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La mente può trovarsi in stati diversi , il sonno ,il sogno, la trance,l'ipnosi,l'attenzione fluttuante,
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l'esplorazione dello spazio e degli abissi marini,l'agonismo sportivo.

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L’ILLUSIONE NARCISISTICA DELLA LIBERTÀ SESSUALE DIGITALE FELLE INFLUENCERS Psicoanalisi del Sé nell’era della offerta 'erotica virtuale sui social media. Di Guglielmo Campione: Editore: Stati della Mente Edizioni 2025




1.
DESCRIZIONE DEL FENOMENO

Oggi parleremo di un fenomeno socioculturale complesso, che mescola auto-rappresentazione, sessualizzazione e dinamiche digitali di attenzione.
Le principali componenti di questo fenomeno sono:

1. Fenomeni di “Sexual Empowerment” : processi di nuiva organizzazione personale e sociale che permette a individui e gruppi femminili di ritenere di acquisire più potere, controllo e autonomia sulla propria vita rivendicando il diritto di esprimere liberamente la propria sessualità e il proprio corpo, anche in contesti pubblici come i social.
Spesso si presentano come “sex educators” o “intimacy coaches”, ma lo fanno con linguaggio e immagini molto sensuali, ribaltando i ruoli tradizionali in cui la donna doveva essere discreta o “pudica”.
Questa autorappresentazione ipersessualizzata viene venduta dalle influencer di questo tipo  come una forma di autoaffermazione femminile  anche se non sempre è percepita così universalmente ed in seguito discuteremo dell'illusione che soggiace a questa rivendicazione.

2. Strategia di “attention economy
I social premiano i contenuti che catturano attenzione visiva.
Un corpo attraente, un’uniforme come quella da infermiera (che richiama fantasie erotiche), e un linguaggio spinto generano:
• più visualizzazioni,
• più follower,
• e quindi più guadagno (tramite sponsorship, abbonamenti, o link a contenuti “premium”).
È parte della cosiddetta “economia dell’influenza erotizzata”: il corpo come strumento di branding personale.

3. Aspetto culturale e “Asian Fetishization”
Nel caso di ragazze asiatiche, c’è un ulteriore livello:
• In America esiste una lunga storia di fetishizzazione dell’immagine femminile asiatica (la “cute nurse”, la “docile ma sexy”, ecc.).
• Alcune creator giocano consapevolmente con questo stereotipo, lo esagerano e lo trasformano in una forma di potere (“uso il cliché per guadagnarci io”).
• Altre invece lo subiscono o interiorizzano, credendo che solo così potranno avere visibilità.

4. Pseudo-sessuologia.
Molte di queste ragazze danno “consigli sessuali” che mescolano elementi di psicologia pop, auto-aiuto e intrattenimento erotico.
Non sono vere sessuologhe, ma “sexfluencer”: figure che parlano di sesso in modo più spettacolare che clinico.

5. Ambiguità sociale
Questo fenomeno divide molto:
• alcuni lo vedono come liberazione e autonomia del corpo femminile,
• altri come mercificazione e banalizzazione della sessualità,
• altri ancora come un sintomo della società dell’immagine, dove tutto — anche l’intimità — diventa contenuto.
Se vuoi, posso approfondire le differenze tra sex education autentica e “sexfluencing erotizzato”, o analizzare perché questo modello è particolarmente forte tra le ragazze asiatiche-americane (tra identità, razzismo e ricerca di visibilità).

6. Il.cuore economico di questo tipo di fenomeno:
Gli abbonamenti servono principalmente a monetizzare la visibilità e a creare un rapporto diretto e “privilegiato” con una Monetizzazione diretta.
Su piattaforme come Instagram, TikTok o X (ex Twitter) non si guadagna molto solo con i post normali, quindi molte creator aprono canali secondari a pagamento:
• piattaforme tipo Patreon, Fansly, OnlyFans, Ko-fi, o anche abbonamenti privati su Instagram;
• l’utente paga una cifra mensile (da pochi dollari a decine).
Lo scopo è offrire contenuti “esclusivi” a chi paga: foto, video, chat o livestream non accessibili al pubblico.

Contenuti “più intimi” (non sempre espliciti, ma più personali o provocanti)
In molti casi:
• gli abbonati ricevono foto o video più sensuali o “dietro le quinte”;
• talvolta ci sono anche chat personalizzate o messaggi vocali;
• oppure “lezioni” o “consigli” sessuologici più diretti, che però spesso non sono realmente scientifici ma un pretesto per mantenere un tono erotico.

In pratica, si paga per sentirsi in una relazione più esclusiva o personale con la creator.

