Un giorno nell’antica Grecia i Sette Savi andarono a Delfi per una gita. Il gran sacerdote approfittò dell’occasione per far scrivere da ognuno di essi sulle mura del tempio, una massima. A Chilone da Sparta non veniva in mente nulla, le frasi migliori, pensava, le avevano già scritte gli altri. Stava per rinunciare quando prima di andarsene butto lì, proprio sul frontone d’ingresso, “Conosci te stesso”(1). Frase che risuonerà fino ad oggi. Solo un organismo animale al mondo è in grado di pensare a se stesso. Di non pensare solo al qui e ora , ma essere il risultato di un passato e una prospettiva di futuro. Prima la Terra era come la Luna; nuda e cruda, senza vita. Poi la vita nacque, ma poteva non essere mai nata. Da pietre, scogli e acqua insensibili, si fece viva la prima molecola, “la chiameremo replicante”(2). Se non fosse apparsa sarebbe rimasta come quasi tutti gli altri pianeti. Un enorme macigno inerte e vagante nello spazio. Ireplicanti rappresentano un particolarissimo e nuovo tipo di materia: la materia sensibile. Figli e specchi della natura vi è in loro una reattività che non esiste nelle pietre, negli scogli e nell’acqua. Che nelle men ti, frutto raffinato dell’evoluzione dei replicanti, si esprime con esperienze e impressioni interne; qualsiasi altra cosa “ ti arriva attraverso di esse”(3) e si esprime attraverso comportamenti. E’la causalità fisica che si esprime, forse, negli organismi viventi come causalità biologica. Macchine biologiche realizzate dalla natura. L’evoluzione può essere immaginata “come un sorprendente processo biologico per la creazione del codice genetico”(4). Una di queste straordinarie macchine sensibili, apparse per caso sulla terra, già che c’era, realizzò un altro miracolo. Con emissioni sonore comunicò i suoi stati interni, designò le cose, si mise d’accordo, si organizzò, imparò a conoscere molto più degli altri. E’ incredibile come la parola, realizzazione del suono che rappresenta un’idea, concretizzandosi e materializzandosi, diventò manufatto: archi, frecce, lame, monili, capanne. Tutte cose in via di miglioramento costante; un’evoluzione delle idee e delle cose. Un’evoluzione interna che riguardava il cervello e la mente e un’evoluzione esterna, che arredava il mondo non di vegetazione e animali ma di costruzioni, opere, suppellettili, strumenti. Man mano che le idee si realizzavano modificavano il mondo, che difatti oggi è completamente trasformato. Forse un marziano che visitasse oggi il pianeta sarebbe più attratto dal luccichio delle grandi città formicolanti di auto, dalle lunghissime autostrade, dai trafori, dai treni, dalla muraglia cinese e dalle piramidi, che dai boschi, fiumi, laghi e animali che stanno quasi per contorno. Questa mente nuova, la mente di un animale diverso, apparso di recente a calcare le scene del mondo, oggi si chiama la ‘coscienza umana’. Se chiedessimo ad un gatto perché insegue il topo ci direbbe di non saperlo di preciso, è una pulsione interna, un istinto, che gli dice ciò che deve fare; ed è, in fondo, un problema che non si è mai posto. L’uomo, quando tradusse i suoi pensieri in parole, si pose il problema della loro origine e, non sapendo cosa fossero gli istinti, ne dedusse che forze esterne comandavano le menti. E diede loro il nome di Dei. In effetti, di forse esterne ancestrali si trattava, ma non avevano probabilmente origine divina. Nasciamo pieni d’istinti, il neonato posato in acqua comincia nuotare e, sollevato, procede con un abbozzo di deambulazione. Il cucciolo di gnu cade a terra appena partorito ma sa che deve mettersi in piedi nel più breve tempo possibile, cercare la madre, succhiare alle sue mammelle e, se isolato, restare tra l’erba alta immobile. La rondine esce dal nido la prima volta e sa già volare, volteggiare, seguire le correnti d’aria e ritornare planando al nido. Anche noi adulti facciamo un sacco di cose con inserito, per così dire, il pilota automatico. Possiamo guidare nel traffico mentre discutiamo animatamente col nostro amico a fianco. Giungiamo a destinazione senza accorgersi nemmeno del percorso fatto. Gli animali possono incedere distrattamente e di colpo svegliare la vigilanza e l’attenzione in seguito ad un rumore improvviso. Questa parte della mente, attenta e concentrata, che analizza il mondo esterno con il pensiero linguistico, è quella che nell’uomo moderno è la sede della coscienza specificamente umana.
TEORIE DELLA COSCIENZA
Se chiediamo a noi stessi cosa significa coscienza, così viva e presente è la sensazione di esserci, che dubbi non ve ne sono. Rivestiti da un involucro di pelle, siamo pieni d’idee, di volizioni e d’emozioni. Anzi per Cartesio è proprio il dubbio la prova essenziale di essere coscienti. Descrivere a parole la coscienza comporta tuttavia parecchi problemi. Qualcuno spiega, si fa per dire, che è mistero, così come la vita. Per altri è un’illusione, anche se necessaria; e chi infine ne tenta una provvisoria esplorazione. La storia di coloro che si sono occupati del problema è lunghissima, forse fin dalla preistoria, percorrendo poi tutta la filosofia. Ma con un balzo arriviamo subito all’oggi.
Forse è da quando Francis Crick, premio Nobel per aver scoperto la struttura del DNA insieme a Watson, rivolse la sua attenzione al problema della coscienza, che nella scienza qualcosa è cambiato. Perché era uno dei riduzionisti più radicali della storia. Almeno questa è l’opinione di uno dei più importanti giornalisti scientifici americani: “Soltanto (lui) poteva fare della coscienza un tema legittimo d’indagine scientifica"(5).
Dovremmo trattare la coscienza come un problema scientifico. Con un approccio di tipo sperimentale, elaborando ipotesi, verificabili o falsificabili. Niente teorie vaghe, vuote e sperimentabili solo a livello della fantasia; solo così si potrà realizzare un effettivo progresso. Benché la metacognizione, l’introspezione e la consapevolezza delle emozioni, ad esempio, siano effettivamente degli aspetti della coscienza, non possediamo sufficienti conoscenze. Di conseguenza, questi processi saranno meglio indagati in futuro. La consapevolezza visiva, ad esempio, è un candidato più promettente. Possiamo fare riferimento ad un’enorme letteratura sulla psicofisica visiva e sulle lesioni in esseri umani e animali. Sappiamo moltissimo sulla neuroanatomia e neurofisiologia del sistema visivo, per lo meno nella scimmia e nel gatto. Fenomeni visivi quali la disparità binoculare, la visione del movimento e della profondità e così via, potrebbero sostenere la ricerca delle differenze neurobiologiche, tra l’essere o meno consapevole, di un animale sveglio e attento.
