“Se mai puo
esistere una comunita puo essere soltanto una comunita in cui:
tutto è interdipendente ,
nessuno da solo è padrone del proprio
destino,il controllo puo essere ottenuto solo collettivamente, è intessuta di
comune e reciproco interesse , è responsabile , e garantisce il pari diritto di
agire ed essere considerati come essere umani.”
Zygmut Baumann
Questo
contributo intende analizzare la funzione paterna alla luce dei contributi
della psicoanalisi e della pedagogia clinica in quel particolare contesto
pedagogico terapeutico che è la comunita terapeutica.
Trattando
la nostra esperienza di comunita terapeutica maschile per tossicomani proporrò una lettura del bisogno della funzione paterna come figura iniziatrice
ai principi della regola, del limite, del confine ma anche della capacità di
relativizzare, discernere, e saper realizzare il desiderio oltre che della sua
importanza ai fini dell’introduzione nella relazione del terzo, del gruppo e
quindi , del sociale.
L’EVOLUZIONE DELLE COMUNITA
TERAPEUTICHE PER TOSSICOMANI DAL MODELLO PEDAGOGICO COMPORTAMENTISTA AL MODELLO
PEDAGOGICO PSICOANALITICO .
La
comunita terapeutica è un dispositivo terapeutico e pedagogico , fondamentale
nell’evoluzione della terapia e riabilitazione dei disturbi mentali nella
seconda meta del XX secolo .
La prima
moderna formulazione del concetto di Comunita Terapeutica è stata formulata da
Ton Main nel 1946 : “Comunità è un gruppo di persone che si trovavano a vivere
insieme con la complessità di dinamiche che ciò implicava a diversi livelli.
Terapeutica significa essere un luogo transitorio di cura e cambiamento .(…)
“Essa è un tentativo di utilizzare l'istituzione non come un'organizzazione
condotta da medici che vogliono realizzarsi al meglio da un punto di vista
tecnico, ma come una comunità il cui scopo immediato è la piena partecipazione
di tutti i suoi membri alla vita quotidiana, mentre l'obiettivo finale è la
reintegrazione dell'individuo nella vita sociale”.
Etimologicamente
il termine deriva dal latino Communitas : più persone che vivono in comune
sotto certe leggi, doveri, compiti.
Secondo
E.Pedriali, uno degli studiosi italiani più attenti al nostro tema purtroppo
recentemente scomparso, i meriti storici del concetto di Comunita terapeutica
sono stati tre : aver messo in primo piano il valore della gruppalità e
svelarne il potenziale terapeutico, aver definito una concezione di equipe come
strumento di comprensione dell’universo frammentato del paziente , aver
sottolineato come la condivisione della quotidianita permette di trovare
risposte ai bisogni dei pazienti mediando tra realtà interna ed esterna.
La
comunita terapeutica è stato e resta un
“luogo” di incontri importanti tra persone ma anche fra modelli
ermeneutici e operativi , come quello fra psicoanalisi e pedagogia,
psicoanalisi e medicina , psicoanalisi e psichiatria, psicoanalisi e psicologia
, psicoanalisi e Arte nella sua declinazione riabilitativo-espressiva.
Come ho
sottolineato in altri lavori (G.Campione, 2007) la storia del rapporto della
psicoanalisi con le tossicomanie ricalca per certi
versi la
storia non facile dei rapporti fra psicoanalisi e pedagogia e quella dei rapporti fra psicoanalisi e
religione cattolica . In Italia le comunità per dipendenti hanno attraversato
un lungo periodo di sperimentazione condotto prevalentemente seguendo un
modello comportamentale : da una parte secondo il modello Americano (l’esperienza
fondative di Carl Ederick delle comunita per tossicomani di Synanon Ocean Park
in California del 1958 e di quella di Daniel Casriel di Daytop lodge)
originatosi dalle prassi gruppali degli Alcolisti anonimi , programma dei 12
passi ecc. e dall’altra secondo prassi pedagogiche comportamentali di stampo
cattolico più recentemente confluite nel modello epistemologico di tipo
sistemico familiare.
Le comunità terapeutiche per dipendenti, hanno viaggiato sin dal momento della loro nascita, su un binario parallelo non condividendo con le comunita psichiatriche storia e modelli epistemologici. (G.Campione, 2007)
Le comunità terapeutiche per dipendenti, hanno viaggiato sin dal momento della loro nascita, su un binario parallelo non condividendo con le comunita psichiatriche storia e modelli epistemologici. (G.Campione, 2007)
Lo
sviluppo italiano di una cultura della valutazione pichiatrico-psicodiagnostica
delle dipendenze da una parte e l’incidenza crescente di casi di gravi
tossicomanie di marca psicotica dall’altra ha però da circa 15 anni messo il
modello pedagogico comportamentale delle Comunita in scacco , inaugurando un
nuovo e più fecondo periodo di
riflessione su prassi e modelli sin lì in uso.
Si è
così assistito ad una prima storica differenziazione , frutto di una maggiore
consapevolezza di sè : comunita pedagogico riabilitative,comunita terapeutiche
e Comunità per doppia diagnosi .
La
comunità per doppia diagnosi che ospita pazienti dell’area narcisistico-psicotica
è stata ,a mio parere , l’occasione storica per l’incontro con le radici
psicoanalitiche del modello comunitario.
La
comunità condivide, quindi, con la psicoanalisi ed in particolare con la
psicoanalisi di gruppo e sociale un’ inestricabile relazione fondativa
,storica, teorica e clinica :apre alla gruppalità, apre al “terzo”, introduce
la categoria del sostegno alla crescita e alla differenziazione .
L’idea
di comunità terapeutica nasce infatti,storicamente, in Inghilterra alla fine
della seconda Guerra Mondiale da un particolare ripensamento
sull’organizzazione di un reparto tradizionale di Psichiatrìa Militare del
Northfield Hospital ad opera di W.R.Bion .
Secondo questi autori in Inghilterra si sono distinte importanti esperienze come quella dell’Henderson Hospital di Maxwel Jones, delle comunità per adolescenti di Winnicott, della Tavistock clinic, in Francia l’esperienza francese di Racamier alla ComunitaLa Villette ,quella di
Sassolas a Ville Urbane e quella di Olivenstein del Centre Marmottain di Parigi
.In Italia sono state storicamente importanti le esperienze Italiane
dell'Ospedale di Giorno di Palazzo Boldù a Venezia , quelle di Basaglia a
Trieste, di Fabrizio Napolitani , prima in Svizzera a“Villa Landegg” e
poi alla “Comunità Terapeutica “di Roma”, l’esperienza storica di Villa Serena
e la Comunità Omega
a Milano. A queste aggiungerei l’esperienza di Eugenio Gaburri all’ospedale di
Varese, le esperienze di Zapparoli e Charmet, l’esperienza di Marco Sarno e
Francesco Comelli al reparto ospedaliero di Psichiatrìa di Cinisello
,Milano.