Simulazione di intimità
Questo è un punto cruciale sociologico:

Gli abbonamenti creano l’illusione di un legame personale (“lei parla proprio con me”, “mi ringrazia per il supporto”, ecc.)
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È una forma di “intimità commerciale”: paghi per un’interazione che sembra affettiva o romantica, ma è parte di una strategia di contenuto.
Questo meccanismo è stato studiato come forma di “emotional labor” (lavoro emotivo): la persona vende una versione della propria vicinanza.

Diversi livelli di offerta

Spesso le creator hanno più livelli di abbonamento:
Basic: contenuti extra, ma pubblici (foto, consigli);
Premium: messaggi diretti o video personalizzati;
VIP: contenuti esplicitamente erotici o interazioni su misura.

Non tutte fanno contenuti sessuali veri — molte rimangono nel territorio del “soft erotic”, altre invece spingono molto oltre
.
Perché funziona
Perché unisce curiosità sessuale,
desiderio di connessione e attenzione,
e il fascino dell’“intimità digitale personalizzata”.
Il risultato è una nuova forma di mercato affettivo-digitale, dove il corpo e la personalità diventano una sorta di brand relazionale.

Il fatto che questo modello sia così frequente tra ragazze asiatiche-americane (cioè donne di origine est- o sud-est asiatica che vivono negli Stati Uniti) non è casuale: nasce da un intreccio di fattori storici, razziali, sociali e psicologici.

1. La “fetishizzazione” storica della donna asiatica
Negli Stati Uniti (e in generale in Occidente), l’immagine della donna asiatica è stata per decenni filtrata da stereotipi erotici e coloniali:
• la “geisha” dolce, remissiva e misteriosa;
• la “sexy nurse” o “schoolgirl” sottomessa ma provocante;
• oppure la “tigre esotica” aggressiva e seduttiva.
Questi cliché vengono continuamente riprodotti nei film, nella pornografia e nei media.
Molte giovani asiatiche-americane sono cresciute consapevoli di essere viste attraverso questa lente sessualizzata, e alcune la riutilizzano strategicamente: “Se mi vedete così, ne faccio un marchio e ci guadagno io, non voi”.
È un modo per riprendere il controllo dello sguardo altrui (un concetto noto come reappropriation of the gaze).

2. Conflitto identitario tra culture
Le ragazze asiatiche-americane vivono spesso un duale codice culturale:
• da un lato, una educazione familiare conservatrice (modestia, disciplina, pudore);
• dall’altro, la cultura americana iperindividualista e ipersessualizzata, dove il corpo è libertà e visibilità.
Questo crea una tensione interna: per alcune, mostrarsi in modo apertamente sessuale diventa un gesto di ribellione e autodeterminazione — una liberazione dall’immagine della “brava figlia
 obbediente”.

3. Mercato e visibilità
Sui social americani, la combinazione “asian + sexy + confident” genera altissimi livelli di attenzione:
• perché gioca sugli stereotipi occidentali (attrazione esotica, curiosità culturale);
• ma anche perché i pubblici asiatici e americani insieme creano un doppio bacino di follower.
Molte creator asiatiche-americane hanno imparato a usare l’algoritmo a loro favore, trasformando uno stereotipo in un brand redditizio.
È una forma di capitalizzazione dell’identità razziale e di genere.

4. “Soft power” e ironia
C’è spesso una componente autoironica o giocosa:
l’uso dell’uniforme da infermiera, da studentessa, da maid — tutte immagini ipersessualizzate in Occidente — viene talvolta messo in scena in modo consapevole e teatrale, quasi meta-erotico.
In altre parole: “So che questo vi attira. Lo so e vi mostro che lo so”.
È un linguaggio che unisce consapevolezza, ironia e desiderio di potere.

5. Riconoscimento e autostima sociale
Un altro aspetto meno visibile:
le ragazze asiatiche negli USA sono spesso sottorappresentate nei media tradizionali o percepite come “invisibili”.
Nei social, invece, possono ottenere:
• visibilità immediata,
• riconoscimento,
• autonomia economica.
Mostrarsi diventa un modo per esistere pubblicamente, per “essere viste” in una società dove prima erano trasparenti.

6. É un terreno ambiguo
Non tutte vivono questa scelta come libertà:
alcune finiscono per ricadere negli stessi stereotipi da cui volevano liberarsi.
È un equilibrio costante tra:
• autoaffermazione (io scelgo come mostrarmi),
• e auto-oggettivazione (mi mostro come gli altri vogliono vedermi).
Molte di loro lo sanno benissimo e giocano su questa ambiguità, come se stessero dicendo:
“Sì, sto interpretando il ruolo della sexy asian nurse… ma sono io a scrivere la sceneggiatura.”

É importante distinguere tra contenuto erotizzato e attività sessuale o di escorting reale.

