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“QUANDO DIVENTERO GRANDE“: ALLA RICERCA DELLE ORIGINI DEL DOLORE UMANO NELLE FOTOGRAFIE DEI BAMBINI DI AZUA DE COMPOSTELA DI GIOVANNI SAVINO di Guglielmo Campione / WHEN I GROW UP:IN SEARCH OF HUMAN PAIN ORIGINS IN THE PICTURES OF THE AZUA DE COMPOSTELA CHILDREN BY GIOVANNI SAVINO

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 IL LIBRO FOTOGRAFICO  "WHEN I GROW UP" DIGIOVANNI SAVINO

                                                                                          


" La verità è il tono di un incontro”.
       Hugo Von Hofmannsthal


"The hearts of little children are pure, and therefore, the Great Spirit may show to them many things which older people miss " 


 Black Elk (Hehaka Sapa)
 OGLALA LAKOTA "


Giovanni Savino racconta, nell’introduzione al suo Libro Fotografico “When i grow up”, dell’incontro e del colloquio con bambini Dominicani cui ha chiesto di raccontare che cosa avrebbero desiderato fare da grandi.

Non ci troviamo di fronte , a scatti rubati, ad un oggettivazione fotografica esteticamente fredda per quanto tecnicamente perfetta, ma al risultato di molti incontri e di molti colloqui con i bambini ma anche con il mondo dell’infanzia che abita l’autore.

“Molto ha esperito l’uomo. / Molti celesti ha nominato / da quando siamo un colloquio / e possiamo ascoltarci l’un l’altro “cantava Friedrich Hölderlin. E il filosofo Heidegger, commentava “ L’essere dell’uomo si fonda nel linguaggio ; ma questo accade autenticamente solo nel colloquio …Ma che cosa significa allora un ‘colloquio’? Evidentemente il parlare insieme di qualcosa. E’ in tal modo che il parlare rende possibile l’incontro. Il poter ascoltare non è una conseguenza che derivi dal parlare insieme, ma ne è, piuttosto, al contrario, il presupposto» .

Così,analogamente,Savino si mette in ascolto di sé e dei bambini e la fotografia è solo l’epilogo rappresentativo di esso. Ma quante emozioni l’hanno preceduto !

La coscienza malinconica , come ci insegna Freud nelle sue riflessioni (”Caducità”) dopo la famosa passeggiata con il poeta R.M.Rilke a San Martino di Castrozza nell’agosto del 1913, è l’esito della subìta precarietà, unita alla potente sensazione che qualcosa sia andato perso. Qualcosa senza cui la nostra vita viene a trovarsi piu vuota. La melanconia puo essere una reazione alla perdita di un oggetto amato,che non è effettivamente morto ma è stato solo perduto come oggetto d’amore. Possiamo credere che ci sia stata una perdita ma non possiamo vedere chiaramente che cosa si sia perso. Così l’essere umano può cercare di attenuare nell’indifferenza il godimento della bellezza per evitare il dolore che gli darà la sua perdita. Così facendo passa nella vita senza accorgersene.

Verrebbe da dire “Si vis vitam, para mortem” se vuoi vivere davvero devi accettare questa morte contenuta nella vita,questa caducità !

Savino , che pur malinconicamente ricorda e rivede rivivere nei bimbi che fotografa l’antica sensazione di aver perso una capacità di stare in contatto con i sogni e con la creatività, non crede nell’indifferenza come difesa nei confronti del dolore insito nella vita. Piuttosto lo testimonia in modo critico, appassionato, compassionevole, intenerito,talvolta arrabbiato, scandalizzato, ma mai cinico e distaccato .

Savino è cultore, modernissimo ed al contempo antichissimo, della " Pìetas " e lucido testimone compassionevole dello Zeitgeist della contemporaneità e della caducità.

Sfogliando i ritratti di questo libro ,vediamo sfilare caratteri umani “in fìeri”.Savino li coglie nel momento in cui si stanno formando, un momento delicato e cruciale. L’amore per la psicologìa e l’antropologìa ,traspare con forza. Negli occhi di questi bimbi vediamo dubbi, tristezze, perplessità, ,dolore,disillusione,disincanti, disamore,e tuttavia talvolta ancora gioia , innocenza e stupore.

Le fotografie di Savino sono il veicolo tecnologico ma efficiente e immediato d’una cosmologia del dolore: in un momento in cui non siamo più capaci di concepire il dolore per il valore universale che ha ,quello di un ponte fra la condizione della solitudine individuale ,atomizzata dell’uomo e la condizione universale e collettiva, queste fotografie acquisiscono un valore “protesico” , permettendoci di funzionare percettivamente , grazie all’ausilio della tecnica ,in un modo che abbiamo perso.

In queste fotografie ripercorriamo la cronologia del Dolore nella vita dell’uomo : dal dolore della confusione infantile con la madre prenatale e post natale, al dolore persecutorio dell’aggressività che ritorna a boomerang con il senso di colpa e la necessità di espiazione, dal dolore della caducità, della separazione dall’oggetto d’amore, del lutto, della perdita, al dolore della necessaria individuazione, dell’autonomia, e della solitudine conseguente.