Un altro premio Nobel, per l'immunologia, Gerald. M. Edelman, presenta la teoria della selezione di gruppi neurali (TSGN). La natura è un luogo in cui animali e vegetali competono per l'accesso a risorse limitate. Si forma così l'ala di una rondine o il piede di un essere umano, senza nessun progetto esplicito. La continua generazione di un’enorme varietà di forme possibili, innesca il processo selettivo che premia e diffonde quella che meglio si adatta. Anche nei cervelli sono presenti raggruppamenti neuronali che svolgono funzioni specifiche, e, ognuno in competizione con gli altri, cerca di imporsi sulla scena. Quello che meglio si adatta alla situazione ambientale è quello che darwinianamente vince. Non c’è un progetto sin dall’inizio. In ogni cervello le regioni sono collegate in mappe e tutti i fenomeni fisiologici, e quelli che ancora si chiamano psicologici, s’integrano. Se quattro musicisti suonano insieme senza spartito, all'inizio c’è solo confusione. Poi lentamente ognuno comincia a prestare ascolto anche alle note prodotte dagli altri strumenti e alla fine esce una musica abbastanza coerente. La coscienza da coerenza ma ha la consistenza volatile ed effimera di una musica improvvisata. L'immagine del mondo che si forma nei singoli cervelli è personale, tuttavia l'individualità è connessa a una rete di scambi, è complessivo pur conservando caratteristiche uniche. “Non è dunque cosa, ma è un modo d'essere del cervello”(6). La coscienza “è’ un processo non un oggetto (…) Il risultato dinamico delle attività distribuite di popolazioni di neuroni in molte aree diverse del cervello”(7). E’privata e sembra continua, eppure è mutevole, ed è anche unitaria e integrata. “ I segnali del mondo non sono organizzati come informazione prima di interagire con il cervello”(8). Continuiamo a descrivere il nostro posto nell’universo con i mezzi della scienza, che ci mette di fronte a realtà crude. Troviamo conforto attraverso gli strumenti dell’arte. Nella realizzazione di entrambi i fini è la coscienza che ci fornisce insieme la libertà e la garanzia.
Igor Aleksander, ingegnere neurale di Londra, crede che sia possibile costruire una mente artificiale capace di coscienza con silicio e reti di circuiti integrati. A quanti credono che la scienza non potrà mai spiegare la natura personale della coscienza, anche quando arriverà alla piena comprensione del funzionamento neurale del cervello, ribadisce: “ Forse stanno ripetendo una vecchia storia della lorocultura, spinti dall'esigenza di provare stima di sé, come nell'antichità vi fu l'esigenza di credere che la Terra fosse al centro dell'universo"(9). Per Paul Churchland, filosofo della California, le capacità della mente umana sono in realtà capacità del cervello umano. Questa semplice assunzione, e il suo implicito rifiuto del concetto cartesiano dell’anima separata dal cervello, è un’ipotesi basata su evidenze attualmente ottenibili dalla fisica, dalla chimica, dalle neuroscienze e dalla biologia evolutiva. I neuroscienziati sarebbero sciocchi a ignorare i dati psicologici, così come gli psicologi sarebbero sciocchi a ignorare in blocco i dati della neurobiologia. Sembra ovvio, per fare un esempio, che certe proprietà del sistema nervoso sono proprietà di rete. Poiché il comportamento neuronale è altamente non lineare, le proprietà della rete non sono mai una semplice somma delle parti. Le capacità di alto livello chiaramente esistono e le descrizioni ad alto livello sono quindi necessarie per specificarle, tuttavia forse dietro a certe parole non vi è niente. Per esempio “ desideri, credenze, intenzioni, valori, passioni, è probabile siano inesistenti”(10). Una volta liberati da questa immagine potremmo considerare i nostri stati mentali, e quelli degli altri esseri umani, in termini completamente nuovi, e cambiare l’interpretazione che spontaneamente diamo anche alla percezione di noi stessi (11). Così come in passato fu eliminato “il flogisto, il calorico e i quattro principi dell’alchimia medioevale” (12). L’uomo diventa cosciente acquisendo il linguaggio; pensare significa elaborare schemi, paradigmi, concezioni, quadri della realtà, visioni, continuamente sottoposte a input esterni. Le reti neurali, fittamente ricorsive, che stiamo sperimentando, sono in grado di immagazzinare schemi diversi e procedere a trasformazioni, cioè predisporre schemi innovativi, adatti a circostanze inattese, risolvere problemi, affrontare situazioni nuove.
Anche secondo John Searle, filosofo americano, la coscienza è un processo biologico che accade nel cervello, ma è anche un processo soggettivo. Stati mentali e stati fisici sono esattamente coincidenti e la differenza tra i due sta solo nei mezzi che impieghiamo per comprenderlo. Ad un livello più basso vi è una descrizione in termini di sinapsi e stimoli neuronali, e in questo la scienza mette a disposizione il suo metodo. Ad un più alto livello la descrizione è in termini di fenomeni, sensazioni, emozioni, ecc. La coscienza è una proprietà di alto livello del cervello nello stesso senso in cui la solidità è una proprietà emergente delle molecole di H2O, quando assumono la struttura del ghiaccio. Il paragone con il computer è sbagliato anche se utile nella simulazione dei processi cerebrali. Tuttavia “ la simulazione degli stati mentali non è uno stato mentale più di quanto la simulazione di un’esplosione è essa stessa un’esplosione “ (13). Immaginate un individuo chiuso in una stanza a cui passino dei simboli cinesi insieme a regole che li fanno corrispondere ad altri simboli, questi però da lui conosciuti. Ebbene può rispondere a domande in cinese, solo che lo fa meccanicamente, accoppiando simboli in entrata con simboli in uscita, secondo le regole che gli hanno insegnato, senza però capire nulla del cinese. Questo è quel che può fare una macchina che calcola, che lavora ma non comprende. E’ ai processi neurofisiologici che bisognerà invece rapportarsi; essi esauriscono l'intera attività cerebrale, “ il problema è dare una spiegazione materialistica completamente soddisfacente della mente che non finisca col negare il fatto che noi siamo intrinsecamente dotati di stati coscienti e di stati intenzionali”(14).
Joseph LeDoux, professore a New York, intende esplorare il problema dove i neuroni quasi si toccano e comunicano, a livello cioè delle sinapsi. Il riduzionismo è spesso considerato in modo dispregiativo da quanti sono estranei alla scienza. “Questo accade in parte perché alle persone piace pensare a se stesse nei termini della propria autoconsapevolezza, e non apprezzano l’idea che il Sé possa esistere a qualche altro livello che non sia quello della consapevolezza conscia” (15). I riduzionisti pensano che ad esempio una poesia debba essere descritta in termini di particelle subatomiche, ma ciò è una paradossale e assurda riduzione della complessità. L’idea che il Sé sia creato e preservato da arrangiamenti di connessioni sinaptiche non ci sminuisce ma fornisce una spiegazione di come sia possibile il pacchetto di protoplasma psico-spirituale e socio-culturale, enormemente complesso, che chiamiamo Sé. Il fatto che tutti gli aspetti del Sé non siano generalmente evidenti simultaneamente, e che aspetti differenti possano anche rivelarsi contraddittori, può dare l’impressione di costituire un problema disperatamente complesso. Tuttavia ciò significa semplicemente che componenti diverse del Sé riflettono il funzionamento di differenti sistemi cerebrali. L’amigdala, una specie di mandorla alla base degli emisferi cerebrali, è una struttura specializzata nelle emozioni. Senza amigdala non si potrebbe nemmeno piangere. Si accorge prima di tutti, come una sentinella, degli eventi e quindi li valuta prima, perché gli input dall’occhio e dall’orecchio la raggiungono direttamente, mentre vanno solo dopo al cervello ‘pensante’, la neocorteccia, per una valutazione più ponderata. Questa valuta solo dopo che ad esempio lo scoppio che abbiamo sentito dietro di noi e che ci ha fatto scattare di lato, era solo un palloncino di un bambino. A volte succede di reazioni e “repertori di risposte che vengono messe in atto senza che ci si renda assolutamente conto del perché si agisca in quel modo”(16). L’amigdala è il sistema della paura ma in origine serviva per avvertire del pericolo, sentire e valutare i suoni. Ricordiamolo: tu sei le tue sinapsi. Tuttavia siamo assai complessi, e, tramite il linguaggio, possiamo autodefinirci ed inventarci. Noi umani ci sentiamo fatti non solo di corpo ma anche del vestito, orologio, auto, casa, famiglia, amici, professione, barca, soldi, successo, prestigio, reputazione, onorabilità, ammirazione, sapienza, potere. Se perdono d’importanza o svaniscono, ci sentiremo abbattuti e tristi, proprio come un animale quando ha una zampa ferita o perso i denti, o altre parti importanti dell’organismo.