1. La grande maggioranza non fa escorting reale
La maggior parte di queste ragazze non svolge attività di escort (cioè non incontra fisicamente clienti o offre prestazioni sessuali).
Ciò che fanno è mostrarsi online, spesso in modo sensuale o erotico, ma senza contatto diretto né rapporti reali.
Sono content creator che lavorano nel campo dell’erotismo digitale, non del sesso a pagamento fisico.
Vendono immagini, video, conversazioni o attenzioni personalizzate, non incontri
.
2. Modello di business basato sull’illusione della vicinanza
Il loro guadagno nasce dalla simulazione di intimità:
• si mostrano, parlano con toni affettuosi o seducenti,
• magari rispondono a messaggi o fanno dirette “private”,
• ma l’interazione resta digitale.
È un marketing del desiderio, non un servizio sessuale concreto.

3. Eccezioni e zone grigie
Detto questo, esistono eccezioni.
Alcune creator, specialmente su piattaforme come OnlyFans o Fansly, possono spingersi oltre:
• vendere contenuti esplicitamente pornografici (ma sempre registrati e consensuali),
• o in rari casi, offrire incontri privati, che però ricadono nel mondo dell’escorting vero e proprio.
Tuttavia, questo è minoranza e avviene di solito fuori dalle piattaforme principali, perché quelle attività violano i loro termini d’uso.

4. Perché molti pensano che siano escort
Ci sono motivi sociologici e visivi:
• si vestono e si esprimono in modo molto erotico,
• usano linguaggio o immagini simili a quello del sex work,
• e talvolta parlano di “intimità” o “relazioni speciali” con i follower.
Questo può creare confusione: sembra che offrano incontri reali, ma in realtà vendono una rappresentazione del desiderio — non il desiderio in sé.

5. “Sex work digitale” prostituzione
Molte di loro si definiscono sex worker digitali o erotic performer, ma non “escort”.
Sono consapevoli che il corpo è un linguaggio e un brand, e lo usano come mezzo di comunicazione e di sostentamento economico.
È una forma di lavoro basata sull’immagine e sulla connessione, non sul contatto fisico.
In sintesi:
Nella stragrande maggioranza dei casi, si mostrano e interagiscono — non incontrano.
Vendono attenzione, immaginario, intimità simbolica, non sesso reale.

LA distinzione chiara e completa tra i tre modelli principali — utile per capire dove si collocano le influencer: 

1. Erotismo digitale (“soft erotic”)
• Si mostrano in modo seducente o provocante (bikini, lingerie, pose sensuali).
• Parlano di sessualità, intimità, autostima o relazioni, ma senza atti sessuali espliciti.
• Possono vendere contenuti “esclusivi” o chattare in modo affettuoso.
Dove:
Instagram, TikTok, X, Patreon, abbonamenti Instagram.
Guadagno:
• Sponsorizzazioni,
• abbonamenti ai contenuti,
• donazioni dei follower.
Natura:
Intrattenimento erotizzato → ma resta nel campo dell’immagine e della suggestione.
È qui che si colloca la maggior parte delle influencer asiatiche-americane di cui parlavi.

2. Sex work digitale (esplicito, ma online)

• Producono e vendono contenuti pornografici o autoerotici (foto, video, live streaming).
• Spesso gestiscono abbonamenti personalizzati (OnlyFans, Fansly, ecc.).
• Possono rispondere a richieste private o messaggi diretti a pagamento.
su Piattaforme a contenuto adulto controllato (OnlyFans, ManyVids, Fansly).
Guadagno:
Abbonamenti mensili, “tip” (mance), contenuti su richiesta.
Natura:
È sex work vero e proprio, ma digitale, cioè senza incontri fisici.
Tutto avviene tramite schermo, in modo consensuale e regolato dalle piattaforme

. 3. Escorting reale (offline)
Cosa fanno:
• Offrono incontri fisici dietro compenso.
• Possono presentarsi come “accompagnatrici”, “girlfriend experience”, ecc.
Dove:
Non sui social mainstream — ma tramite siti specifici, agenzie o contatti privati.
Guadagno:
Pagamento diretto per incontro o per tempo trascorso.
Natura:
È prostituzione a pagamento, anche se può essere presentata in modo “lussuoso” o discreto.
Richiede logistica reale, quindi è completamente diversa dal modello social.