Un dolore tutt’altro che inutile ma che è fonte di conoscenza di sé come la filosofia e la psicoanalisi hanno insegnato . Il dolore è parte della vita e attraverso di esso l’umanità può prendere consapevolezza di sé e acquisire sapienza e conoscenza. Certo il dolore può generare conoscenza ma questa,a sua volta, può generare dolore.

Il dolore , il pathos,nel vedere queste foto e nel sentire questi racconti ci fa “sapere” nel senso del greco “Pathein mathos”- imparo soffrendo- .Certamente questo “sapere”, che tutto è fuorchè indifferenza alla condizione dell’uomo,tema assai caro a Savino fotografo/antropologo, ci fa soffrire ancora una volta.

Anche se il dolore è solo di chi soffre, attraverso l’identificazione che queste fotografie ci permettono, molto più intensamente che tante analisi puramente intellettuali e verbali, esso si diffonde a noi ci coinvolge.

Savino è maestro fotografico dell’interplay identificatorio e ci fa ricordare con Marina Cvetaeva che “ L'anima, che per l'uomo comune è il vertice della spiritualità, per l'uomo spirituale è quasi carne”.

WHEN I GROW UP:IN SEARCH OF  HUMAN PAIN ORIGINS IN THE PICTURES OF THE AZUA DE COMPOSTELA CHILDREN
BY GIOVANNI SAVINO

by Guglielmo Campione

Giovanni Savino tells us, in the introduction of his photographic book “When I grow up” about meeting and establishing a dialogue with the Dominican children he portrayed. These photos were born from a meeting and a dialogue, where Savino asked the children, if they felt like it, to tell him what they would like to do when they grow up.

Therefore we are not in front of stolen frames, of a cold, albeit technically perfect photographic objectivity, but rather the result of several meetings and many conversations with these children as well as with the inner childhood world inhabited by the author.
Heidegger, the philosopher, "commented” -the human being is based on language: but this is true only in a dialogue….. What does a dialogue mean, then? Evidently, it is the act of talking together about something. It is a way to establish a meeting point though a discussion. Being able to listen is not the result of talking together, it is, on the contrary, its enabler.
So, analogically, Savino is listening to himself and to the children. Photography is just the representative epilogue of it all. But how many feelings behind this!!
Melancholic consciousness, as Freud teaches us in his reflections (“Caducity”) after his well-known stroll with poet R.M.Rilke, in San Martino di Castrozza in the August of 1913, is the result of an imposed precarity, linked to a powerful feeling that something has been lost. A loss that makes us perceive our life as emptier.
Melancholy can be a reaction to the loss of a loved object, which not necessarily has been literally lost, but rather has been lost as a loved possession. We can perceive there has been a loss even if we can’t clearly see what has been lost. So, a human being can try to minimize, though indifference, the pleasure of beauty in order to avoid the pain of its loss. In doing so we go though life without even realizing it.
We could say “ Si vis vitam, para mortem” if you want to live to the full you must accept this death contained within life, this caducity of life!
Savino, although melancholically reminiscing about an ancient feeling to have lost touch with creativity and the dream world that he can observe in the young subjects of his photos, does not believe in indifference as a defense mechanism against the pain of living. On the contrary he witnesses it passionately and compassionately, sometimes emotionally moved, sometimes even angry and shocked, but never in a cynical or detached way.
Savino is a modern and at the same time an ancient worshipper of “Pietas”, a sharp and compassionate witness of the Zeitgeist of the contemporary and of impermanence.
Browsing through the portraits in this book we see a display of human characters “in fieri”. Savino captures them at the very moment of their formation, a delicate and crucial instant. His love for psychology and anthropology is blatantly transparent.
In these children eyes we see doubts, sadness, uncertainty, pain, disillusion, lack of love and yet again happiness, innocence and amazement.
Savino’s photographs are the technological, very efficient, fast vehicles to a cosmology of pain. At a time when we are unable to conceive pain with its intrinsic universal value, as a bridge between the individualistic condition of loneliness and the collective one, these photos acquire a “prosthetic” value, allowing us to function perceptively in a manner we have long forgotten.
In these images we are able to re-explore the chronology of pain in human life: from the pain and confusion in our infancy with our pre-natal and post-natal mother, to the persecution complex of our aggressiveness that brings back, as a boomerang, a sense of guilt and the need of expiation, from the pain of caducity, of our separation from the object of love, the loss of a dear one, to the pain of a necessary self-revision and the following feeling of being alone.
And this is not a useless suffering; on the contrary, it is a source of knowledge of ourselves, as philosophy and psychoanalysis taught us. Pain is a part of our lives and through pain humanity can acquire wisdom and understanding.
Surely pain can generate knowledge but it is also true that knowledge can induce pain.
The pain, the “pathos” of viewing these images, of hearing these stories, makes us “aware” in the sense of “Pathein mathos”- from ancient Greek- I learn though suffering. Surely this kind of knowledge, which represent many things but indifference to the condition of man, a theme very central in Savino’s work, makes us suffer once more.
Even if pain is a very personal feeling, by indentifying with these photographs, much more intensely than through many intellectual and verbal analysis, pain reaches and envelop us at a personal level.
Savino is a photographic master of identification interplay and reminds us, along with Marina Cvetacva that “ The soul, vertex of spirituality for the common man, for the spiritual man is almost flesh”.


                                                                                   http://www.magneticpic.com/data/web/CHILDREN/index.html

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