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La mente può trovarsi in stati diversi , il sonno ,il sogno, la trance,l'ipnosi,l'attenzione fluttuante,
l'estasi,la preghiera,la meditazione,la creatività artistica e scientifica,
l'esplorazione dello spazio e degli abissi marini,l'agonismo sportivo.
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RITI DI PASSAGGIO,LE LANCETTE SUL QUADRANTE DELLA TRASFORMAZIONE:L'ADOLESCENZA di Stella Morgese
Provare a dare una definizione di rito non è semplice, sebbene tutti sappiano intuitivamente a cosa si faccia riferimento. Sicuramente esso ha a che fare con la fede, con il lato “numinoso” di una forza trasformatrice alla quale non si accede personalmente, direttamente o privatamente, ma attraverso la celebrazione di un rituale condiviso cui partecipa l’officiante ed i fedeli. Ciò che coagula intorno al rito è la fede che esso si compia, che il sacro irrappresentabile operi in qualche modo la trasformazione. Il rituale, invece, raccoglie le norme, la legge, i comportamenti e le formule attraverso cui il rito si deve compiere.
Un rituale trasforma attraverso un rito il cadetto in ufficiale, il fidanzato in marito, lo studente in dottore, la morte in resurrezione. Come e quando di preciso ciò avvenga, riguarda la fede nella trasformazione che il rituale scandisce.
Quale è, dunque, il significato psicologico-antropologico del rito? Il rito rappresenta la metodica con cui l’individuo entra a far parte di un gruppo o branco, che dir si voglia, accettando, accogliendo o sottomettendosi incondizionatamente alla sua fede ottenendone in cambio la certezza, la conferma esistenziale della sua appartenenza ad esso, contro “l’indeterminatezza dell’essere”( Ada Cortese)
L’antropologo belga Arnold van Gennep (1873-1957) fu pioniere degli studi antropologici sui “riti di passaggio”(1909).
Un rito di passaggio,secondo van Gennep, segna il cambiamento di un individuo da uno status sociale, culturale, fisiologico ad un altro, attraverso un rituale che mette in scena in modo metaforico e simbolico o no, il cambiamento che riguarda un ciclo della vita. Pur essendo universalmente diffusi, lo studioso ne aveva proposto per primo una struttura schematica , sintetica, comune e ricorrente.
Il rituale mette ordine sulla scena di una trasformazione, attraverso norme codificate in una sequenza prestabilita e rassicurante di gesti e parole, in modo da rendere ripetibile l’esperienza attraverso la “tradizione” di una intera comunità nella quale è già esperita, al di là della dimensione mistica personale.
La trasformazione implicitamente crea ansia per il passaggio da una condizione di stabilità ad una condizione di instabilità in tutte quelle fasi di “crisi” della esistenza degli uomini. Il rito, intriso di religiosità, di sacralità, fa riferimento al mito di cui rappresenta la sintesi lenitiva di ansie raccontate e sperimentate e superate.
Emblematici di queste rappresentazioni sono” i riti di iniziazione” che riguardano l’adolescenza e che traghettano l’individuo verso la maturità, ma anche qualsiasi altra trasformazione come la nascita, la morte, il matrimonio o la menopausa, o anche avvenimenti connessi o meno ad eventi biologici, possono essere gestiti socialmente mediante tale tipologia di manifestazione. Il rituale si attua, il più delle volte, in una cerimonia o in prove diverse.
Hanno il significato di segnare una fine ed anticipare l’inizio.
Antichi rituali potrebbero costituire , senza forzatura, le lontane radici della educazione alla sessualità. L’educazione sessuale, modernamente intesa, probabilmente affonda le sue radici molto lontano proprio nel rito. Si possono identificare “riti di iniziazione” alla sessualità persino tra gli animali(1). Riti di iniziazione sono presenti nelle tribù primitive ancora oggi come migliaia di anni fa. Ebbene, l’antropologo in questo caso con “occhio clinico” rispetto al tema ,osserva non un lontano territorio spazio-temporale di gusto esotico, peraltro non ancora completamente chiarito, ma una realtà umana sociologicamente vicina in un attimo lungo quanto la storia dell’uomo stesso. Pertanto, discorrere di riti in chiave antropologica “moderna” con le competenze dell’antropologo ci aiuta a comprendere quel quotidiano che ci appartiene e che ci sfugge, tanto oscuro(2 ).