In conclusione:
Le influencer stanno quasi sempre nel primo livello, cioè nell’erotismo digitale.
Si mostrano, giocano con la sensualità, creano una community e monetizzano attenzione — senza offrire sesso reale né escorting.
è proprio lì, in quel confine tra desiderio e realtà, che si gioca tutto il successo di questo tipo di comunicazione.
molte influencer scelgono di restare esattamente su quella soglia (mai oltre), e perché quel confine è così potente per chi le segue

IL.POTERE DEL QUASI 

La chiave è il “quasi”: quasi nuda, quasi disponibile, quasi intima.
Quel non detto, quella sospensione tiene viva l’attenzione.
Se mostrassero tutto o andassero oltre, il desiderio si esaurirebbe (diventerebbe pornografia esplicita, con meno mistero e meno valore emotivo).
Restando a metà, mantengono la tensione erotica costante, trasformandola in una relazione di attesa continua.
È lo stesso principio del flirt prolungato o del gioco di sguardi: si resta nel “forse”, e quel forse è la calamita.

Controllo e sicurezza

Molte scelgono di fermarsi lì anche per motivi pratici e personali:
• Non vogliono esporsi a rischi fisici o giudizi estremi.
• Restando nel soft erotic, possono dire: “Sono libera, ma non sto vendendo sesso.”
• È un modo per avere potere sull’immagine senza perdere rispetto sociale (specialmente nelle culture più tradizionali o nelle famiglie asiatiche).
Quindi: libertà sì, ma controllata, gestita, curata.

Relazione emotiva, non sessuale

Il follower non compra solo un corpo — compra una sensazione di connessione:
attenzione, dolcezza, un sorriso “rivolto solo a lui”.
È un legame parasociale:
Una relazione unilaterale, in cui una persona sente di conoscere e di essere conosciuta da chi in realtà non la conosce davvero.
Questo meccanismo crea dipendenza emotiva:
l’illusione dell’intimità è più forte del sesso stesso, perché tocca il bisogno umano di essere visti e desiderati.

Marketing del desiderio (più efficace del sesso esplicito)

Da un punto di vista economico, mantenere la distanza è strategico:
• Il follower continua a sperare in un accesso “più intimo”.
• Quindi rinnova abbonamenti, interagisce, commenta, regala, sostiene.
Mostrare tutto una volta sola darebbe un picco — ma poi il gioco finirebbe.
Mantenere il limite produce coinvolgimento a lungo termine: è una forma di erotismo seriale più redditizia della pornografia.

Identità e controllo dell’immagine

Molte influencer, soprattutto asiatiche-americane, vedono in questo equilibrio una forma di auto-definizione femminile:
“Mi mostro come voglio io, non come la società pretende.”
Restare sulla soglia consente loro di:
• giocare col desiderio senza appartenergli,
• usare il proprio corpo come linguaggio, non come merce sessuale.
È una forma di potere soft, un modo di dire:
“Controllo io la narrativa, e il limite lo decido io.”

PERCHE FUNZIONA SUI FOLLOWER

.Dal punto di vista psicologico:
• L’“accesso limitato” aumenta il desiderio.
• La gentilezza e l’illusione di familiarità fanno sentire “speciale”.
• L’assenza di contatto reale elimina la minaccia del rifiuto o del giudizio.
Risultato: un rapporto emotivo sicuro ma eccitante, un fantasma dell’intimità che vive solo nello schermo — ma che per molti è più intenso della realtà.
Il confine è tutto: è lì che il desiderio resta vivo, la sicurezza resta intatta, e il potere resta nelle mani di chi si mostra.
Le influencer non vendono sesso — vendono l’attesa, l’attenzione, e la sensazione di essere “scelti”.

Come viene costruito il linguaggio del “quasi” – cioè il modo in cui certe influencer usano tono, immagini e interazioni per creare un’atmosfera di vicinanza sensuale senza oltrepassare limiti reali o sessualmente espliciti.

Le tecniche comunicative e psicologiche più comuni, non i contenuti espliciti. 

1. Costruzione dell’immagine (visuale)
• Uniformi e simboli ambigui: abiti da infermiera, camici, occhiali, luci soffuse. Non servono a mostrare nudità, ma a evocare ruoli e fantasie in chi guarda.
• Composizione controllata: foto con inquadrature “suggerite” (mai totalmente rivelatrici), che lasciano immaginare più di quanto mostrano.
• Gestione dello sguardo: lo sguardo in camera, diretto e dolce, è uno strumento di contatto personale; comunica “ti vedo”, creando intimità simbolica.

2. Linguaggio verbale
• Tono amichevole e confidenziale: scrivono come se parlassero a una persona sola (“tesoro”, “amore”, “mi sei mancato”), anche se il messaggio è per tutti.
• Domande aperte: “Come stai oggi?” o “Ti piace?” – servono a generare risposta e coinvolgimento, non a ricevere informazioni reali.
• Uso del doppio senso: linguaggio ironico, allusivo o giocoso che resta interpretabile in più modi.
In pratica, il linguaggio mantiene un equilibrio tra cura emotiva e attrazione, non tra offerta e richiesta.

