il suo intuito per il nuovo, la sua capacità di sintesi (anche lessicale; riusciva sempre a trovare definizioni sintetiche, creative ed efficaci per fenomeni complessi). Conservò sempre la capacità di sintesi, di andare al sodo (non amava molto le divagazioni né i lunghi giri di parole) che ebbe modo di affinare anche durante una sua permanenza come ricercatore al Karl Ludwig Institut fur Physiologie dell’Università di Lipsia, prima, e negli Stati Uniti (Università del North Carolina), in seguito.
Margnelli fu anche un ottimo divulgatore: scrisse parecchi articoli per riviste di divulgazione scientifica, in cui riusciva a coniugare un ottimo stile, con l’aggancio a teorie che riteneva fondanti (ad esempio la cartografia della coscienza di Roland Fischer, che non mancava mai di citare), le sue ricerche e intuizioni lessicali.
Quella con Giorgio Gagliardi, anch’egli medico, psicoterapeuta, ipnologo e docente dell’Amisi, è stata una collaborazione importante per Margnelli. Con Gagliardi condivise molte ricerche e pubblicazioni, ad esempio, sugli stigmatizzati (o pseudo tali, come ebbero modo di accertare, in certi casi fraudolenti), e in particolare sui veggenti di Medjugorie. Su questi ultimi, ritenuti veritieri proprio per la gamma di manifestazioni neuropsicologiche accertate, venne istituita una commisione di studio da parte dell’Università di Milano, di cui, tra gli altri, fecero parte Margnelli e il farmacologo Maurizio Santini.
Vennero ritenuti veritieri le “trance estatiche” e i potenziali evocati registrati nei veggenti, ma ovviamente Margnelli non si espresse mai riguardo la natura di quanto “percepito” dai medesimi.
Importanti per le ricerche condotte su estatici e veggenti, furono l’impiego dell’elettroencefalografo, di cui Margnelli era grande esperto, e del lie detector (la cosiddetta “macchina della verità”). Tali strumenti vennero impiegati da Margnelli e Gagliardi per testare non solo l’attendibilità di veggenti o sensitivi che venivano studiati, ma anche i correlati psicofiologici che, ad esempio, si accompagnavano agli stati modificati di coscienza. Non mancavano, inoltre, ricerche che comprendessero analisi di laboratorio su prelievi bioumorali dei soggetti studiati, con il loro consenso, nel puro stile del ricercatore con formazione e impostazione neuropsicologica, ma pure clinica.
Margnelli ha pure fornito una dimensione scientifica alla “cultura psichedelica” degli anni Sessanta. Traendo da quei movimenti anticipatori della New Age, il meglio che si potesse ricavare: uno studio più completo della natura umana e, in particolare della coscienza, nelle sue varie espressioni e manifestazioni.
Come medico, fu tra i primi ad utilizzare un approccio olistico, anche nelle cure che somministrava ai suoi pazienti: la medicina di sintesi, ma anche l’omeopatia o il biofeedback, ad esempio. Era sempre aperto alle soluzioni terapeutiche, da qualsiasi ambito arrivassero, senza idee preconcette. Si riservava la facoltà di valutarne i reali benefici per i suoi pazienti, a volte pure per se stesso, prima di negare o sposare un determinato approccio terapeutico, apparentemente non ortodosso. Credeva e sosteneva fortemente la possibilità di un approccio “integrato” della medicina e delle terapie.
Quel suo essere ateo, positivista e, al tempo stesso, attratto dal mistero delle religioni e della coscienza, tanto da fare della “scienza degli stati di coscienza” l’interesse preminente della sua vita di ricercatore, ne ha fatto un personaggio dell’era moderna, con tutte le sue contraddizioni: affascinante, appassionato, controverso, degno di essere studiato e commentato ancora a lungo. Sempre alla ricerca di un “altrove”, in cui ora dimora.