La comunità è stato il luogo dove è nata e si è sviluppata la cultura dell’indagine sull’Istituzione e le sue dinamiche emotive e sociali , i suoi rischi , le sue opportunità lungo l’asse di Ricerca individuo- gruppo-famiglia-società.fino alla nascita del concetto chiave di Istituzione totale. e alle sua analisi da parte di autori centrali come Foucault, Gofmann e F.Basaglia : un’istituzione la cui caratteristica principale è quella di impossessarsi del tempo dei suoi partecipanti prefiggendosi come unico scopo quello della sua esclusiva sopravvivenza, allontanandosi dallo scopo che, ab initio, si era prefissa e per il quale era nata
In una definizione più moderna Correale (1999) ha descritto l’istituzione come un grande campo emotivo in cui, da una parte, si intrecciano fantasie, desideri, paure, sistemi difensivi contro l’angoscia e la frammentazione, sospetti, attacchi, e, dall’altra, si cerca di perpetuare e confermare se stessa attraverso l’autoreferenza e l’autoconferma .
La comunita è stato anche il “Luogo” dove si è sviluppata la cultura psicoanalitica clinica sulla famiglia, storicamente ancor prima che Gregory Bateson e Margaret Mead elaborassero i principi ecologico- relazionali sulla base dei quali nascerà la scuola sistemica.
La comunita è infine un luogo elettivo di riflessione sull’abitare e condividere lo Spazio in condizioni di sofferenza secondo coordinate psicoanaliticamente fondate (realtà esterna e realtà interna, mondo interno e mondo esterno, spazio interno e spazio esterno) .
E’ quindi un’ occasione d’incontro tra le Culture della cura (la psicoanalisi fra queste) e le culture dello Spazio (l’ architettura tra queste).
IL MODELLO PEDAGOGICO TRADIZIONALE DELLE COMUNITÀ E I CONTRIBUTI INNOVATIVI DEL MODELLO PSICOANALITICO .
La pedagogia, nonostante sia passato un secolo dalle prime, rivoluzionarie scoperte di Freud sul funzionamento della psiche, continua in gran parte a prescindere dalle acquisizioni introdotte dalla psicoanalisi e a servirsi di modelli cognitivi in cui il rapporto fra emozione e pensiero è completamente ignorato e manca a tutt’oggi un'ipotesi complessiva che tenga conto significativamente della presenza dell'Inconscio in tutte le sue molteplici forme d’espressione. Concetti cruciali relativi alla distinzione necessaria fra sensazioni, emozioni e pensieri, oppure alla conflittualità insita nella relazione mente-corpo o ancora al modo con cui la mente si libera delle frustrazioni, evacuandole o negandole, dovrebbero far parte del bagaglio culturale di ogni educatore così come un atteggiamento di ascolto verso “tutti” i contenuti emotivi, interamente scevro da giudizi moralistici dovrebbe aiutare il paziente ad avere attenzione e rispetto per i propri e gli altrui pensieri. L'obiettivo, naturalmente, non è quello di sovvertire le regole delle diverse funzioni di terapeuta e di educatore. Piuttosto è forte la convinzione che una migliore conoscenza della realtà psichica possa consentire a quest’ultimo di svolgere al meglio la sua attività, senza per altro sconfinare in campi differenti ed inadeguati alla propria competenza ed al contesto in cui opera, proprio come un insegnante di educazione fisica può trarre vantaggio da una conoscenza approfondita del corpo umano, senza per questo sentirsi né in diritto né in dovere di fare il medico. (Ginzburg, 1996)
La cultura psicoanalitica, come si sa, è piuttosto diffusa nei centri che si occupano di salute mentale per quanto non sempre con la sufficiente chiarezza dei compiti, dei limiti, dei metodi, delle condizioni del setting. Questo vale in particolar modo, a mio parere, nel caso dei centri pedagogico-riabilitativi, specie se di impostazione religiosa, dove spesso la cultura psicoanalitica fatica ad affermarsi. D’altro canto è noto che la dottrina cattolica esclude l’esistenza di una dimensione inconscia e mitica privilegiando il primato dell’intelletto, della volontà e della morale. (E.Drewerman, Psicoanalisi e teologìa morale , Psicologia del profonda ed Esegesi ).
In un recente saggio Ancona (2006), psichiatra e psicoanalista cattolico in una delle sue ultime opere intitolata “Il debito della chiesa alla psicoanalisi” (2006) ha raccontato la complessa storia dei rapporti tra Chiesa cattolica e Psicoanalisi: «All’inizio fu guerra guerreggiata e ciò senza risparmio di colpi; da ambedue le parti si parlava di morte, un evento che ciascuno auspicava per l’altra. Poi gradualmente, per il venir meno dei rispettivi fondamentalismi, le opposte posizioni cominciarono a smussarsi. L’antropologia cristiana e quella religiosa rimasero certo in contraddizione, ma subentrò fra loro un certo distacco, un ignoramento reciproco e venne col tempo l’apprezzamento di singoli aspetti del campo avverso; si avviò così uno scambio fra psicoanalisti e credenti, portando ad un incontro che oggi è andato molto avanti. Il pensiero di Matte Blanco, in particolare, ha, di fatto, provato la conciliabilità dell’apparentemente inconciliabile così come la gruppoanalisi di Foulkes ha permesso di vedere la sovrapponibilità dell’antropologìa analitica con quella propria della Chiesa. Al punto di rendere oggi possibile il riconoscimento chela Chiesa istituzionale
indipendentemente dal merito della sua realtà mistica, deve molto alla
Psicoanalisi: le è debitrice!».
La diffusione della cultura psicoanalitica ad opera delle università e delle scuole di specializzazione in psicoterapia ha consentito più recentemente il suo diffondersi, al di là delle più o meno rigide impostazioni ideologiche degli enti riabilitativi, attraverso la figura professionale dello psicologo e dello psichiatra un tempo assai rara.
Lo snodo storico fondamentale di questo processo è stato – come si è detto- quello della cosiddetta doppia diagnosi (gravi tossicomanie psichiatriche ): progressivamente si è diffusa la consapevolezza della natura psicopatologica dei comportamenti da dipendenza e questo ha convinto anche gli enti di cura a carattere pedagogico più recalcitranti a dotarsi di psicologi e psichiatri. È successo quindi che gli interventi psicoanalitici hanno potuto ugualmente fecondare e arricchire la cultura di queste istituzioni, anche se non apertamente e programmaticamente , ma -come spesso succede- “al chiuso” delle riunioni d’équipe.