3. Strategie di interazione
• Risposte selettive: rispondono solo a pochi follower, per far sentire “speciale” chi riceve attenzione.
• Messaggi privati automatizzati: spesso i messaggi sono automatici -standardizzati, ma scritti in tono personale.
• Ringraziamenti e piccoli gesti di riconoscenza: cuori, emoji, nomi propri – tutto serve a simulare reciprocità.

4. Gestione della distanza
• Mostrano vicinanza (selfie casalinghi, confidenze, emozioni quotidiane)
• ma ribadiscono distanza (“sono molto impegnata”, “oggi non rispondo a tutti”).
Questo alternare presenza e assenza tiene vivo l’interesse, come nel corteggiamento: troppo accesso stanca, troppa assenza fa dimenticare.

5. Narrativa personale
• Raccontano momenti di vulnerabilità, routine, sogni: costruiscono un personaggio autentico.
• Così l’erotismo si intreccia con la vita quotidiana e appare “vero”, non artificiale.
• La coerenza narrativa (stile visivo, tono, valori) è ciò che fidelizza i follower.

L’intero “gioco del quasi” non si basa sul mostrare, ma sul far immaginare.
Il potere nasce dal controllo dell’ambiguità: calore emotivo + distanza fisica + linguaggio allusivo.
Nonostante.la.mia lunga esperienza professiomale resto ancora allibito dal fatto che queste ragszze ci mettono la faccia e mi chiedo come potranni mai recuperare un immagine normale quando si stancheranno.

Il punto più delicato di tutto questo fenomeno è il prezzo dell’esposizione personale, soprattutto in un’epoca in cui niente sparisce davvero da Internet.

1. Il “contratto invisibile” con la rete.

Quando una persona mette online la propria immagine in chiave erotizzata, firma — spesso senza rendersene conto — un contratto implicito di permanenza:
le foto, i video, i contenuti possono essere copiati, salvati, redistribuiti.
Anche se un giorno decide di smettere, l’immagine pubblica rimane in rete, e può riemergere anni dopo.
È uno dei motivi per cui molte creator gestiscono il proprio contenuto con estrema cura del controllo del copyright e del brand: sanno che ciò che mostrano è “per sempre”.

2. La distinzione tra persona e personaggio.

Molte di loro costruiscono un personaggio digitale distinto dalla persona reale:
• usano un nickname, un’estetica coerente, un tono specifico;
• fuori dai social conducono vite normali, con lavoro o studi.
Questo le aiuta a preservare una parte privata e, un domani, a “lasciare” quel ruolo.
Il problema nasce per chi non ha separato i due livelli — lì il recupero dell’immagine “normale” diventa più difficile.

3. Reinvenzione e “rebranding”.

In realtà, alcuni riescono a trasformare la propria immagine nel tempo:
• alcune passano a fare divulgazione seria su temi di sessualità o salute,
• altre diventano imprenditrici digitali, fotografe, coach, autrici,
• altre ancora si ritirano gradualmente, mantenendo solo i fan più fedeli in spazi privati.
In tutti questi casi, la chiave è rinarrare se stesse: cambiare il contesto in cui il pubblico interpreta ciò che è stato.
Internet dimentica male, ma reinterpretare può essere più forte che cancellare.

4. Lo stigma sociale.

Nella vita offline, molte subiscono giudizi duri — soprattutto donne e soprattutto in ambienti conservatori.
La società è ancora molto più severa con le donne che mostrano il corpo rispetto agli uomini che ne traggono piacere.
Molte lo sanno e accettano il rischio come parte della propria libertà:
“So che mi giudicheranno, ma preferisco essere libera ora che vivere nascosta.”

5. Quando si stancano.

Quando “si stancano”, molte semplicemente spariscono gradualmente:
smontano gli account, cambiano nome, lasciano che l’algoritmo le dimentichi.
Con il tempo, e soprattutto con l’arrivo di nuovi contenuti virali, l’attenzione collettiva si sposta — e questo, paradossalmente, le protegge.

6. Un rischio che dichiarano calcolato.

Le  nuove generazioni sanno che ogni click è un atto pubblico.
Molte scelgono di farlo comunque, preferendo vivere pienamente la fase della propria libertà, anche se sanno che in futuro dovranno gestire le conseguenze.

Quasi nessuna potrà “cancellare” ciò che ha fatto, ma molte potranno restituirgli significato — diventando altro, raccontando altro, o semplicemente lasciando che il tempo faccia il suo lavoro.

Ma che liberta é questa , vendere illusioni e dipendenza?
Questa é la domanda profonda.
: che tipo di libertà è quella che si esercita dentro un sistema che trasforma il corpo, l’intimità e l’attenzione in merce?