Per il fisiologo e biofisico Newyorkese, Rodolfo Llinás Riascos, il cervello è un emulatore della realtà, possiede al suo interno modelli preformati circa il modo di rispondere alle caratteristiche dell’ambiente in cui è prevista la propria esistenza. E’ qualcosa che si è evoluto nel tempo per ‘imitare’ ciò che esiste al di fuori di noi, e costruire una storia. Gli elementi di questa storia esistono prima della nostra nascita, poiché nessuno ci insegna a vedere i colori, né a sentire il dolore o le altre sensazioni. La coscienza è una proprietà intrinseca del cervello, con essa integriamo tutte le sensazioni in un'unica immagine. Esiste in sé. La coscienza quindi, non è un luogo fisico, ma un tempo e una frequenza, che accordano le diverse sensazioni all’unisono tra loro. Ricordiamoci che all'interno del cervello ci sono molti miliardi di neuroni, un numero enorme, eppure il sistema funziona come un singolo evento funzionale: la coscienza. Sono pochi i neuroni di vista, udito o di tatto, la maggior parte dei neuroni del cervello, infatti, non si occupa del mondo esterno. Il sistema nervoso è un sistema chiuso che genera stati oscillatori provenienti dai suoi neuroni, e li sintonizzano. Un’ondata oscillatoria di onde (17)attraversa il cervello e crea l’unificazione temporale, la coscienza è generata intrinsecamente ed è modulata (o contestualizzata) da impulsi sensoriali. Un’onda talamo-corticale, di 40 cicli al secondo, “ coinvolge entrambi gli emisferi e si diffonde dalle aree più profonde alle aree corticali superiori” (18). Il talamo, che si trova al centro del cervello, è il suo fulcro. Esiste una qualche ragione inconfutabile per sostenere che il cervello sia un sistema chiuso? Sì, pensate ad esempio al sogno. C’è un meccanismo che genera immagini; quelle stesse nelle quali noi ci muoviamo quando interagiamo con l'ambiente esterno. Il cervello non solo è un emulatore di una realtà ma cerca di anticiparla e modificarla. Ascoltare il tuo amico che parla dà l’avvio alla tua risposta potenziale di replica, e questo a volte lo fa innervosire perché magari conclude l’intervento in modo diverso da come ci aspettavamo. La coscienza ci permette, a volte, di passare dalle decisioni ‘automatiche’ a quelle ‘scelte appositamente’, di apportare correzioni (19).
Roger Penrose, fisico e matematico di Oxford, è perentorio: i progressi della fisica ci riserveranno in futuro gradite sorprese. L’essenza della nostra mente, e quindi di noi stessi, può essere spiegata da una teoria scientifica che comprenda sia la teoria quantistica sia quella della relatività. Nelle cellule cerebrali possono verificarsi fenomeni quantistici, in particolare in quei tubicini detti microtubuli, che nel loro insieme costituiscono lo scheletro della cellula del neurone. Costituito da una miriade di canali che trasportano materiale dall'interno all'esterno delle cellule. Portano i neurotrasmettitori fino alle sinapsi, il luogo dove due neuroni sono quasi a contatto, e si scambiano sostanze chimiche per trasmettere informazione. La qualità e la forza di una sinapsi può essere cambiata dall'azione dei microtubuli. Dobbiamo riuscire ad immaginare la coscienza come un fenomeno massiccio di coerenza quantistica. Il cervello non funziona come un computer calcolando i dati in arrivo e dando risposte in uscita (come presume la teoria computazionale della mente), per la semplice ragione che vi sono molti aspetti della mente che non computabili.
I computer possono simulare efficacemente certe funzioni di calcolo dell’uomo ma non avranno mai comprensioni umane. Ci vuole un’ampliazione delle frontiere della fisica e delle leggi fondamentali. Quando facciamo della matematica nel nostro cervello accade qualcosa che va oltre la pura e semplice computazione, come quella che avviene all’interno del computer. Il computer, che si basa sulla fisica che conosciamo ora, può venire a capo di ciò che accade in una situazione fisica. Ma se le nostre menti lavorano in un modo che non è computazionale occorre convenire che ci troviamo di fronte a qualcosa di non riducibile alla fisica odierna.
Pertanto “ ci dobbiamo attendere un mutamento profondo, che alteri le fondamenta stesse delle nostre opinioni filosofiche sulla natura della realtà" (20). Forse pensare al nostro cervello in termini di computer complicatissimi, di capacità di calcoli estremamente raffinati ha un senso; forse, raggiungendo un livello d’estrema complessità, i calcoli possono cominciare ad assumere qualità poetiche o soggettive, “è però difficile evitare la spiacevole sensazione che da un tale quadro debba sempre mancare qualcosa” (21).
Steven Rose è professore di biologia di Londra, per lui nessuno dei fondamentali attributi umani, linguaggio, autocoscienza e coscienza sociale è presente, se non in forma rudimentale, negli altri animali e nemmeno nell’essere umano appena nato. La mente è più vasta del cervello.
Non siamo robot più o meno al servizio dei nostri geni ma siamo sistemi aperti, ben lontani dall’equilibrio dinamico. Selezioniamo e trasformiamo continuamente l’ambiente e viceversa. La mente deve essere considerata a diversi livelli: biochimici, psicologi e perfino i romanzieri, possono dare un contributo fondamentale. Nessun livello d’osservazione può considerarsi più importante degli altri. Per ora non siamo in grado di costruire ponti tra parti tanto diverse del sapere umano, eppure si tratta di linguaggi traducibili l'uno nell'altro, almeno in linea teorica. Il cervello è pieno di paradossi. Esso “è allo stesso tempo una struttura fissa ed un insieme di processi dinamici, parzialmente correlati e parzialmente indipendenti” (22). I processi mentali e coscienti sono proprietà evolute, servono per aumentare la possibilità della sopravvivenza umana: non sono scesi dal cielo e nemmeno sono proprietà addizionali prive di funzione, senza potere causale. Le potenzialità della mente devono essere fornite dalla nostra potenzialità evolutiva, dalla sua realizzazione nel corso dei mesi e degli anni della prima infanzia e dalla maturazione sia del cervello sia del corpo. Noi interagiamo con il mondo, con l’insieme di stimoli, di colori, odori, suoni, forme ed eventi che la corporeità percepisce e ai quali il cervello insieme a tutto il corpo cerca di dare un significato unitario e coerente. La coscienza è la percezione che il corpo ha di se stesso. Una coscienza intrisa di emozioni, le quali costituiscono la reazione immediata del corpo agli stimoli che vengono offerti dall’ambiente e dall’intera realtà. Oltre che naturalmente dalla memoria. Se niente in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione, bene, per me il cervello non può essere compreso se non in un contesto storico. La mente di coloro che pensano sia solo una macchina che elabora l’informazione, è in fondo una macchina, astratta, sia pure molto sofisticata. Invece bisogna guardare ai cervelli reali che “ trasformano l’informazione inanimata in vivo significato, dando un senso al mondo che ci circonda” (23).