Questo processo ha favorevolmente posto le basi per una ripresa del confronto con i fondamenti storico-scientifici delle comunità terapeutiche, nate durante la seconda guerra mondiale nell’ambito della psichiatria psicoanalitica in Inghilterra ad opera di Bion , Foulkes ,Main e Jones .
L’affrontare il rapporto con il paziente tossicomane con psicopatologia associata ha comportato necessariamente il passaggio da un’impostazione tradizionale di tipo pedagogico-comportamentale, che forse aveva anche funzionato con tossicomani-eroinomani di tipo nevrotico, ad un’impostazione di tipo clinico-medico-psico-pedagogico più adatta ai nuovi tossicomani, sempre più spesso borderline, narcisisti patologici, antisociali, paranoidei, con sempre più frequenti disturbi del sé. Questo passaggio non poteva, a mio parere che avvenire nell’integrazione delle conoscenze diagnostiche e dei trattamenti in un’ottica complementare individuale-familiare, e con un atteggiamento di apertura al confronto delle conoscenze scientifiche.
LA CRITICA PSICOANALITICA ALL’IMPOSTAZIONE SUPER-EGOICA DELLE COMUNITÀ PEDAGOGICHE.
Una delle critiche della psicoanalisi all’impostazione tradizionale superegoica delle comunità terapeutiche era -ed è ancora - infatti questa: se il disturbo consiste, a livelli profondi dell’essere, in un ritiro narcisistico dalle relazioni, puntare sul super-io non ha senso. L’impostazione supergoica può condurre ad una pseudo-individuazione, ad un esito sul piano del conformismo, sul piano dell’iperadattamento più che ad una vera cura personale, o, come si dice, ad un reale trattamento individualizzato. Dal punto di vista della psicoanalisi il nucleo del disturbo, come s’è visto, è un narcisismo mortifero, con conseguente assenza del valore morale della sollecitudine verso l’altro da sé. L’incapacità di molti di questi pazienti di concepire l’Altro, di avere una relazione affettiva con l’altro, e la chiusura in un godimento autarchico in cui l’altro non è più controllabile in modo onnipotente, certo non possono essere affrontate solo censurando e rimproverando. Questo mi sembra un importante punto d’incontro tra pedagogìa e psicoanalisi .
Come diceva Mitchell (1995) “ Si ritiene che oggi molti pazienti soffrano non di passioni infantili conflittuali trasformabili con la ragione e la comprensione, ma di uno sviluppo personale stentato. La psicopatologia moderna può essere oggi definita non in termini conflittuali, ma dalla povertà dell’esperienza del paziente. Spesso il problema del paziente è quello di riuscire a reinvestire di affetto e di significato l’altro da sé, uscendo dallo stato timoroso di rifugio in cui permane. Il paziente ha bisogno di una rivitalizzazione ed espansione della capacità di generare un’esperienza reale, significativa e valida (...). Ciò che gli occorre è essere visto, coinvolto personalmente e fondamentalmente apprezzato e accudito nella possibilità di scoprire ed esplorare giocosamente la propria soggettività e immaginazione”.
LO STATO ATTUALE: DAL RIMEDIO PER TUTTI I MALI ALL’INTERVENTO SU SOGGETTI SELEZIONATI IN ALCUNE FASI DEL TRATTAMENTO.
Per anni la comunita terapeutica è stata vita e proposta come una “strategia assoluta “ una panacea contro tutti i mali , buona per tutte le stagioni.
Oggi si inizia a riflettere sulla necessità di transitare da un organizzazione ideologica ad un’ organizzazione clinica che preveda il trattamento come un processo articolato in fasi diverse da affrontare con tecniche diverse e propedeutiche (G.Campione, 2009).
Secondo Enrico Pedrialila Comunità Terapeutica , ha attualmente due
possibilità: o la sua cultura riuscirà ad esprimere una flessibilità che le
consenta di affrontare esigenze diversificate (e allora occorrerà abbandonare
la pretesa fedeltà ad una malintesa ortodossia) o diversamente dovrà rinunciare
a proporsi come metodo idoneo ad una larga parte di patologia (segnatamente la
patologia psicotica grave): in ogni caso si dovrà abbandonare l'illusione di un
setting comunitario proponibile per tutte le tipologie d'utenza
Dopo decenni di sperimentazioni e improvvisazioni ,nella situazione attuale si è giunti ad una sufficiente conoscenza teorico clinica del dispositivo comunitario per poter definire i fattori predittivi della sua efficacia o inefficacia terapeutica : secondo Correale essi sono legati alla possibilità di elaborare il lutto del distacco dalla famiglia prima di entrare e al grado soggettivo di stabilità o frammentarietà del sè mentre i fattori terapeutici sono da individuare nel condivisione della quotidianità, nella rete di relazioni, nel sentimento di appartenenza e nella possibilità di attivazioni di emozioni e scene psichicamente significative.
Secondo questi autori in Inghilterra si sono distinte importanti esperienze come quella dell’Henderson Hospital di Maxwel Jones, delle comunità per adolescenti di Winnicott, della Tavistock clinic, in Francia l’esperienza francese di Racamier alla Comunita
La comunità è stato il luogo dove è nata e si è sviluppata la cultura dell’indagine sull’Istituzione e le sue dinamiche emotive e sociali , i suoi rischi , le sue opportunità lungo l’asse di Ricerca individuo- gruppo-famiglia-società.fino alla nascita del concetto chiave di Istituzione totale. e alle sua analisi da parte di autori centrali come Foucault, Gofmann e F.Basaglia : un’istituzione la cui caratteristica principale è quella di impossessarsi del tempo dei suoi partecipanti prefiggendosi come unico scopo quello della sua esclusiva sopravvivenza, allontanandosi dallo scopo che, ab initio, si era prefissa e per il quale era nata
In una definizione più moderna Correale (1999) ha descritto l’istituzione come un grande campo emotivo in cui, da una parte, si intrecciano fantasie, desideri, paure, sistemi difensivi contro l’angoscia e la frammentazione, sospetti, attacchi, e, dall’altra, si cerca di perpetuare e confermare se stessa attraverso l’autoreferenza e l’autoconferma .
La comunita è stato anche il “Luogo” dove si è sviluppata la cultura psicoanalitica clinica sulla famiglia, storicamente ancor prima che Gregory Bateson e Margaret Mead elaborassero i principi ecologico- relazionali sulla base dei quali nascerà la scuola sistemica.
La comunita è infine un luogo elettivo di riflessione sull’abitare e condividere lo Spazio in condizioni di sofferenza secondo coordinate psicoanaliticamente fondate (realtà esterna e realtà interna, mondo interno e mondo esterno, spazio interno e spazio esterno) .
E’ quindi un’ occasione d’incontro tra le Culture della cura (la psicoanalisi fra queste) e le culture dello Spazio (l’ architettura tra queste).