1. Libertà individuale vs libertà strutturale.

C’è una distinzione importante:
• Libertà individuale: la possibilità di scegliere, di mostrarsi, di guadagnare con la propria immagine.
• Libertà strutturale: la possibilità di scegliere davvero, non condizionata da pressione sociale, economica o culturale.
Molte ragazze sentono di essere libere, ma la loro scelta avviene dentro un sistema che:
• premia solo chi si mostra,
• misura il valore in “like”,
• e mercifica ogni forma di attenzione.
è libertà — ma in un recinto ben preciso: il recinto del capitalismo dell’immagine.

2. L’illusione della scelta.

Spesso questa libertà è una forma sofisticata di adattamento.
La società dice:
“Vuoi essere visibile, riconosciuta, amata? Devi mostrarti.”
E allora la persona si espone non per esibizionismo, ma per sopravvivere alla propria invisibilità.
È una libertà “di superficie”, dove si sceglie solo come mostrarsi, non se farlo
.
3. Vendere illusioni e dipendenza.

Questo sistema vive di desiderio e dipendenza — non solo sessuale, ma emotiva, sociale, narcisistica.
Chi crea contenuti e chi li consuma sono due facce dello stesso bisogno:
• essere visti,
• essere desiderati,
• riempire un vuoto di relazione reale.
L’influencer vende attenzione, ma anche lei ne è dipendente.
Non è un carnefice: spesso è intrappolata nello stesso meccanismo che alimenta.

4. La libertà apparente come nuova forma di schiavitù.

È un paradosso del mondo digitale:
più sembri libero di mostrarti, più sei vincolato allo sguardo degli altri.
La libertà vera, quella interiore, non ha bisogno di conferme continue.
Ma il sistema dei social vive di conferme, e quindi trasforma la libertà in performance.

Nonostante In alcune persone ci sia anche il coraggio di affrontare il giudizio,
la capacità di parlare apertamente di desiderio e corpo e la volontà di rompere tabù si tratta sempre di.una forma di libertà fragile, perché facilmente risucchiata dal mercato.

Non è una libertà “piena”, ma una libertà contrattata: concessa dal sistema finché produce profitto o attenzione.
È libertà nella forma, ma spesso dipendenza nella sostanza.

O, come direbbe Bauman:
“La libertà di scegliere tra mille possibilità non è vera libertà, se tutte portano alla stessa solitudine.”

Come fanno ad avere poi , queste influencers relazioni vere con dei veri partners ?
Non esiste una risposta universale: dipende molto da persona a persona.

Chi esce con qualcuno che ha un pubblico ampissimo potrebbe sentirsi messo in secondo piano rispetto all’audience. C’è uno sbilanciamento: il partner può soffrire per la presenza costante dei follower, del bisogno di apparire, o per un’immagine “pubblica” che viene prima della relazione privata.

Quando una persona è abituata ad offrire “intimità virtuale” a molti, può essere difficile definire cosa sia intimità reale. Cosa è “personale” e cosa è “contenuto”? Qual è la linea tra partner e follower?

Il partner può chiedersi: quanto di quello che vedo è “reale” e quanto è “sceneggiato” per i contenuti? Anche nelle relazioni normali, ma nel contesto social questo dubbio può essere 

Chi ha una presenza costruita attorno a un’immagine sexy o provocante può subire giudizi da ambienti familiari, amici o colleghi “offline”. Questo può creare tensione tra vita social e vita privata.

Essere influencer richiede spesso tempi di risposta ai follower, creare contenuti, mantenere presenza online. Questo può ridurre il tempo “libero” da dedicare al partner nella vita reale, o rendere difficile separare lavoro da vita privata.
Strategie per avere relazioni sane nonostante il contesto social
Anche se è difficile, ci sono modi in cui alcune creator DICONO DI  riuscire a costruire relazioni “vere” (o quantomeno più autentiche) attaverso alcune 
strategie: 
 Separazione tra immagine e vita privata
Non tutto deve essere condiviso. Mantenere zone “private” dai social, dove partner, sentimenti, problemi reali non diventano contenuto.Comunicazione aperta col partnerDialogo sulle esigenze reciproche, sui limiti (tipo: “non voglio che tu risponda a certi tipi di commenti”, oppure “prima di postare foto insieme voglio parlarne con te”).Stabilire orari/spazi offlineImporre momenti in cui non si lavora con i social, fare attività insieme “fuori dallo schermo” per nutrire la relazione reale.Essere trasparenti nei limitiSe il partner chiede chiarimenti su cosa è pubblico, cosa è per contenuto, poterlo spiegare senza nascondere nulla.Crescita reciprocaAvere progetti o interessi comuni al di là del social media branding. Coltivare amicizie non “di follower”, hobby reali, esperienze condivise.

