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Per una Biografia di W.R.Bion di Adalinda Gasparini


                                                       Anna Freud Bion e Strachey

Da sinistra: A. Freud, W.R. Bion, W. Strachey
                Cena di gala per celebrare la Standard Edition 
                      of Sigmund Freud’s Work, Londra 1964                                



Wilfred Ruprecht Bion nacque a Muttra, in India, nel 1897. Si potrebbe considerare Bion uno psicoanalista post-coloniale, data la sua doppia origine, come certi grandi scrittori contemporanei, ad esempio Salman Rushdie e Vikram Chandra. Il padre, ingegnere idraulico dell’Impero Britannico, era inglese, mentre la madre era indiana, come la tata. Trascorse l’infanzia tra i vasti paesaggi del Punjab, dove si muoveva sugli elefanti di proprietà della famiglia. A otto anni, come tutti i figli degli alti funzionari coloniali, venne mandato in collegio in Inghilterra, dove crebbe in un senso di isolamento, appassionandosi alle attività fisiche, in particolare il rugby.
Dopo il diploma si arruolò come allievo ufficiale in un battaglione di mezzi corazzati e si trovò sul campo di battaglia di Cambrai, sotto il fuoco delle granate della grande Guerra. Nel 1918, fu congedato con il grado di capitano e una decorazione. Sul campo di battaglia aveva fatto esperienza della solidarietà fra gli uomini e degli imbrogli della gerarchia militare.
Si laureò studiando filosofia e letteratura a Oxford, continuando a coltivare la passione per il rugby. Completò gli studi classici a Poitiers, per perfezionare la conoscenza del francese. Ebbe poi un posto come insegnante nello stesso collegio, dove fu da bambino. Dopo aver fatto amicizia con la madre di un suo allievo, fu accusato dalla donna di aver abusato del figlio e dovette licenziarsi.
Studente di medicina a Londra, si laureò nel 1932, e fu assunto come assistente alla Tavistock Clinic, dove si occupò di adolescenti con disturbi della personalità e tratti delinquenziali. Nello stesso periodo, su richiesta di Samuel Beckett, iniziò una terapia, durata circa due anni, che fu determinante per entrambi gli uomini, all’inizio della loro carriera. Bion scrisse che sua madre era fredda, come le correnti d’aria nelle cappelle inglesi, mentre la madre di Beckett era terribilmente critica verso il figlio, al quale rimproverava il suo comportamento quasi da barbone e l’alcolismo, senza apprezzarne le doti letterarie. Siccome le visite alla madre scatenavano in Beckett terrori notturni, apatia, e altri disturbi psicosomatici, dopo due anni di terapia Bion impose allo scrittore di interrompere i rapporti con lei. Il paziente interruppe invece la terapia. (Pare che per il suo primo romanzo, Murphy, Beckett si sia ispirato alla conferenza tenuta alla Tavistock Clinic, su invito di Bion, da C.G. Jung, che mostrava la corrispondenza dei personaggi del romanzo con le immagini mentali dell’autore.)
Bion entrò nel mondo psicoanalitico inglese nel 1937, iniziando un’analisi con John Rickman, allievo di Melanie Klein e membro della British Psychoanalytical Society. Ancora vergine a quarant’anni, Bion si sposò alla vigilia della seconda guerra mondiale, con un’attrice che sarebbe morta di lì a poco, dopo aver dato alla luce una bambina. Bion in seguitò si risposò.