I riti di passaggio permettono di rafforzare il legame dell’individuo al nuovo gruppo di appartenenza sociale, ma anche di precisare l’identità di genere e di permettere il suo riconoscimento nell’ambito della comunità(3). Inoltre , la vita dell'individuo scandita a tappe demarcate, precise e successive, consente una percezione tranquillizzante nel rapporto dell’uomo con la sua temporaneità e la sua mortalità.
”La mente umana funziona meglio e con fluidità in condizioni stabili dell’esistenza,mentre stenta nei ‘nodi’ e nei momenti di trasformazione,siano essi dovuti al territorio o alla società” (4) .Ai riti viene pertanto riconosciuto un ruolo chiave e per la crescita interiore dell’individuo, e per le relazioni interpersonali dell’individuo nella comunità e per la coesione del gruppo nel suo insieme. Ciò accompagna le transizioni con modalità meno traumatiche. Il rito è stabilizzante il travaglio di un “nodo”della vita.
Il rito è tale , secondo van Gennep , quando vi si riconoscono tre importanti caratteristiche:
la convenzionalità, ovvero segue un preciso ordine di gesti e atti
la ripetitività, ovvero il continuo ripetersi all'interno di un tempo definito ciclico
l'efficacia, ovvero l'avvento di qualcosa che modifica lo status di una persona
Van Gennep osservò durante i suoi studi la ripartizione in tre stadi del rito:
separazione (fase pre-liminare)
transizione (fase liminare; limen significa confine)
reintegrazione (fase post-liminare)
La prima fase ha la funzione di recidere i legami dell’individuo col suo vissuto quotidiano per introdurlo in una dimensione diversa e sconosciuta, anche ostile ma densa di significati emotivi (es. l'individuo viene mascherato e portato nella foresta), nella seconda attraversa una passaggio simbolico riferibile alla esperienza di morte (es. affronta una prova anche molto dura o brutale) nella quale al giovane vengono rivelati attraverso i miti del gruppo, il modo di vivere e di convivere con l’apprendimento dei comportamenti e delle norme idonee e del loro rispetto, nella terza viene reintegrato alla sua esistenza con un nuovo status sociale(5).
Aspetto peculiare di tali passaggi è la fisicità con cui vengono messi in atto. Il rituale prevede generalmente una metodologia logistica:il ragazzo o la ragazza vengono fisicamente distaccati dalla loro casa e dai loro genitori, attraversano fisicamente una soglia oppure subiscono delle modificazioni fisiche permanenti, per poi essere fisicamente reintegrati nel nuovo gruppo di appartenenza come soggetto adulto. Il rituale è un potente atto sociale a cui l’intera comunità partecipa e ne viene informata.
1.1.Riti d’Iniziazione in Africa, America ed Europa
I Chewa sono un gruppo etnico che vive essenzialmente in Malawi .Il loro ordinamento sociale è di tipo matriarcale. Ciò lascia spazio ad una maggiore enfasi sugli avvenimenti al femminile,essendo considerate le donne come l’elemento stabile della società.
Le ragazze sono sottoposte a riti d’iniziazione individuali all’incedere della pubertà, che successivamente diventano rito di gruppo quando un numero sufficiente di ragazze nel villaggio che hanno completato il primo passaggio, raggiungono la pubertà.
Esse vengono allontanate dalla loro famiglia di origine e portate in una casa detta “zimba” che simboleggia l’utero materno. Da qui rinasceranno come donne adulte. La “letteratura” verbale trasmessa con indovinelli e proverbi spiegherà loro il nuovo stato e il rispetto delle norme igieniche che dovranno seguire dalla loro prima mestruazione.
Una cerimonia funebre all’infanzia sancisce la fine dei comportamenti infantili cui le ragazze dovranno rinunciare da allora in poi.
Morte e rinascita in una ritualità ciclica cosmica attraverso le sue tappe si palesa, dunque, educativa. Le donne anziane e sagge mostrano con vere e proprie scenette situazioni di vita quotidiana e come le ragazze dovranno affrontarle nel modo condiviso dal gruppo , proprio a canalizzare emozioni prorompenti e destabilizzanti per controllarle e contenerle.
Alle ragazze verrà insegnata una danza che precede il matrimonio e le canzoni che lo accompagnano: una sorta di ballo a Palazzo delle debuttanti diciottenni mitteleuropee.