Andy Clark è professore di Filosofia e Scienze Cognitive nel Regno Unito e rifiuta la classica distinzione tra interno ed esterno. Per lui la mente non può che intendersi come estesa. Estesa fuori dalla scatola cranica a inglobare l'ambiente esterno: è come una sorta d’impalcatura su cui il cervello fa leva per rendere più efficaci i suoi processi di elaborazione. Il problema mente-corpo, in realtà nasconde in sé un terzo elemento: è il problema del rapporto tra mente, corpo e impalcature. Comprendere questo nuovo assetto evolutivo è decisivo per la nostra scienza, per i nostri principi morali e l'immagine di noi stessi, sia come specie che come persone (24). Bisogna superare il modello classico della mente come sistema di elaborazione di simboli e passare alla nuova scienza cognitiva incentrata sull'interazione tra percezione e azione, sulla robotica situata e la vita artificiale, sui sistemi dinamici, sulla tecnologia della cognizione. Il pensiero non è equiparabile a una sorta di calcolo formale (elaborazione di un programma) su simboli interni (rappresentazioni). Mente, corpo e ambiente perdono i loro confini che tradizionalmente li separano e bisogna immaginare un nuovo modello di cognizione nel quale ha senso dire che i nostri pensieri ‘sono in giro’, si realizzano (anche) nel mondo, o grazie al mondo, aldilà di ciò che avviene dentro la nostra testa. Le parole sono ‘attrezzi esterni’ che il bambino semplicemente incontra nel mondo (sono qualcosa in cui egli s’imbatte). Insomma l'ambiente (sociale e fisico) è parte integrante della mente umana. Le tecnologie odierne hanno permesso interventi di ‘ibridazione’ tra corpi e anche tra organico e inorganico: computer con i neuroni tratti dall'embrione di una rana. Ma non è necessario aprire scenari futuri per caratterizzare la natura umana in questo modo: infatti, diversamente dagli altri animali, gli umani siano dei cyborg ‘naturali’. Pensano e ragionano in primo luogo perché le loro menti sono costantemente dispiegate oltre i limiti del loro cervello. È alla profonda unità di mente, corpo e ambiente che occorre dunque prestare attenzione per comprendere sino in fondo quali siano i tratti pertinenti della natura umana. E oggi evidente la “tendenza generale dei ragionatori umani a dipendere pesantemente dal supporto ambientale” (25). Quando si guarda al tema in questo modo, diventa davvero difficile stabilire dove la persona finisce e dove ha inizio il mondo. Siamo portati a sperimentare i diversi artefatti, quali un bastone per ciechi, un bastone da passeggio, una bicicletta o una racchetta da tennis, come parti inseparabili di noi stessi. Il sistema che chiamiamo mente è in realtà molto più ampio di quello che chiamiamo cervello.
Vilayanur S. Rachamandran, professore di neuroscienze e psicologia a San Diego, California, afferma che tra i 75.000 e i 50.000 anni fa, apparvero sul pianeta, per opera di un essere vivente, cospicue novità. Utensili, strumenti, ornamenti, capanne, riti, opere d’arte, feste, accensione del fuoco, coltivazioni. Opera di una mente nuova capace di imitare e di parlare. L’uomo ha creato la cultura e ora il suo cervello è inestricabilmente legato all’humus culturale in cui è immerso. Se fossimo allevati in una caverna dai lupi o in un ambiente del tutto privo di cultura, saremmo a malapena umani.
La storia umana tuttavia non è stata miracolosa. Studiando i disturbi mentali e ponendosi le domande giuste i neuroscienziati possono cominciare a rispondere ad alcuni degli interrogativi più pregnanti, che fino a ieri si ponevano solo i filosofi, sulla mente e sul cervello. Noi “ siamo del tutto inconsapevoli della stragrande maggioranza degli eventi in atto nel cervello” (26). Una donna all’apparenza normale soffriva di un unico bizzarro disturbo, ogni tanto la mano sinistra le afferrava la gola cercando di strangolarla mentre con la destra si difendeva cercando di tenerla a bada. Per una lesione al corpo calloso, il ponte che unisce i due emisferi simmetrici del cervello, antiche tendenze suicide del destro che controlla la mano sinistra, non più tenute a freno dal sinistro, erano libere d’attuare l’insano proposito. Con l’altro invece la donna cercava di salvarsi (27). Questa è una dimostrazione clinica che quel che chiamiamo coscienza non è per niente un’entità unitaria, bensì un insieme di cose.
Vi è una malattia che si chiama anosognosia (negazione di malattia) in cui chi ne è affetto, di solito chi ha un ictus nell’emisfero destro del cervello (ma non nel sinistro), nega la paralisi e dice che la mano è immobile perché non ha voglia di muoverla o ha l’artrite o inventa altre scuse. Questo perché l’emisfero sinistro ha il compito di rimanere sempre coerente con il comportamento e fornire spiegazioni, e quando invece si presenta un’informazione incompatibile con il sistema di convinzioni, la rifiuta e accampa le più bizzarre giustificazioni (28).
L’evoluzione ha costituito una ‘rappresentazione superiore’, una ‘metarappresentazione’ di noi stessi; una sorta di omino, un homunculus, che coinciderebbe con quello di cui invece si fanno tanto gioco i filosofi. Con questa metarappresentazione solo gli essere umani oltre ad avere le sensazioni qualitative di paura, piacere, benessere, terrore, serenità, inquietudine, hanno la coscienza di averle e possono perfino manipolarle. Un sistema particolare di neuroni capace di creare modelli interni di azione, mentre si guardano le azioni d’altri, sta alla base dell’imitazione. E’ il sistema dei neuroni specchio, scoperti da Rizzolatti e i suoi, e da lui ben descritto (29).
Questo sistema può essere divenuto circa cinquemila anni fa, così sofisticato, da determinare l’evoluzione esplosiva della capacità d’imitare (la costruzione di strumenti?) e che questo poi forse ha condotto ad una caratteristica squisitamente umana: la trasmissione culturale delle informazioni.
Jean-Pierre Changeux che è professore di neuroscienze al Collège de France guarda al cervello come ad un apparato di verità. Gli esseri umani sono gli unici animali che sentono di essere come entità separate dal corpo. Quale prodotto dell’evoluzione biologica per selezione naturale e “quali che siano l’etnia, il clima o l’ambiente, l’autorità dei geni assicura l’unità del cervello umano in seno alla specie”(30). Il cervello si comporta naturalmente come un sistema autonomo che proietta in permanenza informazione verso il mondo esterno, invece che riceverne passivamente gli influssi. “L’attività intrinseca spontanea del cervello è una delle sue principali componenti. Essa si manifesta attraverso potenziali d’azione prodotti spontaneamente dalle cellule nervose” (31). Ha scremato al suo interno, attraverso centomila generazioni di sapiens, rappresentazioni del mondo esterno sempre più efficaci e vantaggiose per l’individuo e per la specie.
