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L’orecchio incantato: Note sulla voce e sull’ascolto di Maria Fiorentino

Negli ultimi anni molte ricerche
sono state dedicate alla condizione della vita intrauterina.
Si è così scoperto che fin dal quarto mese di vita il
feto è in grado di percepire attraverso il liquido amniotico i
suoni del mondo esterno e i ritmi fisiologici del corpo
materno: «...l'universo sonoro nel quale l'embrione si trova
immerso è straordinariamente ricco di sonorità di ogni
genere. Il feto percepisce i gorgoglii intestinali come una
specie di galoppo, la digestione, i ritmi cardiaci; avverte la
respirazione ritmata come un lontano alternarsi di flussi e
riflussi ecc. La voce materna si impone, un piccolo rumore
di eccezionale qualità che si sovrappone a tutto il resto»
(7). La voce della madre viene recepita a due livelli, come
suono proveniente dall'esterno - e quindi percepito attraverso
il liquido amniotico - e come vibrazione interna dello
stesso corpo materno. L'ascolto appare dunque come una
componente importante del rapporto primario, come l'elemento
che permette il riconoscimento della madre dopo la
nascita: «...il neonato mostra di dare un significato particolarmente
positivo al rispecchiarsi del suono prenatale nel
suono postnatale (significato di incantamento). [...] Ho definito
il riconoscimento del suono prenatale nella vita postnatale
come la esperienza di speculante acustica primaria.
Essa si costituisce come specifica tra le diverse esperienze
primarie nelle quali si traduce la saldatura tra la vita
intrauterina e la vita extrauterina» (8). Questo ci porta a
supporre che il bambino, alla nascita, possegga già una
memoria sonora del mondo esterno e che nel passaggio
dall'ascolto fetale all'ascolto normale il momento del riconoscimento
della voce materna sia un'esperienza fondante.
A questo proposito Andre Thomas ha realizzato un
esperimento chiamato «la prova del nome»: un neonato di
pochi giorni viene posto a sedere su un tavolo - ciò è possibile
perché fino a dieci giorni il bambino possiede un
forte tono muscolare - circondato da un gruppo di adulti,
tra cui i genitori, che pronunciano il suo nome, uno alla
volta. Il piccolo non presenta reazioni fino al momento in
cui parla la madre, a quel punto il suo corpo si inclina e
cade in direziono della voce materna (9). L'importanza del
suono come veicolo affettivo nella relazione madre-figlio è
rappresentato simbolicamente da un mito indiano in cui
Karma, figlio del Sole, nasce dall'orecchio materno. A
questo organo vengono attribuite le medesime valenze
contrapposte dell'archetipo materno, all'immagine della
madre apportatrice di vita e di morte corrisponde il
simbolismo egiziano dell'orecchio, secondo il quale
l'orecchio destro riceve il soffio della vita e quello sinistro il    
 soffio della morte.
Il ruolo primario che riveste l'esperienza sonora nelle fasi
iniziali della vita umana ha una rappresentazione simbolica
nei miti della creazione. Nelle cosmogonie il suono, sotto
forma di sospiro, canto, grido, tuono o parola della divinità
creatrice, è alla base della nascita del mondo: «La fonte
dalla quale emana il mondo è sempre una fonte acustica.
[...] Questo suono, nato dal Vuoto, è il frutto di un
pensiero che fa vibrare il Nulla e, propagandosi, crea lo
spazio. È un monologo il cui corpo sonoro costituisce la
prima manifestazione percepibile dell'Invisibile. L'abisso
primordiale è dunque un 'fondo di risonanza', e il suono
che ne scaturisce deve essere considerato come la prima
forza creatrice, che nella maggior parte delle mitologie è
personificata negli dei cantori» (10). Possiamo leggere
dunque nei miti di creazione una metafora dell'esperienza
originaria dell'essere umano, il suono entra nella vita prenatale
e rappresenta, con molta probabilità, la prima
esperienza del mondo che ha l'individuo, prima ancora di
vedere il mondo alla nascita. Il dio che crea l'universo
attraverso un suono è la figura materna che con la sua
voce rappresenta un ponte tra il mondo uterino e il mondo
esterno. Si tratta di un tramite estremamente importante e
significativo, poiché rappresenta un elemento di continuità
tra due esperienze molto diverse e separate tra loro dal
trauma della nascita e, nello stesso tempo, ha lo stesso
effetto del suono nelle cosmogonie: conferisce vita all'individuo
e lo aiuta nella transizione da una forma di
esistenza all'altra: «II significato magico del suono
prenatale trova infatti la sua spiegazione nel fatto di
costituire un significante della vita intrauterina, intesa
come paradiso perduto. Riascoltando il suono già udito
nella situazione prenatale, dopo il disastro della nascita, il
neonato sembra dargli [...] il segno del ritrovamento di un
bene perduto» (11). Il suono della voce materna dunque
rappresenta non soltanto un collegamento tra due
modalità di ascolto, ma permette anche di legare il suono
prenatale all'immagine del mondo che subentra e si viene
costruendo dopo la nascita attraverso la percezione