Le ragazze vengono immerse in un bagno purificatore preso ad esempio della cura personale, specialmente durante il periodo mestruale. Durante questi rituali le ragazze vengono festeggiate ed adornate con decorazioni a tatuaggio ed un elmetto posto sulla testa di tre colori simbolici, il rosso, il bianco e il nero. Il rosso indica la presenza della mestruazione. Con il proseguire dei riti le ragazze riceveranno un secondo elmetto bianco che copre l’intera testa e che simboleggia il raggiungimento della completa maturità sessuale. Poi la testa verrà rasata: ora la ragazza può diventare madre ed un elmetto nero sarà il segno distintivo della sua condizione.
I nuovi capelli e il nuovo nome che le verrà imposto indicheranno che è una persona nuova pronta ad affrontare una nuova vita(6).
Molto suggestivo doveva essere il rito di iniziazione per i maschi tra gli Indiani d’America nella tribù dei Cherokee, attualmente ancora riportata in forma di leggenda.
Narra la leggenda che l’indiano Cherokee per poter essere accettato tra gli adulti dovesse superare una dura prova.
Il ragazzo veniva condotto nel cuore della foresta proprio dal padre, e bendato da egli stesso ,veniva lasciato solo. La prova di coraggio consisteva nel dover
rimanere seduto su un tronco d’albero per tutta la notte fin quando la luce fosse filtrata attraverso la benda annunciando il mattino della nuova vita da adulto fiero e coraggioso. Il giovane non poteva piangere ne’ cercare aiuto. Un vero uomo poteva dirsi tale se nel buio, terrorizzato da rumori sinistri e minacciosi di belve o di nemici, restava immobile ed impavido a fronteggiare il pericolo. Finalmente, quando la notte si dileguava coi suoi rumori e la luce gli concedeva di togliersi le bende, il giovane uomo scopriva che il proprio padre era rimasto seduto sul tronco di fronte al suo a proteggerlo(7).
Un antico rituale magiaro prevedeva una danza vorticosa fino allo sfinimento dello sposo,condotta dalle donne più anziane della tribù durante la celebrazione della festa di matrimonio. La festa pagana durava giorni con un incedere di canti e balli progressivamente crescente fino al baccano in cui lo sposo veniva condotto dovendo dare dimostrazione della sua resistenza alla faticosa danza di sapienti anziane vigorose e ridacchianti, davanti a tutti gli invitati convenuti e soprattutto alla sua sposa. Allo stremo delle forze lo sposo, stordito dalla vertigine, veniva portato d’avanti alla sposa col volto marezzato di rossore, ma soddisfatta per la dimostrata potenza virile del suo amato. Lo sposo era finalmente degno di accedere alla sposa per la prova superata. Sicchè le anziane della tribù alla sposa: “E questo stallone dunque è tuo marito? Avrà sempre energie per portarti a cavalcare. Lo sappiamo bene perché lo abbiamo provato per te!”(Clarissa Pinkola Estes)
Perdura ancora anche in alcune regioni d’Italia lo stesso rituale di lunghe feste di matrimonio in cui gli sposi mangiano e danzano, e sarà sempre lo sposo a dover dar prova della sua resistenza e forza alla sposa, che “subirà” da reale esigente protagonista la prova della prima notte, ma il rituale ha perso il suo preciso significato che rimane misconosciuto agli interpreti.
1.2 Riti negati
Pare, appunto, che l’esigenza della ritualità non sia poi del tutto estranea alla nostra cultura occidentale, non essendo venuta meno neanche l’esigenza di apprendere consuetudini che accompagnano l’individuo verso una vita sociale pregna di relazioni e stili comunicativi.
Ad una analisi superficiale il mancato riscontro nelle società occidentali di cerimonie strutturate e riconoscibili come quelle descritte possono far pensare che i nostri “transiti” siano scomparsi e che ciò possa far parte solo del folklore. In realtà gli stessi riti hanno subito una profonda trasformazione adattandosi in modo occulto e misconosciuto ai nuovi solstizi ed equinozi. Sono stati sostituiti da nuovi riti poco riconoscibili e non decodificati, ma tuttora presenti. Pertanto, proprio nella loro funzione chiarificatrice di contenimento della trasformazione , essi risultano non segnalati da adulti saggi ed esperti depositari di una conoscenza condivisa.