IL MODELLO PEDAGOGICO TRADIZIONALE DELLE COMUNITÀ E I CONTRIBUTI INNOVATIVI DEL MODELLO PSICOANALITICO .
La pedagogia, nonostante sia passato un secolo dalle prime, rivoluzionarie scoperte di Freud sul funzionamento della psiche, continua in gran parte a prescindere dalle acquisizioni introdotte dalla psicoanalisi e a servirsi di modelli cognitivi in cui il rapporto fra emozione e pensiero è completamente ignorato e manca a tutt’oggi un'ipotesi complessiva che tenga conto significativamente della presenza dell'Inconscio in tutte le sue molteplici forme d’espressione. Concetti cruciali relativi alla distinzione necessaria fra sensazioni, emozioni e pensieri, oppure alla conflittualità insita nella relazione mente-corpo o ancora al modo con cui la mente si libera delle frustrazioni, evacuandole o negandole, dovrebbero far parte del bagaglio culturale di ogni educatore così come un atteggiamento di ascolto verso “tutti” i contenuti emotivi, interamente scevro da giudizi moralistici dovrebbe aiutare il paziente ad avere attenzione e rispetto per i propri e gli altrui pensieri. L'obiettivo, naturalmente, non è quello di sovvertire le regole delle diverse funzioni di terapeuta e di educatore. Piuttosto è forte la convinzione che una migliore conoscenza della realtà psichica possa consentire a quest’ultimo di svolgere al meglio la sua attività, senza per altro sconfinare in campi differenti ed inadeguati alla propria competenza ed al contesto in cui opera, proprio come un insegnante di educazione fisica può trarre vantaggio da una conoscenza approfondita del corpo umano, senza per questo sentirsi né in diritto né in dovere di fare il medico. (Ginzburg, 1996)
La cultura psicoanalitica, come si sa, è piuttosto diffusa nei centri che si occupano di salute mentale per quanto non sempre con la sufficiente chiarezza dei compiti, dei limiti, dei metodi, delle condizioni del setting. Questo vale in particolar modo, a mio parere, nel caso dei centri pedagogico-riabilitativi, specie se di impostazione religiosa, dove spesso la cultura psicoanalitica fatica ad affermarsi. D’altro canto è noto che la dottrina cattolica esclude l’esistenza di una dimensione inconscia e mitica privilegiando il primato dell’intelletto, della volontà e della morale. (E.Drewerman, Psicoanalisi e teologìa morale , Psicologia del profonda ed Esegesi ).
In un recente saggio Ancona (2006), psichiatra e psicoanalista cattolico in una delle sue ultime opere intitolata “Il debito della chiesa alla psicoanalisi” (2006) ha raccontato la complessa storia dei rapporti tra Chiesa cattolica e Psicoanalisi: «All’inizio fu guerra guerreggiata e ciò senza risparmio di colpi; da ambedue le parti si parlava di morte, un evento che ciascuno auspicava per l’altra. Poi gradualmente, per il venir meno dei rispettivi fondamentalismi, le opposte posizioni cominciarono a smussarsi. L’antropologia cristiana e quella religiosa rimasero certo in contraddizione, ma subentrò fra loro un certo distacco, un ignoramento reciproco e venne col tempo l’apprezzamento di singoli aspetti del campo avverso; si avviò così uno scambio fra psicoanalisti e credenti, portando ad un incontro che oggi è andato molto avanti. Il pensiero di Matte Blanco, in particolare, ha, di fatto, provato la conciliabilità dell’apparentemente inconciliabile così come la gruppoanalisi di Foulkes ha permesso di vedere la sovrapponibilità dell’antropologìa analitica con quella propria della Chiesa. Al punto di rendere oggi possibile il riconoscimento che
La diffusione della cultura psicoanalitica ad opera delle università e delle scuole di specializzazione in psicoterapia ha consentito più recentemente il suo diffondersi, al di là delle più o meno rigide impostazioni ideologiche degli enti riabilitativi, attraverso la figura professionale dello psicologo e dello psichiatra un tempo assai rara.
Lo snodo storico fondamentale di questo processo è stato – come si è detto- quello della cosiddetta doppia diagnosi (gravi tossicomanie psichiatriche ): progressivamente si è diffusa la consapevolezza della natura psicopatologica dei comportamenti da dipendenza e questo ha convinto anche gli enti di cura a carattere pedagogico più recalcitranti a dotarsi di psicologi e psichiatri. È successo quindi che gli interventi psicoanalitici hanno potuto ugualmente fecondare e arricchire la cultura di queste istituzioni, anche se non apertamente e programmaticamente , ma -come spesso succede- “al chiuso” delle riunioni d’équipe.
Questo processo ha favorevolmente posto le basi per una ripresa del confronto con i fondamenti storico-scientifici delle comunità terapeutiche, nate durante la seconda guerra mondiale nell’ambito della psichiatria psicoanalitica in Inghilterra ad opera di Bion , Foulkes ,Main e Jones .
L’affrontare il rapporto con il paziente tossicomane con psicopatologia associata ha comportato necessariamente il passaggio da un’impostazione tradizionale di tipo pedagogico-comportamentale, che forse aveva anche funzionato con tossicomani-eroinomani di tipo nevrotico, ad un’impostazione di tipo clinico-medico-psico-pedagogico più adatta ai nuovi tossicomani, sempre più spesso borderline, narcisisti patologici, antisociali, paranoidei, con sempre più frequenti disturbi del sé. Questo passaggio non poteva, a mio parere che avvenire nell’integrazione delle conoscenze diagnostiche e dei trattamenti in un’ottica complementare individuale-familiare, e con un atteggiamento di apertura al confronto delle conoscenze scientifiche.
LA CRITICA PSICOANALITICA ALL’IMPOSTAZIONE SUPER-EGOICA DELLE COMUNITÀ PEDAGOGICHE.
Una delle critiche della psicoanalisi all’impostazione tradizionale superegoica delle comunità terapeutiche era -ed è ancora - infatti questa: se il disturbo consiste, a livelli profondi dell’essere, in un ritiro narcisistico dalle relazioni, puntare sul super-io non ha senso. L’impostazione supergoica può condurre ad una pseudo-individuazione, ad un esito sul piano del conformismo, sul piano dell’iperadattamento più che ad una vera cura personale, o, come si dice, ad un reale trattamento individualizzato. Dal punto di vista della psicoanalisi il nucleo del disturbo, come s’è visto, è un narcisismo mortifero, con conseguente assenza del valore morale della sollecitudine verso l’altro da sé. L’incapacità di molti di questi pazienti di concepire l’Altro, di avere una relazione affettiva con l’altro, e la chiusura in un godimento autarchico in cui l’altro non è più controllabile in modo onnipotente, certo non possono essere affrontate solo censurando e rimproverando. Questo mi sembra un importante punto d’incontro tra pedagogìa e psicoanalisi .
