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La malattia e lo stress, di Guglielmo Campione











"La completa libertà dallo stress è la morte.
Contrariamente a quanto si pensa di solito, noi non dobbiamo, ed in realtà non possiamo, evitare lo stress, ma possiamo andargli incontro in modo efficace traendone vantaggio, imparando di più sui suoi meccanismi, ed adattando ad esso la nostra filosofia dell’esistenza …”

Selye H. “The evolution of the stress concept”,
American Scientist, 1973, 61, 692 - 699




La conoscenza dei meccanismi psicobiologici attraverso i quali è possibile adeguarsi ai mutamenti ambientali rappresenta una base indispensabile per comprendere i più complessi meccanismi di reazione psichica generale all’evento malattia .


L’importante non è, come comunemente si pensa, evitare lo stress ma saperlo gestire (la cosiddetta capacità di “coping“ o adattamento). Il vero problema sta invece nel cosiddetto “distress”, l’incapacità di adeguarsi alle novità della vita, di affrontare l’elemento stressante, di gestirlo, elaborarlo, trasformandolo a proprio vantaggio. Questo concetto deve poter far parte della nostra cultura operativa quotidiana di base, è un sapere che riguarda tutti.


L’incapacità di affrontare questi eventi lasciando che essi persistano nell’ambiente è la causa di una cronica stimolazione del nostro sistema nervoso e immunitario che può avere gravi conseguenze sul piano della salute psicofisica.


Il cosiddetto stress è uno stato di tensione e di resistenza che l’individuo oppone a stimoli esterni o interni ad essa: stimoli fisici (caldo, freddo), chimici (inquinamento ed uso di sostanze stupefacenti), biologici (batteri, virus, parassiti, ecc.) e stimoli psicosociali − l’ambiente socioculturale in cui si vive con le sue continue stimolazione, i suoi miti.


Questa reazione d’allarme, questo stato di tensione di fronte ad una stimolazione in grado di modificare il nostro equilibrio complessivo, coinvolge il sistema nervoso, il sistema immunitario, il sistema ormonale ed è finalizzato alla neutralizzazione dello stimolo e al ripristino dello stato di equilibrio.


Il termine “stress” è in uso nella lingua inglese da molto tempo prima della sua introduzione nel linguaggio scientifico. Nel XVII secolo voleva dire difficoltà, avversità, afflizione, mentre nel XVIII e XIX secolo ha assunto il significato di forza, pressione, tensione, sforzo. Nel XX secolo il termine ha infine assunto il significato corrente di stato di tensione o di resistenza che un oggetto o una persona oppongono a forze esterne che agiscono su di loro.

La reazione di stress si manifesta con sintomi mentali-cognitivo/emotivi e con sintomi fisici.

La reazione cognitivo/emotiva consiste in pensieri (il timore ad esempio) accompagnati da emozioni che si esprimono con manifestazioni somatiche come la tachicardia, la sudorazione, il rossore del volto ecc.

Nella fisiologia dello stress ha un importanza centrale l’ipofisi. Essa è il luogo dove “lo spirito si fa carne”. È il luogo del cervello dove le sensazioni, le emozioni, i pensieri, diventano materia pura. Qui l’emozione diventa una molecola chimica che, riversata nel sangue, si comporta come un latore di un messaggio a vari organi lontani. È quello che succede di fronte allo stress. Appena qualcosa accade, il cervello inizia a produrre ormoni che influenzano il funzionamento di diversi organi e sistemi, fra cui quello immunitario. Qui di seguito i principi generali dello stress sono sintetizzati in forma di tabelle riassuntive .