La mancanza del loro riconoscimento all’interno del gruppo sociale e familiare e la solitudine nella quale l’individuo viene abbandonato al suo vissuto di trasformazione rende la direzione della trasformazione confusa, senza punti saldi di riferimento e, secondo gli studiosi, essa rimane incompleta(8).
Come mai sono scomparsi i vecchi riti, così espliciti, semplici e diretti, e si assiste, secondo gli esperti, alla loro sostituzione con riti dalle modalità che apparentemente non hanno connessione diretta con la sessualità?A cosa fanno riferimento i ragazzi di oggi per ottenere conferma del proprio ruolo di genere e di appartenenza al nuovo gruppo, ossia la comunità degli adulti?E’ diffusa l’idea che le profonde e repentine modificazioni sociali che hanno visto la progressiva “emancipazione femminile” nel mondo del lavoro e della istruzione a partire dalle suffragette, abbiano impresso conseguenze di non poco conto sui costumi della intera società definita occidentale. L’adattamento di entrambi i generi, ancora in corso, non è stato indolore nello scuotere alla radice un sistema di relazione tra i sessi che non trova ancora stabile definizione e vaga nella confusione. A ciò si aggiungano i progressi scientifici. Non può mancare il riferimento alla contraccezione con la “pillola” ad esclusivo uso e consumo delle donne, che assurge a significato simbolico di controllo personale della capacità riproduttiva , di cui le donne ne acquistano il pieno potere *. L’attività sessuale si svincola, a maggiore ragione , dalla attività procreativa, per cui sessualità e procreazione non sono più coincidenti.
Dopo soli venticinque anni si invertono nuovamente i termini della questione:si realizza la riproduzione senza sessualità con le tecniche di procreazione assistita e poi la procreazione in menopausa e, perchè no, anche la clonazione.(9)(10)(11)(12)(13).
Ognuna di queste rapidissime tappe meriterebbe una trattazione a se stante dal punto di vista del sentire personale e sociologico.
All’iniziazione femminile , che per secoli è stata relegata al sacro diritto alla deflorazione dopo il rito matrimoniale , ed ancora prima, allo Ius primae noctis di feudale memoria, si è sostituita la grande novità della liberalizzazione sessuale femminile che ha fatto emergere il diritto delle donne alla erotizzazione, invece del dolore-sanguinamento della deflorazione ricercato ed esibito, e la richiesta di integrazione di amore e sesso. Per le donne incalza, con nuova consapevolezza, la ricerca e l’espressione della sessualità come componente individuale e irrinunciabile della relazione di coppia giammai subìta. La deflorazione ed il rito del matrimonio si svuotano del loro significato e si apre lo scenario dei rapporti sessuali completi precoci col diritto al piacere “preteso” dalle donne. I riti di iniziazione sessuale maschili sono sempre stati prettamente orientati al piacere orgasmico, allora come oggi. I maschi adolescenti venivano e sono incoraggiati ad agire la sessualità spesso con rapporti mercenari(prostitute, donne più anziane esperte e soprattutto donne senza attese), totalmente svincolati dal coinvolgimento emotivo finalizzati ad affermare la loro potenza come la stessa identità di genere. La anticipazione temporale della sessualità femminile , di recente acquisizione, non ha però allontanato, dalla sfera emozionale delle donne, l’investimento affettivo che esse operano nel rapporto di coppia ancora simbolicamente valido per la affermazione della propria identità di genere femminile. Dunque due modalità di ricerca della propria identità diverse tra maschio e femmina, e che non trovano un modo di dialogare comune.