Michael Gazzaniga, neuroscienziato, presidente dell’American Psycological Society, afferma che durante gli esperimenti su soggetti con i due emisferi cerebrali divisi e resi indipendenti (ovviamente per curarli da gravi malattie, specie dall’epilessia) si possono verificare diversi fenomeni di dissociazione, come se esistessero due flussi di coscienza separati l’uno dall’altro. Rappresentazioni trasmesse e affinate sia per via genetica (dalla precedente generazione) sia per via epigenetica (durante lo sviluppo del singolo individuo), come ad esempio il linguaggio e la matematica. Non bisogna guardare alla natura della materia di cui il cervello è fatto ma alla sua organizzazione. Il cervello produce conoscenze perché riesce a rispondere adattativamente alle novità ambientali. Il nostro sistema nervoso costruisce spontaneamente fin dall’inizio delle pre-rappresentazioni. Queste consistono in repertori d’attività neurali che prefigurano delle potenzialità cognitive (provano con i pensieri delle azioni), da mettere alla prova dell'esperienza e poi selezionare le migliori. Una sorta di giochi cognitivi. Su questo modello selezionistico o darwiniano, si possono allora definirne i correlati fisiologici e i problemi dell'origine evolutiva e delle basi neurobiologiche della memoria e dell'apprendimento, della coscienza individuale e sociale, del linguaggio, della morale e della cultura. In uno spazio di lavoro interno confluiscono, e vengono integrati e valutati, i dati elaborati selettivamente dai sistemi percettivi, mnestici, motori, attenzionali e di ricompensa. Con l'emergere e lo sviluppo del linguaggio il cervello è andato al di là dei giochi cognitivi mentali, creando le condizioni per una verifica non più solo individuale ma anche interpersonale e sociale della validità delle conoscenze. Inoltre la mediazione comunicativa ha prodotto l'emergere di regole esterne selezionate culturalmente, in grado di organizzare e potenziare l'efficacia cognitiva d’operazioni innate, come quelle ad esempio del calcolo. L’acquisizione del linguaggio nei primi mesi avviene non per accumulazione di dati ma al contrario per una ‘restrizione progressiva’ della relazione suono-senso (setacciata sull’intonazione e ritmo delle parole dei genitori in un mare sonoro immenso e indifferenziato). Il delinearsi dell’identità è appunto una selezione nella tempesta neuronale del bambino (due milioni di sinapsi al minuto), apprendere significa allora, in questo senso, soprattutto eliminare.
In una persona normale il cervello è uno perché i due emisferi comunicano attraverso un ponte detto corpo calloso. Se l’emisfero destro vede ad esempio un cucchiaio, passa il messaggio al sinistro che essendo dotato dei centri del linguaggio, può denominarlo. Se i collegamenti sono interrotti vede il cucchiaio ma non sa chiamarlo; anche se l’emisfero non linguistico destro non ha problemi nella percezione del cucchiaio (32). L’emisfero sinistro contiene l’interprete, il cui compito consiste appunto nell’interpretare il comportamento e le risposte cognitive ed emotive. Di costruire una storia continua delle nostre azioni, delle nostre emozioni, dei nostri pensieri e dei nostri sogni. Esso fornisce, tra l’altro, al nostro bagaglio d’istinti individuali l’illusione che siamo qualcosa di diverso. Lascia che l’emisfero destro sogni, viva allucinazioni e stati alternativi di coscienza, crei metafore e miti, accolga ispirazioni musicali o letterarie. Tuttavia nulla di tutto ciò raggiungerà la soglia del cosciente se il censore digitale (l’interprete) rinverrà un alto tasso di irrazionalità nel contenuto. Sembra proprio esistere un meccanismo nella mente dell’uomo, più precisamente in questa parte digitale, che si sente in qualche modo obbligato a giustificare il perché della nostra condotta, costruendo delle vere e proprie teorie circa il suo significato. Sempre pronto a scattare in maniera del tutto automatica ogni volta che facciamo qualcosa, sempre attento a giustificare quanto fatto, lasciando rientrare il comportamento in una logica più accettabile. Nei test sulla memoria si è visto che l’emisfero destro tende ad essere veritiero mentre il sinistro genera spesso resoconti falsi, se servono ad essere coerenti e calzano con le convinzioni. Crea le differenze, scarta e accoglie in funzione della sua univoca logica. Tutto il resto cade nella sfera del non detto, nel regno dell’emisfero silente. L’interprete ci crea un’autobiografia. Gli animali non hanno una biografia, "la biografia è una creazione della mente. L'autobiografia è inevitabilmente un'invenzione” (33).
Daniel Clement Dennett, filosofo americano, ritiene che noi siamo dei computer organici. La coscienza è un’esperienza interiore ineffabile, a sé stante rispetto al flusso indistinto di percezioni personali. Non sapremo mai se i gerani sul balcone del vicino procurano a lui la stessa sensazione di rosso che hanno per noi. Dobbiamo convincerci che “le nostre menti sono semplicemente quello che i nostri cervelli fanno” (34). Per capire l’architettura della mente occore usare un metodo ‘ l’ingegneria inversa’, una specie di tecnica chee parte dai problemi adattativi dei nostri antenati e cerca di dedurre gli adattamenti psicologici che si sarebbero evoluti per risolverli. Non ci sono dentro di noi essenze magiche, spiriti, fantasmi, siamo animali come gli altri. La maggior parte delle cellule del nostro corpo discende dalla cellula uovo e dallo spermatozoo la cui unione ha dato inizio alla nostra vita e, per dirla francamente, nessuna di loro sa niente di noi. Non pensano a nulla, solo a creare energia, metabolismo, crescita, respirazione, trasporto dell’ossigeno, alla relazione con il mondo, ecc. Ogni cellula svolge il suo compito e, tutt’insieme, fanno il vostro essere, con sensibilità e razionalità compresa.
Non c’è neppure alcun quartier generale che sovrintende a tutto. Nessun capo, supervisore consapevole e necessario. Non c’è un teatro dove si mette in scena quel che la coscienza deve vedere e deve sapere, è stata l’evoluzione dell’insieme armonico del corpo che ci ha reso un’unità. Siamo in realtà fatti di sottoinsiemi, moduli, pezzettini, scomparti, distinti e con una certa autonomia. Tutti caricati con dosi di conoscenza parziale via via sempre più elementare e che interagiscono fra loro per realizzare il compito complessivo. Sempre più piccoli e più semplici fino al neurone, e a quel punto sono stati, per così dire, ‘scaricati ‘ (35).
Leibiniz sfidò la nostra immaginazione con una vivida pompa d’intuizione, c’invitò ad entrare in un mulino e a notare che non c’è niente di speciale; solo ‘pezzi che si spingono a vicenda’. Un antenato straordinario di tutte le stanze cinesi (36), come quella descritta da Searle.