Arruolato come ufficiale medico all’entrata in guerra della Gran Bretagna, partecipò con Rickman e altri medici alla riforma della psichiatria inglese, che sarebbe stata lodata da Lacan. La teoria bioniana dei gruppi nacque dall’esperienza con i numerosi pazienti allontanati dall’esercito con la diagnosi dinevrosi di guerra. I soldati, considerati inutili o dannosi per la patria, venivano riuniti in piccoli gruppisenza leader, dove individuavano il loro oggetto di lavoro con l’assistenza di un terapeuta che aveva il compito di sostenere ciascuno dei membri, evitando di occupare il posto del capo o di un padre autoritario. L’esperienza ebbe tanto successo che venne chiusa brutalmente, perché scuoteva il principio essenziale della gerarchia militare. The war of nerves è il titolo del primo contributo pubblicato da Bion, nel 1940, seguito da altri saggi sul lavoro con i pazienti affetti da nevrosi di guerra (si ricorderà che la definizione era stata proposta durante la prima guerra mondiale, e come avesse incrementato l’interesse per la psicoanalisi), fino a Experiences in Groups del 1948, più volte ristampato in pubblicazioni successive. Tale è l’importanza delle esperienze nei gruppi che si è potuto parlare per la teoria bioniana di una mente gruppale. (Una curiosità. Cercando con Google ‘mente gruppale’, appaiono 16.000 siti, 850 circa per ‘Bion mente gruppale’. Su questo argomento si può consultare Marco Longo, Lo spazio mentale di gruppo, 1995.http://www.psychomedia.it/pm/grpther/grppa/longo1a.htm)
Non è difficile immaginare come Bion abbia maturato un forte spirito di indipendenza, dopo l’infanzia vissuta prima tra la madre gelida e il padre ingegnere dell’impero britannico, poi lontano dalla sua origine, nel collegio inglese, dove visse anche la sua adolescenza. Con questo bagaglio, durante la prima guerra mondiale arrivò nelle Fiandre sotto i colpi dell’artiglieria nemica e del comando militare. Una volta congedato, dovette lasciare il suo lavoro di insegnante per le accuse infamanti della madre di un suo alunno. Dopo gli studi di medicina, si trovò a lavorare con adolescenti disturbati. Ancora in guerra, questa volta come psichiatra, ebbe modo di osservare come tanti uomini soffrivano per la violenza sperimentata sul campo di battaglia e per l’umiliazione di esser rimandati in patria, inutili, se non dannosi, per il bene comune già difeso con le armi.
Concludendo “Al di là del principio di piacere”, Freud afferma, forse in polemica a distanza con Jung e il suo principio di individuazione, di non credere all’esistenza di alcuna tendenza ‘naturale’ a migliorarsi. Per Freud si va avanti quando la via all’indietro è sbarrata. Nonostante non manchino occasioni per osservare come Freud abbia ragione, e che qualsiasi eufemizzazione della condizione umana equivale a una rimozione, sembra difficile maturare la capacità di sopportare la totale mancanza di idoli e di cappelle o cattedrali psicoanalitiche. Forse solo una sofferenza nelle relazioni familiari vissuta come intollerabile, ripetuta con le persone che nelle vicende transferali prendono il loro posto, può consentire di rinunciare all’illusione che esistano un maître che legittima la propria preparazione e un ente che protegge dai pericoli connaturati al proprio lavoro e alla propria ricerca, come a ogni vita.
Bion fece questo percorso. Nel 1945, iniziata un’analisi che sarebbe durata otto anni, dichiarò alla sua analista, Melanie Klein, che non avrebbe seguito nessuna forma di idolatria e che non avrebbe accettato nessuna forma di dipendenza. Ricorda Julia Kristeva che Bion venne supplicato fino alle lacrime perché riconoscesse il suo debito verso la Klein come caposcuola. (Julia Kristeva, 2000,Melanie Klein ou le matricide comme douleur et comme créativité; tr. it. di Monica Guerra, Melanie Klein, la madre, la follia; Donzelli 2006; p. 237). Ma dobbiamo ricordare che una figura autoritaria come la Klein non fu il maître, o la maîtresse, peggiore per un gruppo psicoanalitico. Esistono leader, uomini o donne, di tipo reinfetante, che legano a sé le persone che cercano una difesa dal dolore di pensare. Si formano allora gruppi totalmente sterili, e si sviluppano vicende penose, che per la loro natura non diventano mai racconti pubblici. È storia comune dalla quale si può imparare qualcosa.
A partire dal 1960, i lavori di Bion produssero una forte impressione nel mondo psicoanalitico, per la loro articolazione complessa e ampia, che strutturava il tentativo di rivedere e riformulare l’opera freudiana e i contributi di Melanie Klein, con l’accento decisamente posto sul linguaggio e il pensiero.