Per il maschio oggi la possibilità di avere rapporti sessuali tra adolescenti pari (e non con prostitute che comportano un dispendio economico o con un femminile debole, equivalente della preda, oramai raro!) implica una prova di coraggio cui non è preparato. Le giovani donne non possono e non sanno essere rassicuranti visto che esse stesse sono spesso già “iniziate” e lasciano innescare il pericoloso pungolo del confronto. Il riparo nell’ auto-erotismo o nel sesso virtuale risulta meno destabilizzante del reale e più confortevole per i giovani maschi. Le giovani donne,di contro, più o meno consapevoli di non gradire la strumentalizzazione del rapporto sessuale mercenario, per l’aria culturale respirata fin da bambine, spesso incorrono in un deludente inganno per un originario malinteso: un maschio in cerca della conferma della sua “potenza” , versus una femmina ancestralmente legata all’ investimento affettivo.(3)(5)(6)(14)
Si tratta di uno scenario ben diverso e lontano anni luce dal secolo scorso nel quale oggi l’adolescente si trova a gestire da solo, uno spazio di libertà e di autonomia di crescita senza norme…senza bussola, essendo venute meno le strutture sociali di supporto: i genitori, spesso separati, la famiglia sempre più esigua, le istituzioni religiose in cerca esse stesse di nuova identità, la comunità sociale distratta ed indaffarata nel profitto.(15)
Questo vuoto culturale ed umano genera nuovi riti autogestiti con prove di coraggio condotte senza “coach”. I comportamenti rischiosi (per la ricerca di sensation seeking , Marvin Zuckerman), come gare al volante, bullismo, furti, vandalismo, sport estremi, rifiuto del cibo, musica assordante prevalentemente notturna, chirurgia estetica, tatuaggi e piercing, alcool e droga , sessuomania, sono queste le prove che consentono di sperimentare limiti ed ebbrezza del vivere nella immediatezza del “tutto e ora” fino a sfiorare la morte per esorcizzarla nella disperata ricerca di rassicurazioni sul senso della vita e della propria identità.
David Le Breton, antropologo francese è professore di Sociologia all'università Marc Bloch di Strasburgo, afferma che quello che emerge e che inquieta più di ogni raccapricciante mutilazione, è il vuoto esistenziale trasformato in “sofferenza” di coloro che ricorrono al danno fisico(riemerge la fisicità descritta da van Gennep),da lui stesso ampiamente studiato, con le incisioni sulla pelle, cui si attribuisce un significato di protesta, purificazione, punizione, mutamento, distruzione e rinascita, prova, comunicazione, ecc.
L’antropologo decodifica la sofferenza auto-inferta interpretandola come narrazione di se e dei conflitti psichici inter e intra-individuali. Si tratta, allora, di un fenomeno epocale di indebolimento della comunicazione dei vissuti,in una sorta di deserto emozionale, di cui Le Breton intravede la portata, attraverso la condizione di “afasia” emotiva e linguistica, che si traduce in ferita al corpo soprattutto degli adolescenti,soggetti fragili di un sistema scomposto nel suo agire. La” sensazione di esistenza in vita” viene data paradossalmente dalla ritualizzazione di atti di auto- distruzione(16), per cercare la rinascita attraverso la morte.
Gli elementi caratterizzanti la scarna comunicazione si riducono ad espressioni di aggressività o sottomissione. Si rileva una sostanziale incapacità ad assumersi qualsiasi responsabilità rispetto alle conseguenze delle proprie azioni, ed il deserto emozionale si allarga in un più ampio deserto etico con le oasi illusorie del benessere economico, unica misura di successo, nonché dalla cura della propria forma fisica, fine a se stessa. Il labile contatto con la realtà, e la necessità umana della dimensione spirituale acquisiscono in questo contesto vere e proprie fughe in culti magico-misterici con connotati di dipendenza psicologica verso personaggi senza scrupoli, sette, esoterismo spicciolo. Gli adolescenti rischiano di restare senza radici vivendo alla giornata senza prospettiva futura, senza progettualità verso una completa maturazione sociale. La mancanza del limite netto, ben demarcato od anche drammatico della consacrazione liturgica del “passaggio” all’età adulta, perpetua e diluisce nel tempo il passaggio, pertanto si ammette odiernamente che non vi sia un limite superiore all’adolescenza. Non è infrequente imbattersi in cinquantenni che conservano comportamenti tipici dell’adolescenza: esibizione della forma fisica, giovanilismo nello stile di vita che va dall’abbigliamento disinvolto alla motocicletta di grido da cavalcare, ritualità seduttive e via dicendo.(17).
La propensione all'aggressività, l'incapacità di sedare convenientemente i propri impulsi, il vuoto interiore, l'incapacità a stabilire e mantenere relazioni affettive stabili(dato ISTAT), i frequenti disturbi ideativi presenti in molti giovani, risultano spesso indistinguibili da vere e proprie psicopatologie, dai disturbi di personalità o dalle psicosi , ai disturbi d'ansia e depressione che in un tessuto sociale più sano avrebbero potuto non slatentizzarsi mai. Il tessuto sociale dei nostri ragazzi,invece, ha una contraddizione implicita: persiste una morale agganciata alla tradizione nella sua forma di espressione verbale, ma una prassi di segno opposto che comunica in modo forte e chiaro con i comportamenti degli adulti nelle famiglie, nelle istituzioni religiose, nella politica attraverso qualsiasi mezzo di divulgazione mediatica e reale,e con sollecitazioni diverse sotto gli occhi smarriti degli adolescenti.