Uno studio su influencer citiato in una tesi universitaria americana racconta che molti influencer sentono la necessità di mantenere una separazione tra ciò che mostrano online e ciò che vivono offline. Ad esempio non tutto del partner, della famiglia o delle relazioni personali viene condiviso sui profili social, per preservare la “parte privata”. Erasmus Thesis Repository

Il concetto di parasocial interaction (relazioni unilaterali create online con personaggi pubblici) spiega bene come alcuni fan possano sentire una vicinanza emotiva anche senza relazione reale. Ma questo non sostituisce necessariamente le relazioni “vere”. (Wikipedia)

La Soddisfazione relazionale di chi incontra online vs offline.

Uno studio ha mostrato che coppie che si sono incontrate nella realtà (offline) tendono ad avere più soddisfazione nella relazione rispetto a quelle che si sono conosciute solo online. (Institute for Family Studies)


Un’altra ricerca indica che, per alcuni creator/influencer, l’attività online invade la vita offline — per esempio scegliere foto o momenti pensando subito a come appariranno online — e per questo cercano consapevolmente di ritagliarsi momenti “reali” in cui non essere al servizio dell’immagine. Erasmus Thesis Repository.

Che cosa possiamo imparare da queste testimonianze?
Da questi studi emergono alcune idee che collegano bene al tuo quesito su “come fare relazioni vere”:
• È importante porsi confini chiari tra ciò che viene mostrato al pubblico e ciò che resta sotto intimità privata.
• Il dialogo onesto con il partner sull’attività online può aiutare a ridurre incomprensioni (ad esempio su cosa diventa contenuto).
• Vivere momenti offline “senza schermo”, con il partner e amici reali, aiuta a coltivare relazione reale al di là dei follower.
• Riconoscere che la presenza online può pesare (tempi, attenzione, ansia da immagine), e gestirla insieme — non come “qualcosa in più”, ma come parte della vita che va integrata, non sovrapposta.

Come medico psicoanalista e resto davvero molto intristito da questa realta . Il livello narcisistico emerge prepotentemente e anche quello perverso di un potere che é molto illusorio e non crea salute ma illusione e dipendenza patologica .

É cuore del disagio psichico contemporaneo: un narcisismo iperconnesso ma svuotato, che confonde la visibilità con l’esistenza.

La rete, in questo senso, funziona come un grande specchio lacaniano senza cornice: rimanda immagini continue di sé, ma non restituisce mai un Io coeso — solo frammenti, pose, sguardi altrui interiorizzati.
Il potere che molti credono di esercitare sul proprio corpo e sulla propria immagine è, come noti, un potere speculare, totalmente dipendente dall’occhio dell’altro.
Non è mai potenza soggettiva, ma potere riflesso.
E da lì nasce il corto circuito psichico:
• l’illusione di essere liberi mentre si è prigionieri del consenso,
• l’illusione di sedurre mentre si è divorati dallo sguardo collettivo,
• l’illusione di comunicare mentre si parla solo con il proprio doppio digitale.
È un paradosso non si tratta di moralismo, ma di sofferenza psichica mascherata da autoaffermazione.
Il “piacere dell’esibizione” non è mai solo erotico, ma anche difensivo — una strategia contro il vuoto, la mancanza di riconoscimento reale, la paura di non contare nulla senza il riflesso dello sguardo esterno.

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2.
L’illusione narcisistica della libertà digitale