Alla gente non piace molto sentire dire che siamo soltanto delle macchine, ma questo è causato dal fatto che essi si riferiscono ad un’idea di macchina troppo semplicistica. Certo siamo macchine capaci di dire: io ho un cervello, ma "il guaio con i cervelli è che, quando ci guardi dentro, scopri che non c’è nessuno in casa." (37). Un robot opportunamente programmato, con un cervello costitutito da un calcolatore a base di silicio, sarebbe cosciente, avrebbe un sé. Raccontiamo storie con le idee. Le menti sono piene d’idee. Da una parte sono ricettacoli e dall’altra trasmettitori di idee che si replicano e che si riproducono da cervello in cervello. Idee che si replicano ed evolvono. Intuizione suggerita da Richard Dawkins nel suo Il gene egoista, nel quale ha introdotto l’idea dei memi, analoghi ai geni. “Essi sono quasi come dei virus che replicano le idee. Le leggi della selezione naturale valgono anche qui (...) Anche se la Bibbia non è il vostro libro preferito, non si può negare che essa è sicuramente il testo più replicato al mondo. Questo per via delle idee che vi sono contenute” (38).
Il sé è un’utile finzione, tanti folletti (stati mentali) in competizione cercano di farsi strada, di aver maggior peso politico, successo e fama; quelli che vincono si aggiudicano le risposte motorie, comprese quelle verbali. Ci sono molteplici versioni che possono risultare e io sono colui che verbalizza la successione del processo; di quella provvisoria e di quella che infine è dominante. Bisogna estirpare il dominio del soprannaturale dalle menti: la coscienza è un’utile illusione.
Richard Dawkins è professore a Oxoford e la prende da lontano: le cellule uovo e gli spermatozoi provengono dai cromosomi e dai geni, a loro volta prodotti dai primi esseri replicanti apparsi sulla Terra, nel brodo primordiale. Stampini che formano un genere di negativo quasi identico all’originale. Gli equivalenti moderni sono le molecole di DNA dei geni. I geni tengono a fare sempre i loro interessi, vale a dire a riprodursi; per forza, altrimenti scomparirebbero per sempre (geni egoisti). Siamo macchine ed è proprio tramite noi, che li trasferiamo in continuazione in nuove macchine, che loro vanno sempre avanti, cercando l'eterno. Sono i veri immortali. Una catena d’organismi, uno dietro all’altro, tutti noi serviamo solo a trasportare i geni. Siamo le loro macchine per la sopravvivenza.
Non ce ne rendiamo conto. Siamo tutti animali, ma in uno di questi animali si creò casualmente il linguaggio e s’andò formando un nuovo brodo di coltura: la cultura umana. Il nuovo replicante, il meme, è l’unità di trasmissione culturale, come il gene è quello di trasmissione biologica. Costituito da idee, modi di dire, tecniche di fabbricazione di vasi o d’archi, insomma qualunque cosa si replichi e venga trasmessa da cervello in cervello attraverso qualsiasi mezzo di copiatura disponibile, è un meme. Il gene e il meme sono due diversi tipi di replicanti ma l’evoluzione memetica rispetto alla genetica è di gran lunga più veloce.
L’uomo è l’animale per eccellenza che copia. Infatti ”fra i gruppi tribali sopravvissuti, la fabbricazione d’arnesi di pietra, la tessitura, le tecniche di pesca, la costruzione di tetti di paglia, fucinatura e l’arte di accendere il fuoco o cucinare, sono state tutte apprese per imitazione” (39).
Infine siamo giunti a tutto ciò che d’artificiale oggi ci circonda. Proprio come l'evoluzione dei geni ha creato tutto ciò che di naturale sta intorno a noi. Il replicatore, qualunque aspetto esso prenda, è la vera unità di selezione. I geni controllano il comportamento animale fatto di credenze e di desideri, da forme di calcolo o di computazione, immagazzinate nel cervello con le stesse modalità con cui l’informazione è immagazzinata in qualsiasi porzione di materia. I desideri sono gli scopi come gli obiettivi dei programmi d’intelligenza artificiale. La mente dunque compie dei calcoli riconducibili alla sottostante attività neurofisiologica. La macchina dei memi, la mente umana, è un’altra cosa, ha una cosa che nessun' altra macchina biologica o artificiale può avere. “Abbiamo il potere di andare contro i nostri geni (…) qualcosa che non è mai esistito nell’intera storia del mondo (40).
Per Steven Pinker, psicologo di Harvard, i vari problemi dei nostri antenati erano sottocompiti di un unico grande problema dei loro geni: massimizzare il numero di copie capaci di giungere alla generazione successiva (41).
La mente è costituita da una serie di moduli, ognuno dotato di una specializzazione che ne fa un esperto in un singolo terreno d’interazione con il mondo, modellato per selezione naturale e specificato dal programma genetico. In ogni modulo vi è sedimentata l’intelligenza dell’intera filogenesi.
Pensare è calcolare, è una sorta di computazione. Non esiste alcuna anima immateriale che manovri le leve del nostro comportamento, la mente è ciò che il cervello fa, elaborando l’informazione. Se telefono a mia madre in un’altra città, il messaggio rimane uguale, parte dalle mie labbra e arriva alle sue orecchie passando attraverso la vibrazione dell’aria, l’elettricità del filo, cariche di silicio, luce guizzante, cavi a fibre ottiche, onde elettromagnetiche, cascate di neuromodulatori e sostanze chimiche nella sua testa; e lei lo ripete intatto a mio padre seduto sul lato opposto del divano. Allo stesso modo un dato programma può correre su computer fatti di tubi a vuoto, commutatori, elettromagneti, transistor, circuiti integrati o piccioni viaggiatori con alla fine gli stessi risultati. Tale intuizione espressa per la prima volta dal matematico A.Turing è detta ora teoria computazionale della mente, una delle grandi idee della storia della cultura perché risolve uno degli enigmi che costituiscono il problema di come connettere il mondo immateriale con quello materiale, e com’è che il mio pensiero si traduce in movimento.
Un elemento che ha reso insoliti gli esseri umani è che noi siamo entrati in una nicchia cognitiva, abbiamo cioè partecipato alla naturale corsa agli armamenti non in termini evoluzionistici ma utilizzando il ragionamento di tipo causa-effetto e interiorizzando modelli di funzionamento della realtà, il che ci ha permesso di manipolare il mondo a nostro vantaggio. Il linguaggio è un modo per trasmettere informazioni strutturate e possiede la proprietà cruciale dell’informazione: può essere duplicata senza essere persa (42).
Jerry Fodor, filosofo alla Rutgers Univerity è convinto che la psicologia del senso comune sia letteralmente vera e che tutto ciò che noi pensiamo sulla nostra mente accade realmente proprio come immaginiamo che accada. Nelle nostre teste ci sono veramente le intenzioni, con un contenuto e che sono la causa di quel che facciamo come in realtà noi tutti pensiamo che facciano. La scienza non deve far altro che spiegare come tutto ciò accade. La CTM, la teoria computazionale della mente, presenta forti analogie con il funzionamento del computer. Entrano gli stimoli da una parte, dati d’informazione sottoforma di input, vengono processati ed elaborati, ed escono come risposte dall’altra. Tuttavia ”esistono aspetti mentali superiori nei confronti dei quali l’attuale armamentario di modelli, teorie e tecniche sperimentali computazionali non offre praticamente alcuna comprensione”(43).