L’importanza del pensiero nelle reazioni di stress consiste in questo: noi facciamo sempre una valutazione di quello che ci è successo e, a seconda di come facciamo questa valutazione − sotto un’influenza che è anche sociale, culturale, acquisita con l’educazione − possiamo adeguarci o no alla nuova situazione, accettando o rendendoci insopportabile il peso dello stress. L’evento stressante, per produrre conseguenze, deve anche passare attraverso il filtro della nostra cultura ed esperienza (valutazione cognitiva). Meccanismi mentali di difesa molto comuni, come la negazione o la rimozione, possono paradossalmente impedirci di affrontare certe situazioni della realtà che riportano in auge “ferite affettive infantili”: in tal modo la reazione psicobiologica di stress resta attiva per molto tempo contribuendo a creare predisposizione a malattie o a complicare malattie già esistenti. La reazione d’allarme, di fronte ad una stimolazione in grado di modificare il nostro equilibrio complessivo, coinvolge il sistema nervoso, il sistema immunitario e il sistema ormonale. Essa è finalizzata alla neutralizzazione dello stimolo e al ripristino dello stato di equilibrio e non deve durare, infatti, più di tanto .La psicoimmunologia può essere definita come la disciplina che studia in modo sistematico il sistema immunitario quale sistema biologico in grado di reagire e modificare la sua reattività anche sulla base delle interazioni tra individuo e ambiente mediate dal sistema nervoso relazionale. L’obiettivo della psicoimmunologia è studiare in quale misura e attraverso quali meccanismi biologici le situazioni di stress emozionale possono condizionare modificazioni dell’equilibrio biologico nelle malattie in cui è implicata la funzione immunitaria. (Biondi 1992)


Lo schema sintetizza un concetto importante per la comprensione delle relazioni etiopatogenetiche tra stress e sviluppo delle malattie infettive. Gli stimoli stressanti sono valutati da un punto di vista mentale, cognitivo. Tale valutazione sarà importante per lo sviluppo delle reazioni emotive all’evento stressante e del conseguente comportamento o della risposta biologica tendenti a neutralizzare gli stressor. Se la risposta non è armonica e se uno dei due sistemi resta cronicamente attivo per troppo tempo si svilupperà malattia: si tratterà di una malattia prevalentemente somatica se il sistema superattivato è quello psicobiologico, oppure di una malattia prevalentemente psichiatrica se è superattivato il programma psicocomportamentale.


La reazione di stress è una reazione in due tempi: in un primo tempo si produce adrenalina, in un secondo tempo l’ipofisi produce Acth che stimola la ghiandola surrenale a produrre cortisolo .


Lo stress acuto consiste in un’improvvisa modificazione biologica cui segue reazione rapida catecolaminica. È la vecchia reazione d’istinto “lotta o fuga”. Se reagisco, vinco o perdo non ha importanza, lo stato di tensione si esaurisce.





Nello stress cronico non si reagisce, la situazione stressante non si risolve, persiste una situazione biologica e/o psicosociale avvertita dal soggetto come minacciosa e la reazione d’allarme, prevalentemente ormonale-surrenale, perdura nel tempo. Questo è ciò che si definisce “distress”. Dal distress si può passare al “disease” (malattia), che corrisponde ad un danno d’organo.Questi sono i meccanismi scientifici che spiegano l’insorgere della cosiddetta malattia psicosomatica.


Le reazioni di stress a rischio di malattia sarebbero: 

  1. reazioni di stress in un sistema con inibizione cronica alla risposta d’adattamento (il cosiddetto organismo non allenato allo stress); 
  2. reazioni eccessive di stress acuto (il cosiddetto non controllo della reazione di stress); 
  3. reazioni di stress cronico (la cosiddetta incapacità di staccare la spina); 
  4. reazione di stress con blocco dell’azione (non si ha nemmeno la speranza di vincere la situazione stressante). 


Ma perché persiste la reazione di stress? Per due motivi: perché l’evento di vita è inaspettato, non controllato, non gradito o talmente intenso da sconvolgere gli equilibri del soggetto, oppure perché la nostra capacità di reazione, di adattamento, di elaborazione è debole.


Secondo P. Pancheri eventi come gravi incidenti, ricoveri e tutto ciò che comporta un pericolo per l’incolumità attiva in maniera più intensa e cronica un simile programma di stress, definito “individuale”, che si attiva in tempi più stretti e con modalità più acute rispetto ad eventi come rischiare un grave incidente ma non subirlo: si tratterebbe in ogni modo di un programma di risposta all’evento inatteso strettamente associato all’autoconservazione, che si traduce nella reazione di lotta o fuga sul piano comportamentale o, dal punto di vista biologico, nell’attivazione del sistema simpatico con la produzione di adrenalina/noradrenalina da parte della midollare del surrene e l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene con la produzione di cortisolo e l’inibizione dell’asse riproduttivo.