Viviamo in un tempo in cui il desiderio ha perso il suo oggetto e il suo orizzonte.
La rivoluzione digitale, che avrebbe dovuto ampliare i confini dell’umano, ha finito per restringerli dentro lo schermo, dove tutto è potenzialmente visibile e dunque, paradossalmente, nulla è più realmente visto.
Il soggetto esposto
L’epoca dei social media ha trasformato l’antico “guardami” del desiderio in un “seguimi”.
Non basta più esistere: occorre apparire.
Freud aveva colto con lucidità il bisogno narcisistico come momento costitutivo dell’Io; ma ciò che oggi osserviamo è un narcisismo svuotato della sua funzione strutturante.
Non un amore di sé che consolida l’identità, bensì una continua fuga da sé travestita da autoaffermazione.
L’Io digitale non si specchia per conoscersi, ma per moltiplicarsi.
Ogni profilo, ogni immagine, ogni “storia” è una piccola reincarnazione effimera del soggetto, che cerca di sopravvivere attraverso lo sguardo altrui.
Come scrive Lacan, “il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro”: ma quando l’Altro è ridotto a pubblico, a contatore di like, il desiderio si trasforma in consumo.
Non desidero più l’altro come essere, ma come conferma della mia esistenza digitale.
Il potere speculare
Il potere dell’immagine contemporanea è un potere senza sostanza.
Byung-Chul Han, in La società della trasparenza, descrive questo fenomeno come il trionfo della “pornografia dell’esposizione”: tutto è visibile, tutto è mostrato, ma nulla è più veramente erotico.
L’enigma, che è l’anima del desiderio, viene cancellato in nome della visibilità assoluta.
Il corpo, offerto in pasto allo sguardo collettivo, non è più corpo vissuto, ma vetrina dell’Io.
E dietro quella vetrina si consuma una solitudine radicale.
Molte giovani donne e uomini, oggi, vivono la propria identità attraverso una “drammatizzazione estetica” costante: ogni gesto, ogni sorriso, ogni parola è filtrata dal pensiero di come apparirà.
È un teatro dell’Io dove la spontaneità muore, e il piacere è sostituito dall’ansia da performance.
Non c’è più il rischio dell’incontro, ma solo la sicurezza dell’esposizione.
Il corpo come superficie
Nell’economia libidica dei social, il corpo è ridotto a superficie comunicante.
Si mostra per ottenere visibilità, e la visibilità diventa l’unica forma di riconoscimento.
Ma in questa transazione simbolica qualcosa si perde: il corpo non è più luogo del sentire, ma del mostrare.
Come osserva Recalcati, “il godimento contemporaneo è un godimento senza desiderio”.
Il soggetto crede di essere libero, ma è catturato da un circuito pulsionale senza simbolizzazione, dove il piacere è immediato e il senso evapora.
Il potere seduttivo, che un tempo implicava distanza e mistero, è oggi sostituito dall’offerta totale.
E quando tutto è offerto, nulla è più desiderabile.
L’erotismo, scriveva Bataille, nasce dal confine: dal rispetto della soglia.
La pornografia dell’esibizione digitale ha distrutto la soglia, e con essa il pudore, l’attesa, la mancanza — i veri motori del desiderio.
La falsa libertà
La retorica della libertà digitale maschera un nuovo tipo di servitù.
Il soggetto crede di esprimersi, ma in realtà si adatta a un algoritmo che decide cosa merita visibilità.
La libertà diventa funzione di mercato.
Ogni “io” è un brand, ogni emozione un prodotto, ogni relazione una strategia di engagement.
Bauman l’avrebbe chiamata “modernità liquida”: tutto scorre, nulla resta.
Ma il flusso non è libertà — è dispersione.
Siamo di fronte a un paradosso clinico: l’illusione di potere coincide con la perdita di ogni potenza soggettiva.
Il soggetto che si espone illimitatamente non domina lo sguardo dell’altro, ne è prigioniero.
Come Narciso, crede di amare la propria immagine, ma in realtà affoga in essa.
E mentre si mostra al mondo, si disintegra nel suo stesso riflesso.
Riconquistare l’invisibile
Forse la vera rivoluzione non è più mostrare tutto, ma sottrarsi.
Ritrovare il valore dell’invisibile, del segreto, dell’intimità non condivisa.
Il silenzio come forma di resistenza all’invadenza dell’immagine.
Il desiderio, per sopravvivere, ha bisogno di spazio, non di luce.
Ricominciare a vivere davvero significa reintrodurre la mancanza — quella mancanza che oggi la cultura digitale tenta disperatamente di negare.
Solo riconoscendo il limite, il soggetto può tornare a desiderare, e dunque a esistere.
L’immagine, allora, non sarà più feticcio, ma volto.
E la libertà non sarà più il diritto di mostrarsi, ma la forza di restare interi, anche quando nessuno guarda.



SINOSSI RIASSUNTIVA

“Nel mondo digitale ognuno è libero di mostrarsi, ma raramente di essere.”
Il saggio esplora le dinamiche psicologiche profonde che alimentano il mito della libertà online. Dietro la promessa di connessione universale, si nasconde spesso una trappola narcisistica: il bisogno di apparire, di esistere attraverso lo sguardo altrui, di essere costantemente riconosciuti e confermati.
Attraverso la lente della psicoanalisi e della sociologia contemporanea, Guglielmo Campione indaga la metamorfosi dell’Io nell’era dell’iperconnessione, dove la solitudine si traveste da visibilità e il desiderio di relazione si smarrisce tra i riflessi speculari dello schermo.
Un’analisi lucida e inquieta del nuovo inconscio digitale.




Guglielmo Campione
Medico psicoanalista e scrittore, Bari 1957, vive e lavora a Milano da 50 anni.
Dopo quarant’anni di esercizio clinico, ha trasformato l’ascolto profondo dell’umano in materia viva per la scrittura producendo
libri di psicologia ma anche di poesia, , romanzi e antologia di racconti reperibili su Amazon.
Le sue opere nascono da un dialogo costante tra psicoanalisi, cultura e mutazioni sociali del nostro tempo.