Come diceva Mitchell (1995) “ Si ritiene che oggi molti pazienti soffrano non di passioni infantili conflittuali trasformabili con la ragione e la comprensione, ma di uno sviluppo personale stentato. La psicopatologia moderna può essere oggi definita non in termini conflittuali, ma dalla povertà dell’esperienza del paziente. Spesso il problema del paziente è quello di riuscire a reinvestire di affetto e di significato l’altro da sé, uscendo dallo stato timoroso di rifugio in cui permane. Il paziente ha bisogno di una rivitalizzazione ed espansione della capacità di generare un’esperienza reale, significativa e valida (...). Ciò che gli occorre è essere visto, coinvolto personalmente e fondamentalmente apprezzato e accudito nella possibilità di scoprire ed esplorare giocosamente la propria soggettività e immaginazione”.
LO STATO ATTUALE: DAL RIMEDIO PER TUTTI I MALI ALL’INTERVENTO SU SOGGETTI SELEZIONATI IN ALCUNE FASI DEL TRATTAMENTO.
Per anni la comunita terapeutica è stata vita e proposta come una “strategia assoluta “ una panacea contro tutti i mali , buona per tutte le stagioni.
Oggi si inizia a riflettere sulla necessità di transitare da un organizzazione ideologica ad un’ organizzazione clinica che preveda il trattamento come un processo articolato in fasi diverse da affrontare con tecniche diverse e propedeutiche (G.Campione, 2009).
Secondo Enrico Pedriali
Dopo decenni di sperimentazioni e improvvisazioni ,nella situazione attuale si è giunti ad una sufficiente conoscenza teorico clinica del dispositivo comunitario per poter definire i fattori predittivi della sua efficacia o inefficacia terapeutica : secondo Correale essi sono legati alla possibilità di elaborare il lutto del distacco dalla famiglia prima di entrare e al grado soggettivo di stabilità o frammentarietà del sè mentre i fattori terapeutici sono da individuare nel condivisione della quotidianità, nella rete di relazioni, nel sentimento di appartenenza e nella possibilità di attivazioni di emozioni e scene psichicamente significative.
All’Hollymour
hospital di Northfield Bion è un leader che svolge una funzione paterna in modo
nuovo per essere sia un medico psichiatra che un ufficiale : spariglia le
aspettative di ordine , disciplina,regola, comando,ubbidienza. Ne individua
anzi le dinamiche intrinseche che conducono ad una passivizzazione
dell’individuo . Per questo propone invece una condivisione e un coinvolgimento
gruppale assolutamente nuovo per l’epoca e per il contesto militare: introduce
la socialità , l’assunzione di responsabilità nel farsi venire idee sul come
risolvere i problemi invece che attender.e che qualcun altro li risolva , bion
non impone , piu maieuticamente lascia che il gruppo si auto organizzi e si
coalizzi contro il nemico comune del caos, della passività regressiva e
depressiva dei soldati.
Le alte
sfere militari lo accuseranno di tenere più a lente analisi che al
reinserimento nelle truppe attive al fronte mentre i colleghi che lo seguiranno
,fra questi Foulkes,lo criticheranno per aver usato troppe metafore militari
nel suo lavoro.
In un
originalissimo e stimolante recente contributo G.foresti e Rossi Monti hanno
connesso dal punto di vita della posizione paterna la nascita del concetto di
purgatorio e la comunita terapeutica .
Jacques
Le Goff nel 1981scrive che la nascita del Purgatorio avviene dopo il 1170
come luogo per la purificazione –
purgazione dell’anima -locus purgatorius- come dimensione INTERMEDIA tra la
salvazione e l’ eterna perdizione.
Il padre
del purgatorio è Agostino di Ippona: uomo nord africano ricco e gaudente in
gioventù che si converte al cristianesimo e ragiona sulle conseguenze delle azioni
in vita augurandosi che il giudizio divino sia misericordioso e rimetta a noi i
nostri debiti.In un secondo periodo sotto la spinta delle invasioni barbariche
e delle sette eraticali e dei misericordes (i lassisti dell’al di là ) Agostino organizza la sua primitiva idea :
esistono quattro tipi di uomini crimina, facinora,flagitia,scelera
,Giusti,martiri e santi,Non valde boni Non valde mali.
Per
costoro soprattutto per i primi esiste una prova (tolerabilior damnatio )grazie
all’azione di un “ignem purgatorium” che apporta sofferenze superiori ai dolori
terreni ma temporanee (dalla morte al giudizio universale)
Da qui
parti il concetto d’indulgenza e la pratica decadente del mercato delle
indulgenze.(accusa di simonìa) contro cui si scagliano lutero e calvino.
La
colpa, la grazia,la penitenze e il perdono, il paterno e il materno occupano un
ruolo importante nel fondare (Weber) lo spirito protestante del capitalismo e
la divaricazione antropologica tra nuovo e vecchio continente, sud e nord del
mondo.
Bion e Agostino abbracciano una posizione
pedagogica paterna severa –responsabilizzante.
Bion
diceva ai soldati : non potete comportarvi come bambini (Posizione perdoniste e
Regressione) che rivendicano assistenza illimitata e indulgenza dall’istituzione
curante.
Agostino
diceva ai cristiani: non potete pensare di fare quel che volete tanto poi tutto
vi verra perdonato.
Bion
concepiva il lavoro all’Hollymour come una prosecuzione della guerra militare
su quella del fronte dell’io nel conflitto salute malattia ai fini della guerra
contro il nazismo.Dare un luogo alla crisi che non ha potuto avere luogo
(catarsi) perche il soggetto si ri-definisca interiormente e socialmente
ri-mettendosi in gioco.
Per
Agostino dare un luogo allo spirito(spazializzazione del pensiero-purgatoro-
struttura intermedia) è faccenda delicata perche si tratta di trovare un luogo
fisico a faccende interiori imprevedibili , instabili,inquiete, tragicamente
umane
Come
diceva Pascal: posso approvare solo coloro che cercano gemendo, né chi loda né
chi biasima.
Come
Racamier e Zoia, autori di diversa estrazione psicoanalitica hanno sottolineato,
nascere non basta, bisogna far vivere.
L’adolescenza
maschile e l’uso degli stati alterati di coscienza da droghe potrebbe risentire dell'assenza di figure e di riti di
iniziazione che accompagnino verso l'età adulta ed essere, quindi, intesa come
una modalità inefficace di dare soddisfazione a tale bisogno .Essa testimonia
l’ assenza di funzione paterna positiva che operi l'iniziazione e lo svincolo e
la presenza di componenti materne
arcaiche distruttive.