Turing ha dimostrato che una macchina dotata di semplici operazioni può operare in infinite combinazioni, se dotata di un’organizzazione sintattica molto semplice e può produrre risultati straordinariamente complessi, una sorta di pensiero computazionale. La mente è modulare ma solo in periferia. Il processo dell’evoluzione ha fornito di tanti settori specializzati, che sanno benissimo fare quello che fanno e sono ignoranti su tutto il resto. Sono incapsulati all’informazione, chiusi nel loro compito e impegnati a svolgere esclusivamente il loro mestiere; altri compiti darebbero solo fastidio. Come minicomputer analizzano gli input in entrata e forniscono risposte in uscita; vi sono quelli perfettamente automatici ad esempio il riflesso d’ammiccamento e quelli un po’meno, quello della deambulazione. Tutti però calcolano quello che è di loro competenza con i limiti e le capacità proprie disinteressando d’altro; ed è proprio questa specializzazione che li rende così efficienti. Insomma la mente si rappresenta il mondo con la sua a razionalità e lo fa tramite le sue capacità sintattiche e il modo concreto per farlo lo ha suggerito Turing.
Basta dare le istruzioni idonee e la macchina può fare cose simili a un pensiero. Pertanto anche la macchina della mente, manipola questi stati mentali rappresentanti stati del mondo tramite un suo linguaggio del pensiero o mentalese. Ciò da conto della nostra capacità di produrre ed afferrare un numero infinito di pensieri a partire da una collezione finita di concetti. A questo livello però i moduli non ci bastano più, la cognizione globale è diversa.
“Alla fine ha bisogno di integrare il risultato di tutte queste computazioni modulari, e non vedo come potremmo avere un modulo per fare questo” (44). L’evoluzione ha aperto la strada ai processi dei sistemi centrali, mettendo in atto una sostanziale demodularizzazione, perciò il grado di conferma assegnato ad una data ipotesi è sensibile alle proprietà dell’intero sistema di credenze. Noi rispecchiamo il mondo e “il mondo è un sistema causale connesso e noi non conosciamo come le connessioni sono arrangiate” (45).
Il destino non è certo determinato dai geni, la mente non è un computer e noi non la comprendiamo per niente; la coscienza “non rappresenta solo un problema ma un mistero” (46).
Antonio Damasio, neurologo dell’Iowa, ipotizza che la coscienza emerga dalle “zone di convergenza“, aree del cervello situate in vari posti; “con tutta probabilità alcune sono situate nella corteccia di rivestimento del cervello e altre nei nuclei in zone sotto corticali” (47). Gli organismi superiori hanno bisogno di un livello mentale di integrazione maggiore dei microbi. Le immagini mentali di cui noi, e gli animali superiori, facciamo esperienza consentirebbero una facilità di manipolazione dell'informazione e quindi di comprensione in un mondo complesso. ” Senza le immagini mentali, l'organismo non sarebbe in grado di eseguire un'integrazione tempestiva e su larga scala dell'informazione essenziale alla sua sopravvivenza” (48).
La coscienza fornisce il senso del sé, di esistenza, che introduce, nel livello di elaborazione mentale, l’idea che tutte le attività correnti rappresentate nel cervello e nella mente siano attinenti al suo singolo organismo. Emozione e ragione non sono domini separati, basta pensare come gli estremi dell’ansia e della rabbia da una parte, e della tristezza dall’altra, riducono significamene l’efficacia dell’attività mentale: quando siamo tristi generiamo meno pensieri. (49).
Distinguo la coscienza nucleare dalla coscienza estesa, ma all’inizio vi è solo un proto-sé, dato dall'insieme delle funzioni somatiche, che mantengono in vita il corpo. Poi impariamo a riconoscerci come parte separata dal mondo esterno. Dalla coscienza nucleare emerge quello che chiama sé nucleare che rende consapevoli e di esistere, qui ed ora. In quelli che hanno perso del tutto la memoria ad esempio permane solo questo sé, e con quello ci si può gestire solo istante per istante.
Dalla coscienza estesa invece si forma il sé autobiografico che da conto della nostra esistenza, ci rende protagonisti della nostra vita. Ci garantisce d’essere oggi la persona che eravamo ieri, e quello che sarà anche domani. Questo livello della coscienza richiede il linguaggio perché solo attraverso di esso possiamo formare quella storia, la nostra storia, in cui prendono posto i ricordi, le speranze, i rimpianti e così via.
Immaginate dei musicisti che suonano senza spartito, ebbene tu sei la musica mentre la musica suona: cioè non sei tu che ascolti la musica, che era l'ipotesi di Cartesio, l'homunculus che stava a guardare. Tu sei la musica mentre la musica suona, ciascuno di noi è l'insieme delle strutture e dei funzionamenti cerebrali che la storia personale di ciascuno di noi, storia genetica e interazione ambientale, ha costruito.
Noam Chomsky è stato il primo a porre in modo chiaro l’idea che un bambino non può apprendere il linguaggio così facilmente solo ascoltando parlare gli altri. Le scimmie ascoltando parlare l’uomo non imparano a parlare. E questo rivela ancor più chiaramente la misura con cui il linguaggio umano sembra essere un fenomeno unico, senza significative analogie nel mondo animale. Lungi dall’essere acquisito nel corso dello sviluppo, il linguaggio dipende da un innato modulo grammaticale, che come una sorta d’organo mentale, assicura che tutte le lingue umane siano costruite in base ad una grammatica universale, che costituisce l’insieme di regole linguistiche che si presumono installate e cablate nel cervello umano. Con il programma di grammatica generativa (la capacità di tutti i cervelli umani, di generare un linguaggio interno) si cerca di definire proprio i principi e i modi di computazione usati dal cervello nell’esprimere pensieri, in quel modo fantasticamente illimitato. La facoltà di linguaggio, non è un’isola nella testa, “ è incassata entro la più ampia architettura della mente (o del cervello), e interagisce con altri sistemi, che impongono condizioni che la facoltà di linguaggio deve soddisfare per essere usata con successo” (50).
L’umanità è un fenomeno unico, non si è giunti all’uomo per gradi ma l’evoluzione ha compiuto un salto, il che non significa certo una magia, tuttavia si tratta di un balzo che ha formato un essere di qualità diversa. “Mi pare inconsistente la concezione che il linguaggio umano è semplicemente un caso più complesso di qualcosa che deve essere reperito altrove nel mondo animale” (51). Non c’è nulla di simile in quel mondo.
Merlin Donald è convinto che si siano conservati nell’architettura cerebrale umana anche gli adattamenti precedenti come vestigia cognitive, perciò il cervello umano non parte da zero, non è una tabula rasa. Ha evoluto però nuovi sistemi di rappresentazione della realtà, non solo un linguaggio. Le menti umane sono ibride, si sono cioè formate da ”una combinazione altamente plastica di tutti i precedenti elementi dell’evoluzione cognitiva umana” (52).
Il cervello, la cognizione e la cultura degli esseri umani si sono evoluti insieme attraverso tre transizioni: l’abilità mimetica, l’invenzione delle parole e il superamento della memoria biologica con l’arte simbolica e la scrittura. Quando s’inventarono le parole scritte si cominciò a registrare pensieri e ragionamenti, speculazioni, idee parziali, argomenti pro e contro, si registrò il primo fondamentale passo verso un reale progresso della conoscenza. Cominciò a crescere una sorta di memoria esterna. I prodotti di questa vasta cultura esteriorizzata sono divenuti gradualmente disponibili per un numero crescente di persone, il cui unico limite è la propria capacità di copiarli. La mente umana è diversa da qualsiasi altra cosa su questo pianeta non grazie alla sua biologia, che non è qualitativamente unica, ma grazie alla sua abilità di assimilare e generare cultura (53).