Appoggiandosi alla filosofia kantiana, Bion divise l’apparato psichico in due funzioni mentali: la funzione alpha corrispondente al fenomeno, la funzione beta al noumeno (la cosa in sé, l’idea). Per Bion, la funzione alpha preserva il soggetto dallo stato psicotico, mentre la funzione beta lo espone ad esso. L’esperienza dei piccoli gruppi permise a Bion di affrontare il campo delle psicosi con l’aiuto dei vari concetti kleiniani ai quali egli aggiunse in particolare quello di oggetti bizzarri (particelle staccate dall’io e dotate di vita autonoma) o di ideogramma (iscrizione preverbale di un pensiero primitivo). D’altra parte, prendendo da Paul Schilder la nozione di immagine del corpo, sviluppò l’idea secondo la quale i gruppi e gli individui sarebbero composti di un contenitore e di un contenuto. Se, per un certo soggetto, il gruppo funziona come contenitore, ogni soggetto ha un contenuto in se stesso, o assunto di base, che determina le sue emozioni. Riguardo alla personalità psicotica, essa è una componente normale dell’io. Come distrugge l’io impedendo tutte le forme di accesso alla simbolizzazione, coesiste al contrario con altri aspetti dell’io senza diventare un fattore distruttivo. Bion ha anche costruito un modello per la cura che ha chiamato griglia. Composto di un asse verticale di otto lettere (dalla A alla H), che connotano il grado di complessità dell’enunciato, e di un asse orizzontale di sei cifre (da 1 a 6), che rappresentano la relazione transferale, la griglia doveva permettere sia di aiutare il clinico nel suo ascolto, sia di dare una base “scientifica” alla pratica della psicoanalisi. (E. Roudinesco et M. Plon,Dictionnaire de la psychanalyse, Fayard, Paris 1997. Dalla voce Bion, pp. 119-122; trad. nostra)
Dopo la morte di Melanie Klein (1960), Bion rifiutò di abbandonare la sua teoria dei gruppi, la cui originalità aveva un filo conduttore nel rifiuto del maître à penser. Se avesse accettato di assumere questo ruolo nella scuola kleiniana avrebbe fermato il cuore della sua esperienza e della sua teoria.

Si trasferì in California, e visse a Los Angeles, viaggiando frequentemente in Brasile e in Argentina, dove influì profondamente numerosi gruppi di psicoanalisti, la cui collocazione è nota come neo- o post-kleinismo. L’opera di Bion conosce una grande diffusione, con traduzioni in molte lingue.
Clinico colto e brillante, riformatore della psichiatria militare, grande terapeuta delle psicosi e degli stati borderline, Wilfred Ruprecht Bion è stato l’allievo più turbolento di Melanie Klein, della quale ha rifiutato il dogmatismo per costruire una teoria sofisticata del self e della personalità, fondata su un modello matematico e attraversata da concetti originali - piccoli gruppi, funzione alpha, contenitore/contenuto, oggetti bizzarri, assunti di base, griglia, ecc. - che, per certi aspetti, somigliano a quelle di Jacques Lacan, suo contemporaneo. Come lui tentò di dare un contenuto formale alla trasmissione del sapere psicoanalitico appoggiandosi a formule ed espressioni algebriche, e come lui si appassionò al linguaggio, alla filosofia e alla logica, ma in una prospettiva decisamente cognitivista.
La vasta influenza del pensiero e dell’insegnamento di Bion è stata profonda anche in Gran Bretagna. Seguaci di Bion, e scuole bioniane, sono presenti anche in Italia e in Francia.
Come Lacan, Bion dedicò la parte finale del proprio lavoro a dire l’indicibile, tentando di dar forma al carattere scientifico della psicoanalisi. Se il lavoro di Bion fosse riducibile alla celebre griglia, proposta nel 1963, se la stessa tensione in Lacan si fosse limitata alle figure topologiche, usate per illustrare la propria ricerca, il lavoro scientificoin area psicoanalitica di questi personaggi sarebbe da lasciare da parte come imbarazzante velleità.
Analogamente, la psicoanalisi come scienza non dipende solo dalle formulazioni freudiana, ma dal riconoscimento della vena scientifica nella ramificazione di concetti e di esperienze psicoanalitiche da Freud in giù, fino all’esperienza e alla ricerca di ogni analista. In questo senso la tensione di Bion va riconosciuta e ripresa al di là della griglia e di altre formule, che si potrebbero considerare come i frammenti oscuri, o persino poco significativi, di un sogno quasi dimenticato.
Tra gli allievi francesi si ricordano Didier Anzieu (già in analisi con Lacan) e André Green. In Italia l’influenza di Bion ebbe la massima espansione dal 1969 al 1974, quando Francesco Corrao, il suo interprete più attento, fu presidente della SPI. Nel Centro ricerche di gruppo Pollaiolo, a Roma, fu ospite Bion nel 1977.
Da un quaderno redatto nel 1989, redatto durante la rilettura del suo seminario romano, possiamo rievocare la sua voce:
Ci è permesso di sognare. Non è considerato altrettanto rispettabile avere un’allucinazione. […] Così, quando vi dico “Penso che qualcun altro dovrebbe parlare per un po’, per quanto selvaggio sia il suo pensiero, per quanto esso sia irrazionale, non-accettato, non-accettabile per il gruppo o per la persona”, mi sto aspettando, in realtà, che voi siate coraggiosi.
[…]
Cerco di dire la verità ai miei pazienti e di osare di dire quello che penso, anche se lo devo modificare leggermente perché voglio che essi capiscano quanto ho detto.