Quando l’evento ha a che fare con la perdita affettiva relazionale si attiverebbe invece il programma di stress “attaccamento e perdita“ che è implicato nella creazione, mantenimento e perdita di legami familiari o sociali. In questo caso, secondo Pancheri, sarebbe attivato non solo l’asse surrenalico ma anche quello che coinvolge il metabolismo di oppiacei, endorfine, enkefaline, dinorfine a partenza dall’area limbica (area prefrontale, nucleo striato e nucleo accumbens). Si pensi, infatti, che la depressione e l’indebolimento del funzionamento immunitario rappresentano i quadri che più frequentemente si sviluppano in caso di lutto o di attivazione del programma “attaccamento o perdita“.


La diagnosi delle reazioni emotive all’evento malattia.


La malattia rappresenta un tipo particolare di evento vitale stressante che può mettere seriamente alla prova le nostre capacità di adattamento.


La reazione adattativa ad una malattia richiede sempre al paziente, ma anche ai sanitari (vedi il rischio di burn out), un lungo lavoro emotivo e fisico intenso e difficile, che si trova alla confluenza di vari elementi secondo un modello genetico multifattoriale: tipo, stadio e localizzazione della neoplasia, ospedalizzazione o assistenza domiciliare, tipo di terapia, consapevolezza di malattia, struttura di personalità, meccanismi di difesa e loro livello evolutivo e funzionale.

Pancheri e Biondi, hanno analizzato le reazioni psichiche generali all’evento malattia e le hanno correlate alla tipologia di interventi sanitari durante l’ospedalizzazione


Meccanismi di difesa.


È importante considerare le caratteristiche premorbose dei pazienti perché dal tipo di organizzazione psichica, l’uso di meccanismi di difesa stabile e di quelli più frequentemente adottati in situazioni di stress, il loro livello evolutivo e funzionale, le coping skill, la forza dell’io, il livello intellettivo cognitivo e il livello socioculturale, gli antecedenti psicopatologici familiari e la presenza di eventi precoci di perdita, si possono dedurre gli importantissimi indici predittivi delle possibili reazioni psicopatologiche nel corso della malattia.

In occasione del ricorrere di eventi di vita stressanti, tutti gli esseri umani usano involontariamente e inconsapevolmente dei meccanismi di difesa: attraverso il loro uso è possibile ridimensionare la gravità e il peso dell’episodio, in modo da potersi adattare ad esso;

L’American Psychiatric Association (1994) ha proposto una classificazione dei meccanismi di difesa distinti secondo il livello adattativo,di inibizione mentale, di distorsione dell’immagine,del grado di disconoscimento, dell’azione e di regolazione o regolazione difensiva .






Meccanismi individuali di difesa



  1.  Elevato livello adattativo: eleva al massimo la gratificazione e promuove l’equilibrio ottimale dei conflitti. 



Affiliazione, altruismo, anticipazione, humour, auto-affermazione, auto-considerazione,


sublimazione, soppressione. 


2. Livello delle inibizioni mentali (formazione del compromesso): tiene lontane dalla consapevolezza eventuali minacce.



Rimozione, dissociazione, intellettualizzazione, isolamento dell’affettività, formazione


reattiva, repressione, annullamento.



3.  Livello minore di distorsione dell’immagine: distorsioni usate per regolare l’autostima.



Svalutazione, idealizzazione, onnipotenza.



4. Livello del disconoscimento: mantenimento al di fuori della consapevolezza ed errata attribuzione a cause esterne.



Negazione, proiezione, razionalizzazione.



5.Livello maggiore di distorsione dell’immagine: grave distorsione o errata attribuzione dell’immagine di sé o degli altri.



Fantasia autistica, identificazione proiettiva, scissione dell’immagine del Sé o di quella


degli altri.



6.Livello dell’azione: azione o ritiro.



Comportamento dimostrativo, ritiro apatico, protesta, rifiuto dell’aiuto, aggressione


passiva.



7. Livello della sregolazione difensiva: marcata rottura con la realtà oggettiva.



Proiezione delirante, negazione psicotica, distorsione psicotica.



I meccanismi di difesa possono essere anche distinti secondo un modello evolutivo in:


difese primitive o narcisistiche:

 frammentazione, difesa schizoide, proiezione delirante, negazione, distorsione, scissione.