Terrence W. Deacon puntualizza che il linguaggio si evolve per adattarsi ai meccanismi cerebrali preesistenti, e il cervello si evolve per adeguarsi a queste nuove potenzialità linguistiche. Immaginiamo che una qualche mutazione genetica abbia prodotto, prima dell'esplosione della capacità linguistiche che caratterizzano la specie Homo sapiens, un cervello con una maggiore capacità associativa capace di gestire un maggior numero di associazioni fra segni e oggetti (associazioni che sono presenti in un gran numero di specie di animali non umane, si pensi al linguaggio delle api). Un numero talmente maggiore che ora un segno non è più soltanto in relazione con l'oggetto corrispondente, ma con altri segni. Questo significa, ad esempio, che diventa possibile pensare ad un oggetto da punti di vista diversi, non soltanto mediante il segno che lo indica (come sa fare anche un'ape), ma anche e soprattutto sfruttando la rete di altri segni con cui è in relazione (come l'ape non sa fare). Questa è la ‘competenza simbolica’ dell’animale uomo; a questo punto si attiva il processo di coevoluzione che porta, sfruttando le potenzialità combinatorie alla formazione delle lingue.
Il linguaggio è inseparabile dalla cultura è inseparabile dal riconoscere gli altri come propri simili con cui quindi poter comunicare. La nostra è l’unica specie simbolica.
“Gran parte di ciò che determina la struttura del cervello umano, era bagaglio accumulato nel percorso accidentato che precedette l’evoluzione della comunicazione simbolica” (54). Così, in un processo di coevoluzione durato migliaia di anni, le lingue sono diventate via via più adatte al nostro cervello, e viceversa. La stessa diffusione del linguaggio e della comunicazione simbolica rappresenta una pressione selettiva per quelle aree del cervello (le regioni di Broca e Wernicke, i lobi frontali) necessari ad articolarlo ed interpretarlo, quindi l’evoluzione culturale associata alla grande espansione dei cervelli ominidi. Il linguaggio e la rappresentazione simbolica si sviluppano di pari passo con la cultura e l’organizzazione sociale, come il modo più efficiente per garantire la comprensione tra i membri di un medesimo gruppo.
Nicolas Humphrey, professore di psicologia londinese, al razionalismo cartesiano, al ‘Penso dunque sono’, preferisce il suo ‘Sento dunque sono’. La coscienza si identifica con le sensazioni. Con quello che in inglese si chiama il feeling, il sentire, piuttosto che con le forme più alte dell’attività mentale. Occorre una nuova indagine sul ruolo giocato dalle sensazioni nella costruzione della mente, e su quel tipo così particolare di percezione del Sé. Le sensazioni non sono cose che accadono, come sembra a prima vista, bensì cose che facciamo. L'intelligenza artificiale, s’interessa come si elaborano i pensieri, si prendono le decisioni, si ritrovano le memorie e si formulano verbalmente. La sensazione non lascerebbe grandi tracce nella memoria; il gusto del formaggio o il sapore del vino ad esempio non sono cose interessanti. Invece sono proprio le sensazioni più elementari che costituiscono quel fenomeno globale chiamato coscienza. Ed il modo in cui sono vissute e percepite dalle persone e identificate come proprie. Un computer non può provare sensazioni, pertanto come potrà mai avere una forma di coscienza? Pensiamo di essere qualcosa di più del nostro nudo corpo, abbiamo un Sé, che sembra “abitare un diverso universo di essere spirituale” (55). La sensazione cosciente soggettiva (per esempio di un colore) va distinta dalla percezione oggettiva (che può essere del tutto inconscia) e che è utile e che ci serve per funzionare adeguatamente nel mondo. Quella soggettiva è una nostra produzione autonoma, destinata a dare maggior valore alla nostra esistenza, a costruirci un Sé con cui valga la pena d’identificarsi. Ci sono patologie che lo dimostrano, ad esempio le agnosie (mancanza di conoscenza settoriale) con sensazione intatta ma percezione compromessa; sentono il nome riferito ma non cosa significa. Nella visione cieca è compromessa la sensazione ma la percezione è parzialmente presente: il soggetto si giudica cieco ma in realtà riesce troppo spesso a riconoscere gli oggetti indicati per essere un caso. Ho dedicato allo studio di Helen, una scimmia cieca, sette anni di addestramento. Bene, dopo questo tempo “ non ci si accorgeva più della cecità di Helen, che sembrava assolutamente normale: poteva girare correndo intorno ad una stanza, evitare ostacoli, trovare noci o frutti deposti sul pavimento. Aveva persino una visione tridimensionale, perché riusciva a catturare le mosche. Eppure le mancava completamente la corteccia visiva, cioè l'apparato cerebrale considerato necessario per la vista” (56). Un mio collaboratore (57) riuscì poi a trovare le stesse capacità in persone cieche da danni neurologici alla corteccia visiva, convinte della propria cecità, assolutamente certe di non vedere. In realtà avevano una visione priva di coscienza. Sapevano cioè sia indicare la fonte di una sorgente luminosa, senza essere coscienti della percezione. La sensazione di possedere una coscienza ovviamente non è campata per aria. Abbiamo quello che chiamo occhio della mente: una proprietà esclusiva della mente stessa che consente al cervello di osservare se stesso al lavoro. Questa abilità, presumo temporanemente sospesa nei sonnambuli ed assente negli individui con certi tipi di danni cerebrali, permette lo sguardo interiore. Acquisiamo un’identità costante nel presente esteso in cui scorre il tempo della coscienza. Il soggetto si rende conto della propria esperienza, decide le proprie azioni, lo sa e ne è fiero. Gli uomini sono gli esseri più intelligenti, credo che “ il ruolo primario dell’intelligenza creativa sia di mantenere insieme la società” (58), tuttavia con la coscienza della propria soggettività, acquistano un nuovo interesse nella propria sopravvivenza individuale. Inoltre cominciano ad attribuire un valore anche al Sé degli altri individui, cosa che non esiste negli altri animali. La coscienza conta proprio perché a contare è il suo scopo.
Tra le varie teorie sulla coscienza, dice Di Francesco, vi è un punto di discriminazione: la certezza soggettiva che ne ha ognuno di noi e la poca importanza viceversa che le attribuisce la scienza, fenomeni mentali quali l’identità narrativa o l’autoascrizione linguistica di contenuti ad esempio, “non sono individuati in termini di attività neuronale” (59).
Rimanendo così in un’area di nessuno, preda, oggi molto meno che in passato, di astrologi, santoni, teologi, artisti e chiromanti. Si potrebbe dividere la mente, grosso modo, in due parti (60), una che ‘guarda’ il mondo esterno (come fanno gli animali) esplorabile oggettivamente con le armi della scienza. E una che ‘guarda’ il proprio interno (essenzialmente umana): la coscienza; indagabile per la sua funzionalità dalla scienza ma rimanendone fuori circa il contenuto, “una danza dei simboli aal’interno del cranio” (61). Due facce della stessa medaglia certo, ma profondamente diverse.
BIBLIOGRAFIA
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