[…]
Quanto tempo c’è per decidersi: Qui possiamo discutere il problema per cinquanta minuti, o due ore, ma nella vita reale non c’è tempo per discutere; bisogna decidere istantaneamente se tradurti in una azione apparente e chiara o se preservarla per un altro giorno. 
[…]
Questa è una scelta che nessuno può fare per l’individuo – tranne l’individuo. Solo l’individuo può decidere se essere o non essere.
[…]
O c’è qualcosa che non va nella scienza, se non lascia lo spazio per la crescita e lo sviluppo della mente e dello spirito umano, oppure dobbiamo riconsiderare che cosa riteniamo siano “i fatti”. Che cos’è uno psicoanalista? Mi sembra che Freud aspirasse a uno standard scientifico secondo le proprie idee di che cos’era la scienza in quell’epoca. Non credo che il suo sistema abbia davvero lasciato spazio neppure al suo stesso evolvere.
(Qualche scheda da e su Bion; in Psicoanalisi e crisi delle istituzioni, a cura di Eraldo Cassani e Giuseppe Varchetta, I quaderni di Ariele, Guerini e associati, Milano 1990; pp. 117-125).
Successivamente nel seminario un analista accoglie l’invito a parlare delle proprie difficoltà nel lavoro e racconta di un paziente che dopo due anni d’analisi si ammala di una forma mortale di leucemia, della quale è informato solo in parte.
Per quanto mi riguarda, visto che non ci posso far niente, né la nascita né la morte mi interessano particolarmente; la gente nasce e muore, io stesso sono nato e muoio, sono eventi che non hanno la minima importanza, non sono nemmeno delle malattie. […] …Io posso dire che la sua morte non mi interessa più di quanto mi interessi la sua nascita; ma quel pezzettino piccolo tra nascita e morte, quello sì mi interessa. […] Ora, guardando questo particolare paziente, viene detto che sta morendo. Di nuovo, questo non m’impressiona, perché stiamo tutti morendo, visto che in effetti siamo vivi. Ma mi interessa se la vita e lo spazio che rimangono sono tali che valga la pena di vivere o no. […] …C’è qualche scintilla sulla quale si possa soffiare fino a che diventerà una fiamma, così che la persona possa vivere quella vita che ha, per così dire, nella banca? (Ibidem, pp. 126-127)
Viene in mente la serie di enigmi posti al semidio Yudhìshtira da suo padre, il dio Dhàrma, nel poema induista Mahabharata:
Voce (Dhàrma): - Sono più numerosi i vivi o i morti?
Yudhìshtira: - I vivi. Perché i morti non ci sono più.
Voce (Dhàrma): - Fammi un esempio di spazio.
Yudhìshtira: - Le mie due mani [accostandole]
Voce (Dhàrma): - Un esempio di dolore?
Yudhìshtira: - L'ignoranza.
Voce (Dhàrma): - Di veleno?
Yudhìshtira: - Il desiderio.
Voce (Dhàrma): - Di sconfitta?
Yudhìshtira: - La vittoria.
Voce (Dhàrma): - Chi venne prima, il giorno o la notte?
Yudhìshtira: - Il giorno. Ma con un solo giorno di anticipo.
Voce (Dhàrma): - Qual è l'origine del mondo?
Yudhìshtira: - L'amore
Voce (Dhàrma): - Qual è il tuo opposto?
Yudhìshtira: - Me stesso
Voce (Dhàrma): - Cos'è la follia?
Yudhìshtira: - Una strada dimenticata
Voce (Dhàrma): - E la rivolta? Perché gli uomini si ribellano?
Yudhìshtira: - Per trovare la bellezza, nella vita o nella morte
Voce (Dhàrma): - Per ognuno di noi, cos'è l'inevitabile?
Yudhìshtira: - La felicità.
Voce (Dhàrma): - E il massimo miracolo?
Yudhìshtira: - Ogni giorno, la morte colpisce, e viviamo come se fossimo immortali. Questo è il miracolo più grande.
(Dalla versione filmica del Mahabharata – Peter Brook, 1989, trascrizione nostra)
Bion tornò in Inghilterra poco prima della morte, che avvenne nel 1979 per una forma di leucemia. Dispose che al momento della dispersione delle sue ceneri fossero letti alcuni suoi versi, che ci sembra indichino un’eredità da accogliere fuori dalle chiusure scolastiche alla psicoanalisi come scienza:
Dal momento che non posso più vedere il tuo volto 
e non posso più stringerti la mano, 
io invio la mia anima attraverso il tempo e lo spazio 
per ringraziarti. Tu capirai.
Adalinda Gasparini
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