Come
sottolinea Scaglia il compito affidato all’adolescenza è la scoperta
dell’altro, inteso sia come soggetto esterno che come parte di sé .
All'ingresso
nella adolescenza,infatti, l'individuo si scopre altro da come si era pensato.
Il suo
compito è andare verso questa trasformazione in
un altro.
L'uso di
sostanze psicoattive è motivato da un’inconsapevole
intenzione verso la profondità di sé.
Esso
sembra parlare di ricerca di limiti e interiorità.
L'attrazione per aspetti ‘infernali abissali ’
del mondo è una manifestazione del bisogno di fare i conti con parti di sé
temibili ed inesplorate.
Ma al
contempo ha aspetti potenzialmente positivi: perchè può condurre ad una riorganizzazione dei rapporti
con aspetti interni e ad un tentativo di convivenza pacifica con essi .
In
questa attrazione per ciò che è altro e marginale, è probabile che l'individuo
adolescente metta gli occhi su
certe
marginalità quali le compagnie in cui si usano sostanze, quelle disadattate
caratterizzate da devianze, quelle dei
quartieri
periferici degradati, o quelle dei tossicodipendenti.
Il
bisogno di iniziazione muove dalla percezione di una propria incompiutezza e le
sostanze sono spesso percepite da chi le usa in
maniera
dipendente, come il modo di fare fronte a tale incompiutezza.
Il
contatto con il marginale e l'inferno interiore ha bisogno per essere un
occasione di crescita e non di autodistruzione di una modalità maschile paterna
e non di una modalità abbracciante sacrificale e simbiotica .
Se
bisogna scendere nell'inferno negli abissi, poi bisogna potere risalirvi.
Questa è
una operazione che contempla la sapienza dei confini e delle soglie e quindi la
capacità di procedere per differenze.
Infatti procedere attraverso i concetti materni
improntati alla identità, origina la tragedia:
essere della stessa sostanza del luogo (infernale) che nutre la propria
esperienza è l'origine della indistinguibilità dal luogo e della impossibilità
di uscirne.
La
percezione basata sulla identità è
materna perché modellata sull’esperienza primaria della nutrizione: tu
sei il latte che ti do, tu cresci perché io mi do a te e tu esisti in quanto
me.
Su
questo modello importantissimo, che permette l’esperienza di fusionalità che da
origine al sentimento oceanico e all’esperienza dell’amore e dell’orgasmo, si basa
la sopravvivenza nei primi mesi di vita.
Questo
modello è distruttivo però,se utilizzato
fuori da questo ambito in là con gli anni.
L’oblatività
incondizionata, abbracciante, non mette in discussione le caratteristiche del
luogo dove si trova perché le considera in modo assoluto.
Il modo
maschile adulto è relativizzante invece
che totalizzante: le caratteristiche del
luogo sono quelle possibili per quel luogo lì ma anche e proprio per questo
sono trasformabili.: c’è una maggiore progettualità.
Se io
sono nel problema ma sono distinto da esso potrò uscirne , resistere,
attraversare ma non fermarmi.
Il modo
materno è materia che nutre .
Il modo
maschile guarda ad altro si riferisce ad altro , ad una terzietà che apre al
gruppo e al sociale.
PADRI VIOLENTI E FRAGILI CHE DOMINANO O ABBANDONANO MA NON ‘INIZIANO’.
Se l'uso
di sostanze, è legato ad un bisogno
trasformativo attraverso un iniziazione, è anche l'adesione ad una modalità inefficace
soddisfare il bisogno di iniziazione. per il mancato raggiungimento di una
identità valida .
Si cerca di segnalare che è mutato o sta mutando lo status
interiore ma si vorrebbe che qualcuno ascoltasse e vedesse questo in modo da
farlo diventare un cambiamento sociale.
In
realtà manca una autorità esterna agli
iniziandi, da loro accettata come una guida
che, con l'autorevolezza dell'avere già attraversato quella fase,
certifichi l’iniziazione. . Manca una figura paterna, autorevole, stimolante,
ma che protegge , segnala i limiti, contiene, e cerca di mettere insieme
aspetti diversi .
Anzi
tale figura viene combattuta e distrutta.
.
Il
valicare i confini, il trovarsi 'dall'altra parte' è un aspetto
dell'esplorazione dei confini simbolicamente maschile.
In
questa esplorazione, prendono consistenza i compiti del maschile di conoscenza
dell'esterno, di ricerca creativa di forme nuove, di dimestichezza con il
pericolo, di preparazione alla funzione di responsabilità verso un nucleo di
individui e di protezione di un confine.
La
trasgressione è la capacità di verificare la norma sconfinando .
Essere
creativi è opposta, se non avversaria, alla materna conservazione del
contenuto.
Si
comprende l’attrazione maschile per i territori non ordinati e la disponibilità
adolescenziale al conflitto con l’autorità: la funzione maschile-paterna è
quella di disporre le regole.
Esse
devono essere smontate per acquisire la capacità di costruirle.
In
realtà l’attrazione per i luoghi senza regole nasconde la vocazione a imporre regole .
Nell’evoluzione
c’è sempre caos nella fase di passaggio.
Nella
tossicodipendenza, ci si è bloccato
nella fase di caos : il disperante abbandono di ogni regola.
I
tossicodipendenti non sanno a chi riferirsi per configurare quelle nuove:
continuano a impiegare energie senza potere trovare nuove regole una più
evoluta identità.
Il
'finire nei guai' è forse un metodo maschile per apprendere il mondo.
Il
padre comunica però orgoglio per ciò che
è contenuto all'interno dei propri confini, e permette di vedere le possibili
conseguenze negative delle situazioni di pericolo sul valore del soggetto (essere divorato e
distrutto).
Perseguirà
il rischio in maniera non fine a se stessa ma connessa alla costituzione di una
identità che sa affrontare le difficoltà.
Il fatto
che un individuo assuma il punto di vista femminile relativamente allo
sperimentarsi in situazioni rischiose, può dipendere dal suo ambiente
familiare: può essere che abbia trovato disponibili solo costrutti femminili
perché quelli paterni erano fortemente criticati o non proposti.
La
tossicodipendenza ma anche le condotte a rischio evidenzia l’assenza di
paternità: il contatto con il rischio è slegato da un progetto.
Inizialmente,
il rischio e sofferenza vengono vissuti come 'piacere' perché essi sono
percepiti come promessa di una identità
Nel
procedere dell’abitudine, diviene evidente che nessuna identità prenderà forma.
Inoltre,
le restrizioni imposte da un protratto stile di vita rischioso mutano la
sofferenza da eroica a depressiva.
A questo punto la persona inizia a sentire che
le cose non stanno andando bene.
Il
malessere che prova diviene una barriera che oscura il futuro.