Se la situazione è questa, tuttavia, non significa che sia svanita la speranza di porvi rimedio. Tutt’al più , se è vero che la comunicazione persiste sia pure nella bizzarria di riti di iniziazione pericolosi per i giovani, bisogna ammettere una silenziosa ma vibrante richiesta di aprirsi , di venire educati a superare l’immediatezza di certe situazioni, di trovare interlocutori autorevoli disposti a condividere, non già le ritualità descritte come purtroppo accade(non è raro imbattersi in gruppi in cui vi sia promiscuità anagrafica:ventenni con cinquantenni che si cimentano in comportamenti tipici dell’adolescenza), ma almeno un po’ di tempo, per avviare un dialogo autentico e non moralistico verbale. (14)(15)
L’apertura mentale richiesta, è nostra opinione debba essere bipolare: adolescenti da un lato e “adulti”dall’altro, volta a dirozzare, o solo a sollecitare un percorso naturale ed attualmente accidentato come descritto, alla ricerca di riti ritrovati, ridisegnati, riconoscibili e tramandati. Ne consegue, la necessità di un forte impegno preventivo nei confronti del singolo soggetto e del contesto micro e macro sociale , al fine di scongiurare il sedimentarsi di un 'humus' favorevole all'insorgere di forme di disagio giovanile e non sempre più radicate ed ingestibili sul piano sociale.
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Nota .*Potere che forse ha amplificato le ambivalenti sensazioni della donna,depositaria della procreazione che genera e che può dare la morte,come evidenzia Umberto Galimberti-“I miti del nostro tempo”-il quale invita alla rilettura in chiave schietta del mito dell’amore materno,gravido di tale ambivalenza da condurre ai gesti estremi riportati sempre più spesso nelle cronache.
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Stella Morgese:
medico chirurgo, specialista in ginecologia e ostetricia, sessuologa, Terlizzi , Bari
e.mail: stellachiaray@gmail.com
Bibliografia
(1)Roberto Tresoldi,Riti di iniziazione,De Vecchi Edizioni
(2)Marc Augè,Nonluoghi,introduzione a una antropologia della surmodernità,Eleuthera,1997.
(3)www.Ilportalino.org,Jole Baldaro Verde e Roberto Todella,I Riti di Iniziazione sessuale.
(4)www.psicologoinfamiglia.myblog.it,Riti di passaggio.Intervista a prof.Paolo Cianconi(antropologo-
psichiatra-psicoterapeuta) a cura di Francesca Sacca’.
(5)Da Wikipedia,Riti di iniziazione e di passaggio.
(6)http://www.carreblu.travel/africa/malawi/malawi_cultura.htm
(7)http://www.cocooa.com/408/2009/leggenda-cherokee.html
.(8)Le Breton Davis,Passione del rischio,Edizioni Gruppo Abele,Torino 1995
(9)Benagiano G..:Male and female reproductive strategies.Edwards symposium,Reprod.BioMed,Online,4:72-76,2002
(10)Benagiano G.et al.:Contraception:A social revolution.Eur.J.Contraception Reprodution.Hlth Care 12:2-12,2007
(11)Steptoe P. et al.:Birth after reimplantation of a human embrio,Lancet 2,366 -368,1978
(12)Antinori S.et al.:Obstetric and prenatal outcome in menopausal women:a 12-year clinical study.Reprod. BioMed.Online.2003 mar
(13)Benagiano G. et al.:Human Reproductive Cloning.Int.J.Obstet.Gynec.79:265-268,2002
(14). Manna V.: Il disagio giovanile come disagio della civiltà: alla ricerca di valori umani autentici nella prospettiva della psicologia transpersonale. Gnosis. VIII, 9, 1994.
(15)MANNA V.: L'assordante silenzio della libertà. Appunti per una prevenzione scientificamente orientata del fenomeno tossicodipendenze.Leoneed.,Foggia,1992.
(16) David Le Breton La pelle e la traccia. Le ferite del sè Roma, Meltemi, 2005,
(17)http://www.risorseumaneuropa.org/news/convegno/7.03.09.pdf Marco Cappa:Osp.Bambin Gesù,I Nuovi Adolescen
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