Si tratta di meccanismi comuni in individui sani prima dei cinque anni d’età e in sogni e fantasie adulte. Questi meccanismi di difesa sono i più arcaici, i più “costosi“ e meno funzionali perché contribuiscono alla modificazione percettiva della realtà, ad una semeiosi della realtà non condividibile e pertanto fonte d’isolamento sociale ed emarginazione. Essi sono modificabili in parte psicofarmacologicamente, in relazione all’eliminazione di fattori stressanti o per uno sviluppo maturativo del soggetto. Nei pazienti Hiv l’uso del meccanismo della negazione può significare dimenticare la possibilità di morire. Se da un lato, essendo usato poco, esso può contribuire all’adattamento alla realtà in oggetto, dall’altro può contribuire ad un peggioramento della compliance terapeutica.


difese immature

fantasie schizoidi, proiezione, ipocondria, comportamento passivo aggressivo, acting out.


Questi meccanismi sono comuni in individui sani tra i tre e i sedici anni oppure in disturbi di personalità e disturbi affettivi. Alleviano l’angoscia generata dalla minaccia di un intimità o dallo sperimentare una sua perdita.


difese nevrotiche

difesa fobica, formazione reattiva, isolamento, annullamento retroattivo, dissociazione, spostamento, intellettualizzazione, rimozione.


Questi meccanismi sono comuni in individui sani tra i tre e i novanta anni, nei disturbi nevrotici e nel controllo dello stress. Alterano il senso di spontaneità e intimità e sono sensibili a modificazioni in psicoterapie brevi.


difese mature o meccanismi d’integrazione

altruismo, umorismo, anticipazione, sublimazione, repressione.


Sotto stress possono trasformarsi in meccanismi meno maturi.




Le reazioni psicopatologiche da stress secondo la classificazione nosografica internazionale.

Quali sono le modalità di classificazione nosografia vigente delle reazioni agli eventi malattia ?


Utilizzando i criteri di classificazione nosografica internazionale del DSM IV e I.C.D. 10, le reazioni psicopatologiche concomitanti all’esecuzione di test e /o alla notificazione di malattia potrebbero essere inquadrabili come:
Reazione acuta da stress (Icd 10: F43.0)


Disordine transitorio significativamente grave che si sviluppa in un individuo senza altri apparenti disordini mentali in risposta ad uno stress fisico e mentale di natura eccezionale.


Secondo l’Oms questo disturbo è riscontrabile in oltre il 90% dei pazienti sieropositivi con una prevalenza in omosessuali e soggetti single rispetto a tossicodipendenti.
Disordine dell’adattamento (Icd 10: F43.2)


Stato di malessere soggettivo e di disturbo emotivo che generalmente interferisce con le attività e la performance sociale e insorge nel periodo di adattamento ad un cambiamento significativo della vita del soggetto o in conseguenza di un evento stressante.Il Dsm IV descrive questi disturbi come disturbi dell’adattamento con specificazioni ulteriori in:


acuto − dura da meno di sei mesi;


cronico − dura da più di sei mesi;

con umore depresso;


con ansia;


con alterazioni della condotta;


con alterazione mista dell’emotività e della condotta;


con ansia e umore depresso misti;




BIBLIOGRAFIA






Ader R. (ed.), Psychoneuroimmunology, Academic Press, New York, 1981.


Biondi M., La psicosomatica nella pratica clinica, Il Pensiero Scientifico, Roma, 1992.


Biondi M., Pancheri P., Stress, in Pancheri P., Cassano G.B. (cur.), Trattato italiano di psichiatria, Masson Italia, Milano, 1993.


Bottaccioli F., Psiconeuroimmunologia, Red edizioni, Como, 1995.


Fox R. (ed.), Explorations in Psychoneuroimmunology, Greene & Stratton, Orlando, 1987.


Locke S., Ader R., Besedovsky H. et al. (eds.), Foundation of Psychoneuroimmunology, Aldine Publishing Co., New York, 1985.


Locke S., Colligan D., The healer within the new medicine of mind and body, Dutton E.P., New York, 1986.


Pancheri P., Trattato di Medina psicosomatica, USES, 1984.








































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