Qui
entra in gioco una difficoltà decisiva.
L'individuo
non riesce a fare il passo in grado di attribuire alla condizione di sofferenza
il significato di ponte, di tramite per un' altra condizione.
Mentre
all’inizio del percorso di dipendenza, il disagio è messo tra parentesi dalla
condizione euforica, successivamente esso diventa il responsabile della caduta
progettuale.
La
tossicodipendenza non è in grado di immaginare la soglia, il varco e il
passaggio. ci si sente in un vicolo cieco, non in una strada che termina contro
un gradino che si potrebbe salire o contro una soglia da valicare.
La
verticalità che permette di guardare al di sopra delle cose e di
contestualizzarle è una modalità dello stare al mondo che il figlio conosce
tramite l'esempio del padre.
L’orizzontalità
invece impedisce di allargare la visuale oltre la condizione in cui si è
immersi.
Nella
tossicodipendenza è impossibile pensare: “Sono in questo pasticcio perché, per
raggiungere la mia meta, devo passare per la situazione in cui sono e
superarla”.
Il
concepire un oltre nessun mediatore -il padre l'ha mai presentato e, quindi
manca l'esperienza del limite e quindi anche quella dello spingersi oltre.
L’assenza
e la nostalgia del padre prende forma attraverso ciò che è originato dalla
mancata esperienza dei limiti: guai con la legge, ricerca di condizioni
‘forti’, legami con contesti di malavita, ecc.
IL SUPER IO ARCAICO
E IL GENITORE UNICO .
Un super
io arcaico rappresenta l'autorità che la tossicodipendenza rispetta nella sua
versione negativa: modi fagocitanti annullanti dietro la promessa
dell’accudimento totale.
Nel
mondo tossicodipendente, l'autorità non ha caratteristiche paterne.
Essa,
infatti, non è stimolante, integrante e accudente. Essa non ha compassione
delle debolezze e non sostiene il tentativo che ogni persona fa per liberarsene
e rendersene autonoma. L'autorità che qui troviamo è sonnifera, suscitatrice di
invidia e di paura di essere abbandonato. Il super io arcaico è totalizzante
nel suo sadico giudizio : sei tutto sbagliato non hai sbagliato quella cosa lì.
La differenza tra relativizzare e totalizzare .
Oppure la
debolezza è solamente consolata senza rilancio prospettico legando per sempre
il consolato alla consolatrice.
Come
viene percepita la debolezza e come si tenta il suo superamento è questione
decisiva:
Un padre
insegna la ferita, la sconfitta la separazione ma anche la relativizzazione e
il discernimento : ferito non vuol dire morto, ci si puo rialzare, tante
cicatrici tanto onore ,l’introduzione di uno spessore di una tridimensionalità
.
L’ambiente tossicodipendente è caratterizzato
da una avidità ed un consumismo esasperati e dà sostanza all’immagine di una
umanità di uguali tutti attaccati a poppare quanto più è possibile e con
l’occhio torvo a controllare che il vicino non succhi di più. Nella
tossicodipendenza si constata comunemente l'illusorietà delle immagini di
abbondanza: nell'assenza di un accompagnatore/iniziatore maschile, la
sofferenza e il disorientamento alle prese con esperienze limite.
Il
femminile autenticamente nutriente è scomparso. Il maschile che aiuta è
assente.
Occorre
una decisione equilibratrice che dia dinamismo alla situazione bloccata (e che
introduca un certo relativismo): occorre che una componente maschile
ristabilisca l'ordine.
La
capacità maschile di concepire le condizioni negative (infere) come necessarie
ad un progetto di crescita e
autonomizzazione
IL MASCHILE IN COMUNITA
TRAPEUTICA
Come
sottolinea Scaglia il nostro paesaggio attuale non possiede più molti spazi
selvatici, poiché quasi tutto il territorio è coltivato e antropizzato. Nella
nostra epoca, le zone di confine tra metropoli e campagna, cioè, le periferie
urbane degradate, rappresentano bene l’extraterritorialità. Esse non hanno
l'estetica pregiata del centro città e sono estranee alla razionalità della
campagna produttiva modellata sul funzionamento dei mezzi agricoli. Tali
ambienti si candidano a rappresentare gli scenari della iniziazione, così come
un tempo il bosco selvatico costituiva un luogo adeguato per la marginalità
rituale perché era inteso come luogo non ordinato e abbandonato dalle regole
umane.
La comunità
, non a caso, è situata quasi sempre in campagna: condivide l’essere uno spazio
fuori che ricorda la marginalità concreta dei luoghi (fuori dalla città) nei
quali avvenivano le iniziazioni ma non è più il bosco selvatico . Si è isolati,
si fanno esperienze forti che ricordano le esperienze forti che si hanno in una
iniziazione; il fiorire di ideologie, l'aumentata capacità di teorizzare e
l'attitudine ad elaborare concezioni del mondo ricordano l'apprendimento delle
teorie del mondo e la comunicazione dei segreti propri della tribù di
appartenenza che avvenivano durante l'iniziazione.
Le città
(H.Bech) sono infatti ormai luoghi in cui ci muoviamo come forsennati in una
mutevole folla di estranei che si incrociano senza sosta e che mostrano di
volata la loro facciata ,unica cosa che si puo notare in uno spazio cosi
affollato. Ci sono ben poche possibilità
di capire cosa c’è dietro la superficie
e siamo costretti a troncare ogni conoscenza prima che vada oltre la
superficie ?
Questi
erano i compiti rituali dell’
iniziazione di cui permangono nella nostra cultura la il battesimo e la cresima cristiana , il servizio militare e l’addio al celibato
o nubilato: a parte questi i riti non esistono più nella nostra cultura, ma non
è venuta meno la loro necessità.
Nell'adolescenza,
l'individuo, in modo automatico e 'istintivo', cerchi un rito di iniziazione e
un iniziatore. Perché il processo di
diventare altro, ha bisogno di accompagnamento e protezione.
Inoltre,
è necessario che tale processo si completi assumendo la forma di rito, perché
solo all'interno di questa cornice è possibile dare conto della sacralità del
suo punto di arrivo: il senso della propria identità.
L'iniziazione
guida l'individuo a raggiungere il suo
nuovo status e lo fa socialmente in gruppo : questo certifica e testimonia di
fronte a tutti che l’iniziato è un
uomo nuovo che condivide regole sociali
e per questo puo appartenere alla comunita del mondo .
Qualunque
trattamento della tossicodipendenza maschile richiede attenzione ai temi della
paternità-maschilità. Esso è, infatti, influenzato dalla assenza dei costrutti
paterni come anche dalla intenzione di mantenere lontana una funzione paterna.