visiva. La forma primaria di conoscenza sembra dunque
essere di tipo sonoro piuttosto che visivo: l'ascolto
intrauterino ha probabilmente un fondamento archetipico.
Dopo la nascita l'universo fatto di oggetti sonori si
trasforma gradualmente in un mondo di oggetti-immagini,
ogni suono viene associato ad un'immagine. Alla luce di
questi dati potremmo dire che la concezione platonica
della conoscenza come una forma di reminiscenza trova
degli agganci importanti nei più recenti studi di psicologia
prenatale, che parlano di tracce mnesti-che di alcune
esperienze fatte nel corso della vita fetale:
«Si può così constatare che il modo in cui un bambino
conosce il mondo, che per lui è la madre, è molto più
affascinante e complesso c^i quanto sia stato in genere
immaginato nella mente dei filosofi» (12). La figura
materna con la sua voce rappresenta un filtro tra il
bambino e il mondo, questo filtro più tardi diventerà il
linguaggio, strumento di comunicazione e di conoscenza.
Alla nascita il bambino scoprirà di avere anch'egli un
suono, proprio come la madre, e da questa scoperta inizierà
il percorso verso il linguaggio. L'evoluzione linguistica
nell'infante avviene anche attraverso l'ascolto della
propria voce e di quella dell'adulto. Si narra che Federico
II di Svevia fosse molto interessato all'origine del
linguaggio, per questo un giorno decise di intraprendere
un esperimento. Affidò ad alcune balie dei neonati e
ordinò alle donne di non pronunciare parola in presenza
dei piccoli:
dovevano accudirli, nutrirli e allevarli in perfetto silenzio.
In tal modo, pensava il re, i bambini avrebbero potuto
sviluppare quel linguaggio universale vagheggiato dalla
filosofia del tempo. I piccoli morirono tutti, dimostrando
all'incauto sovrano che non esisteva un linguaggio di tal
fatta. Questa esperienza, collocata tra storia e leggenda,
ci fa riflettere sull'importanza della comunicazione nella
strutturazione delle prime relazioni oggettuali; una
comunicazione che si configura primariamente come
comunicazione sonora e solo successivamente diviene
linguaggio: «A livello filogenetico, si parla del primato del
ritmo sul significato, proprio perché il ritmo ha
originariamente significato affettivo, mentre il significato
ha un senso cognitivo. [...] il bambino prima coglie l'unità
ritmica e poi coglie l'unità semantica» (13). La relazione
primaria possiede delle qualità acustiche che entrano a
far parte di strutture affettivo-cognitive;
la voce e l'ascolto, infatti, sono strettamente correlati, non
soltanto da un legame di causa-effetto, ma anche nella
loro connotazione emotivo-affettiva e nel loro legame con
la funzione cognitiva.
Le storie e le situazioni narrate in questi cinque film
rimandano a differenti forme di ascolto che rivelano
caratteristiche e dinamiche del rapporto primario. Questo,
a sua volta, contribuisce a determinare - insieme ad altri
fattori -una qualità relazionale che si esprime nel rapporto
con quel particolare tipo di suono che è rappresentato dalla
voce umana. Il modo in cui un individuo si rapporta al
suono, e in particolare al suono più significativo dell'universo
sonoro, la voce umana, può rivelare molto sulle sue
esperienze perinatali, ma può anche rivelare come si è
sviluppato Il suono della sua relazione primaria, se è stata
segnata da armonie o da dissonanze, se vi sono stati dei
silenzi, se si sono prodotti dei crescendo troppo concitati.
La figura materna si pone dunque come un elemento centrale
nella vicenda dell'ascolto e connota con il suo suono
due momenti fondanti nella strutturazione della psiche
infantile: la scena primaria e la situazione edipica.
Secondo alcuni studiosi il
bambino percepisce anche la voce del padre nel corso
della vita intrauterina: «Oltre alla voce della madre, il feto e
il neonato percepiscono la voce del padre. Il neonato
mostra di riconoscere la voce del padre nella vita
postnatale, purché abbia potuto percepire alcune parole,
con una certa regolarità e frequenza, nella vita prenatale»
(16). I personaggi della vicenda che si pone alla base della
vita psichica del bambino, strutturandola e organizzandola,
sono dunque già tutti presenti fin dal periodo prenatale.
Potremmo chiederci, a questo punto, quale sia il ruolo del
suono nelle fantasie e che parte rivesta nell'elaborazione
delle stesse. Se è vero che l'udito è una forma di
percezione attiva fin dai primi mesi di vita fetale, allora la
struttura primaria di conoscenza implicherebbe una
compartecipazione dell'elemento sonoro. La
predisposizione all'ascolto è un elemento che può avere
una determinante archetipica, nel senso che se vi sono -
come dice Jung - delle immagini primordiali, legate alle
esperienze fondamentali dell'umanità, esistono
probabilmente anche dei suoni legati a quelle stesse
esperienze. La scena primaria così come viene
configurata da Freud è un elemento che si avvicina molto
al concetto di immagine archetipica. Essa fa parte di ciò
che Freud chiama i fantasmi originari:

«Là dove gli eventi non si adattano allo schema ereditario, subiscono nel
fantasma una rielaborazione [...] Sono proprio questi i casi più
appropriati a mostrarci l'esistenza indipendente dello schema. Possiamo
spesso notare che lo schema prevale sull'esistenza individuale [...] Pare
che le contraddizioni tra l'esperienza e lo schema forniscano ampia
materia ai conflitti infantili. Se ora si considerano i temi che si incontrano
nei fantasmi originari (scena originaria, castrazione, seduzione), si è
colpiti da un carattere comune: essi si riferiscono tutti alle origini. Al pari
dei miti collettivi, essi tendono ad apportare una rappresentazione e una
'soluzione' a ciò che si presenta al bambino come un enigma
fondamentale; essi drammatizzano come momento di emergenza, come
origine di una storia, ciò che per il soggetto è una realtà problematica
che esige una spiegazione, una 'teoria'. Nella 'scena originaria' è
raffigurata l'origine del soggetto; nei fantasmi di seduzione, l'origine, il
sorgere della sessualità;
nei fantasmi di castrazione, l'origine della differenza dei sessi» (17).
Freud sostiene che la percezione (rumore, coito animale)
può in qualche modo orientare il bambino nella elaborazione
della scena primaria. È possibile ipotizzare che
nella realtà individuale la scena originaria sia stata
ascoltata, percepita nel buio o attraverso una parete o
una porta socchiusa. Se esiste una forma di memoria
prenatale che permette il riconoscimento, a maggior
ragione gli eventi dei primi mesi di vita postnatale
possono essere stati registrati attraverso una percezione
uditiva più matura rispetto alla vista. La scena primaria
potrebbe dunque avere un connotazione uditiva
emotivamente forte tanto quanto l'immagine: l'ascolto
delle voci dei genitori durante l'amplesso
può essere stato collegato solo successivamente alla
scena «vista», cioè all'immagine. La traccia mnestica delle
voci dei genitori, udite nel corso della vita fetale, si evolve
e si struttura dopo la nascita, legandosi successivamente
all'immagine, che solo allora diviene prevalente. In questo
modo potrebbe nascere il ricordo: da una serie di tracce
mnestiche portatrici di un forte potenziale emotivo si sviluppano
delle associazioni e si strutturano delle fantasie,
forse già preesistenti. La dimensione archetipica può
essere l'elemento che organizza il ricordo della scena primaria.
E proprio nella rievocazione del ricordo sta tutta
l'originalità e unicità dell'individuo: «La riproduzione del
ricordo è raramente un fatto meccanico; essa possiede la
prerogativa della licenza poetica, riflette la personalità del
relatore, è sovente immaginativa, e talvolta ci offre esempi
di creazione immortale» (18).
Abbiamo passato in rassegna cinque esempi di grande
creazione cinematografica, in ciascuno di essi è rappresentato
e rè interpretato il fantasma originario legato alla
figura materna e al ruolo da essa interpretato nella rappresentazione
della scena primaria e della situazione edipica.
Il suono della sua voce e di quella paterna sono l'ordito
che struttura le relazioni oggettuali dei personaggi. L'ascolto
perverso, ovvero I''otofilismo, non è altro che una
coazione a ripetere l'esperienza dell'ascoltare il desiderio
di altri, nelle medesime condizioni di passività e di esclusione
vissute nei confronti dei genitori, ma è anche una
regressione ad una forma di narcisismo fetale, cioè precedente