Dal
punto di vista della presenza o assenza di un familiare simbolico iniziatore e
del conflitto tra la colpa, la grazia,la penitenze e il perdono, il paterno e
il materno possiamo distinguere nel patrimonio contemporaneo comunita progetto
e comunita deposito o comunita di vita .
Le prime
caratterizzate da posizioni paterne evolute attivanti – responsabilizzanti ma al contempo materno ricettive non
giudicanti in cui si lavora sulla
riattivazione del gruppo primario , in
cui si considerano i transfert relazionali e si realizzano esperienze
relazionali positive,correttiva (Alexander,1946)
tramite esposizione a situazioni emotive che non è riuscito in passato ad
affrontare.
Il
gruppo e’, dunque, il dispositivo
metodologico fondamentale nell’ambito comunitario (Di Maria, Lo Verso,1995)
Le
seconde ,in cui non si considerano i transfert relazionali., e che dunque
funzionano soprattutto come strutture difensive che contengono senza
riconnettere , spesso quindi funzionanti come deposito di parti scisse . Questa
seconda caratteristica crea il vissuto di comunità contenitiva totalizzante che
nutre e
non fa
desiderare di esserne fuori in una specie di prevalenza del registro femminile
arcaico . Ma queste modalità di trattamento della tossicodipendenze e di
organizzazione delle strutture deputate alla loro cura che non introducano la
priorità della differenziazione e della limitazione sono destinate al
fallimento come il dare l'aiuto incondizionatamente senza chiedere nulla in
cambio , oppure, il proporre trattamenti senza tempo o senza considerazione per
la motivazione del soggetto,delle sue effettive potenzialità e dei suoi limiti
. Tale modalità porta alla progressiva collusione dell'organizzazione e dei
suoi membri con le tematiche tossicomaniche.
L’operatore
di comunità – come dice Charmet- posto
com’è sulla scivolosa sponda tra il familiare simbolico e il familiare reale ,è
sempre sull’orlo di una crisi di nervi ,parodiando il titolo di un famoso film
di Almodovar,ma a mio parere la comunita
è uno dei laboratori sociali all'interno dei quali è possibile capire più che
in qualsiasi altro luogo .
Da
questo punto di vista concordo con
Charmet quando afferma che la Comunità Terapeutica
non guarisce, ma mette nelle condizioni ineguagliabili di riuscire a capire
bene il funzionamento del soggetto .
Penso
che la possibilità di capire e di farsi capire meglio che altrove dipenda
proprio dal dormire, mangiare, decidere assieme,le migliori condizioni per
poter ricostruire al proprio interno le scissioni e le proiezioni del paziente
. Diversamente infatti da quel che si verifica nella cura –per cosi dire
esterna- dove il paziente mette diversi parti di se nelle figure professionali con cui, in comunita
questi movimenti affettivo difensivi avvengono non solo su un'equipe
unitaria, ma anche in uno spazio antropologico e logistico che è il setting
comunitario e questo consente, di ricomporre come in un puzzle -nel sé mentale
dell'equipe- il vero sé del paziente.
Essa
rappresenta, quindi, la rara possibilità per lo psicoanalista di lavorare nella
vita reale del paziente , osservandone e valutandone gli aspetti quotidiani (le
azioni parlanti ,Racamier) , gli aspetti emotivo-affettivi del suo co-abitare
in relazione con altri (una “residenza emotiva” ,una casa per le loro emozioni
dove -secondo Zapparoli - gli aspetti di
attaccamento e accudimento possono
essere visti e presi in carico attraverso l’approccio indiretto , mediato,
transizionale delle “situazioni come se “ G.Campione, 2009).
Non
solo, ma in questa condizione la possibilità di capire meglio coincide anche
con la possibilità di farsi capire meglio: cioè di mettere a disposizione del
paziente e del suo gruppo di
appartenenza, il vero sé dell'equipe comunitaria, che vive fino in fondo
l'esperienza di Comunità. Da questo punto di vista questa è un'equipe che
ha una naturale propensione a collassarsi sulle funzioni della famiglia
naturale del proprio utente e non riesce quasi mai a rimanere la famiglia
simbolica, la famiglia culturale . Da cui l’indispensabilità di una
supervisione Psicoanalitica. Perché la Comunità Terapeutica ,
nel momento in cui si appresta a divenire la famiglia e a condividere la
quotidianità col paziente , evita di diventarlo nella misura in cui apre la
dimensione del rapporto a una dimensione eccezionale: cioè la gruppalità. Apre
al terzo nella misura in cui tutte le pratiche dell'istituzione comunitaria
diventano di tipo gruppale. E' il riferimento al terzo l'antidoto nei confronti
dell'eventualità di collassarsi sulla identificazione con la famiglia .
Quindila
Comunità Terapeutica è una istituzione che pensa in termini
di progetti di nascita sociale; anche se è vero che la pratica reale che
effettua è quella di una reinfetazione materna, (Charmet) del tener dentro, però la sua grande speranza
è quella di poter far rinascere. Non tiene dentro per brama, non tiene dentro
in nome della rassegnazione, ma della possibilità di riorganizzare la speranza
di una rinascita; si tratta di vedere in nome di chi, in nome di quali valori.
E a me sembra che si possa dire che gli aspetti più evolutivi della Comunità
Terapeutica, quelli che meritano la maggior manutenzione da parte del
supervisore, sono quelli legati al fatto che la Comunità Terapeutica
è la casa dove si effettua oggettivamente un'operazione di reinfetazione
(Charmet) che però-differenza
fondamentale- avviene in vista di una nascita e la si affida al gruppo dei
fratelli; ma i fratelli lavorano sotto l'egida della funzione simbolica
paterna, per cui da questo punto di vista mi sembra che la rinascita possa
avvenire all' ombra dei valori del padre e quindi in funzione della nascita
sociale. E da questo punto di vista la Comunità Terapeutica
può davvero diventare la famiglia non incestuosa, quella del padre e quella
della norma. ”(Charmet)
Quindi
In
comunita terapeutica- infatti- molti pazienti che provengono da un esperienza
con il cosiddetto “genitore unico” ( in realtà un genitore prevaricante
sull’altro che è generalmente assente , abbandonico, dipendente) possono
esperire invece relazioni sia con gli aspetti protettivi , accuditivi
(simbiotico-fusionali,femminili,materni) che
con gli aspetti maschili,paterni della Legge simbolica e reale (le
regole,il limite,il confine , la differenziazione, la separazione,
l’individuazione) ) (G.Campione, 2009).
Questo
può avvenire lì dove il lavoro sia consapevole di questi aspetti e quindi anche
dal punto di vista pedagogico condivida un modello epistemologico ermeneutico
che accetta di confrontarsi con quello psicoanalitico .
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M, Tossicodipendenza maschile come conseguenza dell'assenza del maschio
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