a quello primario, in cui si riproduce la condizione di
un'esistenza uterina separata, chiusa in un'illusione di
onnipotenza, in cui l'ascolto delle voci è l'unica forma di
vita esterna percepita. L'impotenza che connota alcuni dei
personaggi deriva, probabilmente, dall'esperienza della
vita postnatale in cui il bambino, entrato in contatto con la
necessità e il desiderio, non sente accolte le proprie richieste.
La frustrazione che ne derivava attivava una reazione
di rabbia o anche una pulsione di impossessamento, connessa
in questo caso al sadismo. Il legame tra percezione
uditiva e immagine è un fatto molto importante nella vita
postnatale, fa parte di quel processo affettivo-cognitivo che
permette al bambino di entrare in contatto con il
mondo esterno e di conoscerlo. Se la voce materna, che
funge da guida in questo percorso, viene meno al suo
compito allora il processo subisce degli arresti o delle
deformazioni che intervengono sulla struttura delle relazioni
oggettuali.
. Il percorso del suono ha una tappa fondamentale nell'esperienza
umana, rappresentata dalla musica. Essa si configura
come l'unica forma di ascolto puro, senza immagini e ciò
la rende vicina alle radici del nostro essere. Un'interpretazione
di questa esperienza assolutamente unica e
comune a tutti gli uomini possiamo rintracciarla nel mito
di Orfeo. Questi era un poeta e cantore figlio di Apollo e
Calliope che con la dolcezza del suo canto ammansiva le
belve, arrestava il corso dei fiumi ed era seguito perfino
dalle piante e dalle pietre. Un giorno l'amata sposa
Euridice morì e Orfeo scese negli Inferi alla sua ricerca.
Fiutone e Persefone, signori dell'Ade, commossi dal
suono della sua lira gli concessero di riportare la moglie
nella vita, ad una condizione, che egli non si voltasse a
guardarla finché non fossero giunti alla luce del sole.
L'epilogo è noto, Orfeo si voltò, perdendo così per sempre Euridice. 
Franco Fornari da un'interpretazione molto suggestiva del mito. Scendere
nell'Ade significa ritornare nel grembo materno per recuperare
l'unità originaria con la madre. Euridice rappresenta
la figura materna. Uscire dall'Ade, tornare alla luce, significa
nascere, ma con la nascita si perde per sempre la
madre, la simbiosi con il suo corpo. «...Orfeo perde Euridice
girandosi per guardarla perché s/' può guardare il volto
della madre solo dopo essere nati e quindi solo dopo aver
perso la madre. [...] Come Orfeo, dunque, il neonato non
può portare la madre con sé. Tuttavia il suono gli permette
di recuperare, significandolo, ciò che sta al posto dell'unità
originaria perduta, cioè il suono che è la madre» (19). Il
suono, dunque, è un filo che ci porta indietro fino a zone
remote del nostro essere, ai confini del mito, del mito personale
di ciascuno di noi. Il modo in cui questo filo si è
dipanato nel corso del tempo svela la nostra storia,
laddove ci sia un ascolto attento e ricco di empatia.

C. Sachs, Le sorgenti
della musica, Torino, Bollati
Boringhieri, 1991, p. 66.


A. Tomatis, L'orecchio e la
vita, Milano, Baldini & Castoldi,
1992, p. 195.

 J. Laplanche, J.B. Pontalis,
Enciclopedia della psicanalisi,
op. cit., p. 169.



F. Fornari, Psicoanalisi
della musica, op. cit., pp. 41-

J. Chasseguet-Smirgel,
Per una psicoanalisi dell'arte
e della creatività, op. cit., pp.
95-96.

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